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Autore: The Custodian ofthe Doors    11/11/2016    1 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Half Heroes


18. Lacy- Troppo piccola.


Di tutti i suoi fratelli, Lacy aveva la sfortuna di essere la più piccola. Non che la cosa l'avesse mai infastidita, prima di arrivare al Campo, perché ciò comportava la salvezza in molte cose: ogni atto veniva perdonato, ogni desiderio accontentato e le cose spiegate con più garbo che agli altri. Essere piccoli aveva tanti vantaggi e Lacy, complice la sua adorabile bellezza che la faceva definire da tutti “la bambina più bella che abbia mai visto”, ne approfittava come dovrebbe fare ogni degno figlio di sua madre.
Ma proprio quando aveva superato l'arco di legno, quando era entrata in quella cabina tutta così deliziosamente rosa e aveva conosciuto la sua ancor più deliziosa capo-cabina, aveva dovuto ricredersi, almeno in parte.
Silena era stata la dolcezza fatta persona, e finché era ancora in vita le aveva spiegato bene che al Campo le cose erano un po' diverse che fuori. La ricordava ancora farle l'occhiolino e rivelarle che malgrado le cose fossero diverse, anche lì a loro figli di Afrodite era permesso un po' più di quanto non lo fosse agli altri.
<< Ma tieni ben a mente una cosa, cara: anche se tutti amano accontentarci questo non ci esenta dal fare la nostra parte come semidei. Forse siamo quelli che vivono più tranquilli, ma i mosti non ci risparmiano solo perché siamo di bell'aspetto.>>
Oh, quanto era vero!
Purtroppo però conobbe Silena troppo tardi: pochi giorni dopo il suo fidanzato partì per una missione per non tornare mai più, il suo corpo non venne mai ritrovato e la bella e dolce sorella che l'aveva accolta e accudita con l'amore di una famiglia si era trasformata in un fantasma di dolore e rimpianti.
La guerra era ufficialmente scoppiata mesi dopo e Lacy non era abbastanza addestrata, non sarebbe stata di alcun aiuto ma solo d'intralcio a Manhattan, era troppo piccola, ed era stata rispedita a casa.
Al suo ritorno al Campo credette fermamente che avessero perso: se la vittoria sarebbe dovuta esser il mantenimento del mondo così come lo conoscevano, allora dovevano aver fallito alla grande perché Lacey sapeva perfettamente che quell'ambiente, quel posto, non era il suo Campo, non era la sua famiglia, non era il suo mondo.
O per lo meno non lo era più.

La seconda grande profezia di quel secolo, invece, Lacy la visse tutta, decisa più che mai a non lasciare di nuovo la sua casa, di non abbandonare di nuovo i suoi amici. Era cresciuta ora, poteva esser d'aiuto, se non sul campo almeno in infermeria.
Non aveva la più pallida idea di cosa dovesse aspettarsi, di cosa sarebbe successo, come e quando, ma lo sentiva nell'aria, avvertiva come un'energia statica che le faceva rizzare i peli sulle braccia.
Drew aveva ragione, avrebbe dovuto cominciare a farsi la ceretta, solo perché erano biondi non voleva dire che quei peli non fossero antiestetici.
Scosse la testa e strinse le trecce basse con cui si era acconciata i capelli, alle sue spalle gli altri si muovevano inquieti, i Romani erano accampati fuori dalla barriera che ogni momento diventava sempre più debole.
Sentiva i brividi che le percorrevano veloci i muscoli, la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere la sua ultima giornata di vita le strinse lo stomaco e le fece venir voglia di vomitare. Improvvisamente tutto quel delizioso rosa la stomacava, come la più stucchevole delle caramelle, la bellezza perfetta dei suoi fratelli la irritava con la sua inutilità: Silena aveva avuto ragione, nessuno di loro sarebbe stato risparmiato perché bello, non sarebbe riuscita ad accettarlo neanche se fosse stato vero poi, l'idea di salvarsi mentre tutti i suoi amici perivano...Perché era questo che sarebbe successo, molti di loro sarebbero morti e non avrebbero più visto la luce, niente più sveglia presto la mattina e colazione al padiglione, niente più allenamenti e fila per le docce.
Si strinse nelle spalle e si abbracciò forte la vita, lei non voleva morire, non voleva farlo, era ancora troppo piccola per morire. Ma al contempo non avrebbe accettato di esser di nuovo al sicuro mentre i suoi amici combattevano per la vita.
Una mano le si poggiò sulla testa e la ragazzina si voltò per incontrare il volto bello e serafico di Drew. In assenza di Piper era lei la capo cabina, un ruolo che, malgrado i suoi modi, le calzava a pennello e Lacy per quanto amasse Piper, per quanto l'ammirasse, non ce la vedeva proprio a comandare i figli dell'amore.
Aveva detto, la giovane McLane, che le persone belle non mentivano, riferendosi certamente all'abitudine di Drew di sparlare e utilizzare la lingua ammaliatrice per convincere tutti a fare ciò che voleva, ma in quel momento Lacy era più che convinta che quella sorella che aveva visto come un'eroina, come la salvezza di tutta la capanna, avesse spudoratamente detto una bugia.

Corse con quanta più forza avesse in corpo, la paura che alimentava il piccolo cuore pompando adrenalina in tutte le terminazioni venose, lanciandosi di tanto in tanto occhiate spaventate alle spalle. La corazza che le fasciava il busto era il macigno più pesante che avesse mai dovuto sollevare, una protezione che ora la intralciava soltanto facendo recuperare terreno a quel guerriero in armatura scintillante che la stava rincorrendo, l'elmo lucido dal quale non si riuscivano ad intravedere gli occhi e che le facevano pensare che fosse un automa quel gigante che passo dopo passo la stava raggiungendo.
Non voleva morire, non così, magari in modo più glorioso, per salvare un amico… no, no, lei non voleva morire e basta, era troppo piccola per morire, non aveva neanche dodici anni, doveva finire le medie, voleva andare al liceo, il ballo di fine anno… e suo padre? Cosa sarebbe successo? Si sarebbero presentati alla porta di casa sua e avrebbero comunicato la notizia? Gli avrebbero mandato una lettera? Ci sarebbe andata Piper, perché era la capo cabina? Avrebbe reso il suo dolore più lieve con il dono di Afrodite? Ma poi, era viva? Erano riusciti a sconfiggere i Giganti?
No, non c'erano riusciti, se no in quel momento starebbero tutti li a combattere.
Le lacrime gli offuscavano la vista, i singhiozzi le si spezzavano in gola facendole male, facendole desiderare solo di fermarsi e vomitare, con il sapore acido dei succhi gastrici a mischiarsi alla sensazione vischiosa del muco che le colava lungo la trachea.
Voleva solo salvarsi.
Un corpo cadde improvvisamente ai suoi piedi e lei vi inciampò senza possibilità di schivarlo.
Alzò la testa il necessario per rendersi conto che quello davanti a lei era un ragazzo di Efesto, un ragazzo di un paio d'anni in più di lei. Gli occhi erano spalancati, vuoti come quelli di una bambola, ma comunque pieni dello stesso terrore che riempivano i suoi. La bocca semiaperta da cui colava un misto di sangue e saliva, la tempia destra inesistente, così rossa da sembrare nera.
L'urlo che lanciò si sarebbe propagato per tutto il campo se la battaglia non fosse stata così rumorosa. Arretrò senza più riuscire a controllare le lacrime davanti a quel corpo che lei conosceva, che aveva conosciuto e che ora non c'era più, non c'era più…
Il guerriero aveva rallentato il suo passo, sicuro che ormai il suo obbiettivo non sarebbe più scappato, in preda ad un attacco di panico che la faceva gridare trapanandogli i timpani. Lacy si voltò verso il soldato con gli occhi sgranati, tremante più della terra stessa che si muoveva a ritmo delle esplosioni causate dalle catapulte; lo guardò senza riuscire a vedere i suoi occhi, senza riuscire a pensare ad altro se non che non poteva morire, non voleva morire, non era giusto.
<< Ti prego. Ti prego, non mi uccidere. Per favore, ti scongiuro. Non voglio morire. Ti prego.>> i singhiozzi spezzavano le sue preghiere, mente quel soldato alzava la spada pronto a togliergli la vita come era successo al cadavere vicino a lei.
La luce della lama balenò per un attimo nell'aria densa di fumo, polvere, sangue, grida e preghiere vane agli Dei, e Lacy non riuscì a staccargli gli occhi di dosso neanche nel momento in cui riuscì finalmente a vedere quelli del ragazzo davanti a lei; perché questo era, un ragazzo, era solo un ragazzo come lei in cui la bambina poté vedere i suoi stessi sentimenti, le sue stesse paure. Neanche lui voleva morire, anche lui era troppo giovane e voleva ancora fare tante cose nella sua breve vita. Ma la lama che usciva dall'esiguo spazio tra il busto e l'elmo non lasciava vie di scampo.
Thanatos attraversò il metallo che nascondeva il viso del ragazzo per posargli un bacio freddo come la morte sulle labbra socchiuse dallo stupore.
Per un attimo il mondo girò come una trottola e Lacy fu costretta a voltarsi e vomitare tutto ciò che aveva in corpo senza riuscir a smettere di piangere.
<< Stai bene?>> La voce famigliare di un assassino le sfiorò la mente, due corpi erano riversi affianco a lei: quello di un ragazzo che conosceva e quello di uno sconosciuto, accomunati da più tratti di quanti non credessero, primo tra tutti una morta violenta ed insensata.
Sopra di loro, svettante come una regina, Drew teneva stretta in pungo una spada strana, fine e regolare, con il manico terribilmente simile alla lama. Una katana avvolta da una strana nebbiolina violacea, come il colore preferito di quella sorella che aveva sempre tanto temuto e che ora, finalmente, le dava un valido motivo per farlo. L'asiatica aveva ucciso quel ragazzo, l'aveva fatto per salvarla, per salvare proprio lei ed ora controllava con gli occhi d'ossidiana ogni movimento attorno a loro. Fece un passo avanti afferrandola per un braccio e rimettendola in piedi e Lacy non riusciva a vedere altro che le condizioni in cui versava la sorella, con i vestiti sporchi e strappati, macchiati di sangue e terra, le braccia coperte da bracciali di bronzo celeste ammaccati e rigati come se avessero parato troppi colpi; i capelli lisci ed arruffati, il trucco sbavato che la facevano somigliare ad una di quelle maschere inquietanti della sua tradizione. Ma più di tutto gli occhi neri, freddi come la pietra, vuoti come pozzi. La scintilla luminosa della vita mancava tanto nelle iridi dei cadaveri quanto in quelle degli assassini.
<< Mettiti al riparto, non puoi combattere. >> era stato un ordine deciso e perentorio, privo della lingua ammaliatrice ma mille volte più suggestivo, non ammetteva repliche. E Lacy fece come gli fu detto, perché in quella guerra lei non poteva far niente, non era utile a niente, era troppo piccola, troppo debole per far altro se non intralciare i suoi compagni.
" Ma sono viva, sono ancora viva, sono viva. "

Quando la guerra finisce e il cielo esplode in fiamme e terra dorata sottilissima, Lacy non è al riparo.
E' inginocchiata a terra, l'armatura abbandonata affianco a lei, il busto bianco e tremante esposto al sole impietoso, la fascia rosa del top che pare un pugno in un occhio ma è ciò che permette a Mitchell di individuarla tra tante armature, gusci vuoti che ospitano ancora il corpo inerme e molliccio di crostacei morti arenati sulla spiaggia.
E' inginocchiata davanti ad un ragazzo anche lui senza armatura, con una ferita grande quanto una mano aperta sul basso ventre, a premergli la sua maglia contro, ripetendogli che tutto andrà bene, che si salverà alla fine, che stanno arrivando i rinforzi.
Ha già visto troppi cadaveri, non vuole che anche lui diventi uno di loro.
Mitchell le corre incontro con le lacrime agli occhi, felice che almeno lei sia salva, tra tanti caduti e feriti. Ma Mitchell è anche più grande di lei, ha già affrontato una guerra, sa com'è, cosa succede, e forse è il suo occhio più allenato che gli fa capire subito che quel ragazzo non ce la può fare, che sta morendo e che nessuno lo può salvare.
O forse è solo quell'infantile speranza che accomuna tutti i bambini a far credere il contrario alla figlia di Afrodite.
Lacy gli regala il sorriso più splendente che abbia visto fino a quel momento, sollevata oltremodo di poter finalmente vedere qualche faccia amica salva.
<< Mitchell! Vieni qui, aiutami! Bisogna chiamare qualcuno, sta molto male e sta soffrendo tanto, ha bisogno di un medico.>>
Poi si volta verso il ragazzo, Brian, un romano come quello che ha cercato di ucciderla ore prima ma che è andato incontro alla morte per mano di Drew, per dirgli di stringere i denti, che stanno arrivando i soccorsi.
Il ragazzo piange e basta, piegando le labbra in una smorfia che potrebbe essere un sorriso.
<< Lacy...>>
<< Lasciala stare.>> Drew appare al suo fianco, con la katana incrostata di sangue e lo sguardo più vuoto e determinato di prima. Lei sa cosa vorrebbe fare il fratello, dirle che il ragazzo è spacciato, che deve arrendersi, ma glielo impedisce.
Guarda dritto negli occhi quel Brian e capisce che anche lui sa che non ce la potrà fare, singhiozza più forte e cerca di annuire, alzando una mano per portarla su quella della piccola Lacy.
<< Continua a far pressione sulla ferita, Mitchell tu via a chiamare aiuto, serve un figlio di Apollo o uno di Asclepio, ora.>> Non gli permette di replicare e Lacy sorride ancora di più, perché presto tutto finirà, tutto si sistemerà, lo salveranno.
Si concentra di nuovo su quel ragazzo, raccontandogli che gli piacerebbe vedere come stanno messi loro a Nuova Roma, che magari quando guarirà le potrà fare da guida, da Cicerone si dice, giusto Brian? E lui potrebbe visitare il Campo, certo quando sarà di nuovo in piedi, ma ci vorrà poco, i loro figli di Efesto sono i migliori, senza toglier niente ai romani ovviamente. Ma forse prima vorrà rincontrare sua madre o suo padre. Di che divinità sei figlio? Oh, Marte? Il nostro Ares? Forte!
Non vede Lacy lo sguardo addolorato di Mitchell che corre a chiedere aiuto, quello spento di Drew che si mette a scavare nelle macerie, a togliere elmi e controllare le pulsazioni sanguigne, non la vede neanche chinarsi su un ragazzo che le chiede il favore più grande e pesante del mondo, perché non ce la fa più, sta solo morendo lentamente, il suo corpo è schiacciato da una trave e lui morirà quando la solleveranno.
Non vede quella lama fine e sporca tentennare per un attimo in aria prima di calare dritta nel cuore malandato e morente del ragazzo, non nota neanche che quel ragazzo è uno dei loro, un figlio di Demetra che chiede di dire ai suoi fratelli che gli vuole bene ed è fiero di loro, di dire a suo padre che c'ha provato, a resistere, che lo ama come nessuno al mondo ed è stato il padre migliore che potesse capitargli.
Lacy sente solo il figlio di Apollo che arriva di corsa e gli dice che gli dispiace, che il ragazzo, Brian, è morto, ma che lei gli è stata vicina e lo ha accompagnato da Thanatos, che si è appena sollevato dal volto del figlio di Demetra e ora carezza con tristezza il capo di Drew, che cerca di nascondere un singhiozzo in un colpo di tosse.
Lacy vede solo Brian con il volto bagnato di lacrime e sangue, con quella smorfia di dolore che le pare un mezzo sorriso ed ha la certezza che non ha fatto abbastanza, è stata inutile anche per lui, non lo ha salvato come gli aveva promesso.
A undici anni e mezzo Lacy chiude gli occhi cerulei di Brian, un ragazzo romano che non conosce e che per quanto ne sa potrebbe anche esser stato il fratello di quello che ha cercato di ucciderla, un ragazzo che doveva avere all'incirca quattro anni in più di lei, che era figlio di Marte e voleva diventare pretore, che doveva dire a sua madre che lo avevano bocciato in spagnolo, che doveva prendere la patente e che sarebbe stato felice di vedere il loro Campo in piedi e di farle da guida nel loro e che ora è morto.
E con lui, con la fine della guerra, Lacy dice addio anche alla sua innocenza e alla sua infanzia.
Il mondo è rosso e nero, l'adolescenza è il tormento dell'anima e per Lacy lo è nel modo più terribile. Ebe le sorride mesta, la dea della giovinezza ha perso per sempre un'altra dolce anima i cui candidi sogni di bambina sono ora macchiati dalla guerra che le rimarrà addosso anche dopo la morte.


   
 
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