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Autore: BillieJeanBJ    10/02/2017    6 recensioni
Il brillante sceriffo Rick Grimes si rivolge alla nota agenzia pubblicitaria -Greene Company- per inaugurare e sponsorizzare la nuova officina meccanica del suo migliore amico, Daryl Dixon.
La società è stata ereditata dalle sorelle Greene, Maggie e Beth, ma è soltanto la prima ad avere in mano le redini dell’impresa di famiglia. La seconda, invece, è la mente creativa.
E sarà proprio la piccola Beth ad occuparsi dei nuovi clienti, Rick e Daryl.
C’è solo un piccolo dettaglio: non ha assolutamente idea di quale sia il volto del signor Dixon e questo le causerà un imbarazzante, catastrofico problema.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Negan, Rick Grimes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Occorre un paio d’ore per arrivare alla fattoria, ma guidare per me è piacevole e rilassante, per cui non mi lamento. Meglio ancora se le giornate sono così soleggiate.
A lavoro Mery mi ha data per malata, e siccome mia sorella non oserebbe mai farmi visita, ne approfitto per sbrigare faccende che ho sempre rimandato a causa del poco tempo a disposizione.
La prima tappa è mio padre.
Per telefono ci sentiamo ogni giorno, ma ci vediamo davvero poco. Per colpa di un incidente domestico -se così si può chiamare il morso di una delle bestie che stava vaccinando- ha perso una gamba, e muoversi per lui è diventato davvero scomodo nonché stancante.
L’ultima volta che sono stata qui risale a tre mesi fa, e ogni volta che ci ritorno la nostalgia mi attanaglia lo stomaco riportandomi indietro nel tempo, a quando noi quattro -Maggie, mamma, papà ed io- eravamo una famiglia felice.
Sul portico, ad esempio, erano sistemate due sedie a dondolo; una per il capofamiglia, l’altra per la sua signora. Adesso, invece, ce n’è solo una.
M’impongo di non commuovermi e parcheggio l’auto. L’ultima cosa di cui mio padre ha bisogno è vedere la sofferenza di sua figlia per la morte della madre. Prima di scendere mi assicuro con una sbirciata allo specchietto retrovisore che gli occhi non siano lucidi, e mi stampo sulle labbra un sorriso sereno.
Non l’ho avvisato della mia visita, voglio che sia una sorpresa, e quando suono il campanello spero di trovarlo in casa.
Accosto l’orecchio alla tavola e mi tranquillizzo nell’udire il suono di passi zoppicanti divenire sempre più chiaro.
Mi raddrizzo proprio quando lui apre e mi godo la sua espressione sorpresa.
-Betty!-
-Ciao papà!-
Gli circondo le spalle e lo abbraccio inalando il profumo di casa.
-Non ti aspettavo.-
-Lo so.-
Mi accarezza la schiena con la mano libera prima di darmi due pacche affettuose e indietreggiare.
-Vieni, entra.-
Ci rechiamo direttamente in salotto, è sempre stata questa la stanza delle chiacchiere, e mi accomodo sul divano, mentre lui si siede sulla sua poltrona.
-Niente lavoro, oggi?-
-Mi sono presa delle ferie.-
Meglio non dire che ho mentito sulla mia salute fisica.
-E dimmi, come stanno le mie bambine?-
Maggie è la solita stronza, io credo di essere sulla buona strada per la rintronaggine.
-Papà ci siamo sentiti ieri pomeriggio!-
-Cosa c’entra? Parlare a tu per tu è diverso. Posso vedere se menti o se sei sincera quando mi dici di star bene.-
E’ sempre stato un uomo scaltro mio padre.
-Sto bene.-
I suoi bonari occhi blu, gemelli dei miei, mi scrutano intensamente per poi annuire soddisfatto.
-Lo vedo!-
Sul serio? Ed io che credevo notasse i primi sintomi di una pazzia immane.
-Vorrei poter verificare di persona se anche tua sorella è felice.-
Mi sporgo verso il buon vecchio Hershel e gli stringo una mano rugosa. Sono ormai quattro anni che Maggie non mette piede in questa casa, e due dall’ultima volta che ha avuto un dialogo faccia a faccia con papà, ovvero da quando gli è stato amputato l’arto sinistro.
La zona rurale in cui vive è abitata per lo più da anziani della sua età e raramente il nipote o il figlio di qualcuno è disponibile per uno strappo in città. Andata e ritorno.
Per la figlia, invece, non ci sarebbe alcun problema spostarsi, ma -anche se non l’ha mai detto e mai lo farà- entrare in questa casa sarebbe come entrare nel girone più pericoloso di una depressione senza fine; troppi ricordi, troppe gioie quanti altrettanti dolori. Lo so io, lo sa papà.
-Posso assicurarti che se la cava abbastanza bene! Non sbaglia un colpo! Pensa che è la donna d’affari più famosa di tutta Atlanta!-
Sul suo viso rugato compare un sorriso soddisfatto, ma gli occhi lo contrastano con un luccichio malinconico.
-Sono felice di sapere che riuscite a cavarvela. Pranzi con me?-
E come dirgli di no?

Il pranzo è andato piuttosto bene. E’ piacevole trascorrere il tempo con mio padre, e lui ne aveva davvero bisogno. Peccato, però, che la costante nostalgia dei suoi occhi ha aumentato la mia con l’aggiunta di quel dolore che -per quanto si possa fingere- rimarrà indelebile nel cuore di entrambi.
Maggie gli manca un casino. Mi ha pregato espressivamente di parlarle, convincerla ad andare a trovare il suo vecchio, l’uomo che le ha insegnato la differenza tra bene e male, che l’ha portata con sé nei campi, che ha finto ignoranza laddove eccelleva solo per vedere un sorriso compiaciuto e vittorioso sul viso paffuto e pulito della sua bambina.
Gli ho fatto intendere di poter stare tranquillo, ma non ho avuto il coraggio di confessargli che le sue adorate figlie non sono più le stesse che osservava giocare nel fienile tra un abbraccio e una risata. Se solo sapesse quale freddo rapporto tiene unite le sorelle Greene, ne morirebbe. E ha già abbastanza pena nell’anima per sopportare un ulteriore supplizio.
Inoltre non credo..
Il discorso mentale è interrotto da due terrificanti fattori che si susseguono in rapida successione, azzerando qualsiasi altro rompicapo:
1. Lo scoppiettio brontolato del motore.
2. Una nuvola quasi trasparente di fumo che, lenta e minacciosa come un cobra in attacco, inizia ad avvolgere l’auto.
-No!-
Grazie ai riflessi pronti, mi affretto a girare il volante verso destra e faccio giusto in tempo ad accostare al lato della carreggiata prima che il grigio chiaro della nuvoletta diventi di un nero intenso e l’auto si fermi.
Afferro la borsetta lasciata sul sedile del passeggero e scendo.
-No!-
Stavolta la lamentela non è fiatata ma piagnucolata e ringhiata oltre i limiti di una pazienza che, per questa Mini Cooper, non posseggo più. Non è la prima volta che mi si fonde il motore, porca miseriaccia!
Volete un consiglio, ragazze? Mai acquistare un mezzo di seconda mano e, soprattutto, mai online!
Mi allontano per evitare di rimanere intossicata dal fumo e mi guardo intorno.
Cosa vedo? Il nulla.
Solo chilometri infiniti di campi di grano, qualche uccello solitario e un piccolo casolare abbandonato.
E come se non bastasse, sono esattamente a metà strada.
Ok, non devo scoraggiarmi. E non voglio neanche pensare che non ci sia linea!
Mormorando ininterrottamente la parola ‘tacca’ in una preghiera disperata, prendo il cellulare e, prima d’illuminare lo schermo, anche un profondo respiro.
Dai, non posso essere così sfigata!
Premo il tasto di sblocco e sbircio da un occhio solo.
Lentamente.
Ansiosamente.
Ridicolmente.
-Sì!-
 Il petto mi si riempie di gioia pura quando intravedo due tacche.
Ok. Adesso non mi resta che decidere chi chiamare.
Mery? Mia sorella non le concederebbe mai il permesso di staccare alle due del pomeriggio, salvo morte improvvisa di un familiare. E questo esclude dalla lista i rimanenti colleghi.
Jesus? E’ in trasferta con la squadra.
Nick? Non ho il suo numero.
Rick? Potrei.. ma se fosse in una qualche missione pericolosissima? E poi.. ho una confidenza tale da chiedergli di venire a prendermi? Beh, se la mettiamo su una questione prettamente formale, potrebbe trattarsi di soccorso e il suo compito è, appunto, aiutare le persone in difficoltà. Ed io, ora, mi trovo in enorme difficoltà. Quindi sì, ho deciso. Chiamerò lo sceriffo.

Sono passati quindici minuti dalla telefonata.
Rick è stato gentilissimo e mi ha assicurato di raggiungermi nel minor tempo possibile.
Sti cazzi! (Permettetemelo!)
Menomale che non ho ferite gravi altrimenti sarei già morta dissanguata.
Seduta sul ciglio della strada, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il mento racchiuso nei palmi, ricambio l’occhiata minacciosa del cielo. Se solo osa annuvolarsi prima che abbia la possibilità di lasciare questo posto, giuro che..
Giuro cosa? Quale intimidazione potrei mai rivolgere alla natura?
Sbuffo e medito se mettermi a giocare al cellulare per smorzare l’attesa, ma ho paura che la batteria si scarichi. Decido di fare solo un selfie, giusto per immortalare una giornata di cacca!
Sollevo lo smartphone all’altezza del viso e lo allontano così da inquadrare il grigiore del cielo e il campo arato alle mie spalle in uno sfondo solitario e apocalittico. Dev’essere una foto seria, per cui non c’è bisogno neanche che mi sforzi, la mia espressione demoralizzata è tutto un dire.
Avvio lo scatto automatico e dopo tre secondi il ‘click’ mi comunica che la mia felicissima espressione è stata immortalata.
Faccio in tempo a dare una sbirciata prima di sentire il rumore inconfondibile di un mezzo in lontananza.
Mi alzo, salendo sulla pila di mattoni nel caso fossi costretta a sbracciarmi per attirare l’attenzione di chiunque stia per passare di qua, e fisso lo sguardo all’orizzonte.
Il puntino scuro inizia a prendere gradualmente forma, così come il suono del motore di.. una.. moto.
Ancora prima di poter avere anche solo l’attimo d’ipotizzare se Rick ne possegga una, riconosco la Triumph nera e la postura del proprietario.
Ok, il fatto che abbia identificato Daryl in lontananza, m’inquieta e non poco.
Accosta dinanzi a me e i suoi occhi, vedo solo questi poiché indossa il casco, si posano subito sulla sottoscritta.
Non so perché mi fissi. Forse si aspetta che gli dica qualcosa, ma la verità è che non è la persona che mi aspettavo di vedere.
Dire che mi sento anatomizzata non rende l’idea; l’azzurro intenso delle sue iridi scivola lentamente sul mio corpo come glassa che di celestiale ha solo l’omofonia.
Quando ritorna sul mio viso, è chiaro che vi nota il rossore perché la piega delle sue palpebre si assottiglia leggermente a causa, ci metto la mano sul fuoco (o sulle mie guance dacché i gradi sarebbero equivalenti) che sta ghignando!
Stronzo!
Alza il piede da terra e avanza fermandosi, stavolta, vicino l’auto in panne.
Prima di raggiungerlo, abbasso lo sguardo sul mio corpo per ricordare cos’ho indossato stamattina; il pantaloncino di jeans tagliato alle cosce, sotto i collant neri di cotone, le mie amate converse e il giubbetto di pelle. Quindi per fortuna no, non sono nuda come la sua occhiata mi ha portato a credere.
-Come cazzo hai fatto a fondere il motore, ragazzina?-
Uomo di eleganza, uomo di sostanza! Aggiungeteci anche il simbolo del pollice all’insù, così.. tanto per!
Raggiungo l’auto e trovo Daryl chinato sul cofano a maneggiare i vari organi.
-Andavi veloce?-
Mi lancia un’occhiata inquisitoria così profonda da farmi sentire quasi in colpa.
Di cosa poi?!
-Certo che no! Ci tengo alla mia vita.-
Emette uno dei suoi versetti dubbiosi e riposta l’attenzione sul lavoro che sta svolgendo.
Non potendo fare nient’altro, e non volendo disturbare, non mi resta che guardarlo all’opera.
Non so spiegarmi la ragione per la quale non ho chiamato lui invece di Rick, è il più idoneo per questo tipo di emergenze.
L’idea che mi sono fatta di Dixon, in realtà, una risposta me la suggerisce: non sarebbe venuto. Eppure.. eccolo qui. Forse lo sceriffo lo avrà minacciato o qualcosa del genere.
-Il pistone è andato.-
Il che??
-Quindi?-
-Quindi chi ci ha messo le mani prima di me, ti ha preso per il culo.-
Si raddrizza e si strofina i palmi sul jeans, macchiandolo. Non è colpa mia, l’occhio mi cade sulla patta dove vi è l’ormai famosa protuberanza. Non so per quale stramaledetta ragione mi è venuto in mente uno di quei film demenziali in cui il protagonista, più cretino dell’intera pellicola, infila una banana dentro i pantaloni per rendere il pacco più carico. Non sto insinuando che Daryl lo abbia fatto, cioè.. in realtà non lo so, anche se non mi sembra il tipo, ma.. ecco, la consistenza è più o meno quella.
-Ragazzina?-
-Eh?-
Innalzo immediatamente gli occhi e trovo un Dixon.. incazzato? Deve avermi beccata a invadere la sua privacy. Posso, per esempio, diventare un tutt’uno con l’asfalto?
-Dobbiamo farla rimuovere.-
Ho già avuto occasione di sentire questo tono, ma adesso la sfumatura arrochita della sua voce, in mezzo al nulla e in un silenzio quasi anomalo, acquisisce una nota.. primitiva. E il modo in cui continua a fissarmi m’impedisce di compiere l’azione di cui necessito per vivere, ovvero respirare.
-Okay.-
Non riesco a dire altro.
-Quindi devi lasciarla qui.-
-Okay.-
-E’ solo l’auto a essere andata in panne?-
Eh?
E da quando ha iniziato ad avvicinarsi?
E perché non mi allontano come invece dovrei?
-Che ci fai da queste parti?-
Una domanda apparentemente normale, se non fosse per il tono caramellato che si riversa direttamente nel mio basso ventre.
-Sono venuta a trovare mio padre. La fattoria è a un’ora da qui.-
Gli rispondo con sincerità, aggiungendo un’informazione che avrei potuto benissimo evitare, ma i miei neuroni stavolta non sono stati abbastanza veloci da comporre una battuta adeguata, tipo che questi non sono affari suoi.
-Da sola?-
-Perché, qual è il problema?-
-Questo.-
E con un braccio indica l’auto deceduta alle sue spalle.
-Se io non avessi alzato il culo per venire, cosa avresti fatto?-
Sta cercando di sfidare la mia pazienza? Perché, seppur non proprio lucida, non ci metto nulla ad irritarmi. E’ così facile con lui..
-Avevo chiamato Rick. Perché non è venuto lui?-
-Era in centrale. Rispondi.-
Mi passo la lingua sulle labbra secche e sollevo il mento perché Dixon adesso mi è praticamente ad un palmo dal naso. Capisco che questo di tabacco e sandalo è un olezzo che gli permane indelebilmente. E’ il suo odore. Punto.
-Probabilmente l’autostop. Però sei qui.-
La certezza finale ha un’intonazione sorpresa e incredula, me ne rendo conto. E anche Daryl perché borbotta qualcosa d’incomprensibile prima di stringere la mascella e sollevare un dito, l’indice per l’esattezza.
-Sei la ragazzina più incosciente che abbia mai conosciuto.-
Cosa??
-E tu il bisbetico più stronzo!-
-Lo stronzo che, però, ti sta salvando il bel culetto!-
E’ scientificamente impossibile per me non arrossire. Battuta o no, ha espresso un apprezzamento per il mio lato B.
-Non te l’ho chiesto io!-
-No, infatti. E perché?-
-Perché cosa?-
Io non ci sto capendo niente, ve lo giuro.
-Perché non hai chiamato me?-
Ma che adesso fa anche l’offeso?? Questo è pazzo.
-Tu sei pazzo!-
-Me lo hai già detto.-
-Beh, te lo ripeto!-
Rimaniamo a fissarci in cagnesco per non so quanti secondi prima di sentire sulla guancia qualcosa di umido scivolarmi come una lacrima. A seguire un’altra e un’altra ancora, sino a che il tipico suono della pioggia riempie il silenzio tombale del luogo annunciando l’inizio del temporale.
Mentre io lo abbasso, Daryl solleva il naso verso il cielo così che le gocce piovane gli picchino il viso e scivolino sul collo scurito dall’accenno di peli rasati. Sembra godere di questa sensazione, ed io -a mia volta- traggo beneficio nell’osservarlo. Mi ha sempre dato l’impressione di essere un uomo retrograde, ma adesso ha proprio l’aspetto di un.. tenero selvaggio.
Quando ritorna a guardarmi, mi rivolge una serietà che non gli ho mai visto; è come se stesse condividendo con me uno dei suoi tanti segreti.
-Ti piace la pioggia.-
Non glielo chiedo. Semplicemente gli confermo di aver capito. Lui non mi risponde, ma molla il contatto visivo abbassandolo sulla mia mano stretta attorno alla cinghia della borsa che ho messo a tracolla.
-Dammi le chiavi dell’auto.-
-Sono già dentro.-
-Allora va’ in quel casolare e aspettami lì.-
Che??
-Daryl..-
M’inchioda con lo sguardo seminascosto dalle lunghe ciocche bagnate e capisco che ciò che sta per dirmi non mi darà modo di replicare.
-Ragazzina, sta per caderci addosso una burrasca. Non possiamo prendere la moto, a meno che tu non voglia morire sull’asfalto. E non possiamo rimanere né sulla strada né dentro la vettura.-
-Perché? In auto ci sono anche i riscaldamenti!-
So di aver piagnucolato come una viziata, ma l’idea di chiudermi in una catapecchia probabilmente anche instabile non mi affascina granché!
-La visibilità sarà ridotta a causa dell’acquazzone. Potrebbero non vedere la tua Ferrari!-
Uffa, ha ragione!
 Però, là dentro -da sola- non ci vado. Questo è fuori discussione.
-Tu vieni?-
-Sarò dietro di te.-
Annuisco e tanto per essere certa che Daryl non mi pianti, azzardo una mossa che -non fosse per situazioni  da panico come questa- non avrei mai fatto: quando si volta, afferro il gilet che ha lasciato sul sellino della moto e, con l’intestino aggrovigliato e l’adrenalina alle stelle, inizio a correre verso il casolare.

Il silenzio è tombale e sinistro, e l’unico suono è quello della pioggia che sbatte contro le finestre, dalle quali la luce del primo pomeriggio -seppur scarsa a causa dei nuvoloni- mi permette di analizzare l’interno.
Al contrario di ciò che mi aspettavo, la stanza in cui mi trovo non è per niente malridotta.
Muri scalfiti da qualche crepa, due poltrone di pelle, un tavolinetto e una dispensa. Il tutto, però, coperto da un leggero strato di polvere. Non è un casolare abbandonato, ma è chiaro che il proprietario non deve metterci piede da molto e non sembra neanche tenerci più di tanto siccome mi è bastata una sola spallata per aprire la porta già mezza scassinata.
Avanzo di qualche passo puntando alla credenza ma sobbalzo di un mezzo giro quando dalla vetrata della stessa intravedo la sagoma di un uomo.
Un Daryl Dixon tutto bagnato e grondante d’acqua, fermo sull’uscio, mi sta fissando con uno sguardo che se potesse prendere forma sarebbe un fucile. Carico.
Il cuore mi galoppa in gola ma oltre alla paura sento scorrere un’eccitante dose di pura adrenalina.
Ultimamente ne abbonda parecchio nelle vene. E ultimamente è il periodo che comprende l’entrata di Daryl nella mia vita.
-Ciao.-
Non so perché, ma salutarlo mi esce spontaneo. Probabilmente neanche mi ha sentito perché il sussurro è stato sovrastato dal suono della pioggia che sta diventando sempre più fitta.
-Hai qualcosa che mi appartiene, ragazzina.-
Ingoio a vuoto e stringo più forte il gilet al petto mentre inizio ad indietreggiare.
-E non è solo quello.-
Con un rapido spasmo del capo indica il suo indumento. Chiude la porta alle sue spalle e avanza lentamente.
Cavolo, dovrei essere terrorizzata -solo terrorizzata- invece mi sento persino euforica.
-Non ho preso nient’altro.-
-No, infatti. Perché sarò io a prendermi qualcosa di te. La tua vita, per esempio.-
Oh porca merda!
Euforica un corno! Adesso si che potrei farmela addosso!
-Sei arrabbiato?-
E so che dovrei darmela a gambe invece di provocarlo ulteriormente con una stupida domanda la cui risposta è esplicitamente ovvia, ma la lingua si è scollegata dal cervello. Forse sono i primi sintomi di un panico a scoppio ritardato. Boh!
-Credo che incazzato renda meglio l’idea.-
Ah..
-Non.. non l’ho rubato. L’ho solo preso come garanzia.-
-Il fatto che tu l’abbia anche solo toccato mi fa girare i coglioni.-
Addirittura! Manco fosse d’oro!
-E’ in buone mani.-
-Ah-Ah.-
Impreco mentalmente quando la schiena va a sbattere contro la credenza perché non ho nessun’altra possibilità di manovra. La struttura è piccola e non ho avuto, inoltre, nemmeno il tempo di orientarmi.
E di questo lui ne è consapevole. Sono i suoi passi pigri e sicuri a confermarlo. Non ha fretta di acciuffarmi perché sa di avermi in trappola da quando ha varcato la soglia.
-Conta fino a cinque, ragazzina.-
-Perché?-
-Perché sono i secondi che ti restano da vivere.-
Oh, andiamo! Non mi farebbe mai davvero del male. Vero?!
Eppure, quando scatta verso di me non ne sono poi così sicura. Urlo e cerco di slanciarmi verso sinistra ma Daryl mi afferra dai fianchi sbattendomi contro il suo corpo bagnato.
-Quali sono le cazzate che devi evitare per andare d’accordo?-
Non si preoccupa di alzare la voce per renderla minacciosa. Ha praticamente premuto le labbra contro il mio orecchio causandomi dei maledettissimi brividi. Lui non lo sa, ma questa è una zona erogena del mio corpo.
Il respiro mi è diventato pesante per due fattori: uno è automatico (purtroppo non posso regolare gli ansiti), l’altro è inevitabile (perché sono davvero incavolata per questo).
Ricordo perfettamente le stupide regole che mi ha recitato il pomeriggio scorso: non urlare, non scappare e non contraddire. Ed io, pensate un po’, le ho violate tutte.
Amen.
-Ti ricordo che non ho ancora fatto visita a Rick.-
Con una mano cerco di liberarmi almeno di una stratta ma la presa è di acciaio. Sembra che le sue dita siano incollate ai miei fianchi.
Lo sento ridacchiare e la vibrazione dalla sua gola si annida, per la seconda volta, direttamente al basso ventre.
-Cos’è? Un ricatto?-
-Una specie. Ora lasciami.-
Provo ancora a svincolarmi ma è solo uno spreco di energie.
-Certo, ma non qui.-
Che??
Mi avvolge un braccio alla vita e mi alza da terra dirigendosi verso la porta. Non.. non azzarderà buttarmi fuori?
-Daryl! Non ci provare nemmeno!-
-Hm-mh!-
Dio, quanto lo odio!
-Guarda che puoi dire addio alla libertà! Non ritirerò la denuncia. Anzi, aggiungici l’aggravante di sequestro di persona e tentato omicidio!-
-Tentato?!-
Ho già detto che lo odio?
-Vaffanculo!-
E con questo, mi lancia fuori -sotto una violenta pioggia che subito mi trafigge la pelle come aghi ghiacciati- sfilandomi dalle dita il suo amato gilet per indossarlo.
Al contrario di quel che credevo, non mi sbatte la porta in faccia, ma apre le braccia sostenendosi da entrambe le travi e mi osserva.
Purtroppo non riesco a capire quale espressione passi sul suo viso perché non posso avere una visuale pulita. Immagino ci goda a vedermi infreddolita e tremante.
Nessuno aveva mai osato farmi questo. Ma.. nessuno era stato capace di amplificare così pericolosamente le mie emozioni.
Nessuno eccetto il signor Dixon.
Sbattendo le palpebre in rapida successione per alleggerire la pesantezza delle ciglia, dimezzo di un passo. Lui non si muove.
Due. Tre. Quattro.
Rimane immobile anche quando gli sono sotto il naso. Non mi tocca, non mi spinge, non mi parla.
Semplicemente mi osserva dall’alto del suo metro e ottanta circa.
Grazie alla piccola tettoia, sono al riparo dall’acqua e finalmente posso osservare nitidamente il suo viso. Ma è come se lo vedessi per la prima volta. E’ come se chi ho davanti fosse un altro uomo perché anche lui ricambia la stessa occhiata.
Un paio di iridi, possono incasinare l’esistenza?
Abbasso le mie sul suo mento nascosto dai peli di una barbetta disordinata, e quasi a rallentatore mi sollevo sulle punte.
Dovrei buttargli un cazzotto sulla bocca per avermi buttata fuori, e non poggiarci sopra la mia.
Sì, perché è esattamente questo che sto facendo: gli sto toccando le labbra in uno sfioro timido e impacciato.
Probabilmente non ho il completo controllo delle mie facoltà mentali, non lo so, ma.. vi è mai capitato di desiderare qualcosa.. così, all’improvviso? Qualcosa che: ma scherzi? Neanche morta! E invece.. scatta un click che non sai neanche tu a cosa sia dovuto.
Forse è questione di chimica. Scientificamente dimostrata ma umanamente impossibile da capire.
Il fiato di Daryl mi lambisce uno zigomo con la stessa intensità di una carezza carnale; seppur egli ancora immobile, le reazioni del suo corpo mi rivelano che il contatto non gli è del tutto indifferente e questo mi da il coraggio di compiere la mossa successiva; poggiargli le mani sui fianchi, dove termina l’orlo della maglietta e inizia quello dei jeans.
Schiudo la bocca incastrando nel mezzo il suo labbro superiore e premo leggermente. E’ secco ma con l’umido della mia saliva e della pioggia non impiego molto ad ammorbidirlo.
Adesso, per l’inclinazione del mio viso, i nostri respiri s’insinuano l’uno nelle narici dell’altro in una condivisione intima.
Caspiterina, sto baciando Daryl Dixon nel bel mezzo del nulla mentre il mondo ci sta piovendo attorno!
Non mi sono nemmeno resa conto di aver chiuso gli occhi, né intendo aprirli, per cui la sua mano sul mio fondoschiena è un tocco inaspettato. La percepisco insicura ma l’attimo dopo mi spinge contro di sé mentre le sue labbra si risvegliano insegnando alle mie i passi per un vero e proprio bacio.
Il bacio più folle mai scambiato, dolce un istante e rude quello successivo.
Non che abbia molti termini di paragone, ma nessuno è mai riuscito a farmi provare caldo e freddo allo stesso tempo. Credo che baciare un uomo significhi proprio questo.
La lingua di Daryl si presenta alla mia in una carezza così decisa che mi spinge a piegare il capo all’indietro ma lui me lo tiene fermo infilando l’altra mano tra i capelli alla base della nuca.
Con le ginocchia tremolanti per un sovraccarico sessuale, impugno la sua maglietta emettendo un gemito che mi muore in gola. Sembra però che Daryl lo abbia risucchiato perché adesso è lui ad esternarlo con più impeto prima d’interrompe l’armonia delle nostre bocche.  
E adesso?

****


Le palpebre della ragazzina sono sigillate in una chiusura imbarazzata, reazione ben visibile anche sulle guance colorite.
Cazzo, ora come ora definirla ragazzina non so quanto possa essere credibile. Non per il suo timido e inaspettato assalto, ma per ciò che sto.. sentendo per lei. E, cioè, cosa? Una fottuta attrazione.
Già prima, quando l’ho vista con addosso il pantaloncino corto e la giacca di pelle, ho pensato fosse nata per montare la mia moto. Solo la mia moto. Ma è quando mi ha fottuto il gilet che ho capito di essere con la merda fino al collo: ragazzina più Triumph più gilet uguale connubio maledettamente perfetto.
Adesso, però, non so perché continua a rimanersene immobile con l’innocente visino raggrinzito in un’espressione drammatica.
-Hai la faccia di chi soffre di stitichezza.-
Ed ecco che solleva le ciglia puntandomi addosso i suoi occhioni blu. Non so se è più incazzata o imbarazzata.
-Sei un idiota!-
Con gli stessi pugnetti che stringono la mia maglia, mi dà uno spintone. O meglio, le lascio la soddisfazione di un colpo andato a buon fine indietreggiando di qualche passo fino a trascinarla con me all’interno della baracca. Mi scivola via dalle braccia e seguo con lo sguardo la sua marcia verso una delle due poltrone.
-Io non appoggerei il mio culo là sopra.-
La sento sospirare per poi vederla voltarsi nella mia direzione mentre incrocia le braccia.
-E perché?-
Sembra faccia fatica a guardarmi. A differenza di qualche minuto prima, non mantiene gli occhi fissi per più di cinque secondi.
-Ti sei pentita?-
Sento le budella contorcersi mentre attendo la risposta e questo è semplicemente ridicolo.
Cristo, anche la mia domanda lo è!
-Di cosa?-
-Lascia perdere.-
Sbatto la porta e mi siedo a terra, appoggiando la schiena sulla tavola. Recupero accendino e pacchetto di sigarette, e me ne infilo in bocca una.
Che razza di coglione sentimentale rischio di diventare?
Se ci fosse stato Merle mi avrebbe stritolato le palle.
 -No.-
Risucchio avidamente, ignorando lo spasmo che mi colpisce il torace, e getto fuori il fumo sollevando le ciglia sulla ragazzina che trovo accucciata contro la colonna di fronte.
-Sei uno stronzo, ma non mi sono pentita.-
La sua vocina si è ridotta ad un mormorio a malapena udibile mentre si abbraccia le gambe al petto.
Cazzo, è così minuscola e inoffensiva che proteggerla viene quasi istintivo, come se fosse una leggere naturale.
-Non devi andare più da sola a trovare tuo padre.-
La sua insicurezza sparisce sostituita dall’incredulità.
-Cavolo, neanche lui mi fa questo genere di paternale!-
Perché quasi certamente non è a conoscenza delle corse clandestine che consumano l’asfalto di questa zona.
E’ uno dei percorsi migliori; isolato e lontano dai centri urbani. Lo so io, lo sa quel figlio di puttana di Negan.
-E devi andare dallo sceriffo.-
Di sicuro lui riuscirà a trovare le parole giuste per convincerla. E’ sempre stato bravo con i discorsi, e se è stato in grado di tirare fuori dal giro un cazzone come me, beh.. con la biondina, non dico che sarà una passeggiata, ma non dovrà far cadere dal cielo tutti i santi.
-Ma la smetti?-
-Di?-
-Di impartire ordini!-
E privarmi del cipiglio che le compare quand’è davvero incazzata? No, che non la smetto.
-Non appena smetterà di piovere, ti accompagnerò io stesso.-
Mette su un broncio che la fa apparire ancora più piccola ma in compenso alza il medio.
-Contaci!-

****

Mezz’ora dopo, siamo alla centrale.
Anzi, sarebbe meglio dire che io sono nell’ufficio di Rick, Daryl è fuori a controllare che la sua piccola non abbia preso il raffreddore! Salire in moto con lui -e quindi abbracciarlo-, dopo quanto accaduto, non è stato imbarazzante come credevo, bensì naturale e intimamente giusto.
-Perfetto. Tutto risolto.-
Ricambio il sorriso gentile di Rick e cerco di non far cadere l’occhio sulla gocciolina di glassa che ha sul carnoso labbro inferiore. Devo ammettere, però, che non mi fa sbavare come invece sarebbe accaduto giorni fa. Questo perché, solo qualche ora prima, ho avuto il piacere (e il coraggio) di assaggiare delle labbra decisamente più sottili ma irreparabilmente irresistibili. E sapete cosa vuol dire questo, ragazze mie?
Che sono rovinata.
Provare attrazione per uno come Daryl Dixon, vuol dire attraversare i binari appena cinque secondi prima del passaggio del treno. Travolgente in tutti i significati che questo termine include.
-Beth?-
Per fortuna Rick mi distrae momentaneamente da pensieri che avranno modo e tempo d’incasinarmi la testa non appena sarò da sola.
-Devi promettermi una cosa.-
Mi guarda in modo così intenso e dolce che mi è impossibile non annuire.
-La prossima volta che vorrai andare a trovare tuo padre, dovrai farti accompagnare.-
Anche lui con questa storia?
-Non è stata la prima volta guidare da sola fino a lì! Si è trattata solo di una maledetta iella che il motore dell’auto si sia fuso nel bel mezzo del cammin di nostra vita!-
Cavolo, recitare la Divina commedia è meno noioso che ripetere sempre la stessa cosa!
Ho persino un mal di testa terribile. Quasi non ce la faccio a tenerla alzata.
-Non si tratta di questo. A differenza di quel che vede Daryl, so che sei una donna adulta e che sa badare a se stessa, ma quella è una zona pericolosa.-
Ma dice sul serio?
Ho percorso tantissime volte quella strada e non è mai successo nulla di grave. Beh, fino ad oggi.
E comunque non mi è sfuggito il suo ‘a differenza di quel che vede Daryl’. Dunque.. i due hanno parlato di me!
Bene. Benissimo.
Peggio di due comari!
-Me lo hai promesso, Beth.-
Veramente non gli ho promesso un bel niente, ma ha sollevato le sopracciglia puntandomi i suoi occhi così dolci e speranzosi che non posso far altro se non accontentarlo.
E in tutta onestà, non ho neanche la voglia e la forza di discutere.
-Okay?-
-Okay.-

-Hai ritirato la denuncia?-
-No.-
Gli rivolgo un sorriso fintamente affabile e lui risponde con un’occhiataccia. Ha capito che lo sto prendendo in giro.
Siamo nel parcheggio del mio condominio, ed è arrivato il momento più difficile di tutta la giornata: come cacchio lo saluto? Voglio dire.. faccio finta che chi lo ha baciato al casolare altro non era che una povera ragazza posseduta da Eros, o devo comportarmi da personcina matura quale sono e affrontare l’argomento?
-Daryl.. volevo ringraziarti.-
Porto una ciocca, asciutta e crespa, dietro l’orecchio e al tocco sento che è esageratamente caldo. Anzi, a dire il vero è tutto il corpo ad essere in fiamme.
-Ragazzina?-
-No, fammi finire.-
Caspita, riesco a malapena a respirare e a tenere gli occhi aperti, adesso.
-Ti ho baciato perché-
-Sei rossa.-
-Beh, non un è discorso semplice per una ragazza, sai?-
Mi sento improvvisamente leggera, come se stessi fluttuando nell’aria. Wow, che sensazione magnifica!
-Credo di desiderare un altro-
-Cazzo!-
Stavo per dire bacio, ma la sua imprecazione è l’ultima parola che sento prima di essere risucchiata dal buio.






Ps. Eccomi con un nuovo capitolo! :D
Interamente Bethyl!
(Grazie Serena. Questo è per te, so che apprezzerai. Alcune parti più di altre!)

Come sempre, ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite e chi spende due minuti per farmi sapere cosa ne pensa.

Un abbraccio e alla prossima!
   
 
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