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Autore: eyes_in_the_fire    30/12/2016    3 recensioni
||STORIA INTERATTIVA|| Iscrizioni CHIUSE||
Un regno magico e misterioso, un nemico celato nell'ombra, delle Bestie sotto il suo controllo, e dei ragazzi -degli eroi,- che cercano nuovi alleati, nuovi compagni.
“Non potremmo resistere ad un secondo attacco in certe condizioni.
Se tornano siamo fottuti.”
Loro sono Cacciatori di Bestie.
E hanno bisogno di aiuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
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L'aria era tesa - entrava nei polmoni e allentava la respirazione regolare, le persone nell'arena la trovavano troppo pesante e densa.
Sarà stata la preoccupazione o l'insicurezza, ma i Curatori si tormentavano le mani.
In particolare, Novella faceva avanti e indietro, Scarlett tremava leggermente e Amalia mordeva il labbro inferiore, temendo per il fratello.
Kennedy e Charlotte, entrati da poco dopo essere stati avvertiti da Alejandro, stavano vicini, fissando insistentemente il portone il legno. Lui aveva lo sguardo perso, stringeva una spalla alla Curatrice che invece puntava il terreno, i pugni stretti e il cuore che batteva forte. Le domande affollavano insistentemente la sua mente, e esse riguardavano più che altro le condizioni di Milah e del suo nuovo amico, Jeremy, che l'aveva fatta sentire leggera e sorridente senza troppo sforzo. Spostando lo sguardo dal suolo, che improvvisamente le sembrava meno interessante di prima, tentò di distrarsi pensando alle altre Curatrici presenti: c'era Novella, l'aveva vista come una leggermente taciturna ma gentile e calma; c'era Amalia, che subito si era fatta apprezzare data la sua allegria sincera; e infine c'era Scarlett, timida e dolce, appariva informata e razionale. Charlotte sospirò e osservò nuovamente la prima, che proprio non riusciva a stare ferma dalla frustrazione.
La ragazza con la coda percorreva con grandi falcate un pezzo di arena, alzando di continuo polvere dati i passi marcati. La giovane praticamente non ci faceva caso, rimuginava su come fosse appena arrivata, su come avesse appena ottenuto l'amicizia di qualche persona, su come durante la mattina i suoi occhi verde profondo - un colore misterioso, dove potevi perderti facilmente, ma che manteneva quella luce che brillava e portava la maggior parte delle persone a definirlo "verde speranza", - si erano scontrati contro quelli che sembravano oro - la tonalità di giallo più preziosa, lucente, nella quale non riuscivi a sprofondare poiché quelle iridi erano veramente rigide e apparentemente impenetrabili come il tanto ricercato metallo, - del Cacciatore con l'alabarda.
Inutile dire che la castana era rimasta sorpresa e affascinata dal colore dello sguardo fermo di Matisse, ma non ci aveva fatto subito caso e, come sempre, era stata cortese rivolgendogli un tenero sorriso. Il piegamento di labbra non era stato ricambiato.
La ragazza sospirò, e fu quando alzò gli occhi che essi incontrarono un flebile raggio viola che si stava ingrandendo nel centro dell'arena. Portò le mani alla bocca in un urlo silenzioso, quando Kurai apparve al posto di quella luce e venne adagiato morbidamente a terra, da un forza che di certo non era quella di gravità. La cosa che la spaventò realmente, era però la spalla del ragazzo, perché dei lembi di pelle erano stati tolti, e perché l'epidermide si stava corrodendo lentamente: la causa era uno strano liquido verde che usciva dai solchi nella carne. Il Cacciatore era svenuto, ne erano conferma il colorito ancor più pallido del solito e le palpebre serrate - entrambe, poiché normalmente ne teneva solo una chiusa.
Novella ritrovò presto la voce, perché non avevano tempo.
«Ragazze...».

«Ehi, sono qui! ... no, scherzavo amico, sono qua! ... eh no, ora sono di nuovo qui!» Neko sembrava starsi divertendo molto con quella specie di orso dal manto nero come la pece. Il ragazzo saltellava di fronte, a lato o dietro alla Bestia, che si girava in velocità tentando di acciuffarlo ogni qualvolta percepisse l'odore del Cacciatore a portata delle sua zampe munite di artigli retrattili, che luccicavano come lame. Effettivamente, quelle unghie apparivano proprio come pezzi di ferro.
Le orbite vuote della belva non potevano vedere il giovane, perciò questi rideva e toccava la peluria del nemico, per farlo girare verso di sé, e poi sfuggire agli arti pericolosi nuovamente con scatti agili e atletici.
Le tre ragazze che erano con Neko guardavano la scena con attenzione, pronte ad intervenire, anche se non ce n'era il bisogno. Il ragazzo si stava solo divertendo e tutte le altre Bestie che avevano incontrato erano state sconfitte e rese innocue, perciò avrebbero potuto rilassarsi.
Solo che nessuna delle tre rimirava essa come idea, poiché anche Ciel riteneva la scena particolarmente comica, perciò ridacchiava guardandola, rifiutandosi di cambiare soggetto. Clarissa invece teneva lo sguardo serio fisso sul fidanzato, osservando ogni movimento o possibile passo falso, e scattando con un piede in avanti quando le sembrava che il ragazzo avesse fatto un movimento rischioso, ma puntualmente tornando alla posizione precedente. Infine Courtney, che era quella più scettica riguardo lo svago che il Cacciatore si stava concedendo, restava a braccia conserte, con un sopracciglio alzato e la spada ancora stretta fra le dita, tenendo alta la guardia.
Fu infine Ciel a rompere il silenzio - quella ragazza sembrava essere sempre incline a nuove azioni e a non restare ferma, -, lasciando definitivamente che le risate abbandonassero le sue labbra per rimanere semplicemente con un sorrisetto allegro a decorarle la bocca rosso sangue; «Non credi di esserti divertito abbastanza?».
Neko sembrò pensarci su, poggiandosi l'indice sul mento: «Forse» sorrise infine, lasciando che l'orso percepisse nuovamente la sua posizione per farsi attaccare ancora. La cosa che cambiò fu il movimento del ragazzo, che quella volta decise di saltare evitando la zampata e atterrando proprio sull'arto della Bestia con agilità, invece che slittare a lato rendendo vano il colpo. Afferrò con decisione la sua lancia, e trapassò il petto della creatura usufruendo di forza e velocità. Saltò poi all'indietro, per lasciare che il corpo inerme del nemico cadesse a terra ormai privo di vita. Quando il cadavere fu steso sulla neve, il Cacciatore dai capelli ramati non esitò oltre e estrasse la sua arma dalla vittima, lasciando che uno zampillo rosso uscisse dalla ferita.
«Bene. Adesso?» domandò Clarissa, che non era rimasta stupita come le altre due dalla "ferocia noncurante" che aveva lasciato trasparire il ragazzo per vincere lo scontro.
Courtney sbatté le palpebre e richiuse la bocca: «Torniamo all'arena, nessuno di noi sembra aver ricevuto ferite ma non si sa mai».
Ciel la bloccò afferrandole con forza il polso, dimostrando una presa ferrea nonostante la statura minuta: «Non sarebbe meglio andare a vedere se come noi anche gli altri sono riusciti a battere le Bestie?».
La bruna era una ragazza dalla mentalità aperta, e, sebbene fosse estremamente attiva e vitale, aveva una grande responsabilità. Ciò le impediva anche solo di pensare di tornare "al riparo" quando sapeva che i suoi nuovi compagni erano ancora in pericolo. In particolar modo, nella sua mente ricorreva l'immagine di due occhi profondi dalle intelligenti iridi color ametista.
«No. E' meno rischioso essere là dentro, e devi anche calcolare la probabilità d'incontrare lì un'altra squadra» si liberò Courtney, non ammettendo repliche e girandosi.
Clarissa non fece storie e seguì la castana, e quando Neko la raggiunse intrecciò le proprie dita affusolate a quelle del fidanzato, rivolgendogli semplicemente un'occhiata che durò poco più di un secondo, degna dell'apparenza stoica e matura della ragazza.

Richard fece schizzare lo sguardo su tutto il corpo protetto da pelo marrone del grosso Lupo Moe che l'aveva attaccato, ragionando sul punto debole della Bestia. Il nemico emise un ringhio potente, che non intimidì il ragazzo, sebbene lo fece indietreggiare per sicurezza. Strinse la presa sulla spada con ancora più decisione, mentre dalle labbra gli sfuggiva uno sbuffo frustrato; ragionava sul dove mirare, sulla quantità di forza con cui colpire, sul momento adatto, sulla sua arma chiedendosi se sarebbe bastata per metterlo K.O. con un solo fendente e su tante, troppe altre cose.
Troppe, perché la creatura, invece, approfittando dell'esitazione del ragazzo, non ci pensò due volte e si lanciò verso il biondo - che alzò la spada per parare il colpo, - quando un coltello le si conficcò perfettamente al centro della fronte.
Uno schizzo di sangue bagnò in parte il bel volto del Cacciatore, e il Moe cadde a terra sconfitto a qualche piede di distanza da lui.
«Amigo, dubito fortemente che, se esiterai sempre così in battaglia, da questa missione uscirai illeso» Alejandro gli poggiò una mano sulla spalla, e l'altro si girò.
Richard mantenne l'espressione sorpresa, ma la sostituì presto con una seria e distolse lo sguardo: «E’ una brutta abitudine».
«Allora farai meglio a perdere il vizio, e magari non il pelo» concluse il bruno, incamminandosi verso l'arena.

«Ellody».
«Oh, no! Assolutamente no! Sono stata una principiante, mi sono comportata come una recluta alle prime armi!».
«Ellody».
«Ho fatto un errore infantile, meriterei di essermi slogata ben più di una caviglia per il mio stupido sbaglio!».
«Ellody».
«E adesso? Ah, il mio piano era di uscire illesi dalla battaglia, andare ad aiutare altri e INFINE tornare all'arena, non certo prima! Come faremo ora?! Lasciami qui Jeremy, tu vai, ho fatto un calcolo sbagliato, con questo piede rallenterei tutti, sono inutile alla squadra orma-».
«Ellody, cazzo!» sbottò il ragazzo, riuscendo finalmente a fermare la parlantina dell'altra; «Finiscila di blaterare cose sconnesse, ti sei slogata una caviglia, mica ti hanno staccato un braccio! Ma a cosa stai pensando? Ti sei distratta un momento; capita, sai? Adesso basta che ti accompagni dai Curatori, loro sanno cosa fare. Ti fascerei io la caviglia, ma non ho nulla di adatto, mi servirebbero bende e garze, o qualcosa di ugualmente elastico» le prese un braccio e se lo passò dietro al collo, mettendo poi la mano sulla sua vita, per farla alzare dal terreno e mantenere in piedi con stabilità.
La Maga lo lasciò fare, lasciandosi tirare su dalla posizione seduta che aveva assunto, e tenendosi alla sua spalla per aiutarlo nell'accompagnarla verso la destinazione, leggermente dispiaciuta per il momento di crisi che l'aveva colta. Si vergognò per aver perso la sua immagine calma e saccente, ma le accadeva così molto spesso: quando qualcosa - anche se quasi irrilevante, - non andava come aveva programmato o il suo piano veniva stravolto, sentiva ogni sicurezza crollarle addosso, e percepiva la sua corazza di saccente intelligenza frantumarsi. Perché sì; Ellody, dietro alla sua aria da saputella, era solo una ragazza che si era creata attorno un fragile castello formato da mura di carta.
Però, se era così insicura dopo un intoppo nei suoi piani, un motivo c'era...
«...lody».
Jeremy la stava chiamando?
«Ehi, Ellody...».
Girò il volto di scatto, risvegliatasi dai suoi pensieri, e questo fece scontrare la montatura dei loro occhiali.
I nasi si sfioravano; i due volti erano davvero a poca distanza, poiché il ragazzo ancora la stava sostenendo, e questo comportava vicinanza.
Jeremy arrossì appena, e Ellody sentì del calore premerle sulle guance, quindi si allontanò, rimanendo in piedi da sola. Abbassò lo sguardo, imbarazzata: «Mi ero dimenticata che eravamo ancora attaccati».
«Non importa, ma dobbiamo entrare» indicò col pollice le ante dell'arena.
«Non mi ero accorta di essere arrivata» fece l'altra, cercando di muovere un passo, ma bloccandosi un momento dopo per il dolore.
«Tranquilla, ti aiuto io» fece il ragazzo, riassumendo la posizione di prima.
Lei lo ringraziò, e decise di riflettere su qualcos'altro per distrarsi dal fastidio che il crollo della sua calma le aveva causato. Decise di pensare ai poteri del Mago affianco a lei, perché sì: l'avevano sorpresa. Nonostante fosse un elemento facile da apprendere se il proprio DNA era propenso alla magia, aveva visto o sentito parlare di davvero poche persone che erano in grado di soggiogare le emozioni altrui semplicemente fissando la "vittima" negli occhi, e ancor meno erano quelli che riuscivano a prevedere in parte le azioni avversarie come invece era stato capace di fare Jeremy. Quel potere era un potere che adoperava maggiormente sulla psiche degli altri, e non sulla propria, come invece facevano gli incantesimi che - Ellody sapeva - era in grado di generare e compiere Noah.
Una volta azzerata la distanza che li divideva dalla porta dell'edificio, il ragazzo lasciò che la Maga si sostenesse da sola per qualche secondo, spingendo il legno scuro.
Quando videro che le persone nell'arena erano tutte ammucchiate circa al centro dello spazio, Jeremy domandò con fare confuso: «Che sta succedendo?».
Kennedy, riconosciuta la voce del fratello, si staccò dal gruppetto e gli si avvicinò: «Non sono abbastanza intelligente per capire certe cose e spiegarle, ma Scarlett sembra essere preparata perciò puoi chiedere a lei... come mai qui?».
«Ellody si è storta una caviglia, ma temo possa anche essersi presa un crampo dato che le fa molto male camminare».
L'altro si grattò la testa, teso: «Posso controllare io. Tu... torni là fuori?».
«Ti preoccupi ora? Comunque no. Voglio dare un'occhiata a quello» e indicò il gruppo di Curatrici; «Almeno dimmi chi o cosa c'è là».
«Si tratta di... di Kurai. S-Sembra essere stato morso sulla spalla, ma la pelle si corrode e-... e non so nemmeno io cosa sto dicendo. Santo cielo, che schifo» scosse la testa il moro, evidentemente turbato dal ricordo di ciò che era accaduto al Cacciatore corvino.
Il fratello strinse le labbra: «Intanto... occupati di Ellody» gli lasciò la giovane, poi corse verso Scarlett, che era quella direttamente a contatto col ragazzo che giaceva a terra. Aveva le palpebre sgranate mentre gli sosteneva - premurandosi di nemmeno sfiorare l'acido sull'epidermide, - la schiena, guardando preoccupata Novella che controllava attentamente ciò che stava accadendo al ferito.
Il Mago si fece strada fra Charlotte e Amalia, ed entrambe, nervose, lo lasciarono passare.
Il moro guardò corrucciato le condizioni di Kurai, digrignando i denti: «Dannazione».

Milah non si era mai ritenuta una persona irascibile. Mai aveva reagito con esagerato astio o veemenza ad insulti dispregiativi, né tantomeno le era mai venuto in mente di essere permalosa, perché sapeva che la sua freddezza la rendeva menefreghista e glacialmente calma.
Eppure, con Seamus tutte le sue convinzioni non valevano.
Non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma quel ventunenne la destabilizzava e le faceva montare la rabbia nelle vene, coi suoi atteggiamenti da bello e dannato in piena fase mestruale. Ogni volta che discutevano le sembrava di vedere una specie di lampo di soddisfazione nelle sue iridi blu profondo ogni qualvolta che lei si limitava a rispondergli con una smorfia infastidita, come se lo zittirla o il farla rimanere in silenzio lo appagassero pienamente - che poi quel lampo era passato davvero poche volte, poiché Milah sapeva come farsi rispettare, era un dettaglio.
La ragazza ormai aveva capito come funzionava il mondo, ovvero come si faceva a vivere e non semplicemente esistere e respirare - e questo la rendeva matura e seria. Però, a dire il vero, era ed è una delle cose più facili da comprendere: perché, per riuscire veramente ad essere vivi, serviva e serve solamente non curarsi troppo di ciò che accade. Il comportamento di una persona, prima o poi, fa presente alla stessa che il tempo trascorre e l'universo non si ferma aspettando che qualcuno raccolga tutti i pezzi del suo cuore infranto; sempre e comunque, tutto va avanti. La fortuna in realtà non gira, essa semplicemente è una conseguenza di ciò che viene fatto. Per vivere, basta decidere da soli e ignorare chi ti disprezza, fare di testa propria ed essere sicuri della scelta, perché nessuno può dire se una decisione è giusta o sbagliata fino a che si riuscirà a conseguire un qualche tipo di risultato da essa.
E adesso che lei, assieme ad un Cacciatore ed una Cacciatrice, stava tornando vittoriosa dal campo di battaglia, ripulito dalla vita di tutti i nemici che avevano tentato di ucciderli, sentiva che forse quella situazione sarebbe stata molto più interessante di quel che aveva immaginato. Aveva scelto di testa sua di partecipare a quella missione mezza suicida, con dei completi sconosciuti eccetto Charlotte - anche lei aveva preso una decisione con solo i propri ragionamenti, -, e, a dirla tutta, non se ne pentiva affatto.
«Ti vedo assente. Ti stai pentendo di tutte le frecciatine che mi lanci?».
Lei sghignazzò - perché diavolo lo stava facendo? -, lanciando un'occhiata sbieca a Seamus.
«Nah. Mi sto pentendo di non averti ancora cucito quella dannata boccaccia che hai sul viso».

«...Ahi!»
«Ma che... Altair?! Stai più attenta!»
«Ehi, anche tu potevi esserlo!» mise un broncio Altair, massaggiandosi la testa coperta dal cappuccio.
«Se salto fuori dalle ombre non è che riesco sempre a vedere ciò che ho davanti!» ribatté con una punta di sarcasmo Arthur, tendendo però una mano verso la ragazza; «E poi che stavi a guardare lì?».
Lei scrutò diffidente le dita pallide del compagno, ma dopo poco accettò l'aiuto, rialzandosi dalla neve dove era caduta a sedere: «Volevo vedere cosa stavi combinando» e lo disse con un tono a metà fra il lamentoso e incuriosito, che fece incrinare di poco la corazza in ferro di Arthur.
Il corvino si tastò la fronte: «Ho trascinato quella Bestia in una specie di oblio, semplicemente. Cioè, entro nell'ombra che un oggetto mi fornisce e trascino il nemico con me, per poi lasciarcelo cadere dentro. E' difficile da spiegare, ma poi "il cattivo" non riesce più ad uscirci, a meno che non abbia la mia stessa abilità, e ci rimane intrappolato. Di notte studio vari libri per capire meglio come funziona, ma ogni volta è complicato trovare qualcosa di davvero utile» alzò le spalle.
«Ecco il perché delle occhiaie» mormorò Altair.
«Già. Comunque, la prossima volta non venire a fissare l'ombra in cui scompaio inclinandoti verso il buio, o finiremo per darci una testata come prima quando uscirò» concluse il discorso il ragazzo, tornando distaccato e girandosi.
«Ehi, Altair, Arthur!» la voce dolce di Dawn fece focalizzare l'attenzione di entrambi sulla porta di una casa poco distante, dalla quale la bionda era appena uscita. Stringeva fra le pallide mani qualcosa, e aveva un sorriso rassicurato che drappeggiava di serenità le sue labbra violacee: «Torniamo all'arena, se avete finito. Io ho preso ciò che cercavo».
L'ultima frase la disse più a sé stessa che agli altri due, mentre scendeva i tre scalini in legno, prima di poggiare le suole degli stivaletti neri sulla neve. Fece scivolare l'oggetto che aveva stretto fra le dita in una tasca del vestito viola che fasciava la sua figura, e raggiunse gli altri due Maghi.
Altair, se fosse stata più attenta, sarebbe stata tentata dal chiederle che cos'era, ma era particolarmente concentrata a osservare Arthur, che camminava davanti alle ragazze.
La giovane assottigliò gli occhi: a volte, molto spesso, aveva sentito quel ragazzo distante; una presenza effimera, evanescente, un qualcosa da tenere sott'occhio poiché prima o poi sarebbe sparito dissipandosi nell'aria. Era una specie di genuino interesse e forse soddisfazione, quello che le faceva battere il cuore quando lui la guardava, ricambiando l'occhiata non con la sua tagliente freddezza ma con un'espressione più ammorbidita, meno ruvida, e con le labbra che non speravano di poter fare il più presto possibile una battutina ironica come durante tutto il resto del tempo.
Altair, in Arthur, quasi ci rivedeva suo fratello. Anser era sempre accanto a lei fisicamente, ma talvolta la ragazza lo percepiva assente, rinchiuso sottovuoto in una camera composta da buio denso e viscoso. Un buio nel quale lei doveva scavare e avanzare a tentoni, preoccupata di fare passi falsi mentre si avvicinava al fratello parlandogli, per sentire da che parte provenisse la sua voce in modo da raggiungerlo, e sporcandosi le mani di quella viscida melma fatta di cinismo, solitudine... distanza.
A quel punto si decise: voleva e doveva trovare il modo di abbattere quel muro, a qualsiasi costo.
E, magari, non solo quello che circondava Anser.

Scarlett sentiva qualcosa di leggero premerle al lato dell'occhio destro. Quando sbatté le palpebre, capì, dalla lieve scia umida che le percorse la guancia, che quel qualcosa era una lacrima. Una lacrima salata, amara. Solo una, ma era pur sempre una lacrima.
Stringeva il polso di Kurai con più forza man mano che, aiutata da Jeremy e da Novella, si avvicinava trasportandolo ad un tavolo addossato alla parete dell'arena. Il battito c'era, ma era come se l'anima di Kurai, invece, fosse già distante. Però non voleva pensarci, né tantomeno ci riusciva. Un ragazzo con una forza d'animo come quella del corvino, che sprigionava dominanza e sicurezza da tutti i pori, non poteva essere veramente caduto così presto. Davvero non poteva.
Novella, invece, non aveva lacrimato, ma era preoccupata visibilmente. C'era una cosa, nella consapevolezza di stare passando una giornata assieme ai tuoi nuovi compagni - le spalle su cui ti dovrai appoggiare, le ancore che ti salveranno dal naufragio, -, che aveva già fatto nascere una ragnatela trasparente fra tutti i Cacciatori, i Curatori, i Maghi. Una ragnatela ancora sottile, debole, che andava di continuo lavorata, in modo che potesse diventare al più presto resistente e più plastica, cosicché, quando e se uno avesse barcollato, gli altri avrebbero tirato prontamente la tela elastica per farlo tornare subito in piedi.
Ecco, Novella, Jeremy e Scarlett stavano tirando il filo che legava il polso di Kurai, ma esso era ancora troppo giovane, e, di conseguenza, se non fossero intervenuti subito ad aiutare direttamente il ragazzo lui sarebbe precipitato nell'oblio.
Poggiarono il ferito sulla superficie piatta, e gli strapparono un mugolio di dolore.
Scarlett si morse le labbra, pensando che doveva essere un male atroce, e tentò di non far scappare una seconda lacrima dai suoi occhi: «Che cosa facciamo? Dovremmo togliergli il veleno dal corpo e quindi anche strappargli la pelle, ma potrebbe morire per il dolore...».
Jeremy espose il pensiero che gli aveva attanagliato la mente fino a quel momento, e lanciò un'occhiata impaziente e preoccupata al ragazzo disteso: «A-A dire il vero, ho visto nella borsa di Charlotte il liquido che secernono dalla bocca quelle Bestie enormi e ricoperte di scaglie» fece una pausa, tornando poi a parlare in fretta: «E mi sono ricordato che è uguale a quello che sta corrodendo Kurai».
«Quindi?» s'impuntò Novella, torcendosi nervosamente una ciocca di capelli.
«Quindi, quello è veleno» gli sguardi già crucciati delle due si fecero quasi spaventati da quel che potevano sentire dopo. Fortunatamente per loro, però, sembrava essere una buona notizia: «Ma un veleno che può essere usato anche come antidoto. Infatti, ho letto in un libro che se lavorato chimicamente può diventare un potente rimedio a mali di tutti i tipi...».
«Se quello di Charlotte è giustamente lavorato, e sono certa di sì, e lo applichiamo sulla ferita di Kurai, a rigor di logica dovrebbe fare l'effetto contrario...» ragionò Novella.
«Esattamente. Ovvero...».
«Rigenerare...» finì la rossa, con più sicurezza negli occhi verdi.
La castana annuì frettolosamente e corse verso Charlotte, ricevendo immediatamente da quest'ultima rassicurazioni sul buon uso dell'antidoto e l'antidoto stesso. Tornò dagli altri e diede il barattolo ricolmo del liquido verde al moro, che lo guardò per poi rivolgere un'occhiata alle due: «Sarà un'operazione lenta e delicata, per sicurezza prima di tutto dobbiamo pur sempre estrarre il veleno».
Heather sentì la conversazione: «Ehi, novellini! Se cercate qualsiasi strumento basta cercare in quella stanza» col capo fece un cenno verso una stretta porta di legno, a circa due metri da lei, Geoff e Harold, tutti e tre rimasti nella struttura data la loro impossibilità di combattere.
Scarlett non se lo fece ripetere due volte e si lanciò verso il luogo, aprendo l'anta e perlustrando con lo sguardo gli scaffali pieni. Quando trovò ciò che serviva, prese tutto il più velocemente possibile e tornò da Jeremy e Novella.
«D'accordo, allora» sospirò il primo, prendendo in mano e studiando una siringa: «Cominciamo».

Voci ovattate, luci soffuse.
La testa pesava, l'aria fredda gli congelava la mente e le labbra gli tremarono.
Dischiuse la bocca, le sopracciglia si inarcarono leggermente e riuscì a sibilare qualcosa di incomprensibile, soffocato, ma che attirò l'attenzione dei presenti.
«Ragazzi, si sta svegliando!».
«Romano, ti senti meglio?».
Romano riuscì a aprire di poco le palpebre. La posizione che aveva era scomoda, perciò cercò di mettersi seduto. Notò che non ne aveva la forza.
«Lo aiuto io».
Era Elijah quello? Sì, era lui. Capelli corvino-bluastro, tratti affilati, e inconfondibili occhi color mare.
Il ragazzo gli poggiò una mano alla base della schiena, scivolando fra il suo dorso e il muro della casa, e l'altra sulla spalla, tirandolo su per farlo appoggiare al legno.
Dopo un po' la vista di Romano si ristabilizzò, e riuscì a mettere a fuoco il volto del Mago d'acqua, che era vicino al suo. Molto vicino.
Quello si tirò immediatamente indietro, lasciandogli spazio, e a quel punto l'albino vide in che condizioni si trovava il ragazzo. Cioè, non era ferito. Solo, aveva il petto e il ventre scoperti. Insomma, Elijah era senza la maglia e la giacca che portava solitamente.
...
Un momento, perché era senza maglia e giacca?
«Che hai...» mugugnò, con la gola che bruciava lievemente, continuando a far scorrere lo sguardo sul fisico perfettamente allenato dell'altro; «Che hai fatto ai vestiti?».
«Elijah ha salvato me e te, uccidendo la Bestia che ha morso Kurai e mi aveva intrappolato con la sua coda. Tu sei svenuto, sbattendo la testa sul legno, e io ero addormentata. E' arrivato appena in tempo, ma tu continuavi a tremare per il freddo così si è tolto maglia e giacca per coprire te... io a quanto pare non avevo i brividi, forse grazie al maglione...» gli spiegò Lola, rossa in viso, che cercava di non guardare il fisico atletico di Elijah, visibilmente imbarazzata.
Romano allora si guardò addosso, e notò che effettivamente portava una maglia e una giacca in più, tra l'altro ricoperti da un lieve e delicato strato di brina, ai suoi vestiti abituali.
Arrossì impercettibilmente, mormorando un ringraziamento. Non incrociò gli occhi di Elijah, che al contrario suo - che era un po' a disagio, doveva ammetterlo, - era perfettamente tranquillo e rilassato.
Non poté fare a meno di mantenere il suo comportamento distaccato, meccanico, e ignorò volutamente l'occhiata maliziosa di Noah - che non si aspettava da un tipo come lui, -, preferendo chiedere, con voce arrocchita: «Torneremo nell'arena adesso che sono sveglio?».
«Sì, ma temo tu sia ancora un po' rincoglionito essendoti appena svegliato. Ti conviene farti sorreggere» quella voce non era né di Trent, né di Elijah, né di Noah, e nemmeno di Lola. Romano alzò quindi le sue iridi ametista, e notò, dato che prima non l'aveva visto - era impegnato a riprendersi, -, il Cacciatore dagli occhi celesti e i capelli scuri, con quella curiosa cresta verde acceso che spiccava fra la chioma corvina. Era a braccia incrociate, appoggiato ad una colonna che sosteneva il tetto della casetta, e il Mago tentò di ricordarsi il suo nome, scavando nella memoria.
“Duncan” gli sussurrò una vocina, e lui decise di darle retta.
«Duncan...?» quello annuì; «... Perché sei qui? Prima non c'eri» poteva sembrare una domanda scontata, ma effettivamente ancora doveva totalmente riprendersi da quella botta in testa per poter fare due più due.
«Per controllare che tu non avessi niente, Noah mi ha chiamato. Mentalmente. Col suo potere che tra l'altro è uguale al tuo».
Ah, già.
«Dai, Duncan, non essere così tagliente» commentò Trent, un poco infastidito dal comportamento quasi perennemente maleducato dell'altro.
Romano intanto si rialzò, aiutato da Elijah e Lola, e si portò quasi subito una mano alla testa, dove una fitta l'aveva fatto mugugnare dolorante. Quando il male si fu calmato, fece per togliersi gli indumenti di Elijah, che però lo fermò: «Tranquillo, non soffro il freddo. Tienili fino a che non entreremo nell'arena, là non ti serviranno».
L'albino strinse le spalle, ma decide di togliersi comunque di dosso la maglia del corvino.
Tenne solo la giacca, insomma.
Muovendo il primo passo sulla neve, lo colse un capogiro, e barcollò, ma venne afferrato prontamente. Elijah si fece sfuggire un sorriso, allo sbuffo insofferente e infastidito di Romano: «Sai, mi hai fatto preoccupare» lo rimise dritto, e iniziò a camminargli al fianco, mentre gli altri li superavano, stando attento a possibili barcollamenti; «Eri pallido, tremavi per il freddo e non volevi svegliarti quando ti chiamavo. E' stata una sensazione... fastidiosa, forse. Mi sentivo impotente... perso. Tutto quel silenzio mi faceva provare niente altro che solitudine. E tu eri così distante... non potevi tranquillizzarmi, calmarmi, perché eri addormentato, dovevo fare qualcosa, ma non sapevo cosa» espirò, quasi sovrappensiero. Era strano per lui aprirsi così, avendo un carattere riservato, ma sapeva che Romano gli era molto simile e non provò imbarazzo nel raccontargli il tutto.
«Tranquillo, ora va bene. Mi sei stato vicino, quindi hai fatto qualcosa» rispose, concludendo il discorso, essendo già tornato alla sua calma glaciale. Solo apparentemente; solo fuori, però. Perché lui sapeva cosa significava sentirsi smarrito, spaesato - non era una bella sensazione, no, -, e perché dentro di lui aleggiava un'ultima frase: ”Ma se ti sei sentito perso, allora io ti prometto che non ti lascerò più solo”.

La porta sbatté dietro Scarlett.
La ragazza premette una mano sulle labbra, piegandosi, temendo che il conato si riversasse davvero sul terreno. Quella sensazione di acido in bocca, che le scottava la gola, era orribile, ma - lei ne era certa, - nemmeno lontanamente paragonabile a quello che stava forse sentendo Kurai.
La giovane e Jeremy non erano riusciti a definire il suo corpo "cosciente", "sveglio" o "addormentato"; l'unico aggettivo che era loro sembrato adatto era stato "lontano", riferito alla sua mente.
Ma, pensandoci, non si adattava solo ad essa.
Lo spirito di Kurai era lontano.
Kurai era lontano.
Scosse la testa prepotentemente all'ultimo pensiero.
Quel "lontano" era stato collegato immediatamente a "vita".
Ovvero, lontano dalla vita.
Però no, non riusciva a crederci, non doveva crederci, perché c'era sempre una speranza.
Anche prima, quando aveva accuratamente ma velocemente tolto assieme a Novella i lembi di pelle già contaminata, avevano creduto che non sarebbe riuscito a sopportare un simile dolore.
Non possedevano quasi nulla per alleviarlo e non sapevano con cosa anestetizzare le parti interessate, perché non conoscevano le reazioni a catena che i medicinali avrebbero provocato se entrati in contatto col veleno, e avevano timore di causare solo qualcosa di peggio. Però quella parte d'operazione era riuscita.
E anche quella seguente, che consisteva nel prelevare tutto il veleno tramite siringhe, non aveva avuto gravi effetti collaterali sul ragazzo ferito.
Scarlett si raddrizzò, assicuratasi che la bile non le sarebbe più salita lungo la trachea - dopo aver tolto tutto il liquido tossico e aver pulito, sempre da esso, la spalla di Kurai, vedere i muscoli rossi, vivi, e i tendini scoperti, in alcuni punti corrosi, e il tutto senza pelle, le aveva fatto salire alla bocca quell'acido conato.
Lei era di suo una ragazza sensibile, ma un tale "spettacolo" difficilmente non avrebbe causato disgusto.
Sia Jeremy che Novella, però, avevano resistito e adesso stavano concludendo l'ultima parte dell'operazione: iniettare nell'arteria situata sul collo l'antidoto, e poi, se necessario, passare al massaggio cardiaco per far accelerare e di conseguenza lasciar tornare normali i battiti del cuore.
Prese un respiro profondo, e si girò, tendendo al contempo una delle piccole mani verso la maniglia. L'aveva appena sfiorata coi polpastrelli, quando la porta venne direttamente aperta dall'altro lato, e un Jeremy con lo sguardo basso e le labbra serrate ne uscì in fretta.
Il moro andò a sbattere contro la rossa, che non aveva fatto in tempo a scostarsi, e alzò di poco le iridi: «Scusa» mormorò.
Scarlett lo guardò in attesa, gli occhi velati di preoccupazione, per sapere come mai era venuto fuori dala stanza anche lui.
«Novella gli sta facendo il massaggio cardiaco» una pausa; «Il cuore di Kurai si è fermato quando l'antidoto ha fatto il giro circolatorio completo...» sussurrò, guardando in basso.
Stava andando tutto così bene... gli altri passaggi erano stati eseguiti perfettamente e avevano avuto l'effetto programmato. Il ragazzo non riusciva a capacitarsi di un "fallimento" del genere, perciò stringeva i pugni e pressava fra loro i denti, tentando di capire dove lui, Novella o Scarlett avessero potuto errare. Era definibile irritante, come ogni certezza fosse stata spazzata via d'improvviso. E avere la consapevolezza di un morto che pesava sull'animo, durante un periodo di guerra - perché sì, era una guerra quella contro le Bestie, -, era una delle cose più brutte con cui convivere. Per non parlare del fatto che, sebbene lo conoscesse da così poco, Kurai era uno dei compagni che l'avrebbero accompagnato valorosamente lungo i combattimenti. Come Novella, anche lui sentiva grande tristezza nel sapere che quella fragile ragnatela si stava già spezzando.
Scarlett, invece, mentre lui era alla deriva nel suo mare di pensieri, aveva sgranato gli occhi, correndo immediatamente dopo nella stanza. Dentro vi trovò Kurai steso sul lettino, immobile, e Novella che, testarda, pressava ritmicamente le mani, posizionate l'una sopra l'altra, sul petto del corvino.
La rossa perse un battito, e cadde in ginocchio accanto al ragazzo. Gli prese una mano, stringendola. Non sarebbe riuscita ad andare avanti tranquilla, se lui fosse morto in quel momento. Fuori imperversava la tempesta, i rumori di battaglie venivano coperti dalla bufera che sibilava, ed era solo il secondo giorno in quel villaggio.
Troppe emozioni in troppo poco tempo, è la giusta frase per definire e giustificare le forti sensazioni - disperazione, tensione; sentimenti che si riflettevano anche negli occhi delle ragazze, perciò facilmente definibili come occhi di una persona che ha smesso di crederci ma continua a sperarci, - che scoppiavano con forza in Scarlett, in Jeremy, in chi era a conoscenza del pericolo che stava correndo Kurai.
L'agitazione che c'era in ognuno dopo la scoperta dell'arrivo delle Bestie, l'adrenalina mixata alla preoccupazione, la consapevolezza improvvisamente più nitida di essere in mezzo ad una guerra, il terrore nel constatare che le braccia della Morte stavano già carezzando uno dei loro compagni... tutto si era concentrato in tutti, tremendamente efficace nell'aumentare l'angoscia e amplificare le reazioni.
Per questo ora Scarlett era accasciata a terra, mentre stringeva febbrilmente la mano di quel ragazzo che l'aveva attratta per l'aura di "Statemi alla larga o vi spacco" che emanava; per questo ora Jeremy era spalmato contro la porta, con la testa incassata nelle spalle, mentre due occhi scuri lo fissavano da lontano; per questo ora Novella stava poggiando, col respiro accelerato lievemente a causa della veemenza con cui aveva eseguito il massaggio cardiaco, un orecchio sul petto di Kurai, delicatamente, in tormentata aspettazione.
Scarlett distolse le iridi dalla mano diafana di lui, che ancora teneva salda nella sua, con lentezza, per guardare la castana, in attesa.
Gli occhi verde scuro di quest'ultima si velarono di lacrime e sgranò lievemente le palpebre.
Scarlett trattenne il respiro.
Novella sorrise.





#AngoloAutrice
(#conGli#PerchéSì)
1. BUON NATALE! (in ritardo, brava Eyes)
2. BUON ANNO NUOVO! (in anticipo, sempre meglio Eyes)
3. *prende uno scudo* Ormai vi siete abituati ai miei tempi, no?
ComunqueH. Sì, so che nella parte di Kurai ho trascinato avanti la cosa per frustrarvi, ma ehi, viva la suspance.
So che il cap. è lunghissimo, ma così ci sono stati tutti i pg (tranne Anser e Matiss, se non erro, ma c'erano nel precedente) ^^" (Distant, parola inglese del nome del cappy, può significare sia "assente, sovrappensiero, non attento" sia "lontano materialmente, distante", che sarebbero entrambe sensazioni ricorrenti. Come quando Seamus definisce Milah "Assente" o Altair pensa quelle cose su Arthur e Anser, o le definizioni di Scarlett su Kurai. Ma questi sono solo esempi. E' una parola che compare parecchie volte, per questo l'ho scelta. Può anche significare che questa "guerra" è appena iniziata, lontano dalla sua fine :3) Poi, volevo dirvi un'altra cosHa: Ellody e Jeremy. NON HO IDEA di quel che ho scritto. La parte mi è venuta così, e servirà a voi per alcuni pezzetti di dialogo che verranno nei capitolo prossimi. The_Malevolent_Girl, autrice del caro Jeremy, mi ha dato il via libera e lei sa il piccolo ma principale scopo che ha avuto quella scenetta. Siete liberi di shippare la #Jellody/#Ellomy xD.
Anzi, facciamo così: se volete, nella recensione scrivete gli # (non so come si scrive la parola lol) con le coppie che shippate xD. Così, a caso. Tanto i nomi li sapete, no?
Le robe di medicina e le reazioni delle sostanze, nelle scene della cura di Kurai (nuovo scioglilingua, cura di Kurai), sono frutto della mia testa bacata. E per fortuna che voglio fare medicina all'università...
E nulla, non uccidetemi per la suspance con cui vi ho lasciato *alza lo scudo*, e arrileggerci!
•Eyes•
P.S. Nella scena del risveglio di Romano, quando Noah fa l'occhiatina maliziosa, Noah praticamente ero io xD
P.P.S. Kurai sono io dopo le lezioni di matematica.
   
 
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