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Autore: Lunaticalene    13/01/2017    1 recensioni
« No, » è la risposta pronunciata contro la sua guancia che viene sfiorata con il naso « Tu sei Victor Nikiforov, tre volte campione del mondo e stella del pattinaggio internazionale. Un Re può essere spodestato sempre. Una leggenda rimane immortale. »
« E tu credi che io sia una leggenda? »
« La domanda è un'altra Vitya: vuoi essere una leggenda? »
Cosa si nasconde dietro la maschera che una leggenda ha ormai imparato ad indossare? Dietro quel sorriso magnetico, dietro quegli occhi di ghiaccio apparentemente impossibili da spezzare? Cosa succede quando quella leggenda è chiamata a fare i conti con se stessa?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Christophe Giacometti, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Solo uno sbuffo di Rosso
 
La base musicale rimbalza nelle cuffie mentre cammina avanti e indietro per il corridoio posto davanti agli spogliatoi. Si tratta solo di un Gala. Di una scelta di ritorno per fare rumore. Per dare un substrato e un'enfasi a quella maschera che rischia di scardinarsi ogni volta che sale sul ghiaccio. Ha ritagliato quello spazio solo per se stesso, lasciando le sue due Y qualche passo indietro. Uno è semplicemente sugli spalti, l'altro semplicemente, si prepara altrove. Sono due mani che gli si poggiano sugli occhi a bloccarlo sul posto, a portare le palpebre a chiudersi per non impattare nel fastidioso rosa fucsia che la luce elettrica regala alle linee carnose dei palmi altrui.
« Indovina chi è? »
Un sorriso spiana le labbra mentre le dita accarezzano le mani andando a stappare le orecchie e rendere più nitide quelle parole.
« Non dovresti parlare con qualcuno che indossa le cuffie. Rischia di non sentirti sai? » commenta andando a stringere i polsi per allontanarlo da sé.
« Eh no bello mio. Non hai indovinato chi sono. Non puoi vedermi se non indovini »
« Chris. » replica quando ha effettivamente acquisito la possibilità di allontanare le sue mani, liberando la propria visuale e il collo, permettendosi di voltarsi in direzione dello svizzero, di profilo « Hai intenzione di distrarmi o sei qui per augurarmi buona fortuna? »
« E da quando ti serve la fortuna sul ghiaccio? » replica abbassando le braccia a cingere il busto del russo, avvicinandosi di un passo che infrange ogni principio di spazio personale.
È qualcosa che cambia nelle ombre del viso dello Zar. Gli occhi azzurri si abbassano contro il pavimento mentre le spalle si appoggiano contro il sostegno che gli viene offerto. Il respiro tradisce un bisogno nascosto. Scivola via per un attimo una delle maschere senza infrangersi. E' una macchia scarlatta, che viene da uno ieri che esiste e si infrange come il mare. È una macchia che toglie via uno strato di porcellana che nasconde segreti di cenere e di sporco.
« Da quando non sono più solo io sul ghiaccio Chris » e per un attimo, i due fantasmi tornano. Fuori dalla pista. Ai lati del suo sguardo. A sinistra il nero. A destra il bianco. Le mani cercano l'ancora del rosso, mentre le palpebre si sigillano. Il corpo che un poco trema. « e io non posso permettermelo » sibila, con un velo di egoistica crudeltà che si concentra a destra.
« E non è mai stato un problema » sussurra piano. Il rosso che vela ogni cosa. Il sipario che cala lentamente quella maschera che viene riposata contro la pelle deformata e resa fragile. « vuoi che li mandi via Victor? Vuoi che allontani i tuoi fantasmi per te? » un sussurro, pieno di tutto e di niente.
« Non ti dispiace? » domanda, voltandosi verso i suoi occhi. Scrutando con l'anima congelata e troppo azzurra la sua. « Non ti dispiace di non essere mai diventato un fantasma? ».
Sfiora la punta del suo naso, sfiorando la fronte con la sua.
« E perdermi tutto questo? No. » sussurra piano « Forse c'è stato un momento in cui volevo esserlo. Essere capace di scalfire e terrorizzare uno zar. Chi non lo sognerebbe Victor? Mandarti in pezzi è qualcosa che chiunque ti veda da lontano desidera. È il motivo per cui gli idoli esistono: per essere mandati in frantumi. » l'indice svizzero sfiora appena le labbra chiare e ferme in quel sorriso dipinto spostandosi lentamente verso l'angolo destro, abbassandolo, come una materia plastica « non mi hai permesso di toccarti fino a quel punto Victor. Ma mi hai permesso di vedere oltre il tuo sorriso. » raggiunge l'angolo sinistro « io lo so che cosa c'è oltre la maschera dello Zar » sussurra « ma a differenza tua so quando la creatura che nascondi sa essere forte. Esci da quella porta Victor. » aggiunge, sfiorando la sua fronte con le labbra « e ricorda a tutti quanto sei stato egoista a nasconderti per un anno intero. Quei fantasmi, sono solo fantasmi. Tu sei la primadonna, vai e fatti guardare. ».
 

Era semplicemente successo al suo terzo oro mondiale. Era il re del mondo e quel podio, semplicemente, era il suo trono. Non la scheletrica asse in poppa al Titanic ma un dannatissimo trono da cui guardare il mondo dall'alto. Un nome, nato per essere storia. Un nome da incidere a fuoco sul ghiaccio. I capelli lunghi sciolti sulle spalle per l'ennesimo elastico saltato. La felpa a coprire il torace e quella voglia di spogliarsi delle effigi del suo stesso stato per dichiarare la propria supremazia sovranazionale. I deliri di un ventiquattrenne. Quel senso di potenza attaccato alle dita, scivolato sotto le lame. Le bestemmie di Yakov per quei salti inseriti a sua discrezione personale e il mondo, disteso sul ghiaccio, pronto a dichiarare osanna. Una discesa, un paio di inviti. Il tempo di cambiarsi che si dilata a lungo, fino a quando nello spogliatoio non rimane da solo. Lui e qualche altra manciata di atleti da cui arrivano sportivi complimenti e altrettanto sportive maledizioni. Lascia scorrere l'acqua calda sulla pelle, bagnando anche i capelli con fin troppa scarsa cura della propria salute considerato che sa già di mancare del tempo necessario ad asciugarli. Il suo cellulare prende a suonare, rimbombando la soundtrack del suo programma libero.
« Esibizionista » qualcuno mugola. Qualcun altro ne richiama semplicemente l'attenzione mentre lui si nega con un sorriso beffardo. Un re ha tutto il tempo del mondo.
C'è qualcuno che insiste e ad un tratto qualcuno entra nel bagno, senza rispetto dello spazio e dell'arroganza dello Zar. Lo sanno tutti che è un'arroganza di facciata. Quella che gli dipingerebbero addosso comunque è che è solo uno scudo per la stanchezza. Sono gli occhi scuri dello svizzero a trascinarlo via dalla doccia, dopo che si è addirittura bagnato una manica per chiuderla. Ha ancora sui capelli le tracce del balsamo e una replica che stà per muoversi dalla bocca.
« Ne pas. » l'indice che la ostacola. « Tu adesso vieni con me non apri bocca fino a quando non sei in albergo con me. Però puoi vestirti anche se questo è un rapimento. Ma prometto alcol al fine della fuga. Ma spicciati prima che i giornalisti arrivino »
Un sopracciglio inarcato e una risata. Una protesta che viene uccisa mentre l'altro gli lancia l'asciugamano e lo guida a raggiungere un passaggio laterale per evitare i giornalisti. Ci vuole tutto l'impegno dello svizzero a convincerlo che il rapimento merita il mancato bagno di folla.
« Insomma, se ti fai vedere così sarà il mio nome quello sulle testate: giovane promessa svizzera rapisce il campione del mondo. Su, la fama può aspettare domani. Il brivido di farti rapire da me no, giusto? » gioca sul filo di un rasoio su cui, entrambi, giocano da sempre. Su una linea che nessuno dei due ha intenzione di passare. In una danza di eroi in cui nessuno cede il passo e la soddisfazione all'altro. Semplicemente un gioco che consente allo svizzero di traghettare lo zar in una camera d'albergo dove, effettivamente, c'è un frigo bar che sembra adempiere alla promessa di alcol fatta in precedenza.
« Quindi tu mi hai trascinato nella tua camera d'albergo, coi capelli sporchi di balsamo solo per bere qualcosa con me...lo sai che questa scusa non regge vero? » accenna, con un sorriso velato di malizia mentre sfiora con le labbra il vetro di un bicchiere pieno di bollicine.
«...dici che devo impegnarmi di più di così? » replica di rimando lo svizzero « mi rendo conto che la mia tuta non è il migliore del outfit ma ho giusto dimenticato il mio completo da rimorchio »
«...hai un completo da rimorchio? »
Le sopracciglia rivolte in alto, in un vago dubbio che viene espresso lentamente dalle labbra che si attorcigliano « Uhm...no. Dici che dovrei procurarmelo per il prossimo rapimento? »
« Dipende. Hai intenzione di rapirmi di nuovo? » un passo per avvicinarsi allo svizzero, allungando la mano sul materasso su cui lui si è semisdraiato. Io sono il Re del mondo. Quella voce che rimbalza nella testa. Il mondo è qui per amare me.
Eppure anche i Re sono vittime del destino. E un banale telecomando, posto per errore sul materasso si incunea sotto il ginocchio destro. Lo schermo della televisione appesa nell'angolo a destra scricchiola e si accende. E non è mai l'era delle televendite. Non c'è una signora over sessanta che sovraintende un'asta per un anello placcato oro. C'è la sua fotografia. C'è il suo ritratto, a mezzo busto, a coprire la metà dello schermo. E la parola verità incisa a caratteri di fuoco. Rimane immobile su quel letto. La mano sinistra ad un soffio dal ginocchio di Chris che viene inghiottito dal mare di parole che la televisione restituisce. Nessuna azione è rapida o efficace. Ogni parola si scandisce a chiare lettere facendo esplodere l'azzurro degli occhi dello Zar. Cade a terra il bicchiere, sporcando il letto di polvere di stelle. Macchiando il pavimento senza rumore. Quella è solo plastica. È il rumore di una maschera che cade. Di parole rifiutate, dimenticate.
« V..victor » una voce che lo chiama, che lo stringe forte dalla schiena. Fiumi di lacrime che scivolano lungo le guance senza preavviso.
« N...non per questo. » un sibilo. Che segue ad un grido « Non per questo c***o » crolla una sicurezza mostrata, una calma placida che si infrange. « tu. » l'azzurro sporco di rosso dei capillari sporchi « TU LO SAPEVI B******O » le mani vengono portate a stringere la tuta dello svizzero con sentimenti decisamente contrari alle premesse di pochi istanti prima.
La madre di Victor Nikiforov è, o meglio era, una prostituta alcolizzata. Una sgualdrina che lo ha partorito in un sottoscala per poi mollarlo in un cassonetto della spazzatura. Per lasciarlo lì, a piangere come un cucciolo abbandonato nella neve di San Pietroburgo. Una madre che si è rifatta viva quando quel bambino non aveva più di sei anni, consapevole di poter ottenere tramite lui un assegno di mantenimento. Una madre che nella sua memoria non esiste. Una madre che è stata solo spettro di dolore nei tempi della scuola. Una madre da cui il ghiaccio lo ha salvato. Una madre che adesso riemerge, dall'ibernazione in cui l'ha sigillata per tutto quel tempo. È annegata in un fiume, una siringa in un braccio quando aveva otto anni. Pattinava già da due. Viveva sulla pista di ghiaccio, evitando quella donna come si evita una malattia. Una malattia tornata adesso a rimbalzare nel cervello. Ora che la televisione la mostra davanti a lui. Così troppo simile, con quella cascata di capelli lunghi. Li vede in una fotografia oscena di quando quella donna era ancora bella. Di quando ancora, almeno, faceva la prostituta di un qualche livello. Quando fingeva magari di essere una ballerina. Quando giocava con le luci come lui ha fatto fino ad ora con il ghiaccio. Se non puoi dominarli incantali. Era una frase persa in un vecchio libro di fiabe. Per questo aveva fatto crescere i capelli. Per questo ogni volta saliva sulla pista cercando di catturare gli occhi di tutti. Così aveva risposto alle prime botte. Con sguardi appena indecenti aveva confuso quelli che volevano spaccargli il naso. Qualche volta aveva funzionato. Qualche altra no. Adesso non funzionava.
Adesso tutto cadeva. Il suo trono sul mondo moriva.
« Sono certo che Yakov abbia trovato il modo di fermare tutte queste voci. Non volevo che tu le sentissi Victor » ma è solo quella la voce che adesso non sente. Mentre scivola via dal letto raggiungendo lo specchio del bagno. Osservando quel riflesso ancora umido. Quella cascata d'argento. Quel velo da sposa che doveva nasconderlo dagli occhi del mondo. Guardatemi. Guardatemi come io voglio che voi facciate. Quei capelli che adesso rimandano solo e unicamente a lei. A cerchi di sigaretta bruciati sulle braccia. Ai crampi della fame. Le mani catturano i fili d'argento. Ti strappo via da me maledetta pu*****a. Ma l'argento non si spezza, non fino a quando non cattura dal cassetto un paio di forbici. Spezzandoli. Tagliandoli. Rumore di fibre e di metallo. Fino a quando non crolla a terra. Le ginocchia contro il pavimento. Le mani, anche quelle crudelmente armate di forbici, contro il viso. Due braccia che semplicemente lo avvolgono. Un custode fino a quel momento silenzioso che scivola con le dita tra i capelli disastrati, allungandosi fino a raggiungere le forbici, scastrandole dalle sue dita. Afferrando quei fili rimasti lunghi per tagliarli. Per dargli un senso, anche se vago. Dandogli il tempo di piangere. Dandogli il tempo di accettare il suo petto come sostegno per la schiena, fino ad accompagnarlo a sollevarsi lentamente dalle mattonelle, avvicinandolo allo specchio, poggiando le lame contro il lavandino. Accarezzando piano il suo volto.
« Guardati » sussurra piano, contro il suo orecchio, lottando contro le palpebre chiuse « Guardati » mormora sfiorando il suo collo senza toccarlo davvero, accarezzando le sue guance per asciugare « L'hai mandata via. » incoraggia « L'hai mandata via Vitya » quel nomignolo che ha appreso da Yakov lo invita ad aprire lentamente gli occhi contro lo specchio. Quel velo d'argento se n'è andato. La mano destra lentamente scivola verso la zip della felpa, rivelando, oltre alla stoffa leggera e rossa di una maglietta confederata la medaglia d'oro appesa al suo collo. « Io sono il Re del mondo » sussurra con un filo di voce.
« No, » è la risposta pronunciata contro la sua guancia che viene sfiorata con il naso « Tu sei Victor Nikiforov, tre volte campione del mondo e stella del pattinaggio internazionale. Un Re può essere spodestato sempre. Una leggenda rimane immortale. »
« E tu credi che io sia una leggenda? »
« La domanda è un'altra Vitya: vuoi essere una leggenda? »


Quella che portava adesso, e che Chris gelosamente custodiva, era la seconda delle maschere che nel corso di poco più di un quarto di vita Victor Nikiforov si era attaccato alla faccia. Quello scandalo aveva avuto breve durata. Un sorriso, un taglio di capelli nuovo. Un servizio fotografico. Una serie di video su YouTube avevano cancellato il sapore della cenere nascosta dietro la maschera. Non erano tornati gli anni di insulti che avevano accompagnato la sua infanzia e lui, semplicemente, era diventato quella leggenda immortale che adesso scivolava sul ghiaccio di Mosca, per tornare di diritto nel suo regno.
Nessuna anticipazione del suo programma e quell'assenza di Yuuri sul ghiaccio del Gala, semplicemente, gli permettono di pattinare senza i suoi fantasmi. Non c'è niente di dichiarato in suo onore, ma è una posizione che si prende, sulla pista e alla conferenza stampa. Il fantasma bianco è al suo fianco destro, sbuffa e replica secco alle domande che gli sono rivolte in merito al prossimo programma, alle sue scelte artistiche, fino a quando non tocca a lui. Ogni risposta è perfetta. Ogni risposta è un sorriso stampato fino a quando quella domanda non arriva.
«Quindi è sempre deciso ad essere il coach di Yuuri Katsuki? Non trova in questa sua scelta un minimo di conflitto d'interesse?»
«Assolutamente no.» risponde, congelando il giapponese sul posto che occupa nella folla.
«Intendo dire che non esiste alcun conflitto d'interesse. Preparare due coreografie per me e Yuuri è qualcosa di favoloso. È come avere a disposizione una doppia occasione per raggiungere l'oro, piuttosto che una in meno» un occhiolino perfetto mentre il fantasma bianco replica il suo posto sul podio.
«Oh, tu devi darti da fare il doppio allora» replica Victor sorridendo mentre il fantasma nero ghigna piano oltre la soglia della sua mente, insinuandosi lento e velenoso nel pensiero. Uno sguardo, verso il giapponese, sorridendo e accarezzando la fede d'oro all'anulare. Mentre le mani del fantasma stringono piano alla gola, premono con gli indici e i medi contro le sue labbra, ricercando la crepa nella maschera.

   
 
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