L’Erede del Male.
“I had a one-way
ticket to a place where all the demons go
Where the wind don't change
And nothing in the ground
can ever grow
No hope, just lies
And you're taught to cry in your pillow
But I survived
I'm still breathing,
I'm alive1”.
[Sia – Alive]
Atto III, Parte I – I
bambini di cristallo.
Il sole era tramontato da più di un’ora, quando
finalmente Harry mise il naso fuori dal Ministero. La sensazione dell’aria
fresca della sera fu un sollievo per i suoi nervi tesi e si ritrovò a
socchiudere gli occhi ed a godere della leggera brezza come se fosse stata un
balsamo per la sua anima irritata.
Lord
Voldemort.
Non aveva aspettato Hermione, ma sapeva bene che
lei l’avrebbe seguito. Doveva
seguirlo, altrimenti lui sarebbe tornato indietro e se la sarebbe caricata in
spalla, facendo tanti complimenti alla squadra delle Banshee ed a tutto il
circo che le circondava. Non gli importava un accidenti del fatto che lei ed i
suoi amici potessero tranquillamente farlo fuori e passarla liscia, in quel
momento avrebbe potuto mangiare un drago vivo.
Parlerà
grazie al Bambino Sopravvissuto.
Scosse il capo, cercando di allontanare
momentaneamente i pensieri. Dovevano essere le sei passate e lui era atteso
alla Tana per cena, non poteva certo mancare. La sua priorità, in quel momento,
era trovare il modo adatto per spiegare un po’ a tutti l’improvvisa comparsa di
Hermione direttamente dal mondo dei morti, possibilmente senza far morire di
infarto i suoi poveri suoceri, che ne avevano già passate davvero troppe.
Avrebbe potuto far finta di nulla, presentarsi lì e sperare che nessuno notasse
davvero la nuova ospite. Oppure avrebbe potuto darsi per morto, prendere la
prima Passaporta per il Messico e nascondersi, nella
speranza di non essere trovato ed ucciso nel frattempo. L’idea di morire non
gli piaceva, certamente non in quel momento.
A Ginny verrà un colpo.
«Mi dispiace, per quello che vale» gli disse
Hermione, apparsa al suo fianco come uno spettro, le mani affondate nelle
tasche di un cappotto dello stesso colore della divisa che gli altri membri
della squadra stavano indossando. Lei non aveva la tenuta ufficiale delle
Banshee ma soltanto un Tailleur, probabilmente per non attirare l’attenzione
durante il recupero di Malfoy.
Ad Harry venne la nausea al pensiero di tutte le
bugie che aveva raccontato a se stesso pur di accettare una morte che in realtà
non c’era stata.
Era arrivato sull’orlo del precipizio, ma a lei dispiaceva.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Hermione»
le fece notare, secco, rifiutandosi categoricamente di guardarla negli occhi. Era
tentato di appellare una sigaretta, ma fortunatamente il buonsenso gli impedì
di muoversi. Aveva impiegato sei mesi per togliersi quel vizio, non avrebbe
perso tutto quel lavoro a causa sua.
«Così come non se ne faranno nulla i Weasley» continuò, sollevando gli occhi al
cielo. Non si vedevano mai le stelle, in quella zona di Londra2.
«Spero tu ti renda conto che ho intenzione di portarti da loro, immediatamente.
Non mi importa un fico secco che tu possa avere altri impegni».
La sentì sospirare, preoccupata, ma percepì anche
una certa rassegnazione in lei. «Non avevo dubbi al riguardo. Sapevo che prima
o poi avrei dovuto affrontare il mio passato, quindi… via il dente, via il
dolore» gli comunicò, apparentemente tranquilla, allungando la mano per
potergli toccare il braccio. Si ritirò non appena lui scattò via, nervoso. Non voleva essere toccato da lei. «Non è
stato facile. So che sei arrabbiato, che… so cos’è successo a Lipsia, Harry»
sussurrò, la voce ridotta ad un qualcosa di appena percettibile, la postura
rigida di chi stesse rivivendo i peggiori momenti della sua vita.
Lipsia3.
L’istinto, come sempre, gli suggerì di
smaterializzarsi il più lontano possibile e ricercare una passaporta
per il Messico, così da non dover più fronteggiare quel ricordo. Così da non
dover più fronteggiare i suoi fantasmi.
Non era quello il momento per rivivere il passato. Non con lei.
Ma non
poteva semplicemente ignorarla.
«Come fai a saperlo? Mi avete fatto pedinare?». Le
parole lasciarono le sue labbra con più astio di quanto avrebbe voluto, non
riuscì a contenersi. Era troppo il rancore che aveva seppellito sul fondo del
suo cuore, convinto che avrebbe potuto riversarlo su di lei solo una volta
defunto. «Immagino ti abbiano riempita di dettagli. In tanti si sono divertiti
a farlo. La Gazzetta non mi dedicava una prima pagina da anni».
Hermione allungò nuovamente la mano per
afferrargli il braccio e, quella volta, la sua presa su così ferrea da
impedirgli di allontanarsi. Non era più la ragazzina tutta libri che lo aveva
accompagnato in sette anni di avventure e disgrazie. «Io ero a Lipsia, Harry» gli sibilò, arrabbiata, strattonandolo finché
non lo costrinse a guardarla negli occhi. Erano lucidi, le sopracciglia
corrugate in una smorfia furiosa. La stessa espressione che aveva anticipato un
attacco alato su Ron, durante il sesto anno. «Io ero lì. Chi credi che ti abbia tirato fuori dai guai, Potter? Qualcuno
dei tuoi insulsi colleghi? Nessuno avrebbe rischiato tanto, neppure per l’eroe»
sbottò, stringendo ancora di più la presa e facendogli anche un po’ male, per
poi lasciarlo andare e voltare il viso dalla parte opposta alla sua, come a
volersi nascondere. Le tremavano le spalle, ma non era a causa di una crisi di
pianto. Tremava, quasi avesse dovuto trattenersi con forza dal mettersi ad
urlare e picchiarlo selvaggiamente. «Quella bravata mi è costata un anno di
addestramento in più4. Per un anno
sono stata costretta a stare lontana da tutta la mia famiglia e solo per te»
gli rivelò, tornando a guardarlo con un’espressione totalmente diversa. Era
piatta, vuota, quasi avesse indossato una maschera. «Ho sacrificato tutti gli
altri per aiutare te. Se credi che io
non abbia sofferto a stare lontana, significa che sei molto più tardo di quanto
Katie abbia lasciato credere agli altri».
Brandelli di memoria lo lasciarono per un momento
sopraffatto. Fra le fiamme era certo di aver intravisto qualcuno, ma non si era mai posto il problema. Gli avevano detto
che la magia accidentale gli aveva permesso di sfuggire, ma se lei era stata
lì…
Avrebbe dovuto mostrarsi riconoscente. Ma non ci
riuscì.
«Se non fossi mai andata via, Lipsia non sarebbe
mai accaduta» le fece notare, forse suonando pedante come un bambino, ma senza
potersi controllare. Due anni di rancore, tutti pronti a lasciare il suo cuore
e riversarsi su di lei. «Se non ci avessi lasciati, niente di tutto questo
sarebbe successo. Perché l’hai fatto? Adesso che siamo soli puoi dirmelo, i
tuoi nuovi amici del cuore non ci sono, non ti prenderanno in giro».
Solo in quel momento, con una certa stizza, lei
gli lasciò andare il braccio. La sensazione di persistente fastidio gli
comunicò che gli sarebbe presto spuntato un livido. «Te l’ho detto. Stavo morendo» gli disse, incrociando le
braccia al petto e senza smettere un attimo di fissarlo con aria vuota. «Quando
Ron è morto, qualcosa di me è andata via con lui. Ho passato due anni bloccata a fissare un corpo
agonizzante che non apparteneva al ragazzo che avevo baciato solo pochi minuti
prima della fine, il ragazzo che credevo di amare. Due anni in cui guardavo
lui, ma vedevo me».
«Tu sei ancora viva, Ron no» le fece notare, con
una smorfia che proprio non riuscì a trattenere. Il modo in cui lo disse,
forse, le avrebbe potuto far credere che la realtà dei fatti gli desse
fastidio, che forse avrebbe preferito avere il vecchio amico al suo fianco,
piuttosto che lei. Naturalmente sarebbe stata un’idea assurda, balzana
addirittura: il sollievo nel saperla viva e vegeta non poteva essere nascosto
neppure sotto chilometri di rancore. Però l’astio c’era e lui non sapeva
mascherarlo.
«Per due anni5 mi sono chiesta se non
sarebbe stato meglio morire al posto suo. Lo guardavo e non potevo far altro
che pensare a quante persone avrebbero sofferto per la sua scomparsa e non per la mia. Sarebbe stato tutto più semplice,
se i ruoli si fossero invertiti» spiegò, impedendogli di parlare quando lui
fece per ribattere con ben più veleno di quanto non avesse messo in conto. «Non
è per dimostrare la mia inutilità che sono andata via, Harry. E neppure per
valutare in quanti avrebbero sofferto, nel caso».
«Allora perché?».
«Io non c’ero più Harry. Avevo… avevo iniziato a
fare brutti pensieri. Avevo iniziato a prendere una pessima strada». Non c’era
vergogna nelle sue parole, solo una grandissima autocommiserazione. Compativa
se stessa per ciò che aveva pensato, perché la vera Hermione non sarebbe mai caduta tanto in basso. Non c’era
bisogno di spiegazioni dettagliate per comprendere cosa le stesse succedendo.
«Non eri l’unico a soffrire di disturbo post-traumatico. Ed io… io avevo
sviluppato una forma ben più pericolosa del tuo atteggiamento kamikaze. Io ero sola».
«Avevi me»
le rispose, stringendo le labbra in una smorfia. «Avevi me, così come avevi i tuoi genitori e tutti i Weasley». Il senso di
inadeguatezza che lo colpì in quell’istante lo fece sentire minuscolo e viscido
come un vermicolo. Perché Hermione non aveva parlato con lui? Perché era
scappata via?
La osservò scuotere il capo, con una smorfia. «No,
non avevo te, Harry. Non potevo
parlare con te, che ti tenevi in piedi solo per miracolo. Non potevo rivelarti
di aver pensato di uccidermi e di
portare con me i miei genitori» le disse, stringendosi di più nelle proprie braccia,
come a volersi difendere. «Non avevo te. Non avevo i Weasley. Come avrei potuto
farmi avanti con i miei problemi? Avevano perso un figlio ed un fratello»
continuò, sollevando gli occhi dal suolo per puntarli in quelli di lui. «Non mi
sarei mai piegata a chiedere aiuto. Quando Ophelia mi ha contattata, io…».
«Hanno approfittato del tuo momento di debolezza
per reclutarti» esalò allora lui, sgranando leggermente gli occhi per lo shock.
«Hanno sfruttato il tuo dolore per convincerti a seguirli senza fare domande, è
questo che stai cercando di farmi capire? È una cosa orribile».
Quando lei scosse il capo, un leggero sorriso le
incurvava le labbra. «Se mi lasciassi finire, forse potresti capire invece che
fare assunzioni assurde» gli fece notare, per poi sospirare. Si sistemò una
ciocca di capelli corti che le era ricaduta sugli occhi, tornando a guardarlo.
«Quando mi ha offerto il lavoro, mi ha salvato la vita. Ero indecisa se
seguirla e trovarmi uno scopo oppure
restare, ma fortunatamente il mio grillo
parlante è riuscito a mettermi sulla buona strada. Con il senno di poi, mi
rendo conto che se non avessi avuto questo obiettivo su cui concentrarmi, non
avrei concluso l’anno in vita. Nessuno avrebbe potuto tirarmi via dal baratro
come hanno fatto le Banshee. È solo grazie a tutti loro se io sono qui. Grazie
a loro sono potuta venire da te, a Lipsia».
Dal canto suo, Harry non sapeva come reagire. Una
parte di lui era profondamente offesa all’idea che lei avesse preferito raggiungere degli estranei e diventare un super
agente segreto piuttosto che aprirsi con lui, che era stato come un fratello.
Un’altra parte di lui, quella razionale, era tuttavia di un altro avviso: in
quel periodo – fino a Lipsia – l’ulteriore preoccupazione dello stato di salute
di Hermione l’avrebbe spinto ad un livello di follia sufficiente a giustificare
un ricovero. Non avrebbe aiutato lei, non avrebbe aiutato se stesso. Sarebbe
stato un ulteriore sasso sulla sua tomba.
Oh,
Hermione, cosa ci siamo fatti?
«Cosa accadrà, adesso?» le domandò, guardando
dritto davanti a sé mentre le auto sfrecciavano incuranti lungo la strada,
inconsapevoli del mondo che si stagliava diversi metri sotto di loro. «Sei
tornata per restare? Sei tornata solo per la missione? Se riusciremo ad uscirne
vivi sparirai ancora?».
«Non lascerò il mio lavoro, se è questo che mi
chiedi» gli rispose, con un leggero sorriso. «Ma sono tornata per restare. Non
abbandonerò di nuovo la mia famiglia».
***
La piccola e graziosa sala da tè si affacciava su Hyde Park ed a quell’ora della sera era praticamente
deserta. Draco aveva scoperto quel luogo durante una delle sue interminabili
passeggiate, ritrovandosi incredibilmente affamato ma per nulla disposto a
rinchiudersi in un pulcioso pub pieno zeppo di babbani o, peggio, in una qualche
taverna di maghi. Aveva una dignità e sapeva bene il trattamento che avrebbe
ricevuto.
La proprietaria del Claire de Lune era una simpatica donna praticamente coetanea di
Draco che lui aveva scoperto essere una Magonò nel
momento stesso in cui aveva messo piede nel locale e lei lo aveva quasi colpito
con un piattino volante. Nonostante il primo approccio con Elizabeth non fosse
stato dei migliori, le era bastato poco tempo per mettere da parte ogni astio e
fare in modo che Draco potesse considerarsi il benvenuto in quell’incantevole
luogo, ritrovandosi a passare almeno una volta al giorno, spesso solo per un
saluto. All’inizio, non poteva negarlo, la sua caparbietà nel presentarsi lì
era stata legata soprattutto all’attrazione che aveva sentito verso l’avvenente
proprietaria, ma un paio di uscite avevano dimostrato quanto i loro interessi
fossero diversi e, al massimo, potessero aspirare a diventare buoni amici.
«Sarebbe stato un po’ assurdo, non credi? L’ex
Mangiamorte e la Magonò… sembra quasi il titolo di un
giornaletto rosa per ragazzine» gli fece notare Winnie, le sopracciglia chiare
inarcate in una chiara espressione divertita, mentre si toglieva la giacca per
poggiarla allo schienale della graziosa sedia bianca, su cui Draco la aiutò a
sedersi da bravo cavaliere. Se fosse stata qualcun altro, quell’invasione della
privacy l’avrebbe infastidito, ma non avrebbe mai potuto arrabbiarsi con lei.
«Ti ringrazio per questa concessione, ma credo che cercherò di non immischiarmi
più. Non vorrei certo ritrovarmi sbattute in faccia le grazie di quella gentile signorina che ci ha accolti all’ingresso».
Draco non riuscì a nascondere un sorriso, sperando
vivamente che la povera Elizabeth non l’avesse sentita. «Prima di tutto, non
c’è mai stata alcuna esperienza diretta con… con le grazie della proprietaria. E poi… se non sbaglio tu eri una
grandissima appassionata di quei giornaletti, dovresti essere in prima fila a
tifare per questa fantomatica storia d’amore» le fece notare, tirando fuori
un’espressione identica a quella che lei gli aveva rifilato poco prima. Era
incredibile quanto si somigliassero nelle reazioni.
Winnie si strinse nelle spalle, cominciando a
scorrere con lo sguardo le varie voci dei menù lasciati sul tavolo. Sembrava
quasi che non sapesse già cosa avrebbe potuto scegliere, probabilmente perché
l’abitudine la portava a nascondere ai più il suo talento. Le sarebbe bastato
concentrarsi un po’ di più per tirare fuori tutte le informazioni che il cuoco
aveva su ogni singolo piatto. «Ancora mi piacciono i romanzi rosa, sì, ma non
quelli banali come la tua impossibile storia con la ragazza. E, comunque, lei è
felicemente impegnata» gli fece notare, indicandola con un leggero segno del
capo, nascondendo malamente un sorrisino. «Prima che tu me lo chieda, no, non
le ho letto la mente. Ho solo notato l’anello di fidanzamento che porta al
dito. È anche piuttosto grande».
Incredulo, Draco si ritrovò a scuotere il capo,
lasciandosi andare contro lo schienale della delicata sedia. Non si era ancora
tolto il cappotto e, probabilmente, avrebbe evitato di farlo finché non fosse
tornato a casa. La Granger l’aveva trascinato via prima che potesse cambiarsi,
le macchie di liquore sulla camicia non erano uno spettacolo dignitoso, non per
un Malfoy6. «Hai occhio per i dettagli, allora. Ed io che credevo
che le Banshee ti volessero solo per la tua capacità di farti gli affari degli
altri» le disse, incrociando le braccia sul tavolo, tentato di nascondervi in
mezzo la testa. L’effetto della pozione stava finendo, avrebbe fatto bene a
mangiare velocemente qualcosa. «Se proprio vuoi sentirtelo dire, è stato grazie
a me se Beth ha incontrato il suo futuro marito».
Lo sguardo di Winnie saettò per un momento alla
ragazza, in quel momento impegnata a sistemare ordinatamente una lunga pila di
tazzine da tè, quasi avesse voluto studiarla. Draco non poteva più vederla,
dalla sua posizione, ma sapeva bene come l’avrebbe vista lei: leggermente china
in avanti, i capelli ricci e scuri raccolti disordinatamente in una crocchia da
cui sfuggivano alcuni boccoli, gli occhi scuri nascosti dietro una delicata
montatura bianca. Beth era adorabile, fisicamente e
caratterialmente, decisamente troppo
per uno come Draco, ma forse non per...
«Theodore Nott? Davvero?
E suo padre lo sa?» la sorpresa con
cui gli pose quelle domande fu tale che, per un istante, Draco si sentì tentato
di alzarsi in piedi e battere la mano sulla propria spalla per congratularsi.
Non credeva che sarebbe mai riuscito a sorprenderla.
Non lei, la nemica di tutte le sorprese. «Oh, per l’amor di Merlino, ho
rovinato una festa a sorpresa solo una
volta e solo perché nessuno mi aveva detto che il festeggiato non ne
sapesse nulla».
«Era una festa a sorpresa, Win,
era ovvio. Per fortuna zio Barthemius è sempre stato fuori come una campana» le
rispose, alzando gli occhi al cielo. «Comunque sì, suo padre lo sa e l’ha presa
esattamente come credo tu stia immaginando». Per rafforzare l’idea, Draco pensò
intensamente alle condizioni in cui aveva trovato l’amico dopo la fantomatica
cena in cui Theo si era deciso a raccontare al vecchio genitore della donna che
aveva intenzione di sposare.
Nauseata, Winter scosse il capo e strinse le
labbra, lanciando un altro sguardo in direzione di Elizabeth. «Deve volerle
molto bene, se ha sopportato quella tortura. Se penso che il vecchio Augustus è sfuggito ad Azkaban solo per le sue malattie…»
sospirò, sinceramente dispiaciuta. Sia lei che Draco erano stati presenti
quando il padre dell’amico aveva ottenuto di restare ai domiciliari a causa
delle precarie condizioni di salute, entrambi avevano convenuto che quella
fosse stata la scelta peggiore. Augustus Nott era uno dei Mangiamorte più fedeli mai esistiti ed era
anche uno dei più pericolosi, non sarebbe stato certo un cancro a tenerlo
lontano dai suoi affari loschi.
«Theo ha rinunciato a tutta la sua fortuna ed alla
sua famiglia, per lei, ma non ha mai dato segno d’essersene pentito7.
Se devo esser sincero, credo che abbia riguadagnato i soldi persi in simpatia»
le disse, sorridendo in modo vagamente forzato. Ammirava la scelta di vita di
Theodore, ma l’idea di dover fare una scelta come quella lo terrorizzava,
difficilmente lo avrebbe imitato.
«Non essere cattivo, Draco, non ti si addice più»
gli rispose lei, con gentilezza, sorridendo verso Beth
quando lei si avvicinò con in mano il taccuino delle ordinazioni. Conoscendola,
doveva aver fissato l’orologio finché non erano passati quei minuti necessari
affinché potessero decidere cosa farsi portare. La curiosità doveva divorarla
viva. «Buonasera cara, siamo pronti per ordinare» le disse Winnie, senza
neppure darle il tempo di aprire bocca.
Stranita, Elizabeth lanciò uno sguardo confuso a
Draco, per poi decidere, probabilmente, che fosse solo una grossa coincidenza.
«Sono tutta orecchi» disse allora, tranquilla, lanciandole un’occhiata curiosa.
«Se posso, vorrei consigliare…».
«Ah, sì, crostata allarancia, mi sembra un’ottima
idea, per quanto mi riguarda. Lui prenderà torta al cioccolato ed una tazza di
caffè nero, senza panna. Io preferirei del tè con limone, grazie mille» la
interruppe velocemente Winnie, con un cenno veloce. «Ah, no mia cara, non sono
la sua ragazza e non sono incredibilmente
maleducata, sono una Legilimens, mi sto limitando a rispondere ai tuoi
pensieri. Mi dispiace, comprendo possa sembrare assurdo e fastidioso, ma non
posso far nulla per controllarmi, è un dono naturale. Ed il mio nome è Winter
Vane».
Un lungo silenzio imbarazzato cadde su di loro,
mentre Elizabeth fissava Winnie come se le fosse spuntata un’altra testa. Poi,
lentamente, la sua espressione si distese e Draco la osservò sospirare, come se
si fosse ritrovata a fronteggiare l’ennesimo problema della giornata.
«Fantastico, davvero. Non solo vivo circondata da
maghi e streghe, adesso mi ritrovo anche una Legilimens nel locale» sbottò,
allargando le braccia con aria sconfitta. «Incredibile. La prossima volta chi
porterai, Malfoy? Un gigante? Ti
diverti così tanto a ricordarmi quanto sia noiosa la mia esistenza?8»
domandò a Draco, quasi fosse stata tutta colpa sua. «Puoi scordarti la panna
sulla torta, dopo questo colpo basso».
Senza riuscire a trattenersi, Draco scoppiò
praticamente a riderle in faccia, nascondendosi malamente dietro la mano. «Mi
dispiace, Beth, la prossima volta mi assicurerò che i
miei ospiti siano quanto più banali possibili» la rassicurò, scuotendo il capo.
«E, come lei ti ha gentilmente fatto notare, non è la mia conquista».
«Che Merlino ce ne scampi» concordò Winnie,
arricciando l’elegante naso ed osservando la proprietaria del locale con aria
sempre più divertita. «Oh, lo so che lui è un bravo ragazzo che merita una
ragazza carina come me, ma temo che la genetica sconsigli fortemente una nostra
unione».
Fu Draco ad accigliarsi, a quel punto. «Siamo
cugini di secondo grado9, Winnie, non credo ci siano rischi da quel
punto di vista» le fece notare, scuotendo il capo. «Comunque il succo della
questione non cambia, non sono venuto a sbatterti in faccia alcuna conquista.
Nel caso dovresti essere tu a sbattermi in faccia quell’anello ogni volta che
vengo qui!» le fece notare, sinceramente divertito e per nulla sarcastico, cosa
rara per lui. Comportamento strano da parte sua, ne era consapevole, ma non
poteva certo fare lo stronzo con lei.
L’attenzione di Beth era
stata sicuramente catturata con quel dettaglio. «Una cugina, dici? Non dal ramo
Black, immagino. Non ha gli occhi di famiglia» notò, osservando la ragazza con
aria attenta, piegando leggermente il capo di lato.
«Non tutti i Black hanno gli occhi azzurri, però»
sottolineò Winnie, stringendosi nelle spalle. «Se non sbaglio, sua zia
Andromeda ha gli occhi scuri come la non compianta Bellatrix».
«Non mi riferivo al colore, ma alla pazzia», Beth arricciò il naso, vagamente disgustata. «Ho avuto il
piacere di conoscere vari parenti di Draco e posso dire con assoluta certezza
di non averne trovato uno con gli occhi folli10. Forse l’unica
eccezione è Teddy Lupin, il nipote di Andromeda. Ma è
un metamorfomagus, potrebbe mascherare la follia con
relativa semplicità» constatò, per poi scuotere il capo. «Ma non è importante.
Hai detto Vane? Non credevo che avessero collegamenti con i Black o con i
Malfoy».
Il modo in cui Winnie si irrigidì fece pentire
Draco di aver lasciato che quella discussione andasse alla deriva, toccando un
argomento che sapeva bene avrebbe fatto bene a restare ben sepolto sotto una
spessa coltre di bugie ben elaborate anni prima. Alcuni di loro – i bambini di cristallo, li chiamavano
così – avevano dovuto affrontare i proprio fantasmi quando erano ancora in
carne ed ossa, ritrovandosi a combattere il sangue del proprio sangue quando la
salvezza non si era presentata nelle vesti del fantomatico Golden Boy.
Prima che lui potesse intervenire, però, Winter si
decise a rispondere. Via il dente, via il
dolore, doveva essere stato il suo pensiero. Dopotutto, nel momento in cui Beth fosse tornata da Theo ed avesse iniziato a
raccontargli di quel loro incontro, la verità sarebbe saltata fuori comunque.
«Vane è il cognome di mia madre, l’ho cambiato quando ero molto piccola» iniziò
a spiegare, raddrizzando le spalle ed estraendo la bacchetta dalla manica del
delicato maglioncino azzurro che aveva indossato dopo aver dismesso la divisa
delle Banshee, per non attirare l’attenzione. Approfittando del locale deserto
e della loro posizione riparata, bastò un gesto veloce ed il colore dei suoi
capelli mutò, diventando dello stesso nero violaceo del padre, così come gli
occhi passarono da un caldo verde pallido ad un grigio chiarissimo, quasi
trasparente.
L’imprecazione che sfuggì a Beth
avrebbe fatto sorridere Draco ed indignare il di lei fidanzato, ma quello di
certo non era il momento adatto per divertirsi o scherzare. Gli sembrava di poter
leggere le informazioni connettersi nella mente della donna che li
fronteggiava, mentre date e nomi cominciavano a combaciare fra loro,
restituendole la vera identità di Winnie.
«Tu non puoi essere davvero…».
«Elladora Winter
Mulciber9, piacere di fare la tua conoscenza, Elizabeth Hitchens».
***
Li chiamavano bambini di cristallo, perché la loro
esistenza pur apparendo perfetta era in realtà fragile come il più delicato dei
calici: un passo falso e di loro non sarebbe rimasto che il ricordo infranto di
un’infanzia mai vissuta davvero. Erano i figli della grande società purosangue,
quelli che fin dalla culla erano stati abituati a non chiedere dove sparissero
mamma e papà o perché si sentissero terrificanti urla dai sotterranei. Erano i
bambini che non avevano mai vissuto Voldemort come uno spauracchio, perché lo
spauracchio viveva con loro, li accompagnava mentre andavano a dormire e li
salutava non appena aprivano gli occhi. Draco Malfoy si era sempre ritenuto
fortunato, suo padre era sempre stato abbastanza furbo da tenere i due aspetti
della sua vita separati, così che nessuno potesse accusarli, nel caso il regime
fosse caduto. Draco aveva vissuto una buona infanzia, non c’erano accuse che
volavano sulla sua testa, nulla se non la consapevolezza di essere superiore. Per i primi sedici anni della
sua vita si era semplicemente limitato a voltare lo sguardo e fingere di non
sentire nulla che non rientrasse nella norma. Come lui, molti altri erano
semplicemente andati avanti, senza preoccuparsi del domani finché quello non
era arrivato di prepotenza, durante la finale del Torneo Tremaghi.
Winter Mulciber,
Theodore Nott e pochi altri, invece, avevano avuto
una vita profondamente diversa,
com’era risaputo da chiunque avesse anche solo un contatto minimo con il mondo
magico. Non sempre gli orrori venivano confinati nei sotterranei e non sempre era
possibile non sapere quali fossero gli
affari loschi dei genitori. Non era possibile, non quando la sanità mentale
veniva barattata con sempre maggiore potere e sempre maggiore oscurità.
Anche Elizabeth, cresciuta ben nascosta dalla
vista di chiunque potesse farle del male, conosceva fin troppo bene la storia
di quei bambini il cui cristallo era stato brutalmente infranto. Osservandola
mentre fissava la ragazza che la fronteggiava, Draco non dubitava che tutti gli
spauracchi che da bambina l’avevano torturata fossero tornati alla ribalta,
lasciando che immagini di torture e morte si riversassero su Winnie, che le
aveva vissute in prima persona. Fortunatamente, però, la vicinanza di Theo
doveva averla temprata, perché impiegò pochissimo a riprendersi e schiarirsi la
voce, lasciando che il solito sorriso le si affacciasse in viso.
«Credo sia meglio portare queste al cuoco, non
vorrei si fosse addormentato» si congedò, facendo un paio di passi indietro per
dirigersi alle cucine. Un momento prima di girarsi, tuttavia, si fermò,
tornando verso di loro ed allungando la mano in direzione di Winnie. «Piacere
di conoscerti, Winter Vane. Sei la benvenuta al Claire de Lune».
Quando si allontanò e Draco poté tornare a
concentrarsi sulla cugina, la trovò nuovamente bionda ed intenta a sorridere
dolcemente. «Ha deciso che diventerà mia amica, secondo lei somiglio
incredibilmente a Theo e, accidenti,
se è riuscita a far perdere l’aria depressa a lui può farlo anche con me»
spiegò, scuotendo leggermente il capo. «Ho l’aria depressa, Draco?».
«Non particolarmente, soprattutto non con quei
vestiti o con quell’aspetto» le rispose lui, sollevato che la discussione non
fosse rimasta sui toni cupi del passato. Anche lui aveva dei fantasmi pronti a
tormentarlo, erano appostati proprio dietro l’angolo, in attesa del primo segno
di cedimento da parte sua. «Se devo essere sincero, però, ti preferisco al
naturale».
Winnie si strinse nelle spalle, tranquilla. «Sono
troppo riconoscibile in quel modo. Preferirei non scatenare il panico, se non
sono costretta». Elizabeth tornò in quel momento, portando un vassoio con le
loro ordinazioni. «Grazie, cara. Anche per aver deciso di non dire nulla della
mia identità, te ne sono molto grata, l’ultima cosa che desidero è ritrovarmi
qualche vecchia zia alle calcagna, ma sarò comunque felice di venire a pranzo a
casa tua e di Theodore, con Draco» le disse, evidentemente anticipandola ed
indisponendola, considerato lo sguardo che ricevette subito dopo.
«Legilimens»
borbottò esasperata. «Ed io che credevo che un pozionista
pazzo fosse fastidioso!» si lagnò, scuotendo il capo e tornando alla sua
postazione dietro il bancone. «Arriverà il momento in cui farò come suggeriva
sempre zio Taddeus e me ne andrò in Canada, lontana
da tutti voi maghi».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
In questo capitolo
ho dato tante di quelle informazioni che mi viene voglia di prendermi a
schiaffi da sola.
Punti importanti:
» 1
– Avevo un biglietto di sola andata per il luogo in cui vanno tutti i
demoni/ Dove il vento non cambia/E niente può mai crescere dal suolo/ Nessuna speranza,
solo bugie/ e ti insegnano a piangere contro il tuo cuscino/ Ma sono
sopravvissuta/ Sto ancora respirando/ Sono viva.
» 2
– A Londra, come in tutte le grandi città, è quasi impossibile vedere le stelle.
Giusto per specificare, non vorrei dovessero nascere strane supposizioni
(perché io ci avrei pensato).
» 3
– Città della Germania in cui è successo qualcosa.
Ovviamente non ho intenzione di dirvi nulla, solo prestate attenzione.
» 4
- L’addestramento delle Banshee generalmente dura da uno a tre anni, in
base alle capacità dell’ipotetica recluta. Ophelia ha impiegato due anni pieni,
Barry quasi tre (ma lui soprattutto a causa di problemi legati al comportamento),
Katie e Winnie circa uno ed Hermione, in teoria, avrebbe dovuto impiegarne uno
solo. La “bravata” di Lipsia le è costata un anno di addestramento in più.
» 5
– Coordinate cronologiche, giusto per non perdere il filo: sono passati quattro
anni dalla fine dalla guerra e due anni dalla morte di Ron e dalla sparizione
di Hermione.
» 6
– Non dimentichiamoci che Draco è ancora ubriaco. Solo perché non sembra
completamente perso non significa che non lo sia. Nel momento stesso in cui la
pozione che ha preso smetterà di fare effetto, si ritroverà schiacciato dal
dolore per la perdita della sua famiglia. Non pensate neppure un momento che
solo perché stia sorridendo non stia morendo dal dolore, contemporaneamente. È ubriaco, anche se non lo sembra.
» 7
– Theodore Nott
era un compagno di scuola di Draco, Serpeverde come lui e figlio di uno dei più
anziani mangiamorte. Essendo di altissima estrazione sociale, è
cresciuto praticamente in mezzo ad una fortuna, ma ci ha rinunciato più o meno
un anno prima per poter stare in pace con Elizabeth. Attualmente è riuscito a
riguadagnare un bel gruzzoletto grazie al suo eccezionale talento come pozionista, cosa che gli ha concesso di acquistare un gran
bel pezzo d’anello per la sua fidanzata Magonò.
» 8 –
Beth non è maleducata, non ha reagito in modo tanto
stizzito solo per fare la proverbiale stronza gelosa. Si tratta di una
storiella che va avanti da almeno un anno e mezzo fra lei e Draco, con lui che
non fa che lanciarle frecciatine su quanto triste debba essere stato, per lei,
crescere in una famiglia di purosangue senza poter mai usare la magia. Si era
naturalmente convinta che Draco avesse portato Winnie solo per farla sentire
ancora più inutile, cosa che naturalmente lui non avrebbe mai fatto. Un conto è
scherzare amichevolmente, un conto è fare proprio il bastardo.
» 9 –
Spieghiamo un po’ di cose. Prima di tutto, Mulciber
era uno di quegli studenti cattivissimi a cui si era avvicinato Piton ai tempi
della scuola. Mulciber è stato uno dei peggiori, crudele per il solo gusto di
esserlo e con una tendenza a giocare brutti scherzi mentali alle sue vittime,
essendo un abile Legilimens come la figlia. Ha terrorizzato abbastanza persone
da restare nella storia come uno dei maghi oscuri più spaventosi. In teoria è
finito in carcere con la caduta di Voldemort, ma la realtà sarà vagamente
diversa. La seconda caduta di Voldemort l’ha portato di nuovo in tribunale e,
questa volta, è stata sua figlia stessa a farlo condannare.
Come sono imparentati Winnie e Malfoy? Mulciber è
cugino di primo grado di Lucius, poiché sua madre (quindi
la nonna di Winter) era una Malfoy, sorella del nonno di Draco. È vagamente
complicato, me ne rendo conto, ma le parentele fra purosangue lo sono sempre. Per
qualunque domanda, chiedete.
» 10
– Come fa Beth
a conoscere gli occhi folli dei Black? Suo padre è un avvomago,
uno dei più importanti, che ha avuto rapporti con le più grandi famiglie
purosangue di tutto il Regno Unito. Lei ha avuto modo di osservare – da lontano – praticamente tutti i pezzi
grossi dell’alta società. Naturalmente è stata sempre tenuta nascosta, sia per
paura che per vergogna, e quando la guerra è scoppiata, suo padre l’ha mandata
all’estero, così che non rischiasse. Tornata in patria, ad appena diciotto
anni, ha aperto la piccola sala da tè, sfruttando i soldi di famiglia che, in
teoria, non le sarebbero serviti per iniziare una carriera ministeriale.
Anche Hermione ha
sofferto incredibilmente. Lei ed Harry sono dei bambini di cristallo, anche loro sono stati distrutti,
ridotti in mille frammenti di vetro.
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
Non sono sicura di poter
aggiornare lunedì prossimo – esami maledetti – ma vi consiglio di controllare facebook!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie