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Autore: Pervinca95    16/02/2017    9 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo 3



















Quando Gea sollevò pesantemente le palpebre si rese conto che la sua schiena poggiava contro il tiepido sedile, e non contro un torace caldo.  
Fece leva sui palmi delle mani ed esplorò con lo sguardo oltre i finestrini. 
Il sole illuminava con premura ogni stelo d'erba, i quali risplendevano come punte di smeraldo su un letto di morbido velluto. Gli alberi tutt'attorno imprigionavano la luce nelle loro foglie, permettendo solo a pochi raggi di oltrepassare la cortina di fronde per accarezzare il suolo come le scarpette di una ballerina. 
Un piacevole dolore le strizzò la bocca dello stomaco, per poi discendere nella pancia. D'istinto si coprì l'intricato cerchio attorno all'ombelico. Le sembrò di sentirlo caldo, quasi pulsante come il disperato bisogno di uscire dal veicolo che le stava pian piano montando dentro. 
Spalancò lo sportello in un gesto impetuoso, desiderosa di togliersi i calzini e toccare coi piedi quella morbida erba che le pareva di udir sussurrare. 
Appena le sue dita entrarono in contatto col suolo, una vibrante scarica di sollievo le inondò il corpo, facendole spuntare un sorriso estasiato. 
E così prese ad avanzare. Passo dopo passo, quasi librandosi tra gli steli d'erba che ogni tanto si abbassava a sfiorare con i polpastrelli, seguendo un tragitto tracciato dall'istinto. 
Il cuore le batteva più forte ad ogni metro percorso, mentre l'impellenza di raggiungere la meta le faceva accelerare l'andatura. 
S'immise tra gli alberi, superò le loro solide radici prestando attenzione a non schiacciarle con violenza, deviò più volte, accarezzò ogni tronco percependo lo scorrere della linfa vitale al loro interno. Gli occhi ambrati le saettavano da una parte all'altra con frenesia, l'urgenza nel fiato corto, il motivo attorno al suo ombelico che bruciava come un tizzone estratto dal fuoco. 
E poi lo vide. Il suo istinto lo riconobbe prima della vista. 
Divorò i pochi passi che li separavano, incespicando su un ramo sepolto nel terreno umido del bosco. 
Il cuore le tamburellava con risoluta tenacia, le narici le si dilatarono mentre inspirava a pieni polmoni l'odore di terra fresca e corteccia. Il suo olfatto riconobbe una nota dolce in quel profumo che le risvegliava i sensi: un lieve sentore di pesca.    
Le sue pupille si spalancarono mentre, un piede in successione all'altro, distendeva un braccio in direzione del tronco. 
Alzò lo sguardo sulle sue fronde. I raggi di sole parevano brillare attorno ad una piccola gemma dischiusa, i cui fragili petali viravano dal bianco al rosa pallido. 
Gea chiuse gli occhi nel momento in cui i suoi polpastrelli lambirono la corteccia calda dell'albero. E così non vide la potente luce che si sprigionò da quel lieve tocco, ma la sentì scivolare attraverso il braccio e propagarsi nel corpo, snodarsi ed aumentare d'intensità mentre si attaccava alle sue particelle, mentre si concentrava attorno al suo ombelico. 
Ne voleva ancora. Ne aveva bisogno. Eppure, di secondo in secondo, il dolore cresceva. Lo stomaco le si contorceva come per l'effetto di un pugno, le tempie le pulsavano come martelli pneumatici, il fiato le si strozzava in gola provocandole un bruciore lungo la trachea. 
<< Togli la mano. >> Udì dire da un tono inflessibile e familiare. << Adesso. >> 
Riaprì gli occhi di colpo. La luce bianca le inondò la vista, ma la mano non ne voleva sapere di staccarsi. Ne era calamitata. E la sua mente era talmente annebbiata da non riuscire a ragionare, da non riuscire a capire cosa fare e perché. Sentiva solo quell'energia dolorosa e galvanizzante confluire nel corpo con crescente potenza, quasi rendendola sorda al resto. 
<< Stacca la mano. >> Sentì ripetere a voce più alta, stavolta con una nota nervosa a screziarla. 
Gea si piegò su se stessa, emettendo un lamento strozzato di dolore tra i denti. Le ginocchia le cedettero sotto il peso di quell'energia che continuava ad entrare nel suo corpo.
<< Togli la mano, Gea! >> Quel grido perentorio, pervaso di rabbia ed urgenza, le fracassò i timpani. 
Il suo cuore incrementò ulteriormente la velocità, rimbombandole persino sotto i piedi. E quel nuovo impulso aprì uno spiraglio nella fitta nebbia della sua mente, le smosse delle emozioni più forti di quell'energia che le piegava le gambe. 
Staccò le dita dal tronco. 
La luce si dissolse come un elastico che smette di essere tirato verso il suo estremo. 
Gea rimase inginocchiata a terra, il petto che si alzava rapido per incamerare ossigeno, le palpebre pesanti, la gola in fiamme, lo stomaco accartocciato dal dolore, le linee che circondavano l'ombelico brucianti. 
Udì dei passi farsi più vicini, finché con la coda dell'occhio non vide due anfibi neri sporchi di terriccio. 
<< Come hai fatto? >> le chiese Deimos, la voce più dura del solito. 
<< Cosa? >> tossì lei. 
<< Questo è un punto alfa. Ogni elemento ne dispone di uno soltanto, ed il tuo si trova a miglia da qui. >> Il ragazzo si accovacciò sui talloni e la trapassò col suo freddo sguardo. << Come hai fatto a generarne un altro? >>
Gea inclinò il capo per guardarlo, il collo che doleva ad ogni movimento. << Non lo so >> mormorò rauca. 
Deimos restò a fissarla per una decina di secondi, immobile come una statua ed in tensione come un cavo dell'alta corrente. << Alzati >> ordinò infine, eseguendo lui stesso quel comando. 
La giovane scosse piano il capo. Sapeva che non sarebbe riuscita a muovere un solo muscolo senza ricadere a terra. Le spalle già le tremavano per lo sforzo di sorreggersi. 
<< Se credi che ti porterò sulla schiena, ti sbagli >> l'avvertì severo lui, incrociando le braccia sul petto. La osservò ancora, gli zaffiri che di secondo in secondo s'incendiavano di rabbia, la mascella marmorea. << Hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno? >> ringhiò. 
<< Sto... male >> mugolò Gea. 
Deimos si mosse irrequieto, i nervi rigidi che si flettevano ad ogni chiusura a pugno delle mani. << Razza d'idiota >> sputò tra i denti, mentre si caricava sulla schiena la ragazza. 
Quest'ultima abbandonò la testa sulla sua spalla e chiuse le palpebre, troppo stanca per qualsiasi sforzo. 
Il freddo s'insinuò tra le sue ossa come un serpente strisciante, e così si strinse a Deimos quel poco che ancora le consentivano le forze. 
<< Tieni gli occhi aperti >> abbaiò lui, strattonandole un braccio per tenerla sveglia. 
Gea sollevò appena le palpebre, infastidita. << Voglio dormire. >> 
<< Non adesso. >> 
<< E quando? >> 
<< Mai. >> 
La giovane corrugò la fronte. << Io non ti capisco. >> Riabbassò il capo sulla sua spalla e richiuse gli occhi. Emise un flebile sospiro che le scosse il corpo di tremiti. 
<< Continua a parlare >> la esortò secco lui. 
Un mugugno incomprensibile sviò dalle labbra di Gea. Le doleva troppo la gola per riuscire ad articolare un discorso, e la mente era appannata da immagini, pensieri sconnessi, lontani echi, patimento. 
Il ragazzo digrignò un'imprecazione e teletrasportò entrambi alla macchina, troppo furioso per perdere altro tempo a camminare. 
Adagiò bruscamente Gea sul sedile del passeggero e si precipitò a cercare una bottiglietta d'acqua nell'ammasso di scarti sui tappetini posteriori. 
Ne acciuffò una, quasi stritolandola nella mano, la stappò e gettò tutto il suo contenuto in faccia alla ragazza. 
Gea sobbalzò lentamente, aprendo di poco gli occhi con fare sonnolento. Non ebbe neanche la forza di asciugarsi le gocce che le scendevano dal naso, dalle labbra, lungo il viso e giù per il collo. 
Deimos le si parò davanti, porgendole un braccio in modo sbrigativo. << Dammi delle scosse. >> Vedendo che la ragazza lo guardava confusa, abbassò la testa per portarla più vicina alla sua. << Muoviti >> aggiunse a denti stretti. 
<< Perché? Ti farò... male >> biascicò lei, scuotendo pianissimo il capo. 
<< Sbrigati >> sibilò intimidatorio, trafiggendola con un'occhiata dura. 
Si osservarono per qualche altro secondo, poi Gea appoggiò una mano sull'avambraccio del giovane e si concentrò sul richiamare una scossa elettrica di debole intensità. Ciò che ne scaturì, però, andò contro la sua volontà e le sue previsioni nebulose. 
Si dipanò una scintilla scoppiettante che ebbe sfogo con una scossa brutale. 
Deimos strinse la mascella e dilatò appena gli occhi, trattenne il fiato e lo rilasciò in un lungo sospiro dal naso. 
<< Io... non volevo >> balbettò Gea, bianca come un lenzuolo per l'orrore di avergli procurato dolore.   
<< Rifallo. >> 
<< Cosa? >> Gli occhi per poco non le scapparono dalle orbite. << No, no non voglio. Non riesco a controllarmi. Potrei ucciderti >> disse allarmata. Si prese la testa tra le mani e guardò per terra, gli occhi spauriti. << Non riesco a controllarmi >> espirò in un sussurro. Dopo la scossa inferta al ragazzo, la mente le si stava dipanando dall'umida ragnatela che prima tratteneva il caos impedendole di ragionare. 
Deimos le afferrò un polso e lo strinse forte, così da farle alzare gli occhi su di lui. << Dammene un'altra. Solo una ancora >> la incitò, gli zaffiri decisi, i muscoli rigidi. << Ma che sia violenta. >> 
<< Perché vuoi che ti faccia questo? >> gli chiese a voce bassa. 
<< Non ti ho detto di fare domande. Ti ho detto di darmi una scossa. >> 
Gea non staccò gli occhi dai suoi irrequieti. << Prima rispondi. >> 
Per una manciata di secondi lui si limitò a scrutare le sue familiari gemme ambrate, poi le agguantò una mano e se la collocò sull'avambraccio senza tante cerimonie. << Hai assorbito troppa energia, il tuo corpo non è in grado di contenerla senza danneggiare i muscoli e gli apparati vitali. Devi liberartene prima che il cuore smetta di battere per il sovraccarico. >> Digrignò i denti dalla rabbia. << Solo un idiota rischierebbe di uccidersi con le proprie mani mentre fa di tutto per non farsi ammazzare. >> 
Quando il cuore della ragazza iniziò a battere forte, quest'ultima pensò che il sovraccarico fosse alle porte. Ma non per l'energia assorbita, bensì per ciò che lui era disposto a sopportare per salvarle la vita. 
 << Potrei ucciderti >> ripeté con tono basso, stringendo la presa sul suo avambraccio. 
Deimos alzò di scatto gli occhi nei suoi. << Muoviti. >> 
Con un sospiro pieno di tensione, il palmo sudato e la mente invasa di paura, Gea si concentrò di nuovo sul produrre una scarica di bassa intensità. Ma, come prima, il risultato fu l'opposto. 
Il respiro di Deimos si spezzò e poi divenne tremulo, gli occhi chiusi per controllare meglio il dolore. Non emise un lamento, niente che potesse rendere esplicita la sua sofferenza. 
In realtà l'arto sottoposto a quella tortura aveva preso a formicolargli come se miliardi di sottili aghi gli stessero bucando la carne, lo spasimo non si interrompeva o decresceva neanche per un attimo. 
La ragazza ritrasse di scatto la mano. << Mi dispiace >> si disperò, il raccapriccio per ciò che aveva fatto nella lucidità delle sue gemme. << Mi dispiace. >>  
<< Nel tuo corpo circola ancora troppa energia >> asserì Deimos, tenendo il braccio destro, quello usato per sfogare la corrente, steso mollemente lungo il fianco. 
Gea concentrò l'attenzione proprio su quel particolare. << Muovilo >> disse alzando gli occhi su quelli di lui. << Muovi il braccio >> specificò deglutendo lava bollente. 
La paura di ciò che immaginava fosse successo le imperlò la fronte di sudore. 
<< Vestiti, ci teletrasportiamo >> tagliò corto lui, staccandosi dallo sportello per fare il giro della macchina. 
Gea scese dal sedile con un balzo, raccattò i pantaloncini, i calzini e le scarpe e se li infilò in fretta prima di raggiungerlo. 
<< Perché non lo muovi? >> gli domandò in ansia, osservandolo di spalle. << Ti fa male? Dimmi qualcos... >>
<< Dobbiamo andare >> la interruppe, voltandosi per acciuffarle un polso con la mano sinistra. 
La ragazza si scansò in preda alla rabbia e scosse la testa con violenza. << Alza il braccio! >> gridò esasperata, una stretta faglia si aprì vicino ai suoi piedi. << Smettila di sviare il discorso! >> Le fronde degli alberi ulularono, i loro rami si scontrarono generando degli schiocchi simili a spade di legno che si sferravano fendenti. 
Il blu profondo degli occhi di Deimos si fece talmente freddo da apparire trasparente come una lamina di ghiaccio. << Tra poco potrò muoverlo. Adesso no >> rispose tagliente. 
Le pozze ambrate di Gea si sgranarono per il colpo causato dalla consapevolezza di essere lei l'artefice di quella sofferenza. 
La terra iniziò a tremare come le sue spalle, ed i ciuffi d'erba si appiattirono sul suolo in una posa piena di vergogna. 
Odiava il solo pensiero di potergli fare del male, e vedere con i suoi occhi cos'era riuscita a infliggergli la devastava. Tutto perché non era stata capace di staccare la mano dal suo punto alfa, tutto perché era stata avida, perché aveva pensato a se stessa invece che a lui, quando lui non ci aveva pensato due volte a mettere lei al primo posto. 
<< Andiamo >> le ordinò spazientito, allungando di nuovo il braccio sinistro. 
Gea si ritrasse in tutta fretta, impaurita del contatto. << Non mi toccare. I miei poteri sono fuori controllo, non voglio farti male. >> Il terrore di non riuscire a gestirsi e di rappresentare una minaccia per la vita di chiunque si trovasse nei paraggi, le strozzò la gola. 
Si guardò intorno col fiato grosso e lo sguardo allucinato. Si rese conto solo in quel momento che la macchina era scossa dalle onde sismiche che si irradiavano da lei, che i rami degli alberi si contorcevano senza spezzarsi come rampicanti sul soffitto del cielo, che i cespugli sbattevano le foglie da una parte all'altra come fruste, che i sassi saltavano su un terreno a tratti percorso da scariche elettriche. E poi i movimenti di tutto il mondo si interrompevano, riprendevano l'attimo successivo, poi il tempo si congelava ancora, ripartiva. 
<< Mio Dio >> sussurrò Gea, le labbra tremolanti. << Che mi sta succedendo? Non... non riesco a fermarlo. Non so... >> 
<< Finiscila con questi piagnistei >> la interruppe bruscamente Deimos, muovendo un passo deciso nella sua direzione. << Non vedi che più ti agiti più peggiora la situazione? Usa il cervello, controlla la mente, non i poteri >> la spronò col tono di un sergente, gli zaffiri incastonati nei suoi occhi spalancati. 
E poi, di colpo, il ragazzo si voltò a trafiggere un'ombra apparsa dietro la vettura. Ne avvertì il potere con minore nitidezza, essendo che quello della giovane davanti a sé era così fuori controllo da ottenebrare la sua percezione. 
<< Che ci fai qui? >> chiese, l'inflessione scortese nella voce. Gli seccava quell'intromissione e ci teneva a renderlo palese. 
La testa di Ninlil sbucò davanti alle turbinose pozze d'ambra di Gea, che trattenne il respiro per il timore di poterle fare involontariamente del male.
<< Ho sentito il suo potere. È talmente forte che non mi ci è voluto nulla a localizzarla da chilometri di distanza >> rispose al ragazzo. << Che cosa sta succedendo? Si riesce a stare a malapena in piedi >> aggiunse guardandosi attorno con circospezione. Infine piantò lo sguardo su Gea. La scrutò minuziosamente, inclinando la testa di lato. Alcuni ciuffi corti e castani le ricaddero sugli occhi grigio scuro, stretti a fessura per lo sforzo di capire. 
Deimos sputò un'altra imprecazione e scagliò tutta la sua attenzione sulla giovane dai lunghi capelli dorati. << Dobbiamo andare. Finiremo per attirare gli altri due elementi. >> Le afferrò un lembo della maglietta e lo strinse nel pugno, per poi avvicinarla piano senza toglierle gli zaffiri di dosso. Gea alzò il capo e annuì, le labbra dischiuse per lo sforzo d'incamerare ossigeno, la fronte madida di sudore. 
Ninlil si rizzò dritta, sull'attenti, con ampie falcate divorò i metri che la separavano dai due ragazzi. << Vengo con voi >> affermò appoggiando la mano sulla spalla di Deimos. 
Il ragazzo le lanciò solo un'occhiata fredda, poi scomparvero.  





                                                                     *  *  *





Gea si curvò su se stessa mentre muoveva gli occhi per esplorare l'area circostante. 
Era stanca, il tremito le si era intessuto alle ossa come rampicanti di corrente elettrica, la testa le pulsava talmente forte da piegarle le gambe, il respiro sempre più affrettato. 
Sentiva il proprio corpo straziato internamente, prossimo al punto di rottura. 
Deimos le prese il mento fra le dita e le issò il capo in modo rude. I loro occhi si scontrarono, quelli del ragazzo la studiarono con smania. << Rispondi agli attacchi, libererai energia. >> Un angolo delle sue labbra si increspò in un sorrisetto. << Consideralo un allenamento. >> 
Gea annuì accennando un debole sorriso. 
<< Se siete d'accordo mi proporrei io come allenatrice >> intervenne Ninlil, guardando prima uno e poi l'altra. << Prometto che sarò delicata, non voglio farti del male Gea. >> 
Deimos fissò a lungo l'incarnante dell'aria, soppesando cautamente la proposta, poi dirottò tutta la sua attenzione sull'altra ragazza e le rivolse un cenno del mento in una muta domanda. 
Quest'ultima annuì ancora, le mani appoggiate alle ginocchia. Si costrinse a raddrizzare la schiena e a girare il collo verso Ninlil. << Stai attenta però, non riesco a controllare i miei poteri. Potrei farti molto male. >> 
La giovane alzò il pollice con un sorriso amichevole. << Non ti trattenere. >> 
Deimos lanciò un'ultima occhiata di monito a Gea, dopodiché si teletrasportò a metri di distanza da loro, di spalle ad una parete di roccia. 
Quel luogo, in realtà, era un misto di roccia solida e sabbia immacolata, terra granulosa e sconnessa, lava condensata in massi scuri simili a piombo e tufi sparsi a perdita d'occhio. 
Gea si distanziò di qualche passo da Ninlil per sorreggersi ad una roccia. Il dolore che le stava facendo perdere la testa era interno e viscerale. Come se tutti i muscoli e gli organi si stessero spremendo per espellere il sovraccarico assorbito. 
<< Iniziamo >> annunciò l'incarnante dell'aria, d'un tratto seria. I suoi occhi grigi si concentrarono sulla giovane davanti a lei. Registrarono ogni suo sollevamento del petto, ogni suo battito di ciglia, ogni particolare che le potesse tornare utile per sviluppare un piano d'attacco. 
Mosse una mano, dal basso verso l'alto. Un leggero vento caldo si sollevò da terra.  
Gea abbassò le palpebre per un istante, colta da un debole senso di sollievo sulla pelle fredda e sudata. Ma quel piacevole tepore divenne man mano più opprimente. Le vorticava attorno come una parete di vapore tanto densa da non filtrare ossigeno. 
Le sue narici si dilatarono per incamerare aria, la bocca si spalancò con urgenza, gli occhi si sgranarono alla disperata ricerca di uno sfogo. 
Si artigliò la gola con le unghie e tossì violentemente. Quel gesto le sconquassò la cassa toracica dallo spasimo ed un lamento gutturale simile ad un ringhio le rotolò fuori dalle labbra. 
Scosse forte la testa e lanciò un urlo tormentato. Non riusciva a respirare. Gli occhi le bruciavano per quanto erano spalancati dallo strazio. Il cervello faticava a mantenere il contatto con l'esterno, tutto ciò su cui il suo istinto di sopravvivenza era focalizzato era la vitale ricerca di ossigeno.
Deimos, da lontano, serrò le mandibole tanto forte da farle sembrare incollate. Vide la giovane dai capelli dorati cadere sulle ginocchia e scuotere il capo energicamente, poi alle sue orecchie giunsero nuove urla pregne di disperazione. 
Persino da quella distanza avvertiva con estrema perfezione la paura della ragazza. Ne sentiva il sapore amaro e bruciante sulla punta della lingua, quel sapore che aveva sempre apprezzato con crudele goduria. 
In quel momento ne fu nauseato. 
Gea batté un pugno per terra mentre con l'altra si stringeva la gola. 
Sul volto di Deimos si scolpì un mezzo sorriso, perché un attimo più tardi enormi massi si deflagrarono secondo il moto concentrico delle onde sismiche che sfrecciavano al di sotto.
Intorno alla ragazza si innalzò un igloo di roccia che la protesse dalla spirale di vento soffocante. Finalmente inspirò a pieni polmoni, saziandosi d'aria con avidità. 
Ninlil abbassò il braccio e sorrise soddisfatta. Ammirava quella ragazza dai grandi occhi dorati. Era dotata di una forza di volontà e di una tenacia di cui neanche si rendeva conto. Per questo aveva persistito a rendere l'aria più irrespirabile, perché sapeva che non avrebbe mollato. 
L'igloo di pietra si sgretolò lentamente, rivelando la figura di Gea, adesso in piedi con lo sguardo rivolto a lei. 
<< Come ti senti? >> le chiese l'incarnante dell'aria. 
La ragazza abbozzò un sorriso malgrado il respiro pesante. << Pronta a tutto. >> 
Ninlil stese le braccia e si sgranchì le dita con una smorfia scherzosa. << Allora stai in guardia. Arrivo, sorella. >> 
Un istante dopo era scomparsa, dissolta nel suo elemento. 
Gea rimase immobile e trattenne il fiato per prestare attenzione al minimo spostamento d'aria nei paraggi. Attorno imperava il silenzio, eccetto che per il suo respiro ed il battito cardiaco contro le tempie che rischiava di frastornarla. Ma sentiva la mente più sgombra e lucida rispetto ai minuti prima. Più disperdeva energia tramite lo sforzo fisico e mentale, più il suo corpo ed i suoi poteri reagivano ai comandi.
Le sue pupille si dilatarono appena prima che si abbassasse sulle ginocchia per schivare un colpo dietro il collo. Un fulmine squarciò il cielo al battito violento del suo cuore. Si girò in fretta ed afferrò Ninlil per il gomito, torcendole il braccio dietro la schiena per immobilizzarla. 
La giovane col caschetto sorrise e le pestò un piede con forza, successivamente le assestò una manata contro la coscia per liberarsi. 
Gea si ritrasse saltellando sul piede sano e si accarezzò la gamba colpita respirando tra i denti a causa del bruciore. 
Ninlil rise della sua espressione accigliata. << Mi perdoni? >> 
L'altra increspò le labbra in un sorriso furbo e si lanciò di corsa verso la sfidante. Prima che questa potesse scomparire nell'aria, le spalancò una buca poco profonda sotto i piedi in modo da destabilizzarla. 
E così fu. Ninlil perse l'equilibrio e scivolò sul suolo, ma prontamente rotolò di lato e si rialzò per parare il tiro mancino di Gea. Dopodiché svanì nel nulla, mandando nel vuoto il suo calcio. 
Le riapparve alle spalle. Le appoggiò una mano alla base della schiena e sprigionò una palla di vento che la sbalzò per aria. Gea gridò di sorpresa e si schiantò a terra con una tale velocità che Ninlil non fece in tempo a generare una corrente che le ammortizzasse la caduta. Nel cielo terso saettò rapida una scarica elettrica che fece scoppiare un boato nell'ambiente.
Deimos assistette all'impatto di Gea con una disposizione emotiva apparentemente immobile, impassibile. Ma dentro, dentro la sua cassa toracica, il cuore freddo si era fermato per un attimo. Forse più a lungo. Poi aveva ricominciato a battere insieme al lento respiro che gli era uscito dal naso. 
I suoi occhi blu si riempirono del corpo riverso a terra di Gea. Non batterono ciglio finché non la videro issarsi con fatica sui palmi ed alzare un pollice in aria. 
Osservò come, immediatamente dopo, le sue spalle venissero scosse dalle risate sempre più rumorose che si stava facendo. 
Si ritrovò a pensare che la botta le avesse fatto saltare qualche rotella del cervello. 
Ninlil le si accovacciò accanto e la studiò dubbiosa, probabilmente chiedendosi la stessa cosa di Deimos. 
Poi Gea si gettò distesa sulla schiena e portò le mani sulla pancia, continuando a ridere. << I believe I can fly. I believe I can touch the sky >> intonò dondolando le braccia da un lato all'altro. Scoppiò a ridere, trascinando con sé anche Ninlil e facendo spuntare un sorrisetto a Deimos. 
<< Ti senti bene? >> le chiese apprensiva l'incarnante dell'aria. << Mi dispiace, non volevo sbalzarti così. >> Abbassò gli occhi sul suo zigomo sinistro e la guancia, poi scese a controllarle le braccia e la gamba sinistra. << Sei piena di graffi e tagli >> constatò, il tono basso e colpevole. 
Gea scosse il capo. << Non c'è problema. >> Si sollevò a sedere e le sorrise. << Per quanto suoni assurdo, mi sento molto meglio. Dai, continuiamo >> dichiarò energica, alzandosi in piedi con un balzello. Tese una mano verso l'amica, che la stava scrutando con un misto di stupore e stima, e l'aiutò a rimettersi dritta. 
<< Che ne dici di una corsa ad ostacoli? >> propose con un sorriso di sfida. << Gli ostacoli li creeremo insieme via via. >> 
Ninlil annuì con entusiasmo. << Sembra divertente, ci sto. >> 
Si sistemarono l'una accanto all'altra, le ginocchia piegate e le scarpe ben piantante sul terreno di ciottoli che rumoreggiava al minimo movimento. Entrambe si guardarono. 
Gea sentiva l'adrenalina montarle dentro come lava lungo il cono vulcanico. Le spuntò un sorriso ilare, perché quella sensazione le piaceva. Le piaceva da matti, la faceva sentire viva e piena di energia. 
Ninlil le rivolse un sorriso complice. << Perciò... pronti, partenza... >> 
<< Via! >> esclamò Gea, catapultandosi in avanti. 
L'aria le accarezzò il viso, mandandole i capelli indietro e rinfrescandole il collo sudato. Saltò in prossimità di un masso e deviò dinanzi ad uno molto più grosso, poi scese lungo un pendio talmente friabile che perse l'appiglio e lo concluse distesa su un fianco. 
Ma nonostante il bruciore della pelle tagliuzzata, non si perse d'animo e balzò in piedi dandosi la spinta per ripartire. 
Osservò la salita che l'aspettava, anch'essa cosparsa di tufi piccoli e poco saldi sotto le scarpe. Diede un calcio ad alcuni di essi. La parete di tufi si assemblò in una scala a gradoni scura e massiccia. 
La scavalcò a grandi passi e riprese a correre. Adocchiò Ninlil che procedeva spedita poco più avanti, così batté forte un piede al suolo e costruì un muro di roccia sul suo tragitto per sbarrarle la strada e farle perdere qualche secondo. 
Ridacchiò divertita quando l'incarnante dell'aria per poco non ci si schiacciò contro. Quest'ultima si voltò a cercarla con lo sguardo e le sorrise competitiva. Poi, con una devastante folata di vento, distrusse la parete. I pezzi di roccia saettarono per metri e metri prima di sprofondare a terra con brutali schiocchi. 
Gea aggirò una buca di sabbia e divorò la terra sotto i piedi con una corsa sfrenata. Le venne da ridere, perché si stava divertendo. 
Le era sempre piaciuto correre, godere del vento contro la faccia, acquisire consapevolezza della potenza dei muscoli, sentirli fremere e dolere ad ogni passo, riempirsi il petto d'aria fresca. 
Tutte quelle sensazioni, più e meno piacevoli, le avevano sempre dato una carica adrenalinica portentosa. In quei momenti si convinceva di essere abbastanza forte per tutto, di essere invincibile e senza limiti. Di essere più capace di quanto i suoi genitori la credessero. 
Avvertì una pressione contro il petto che la sospinse indietro. Le suole sfregarono contro i sassolini e le ginocchia le si piegarono. 
Ninlil stava cercando di rallentarla. 
E così Gea si mise a correre all'indietro, facendosi condurre da quella ventata dispettosa. Ma d'un tratto ruotò su se stessa e sterzò bruscamente di lato, liberandosi dalla pressione. 
Riprese a correre, mostrando la linguaccia a Ninlil che le stava applaudendo con ironia. 
L'incarnante dell'aria si trovava circa due metri dietro di lei, eppure Gea, per scherzosa vendetta, generò un cratere sul suo percorso. 
Ninlil lo scavalcò affidandosi al proprio elemento. Si librò in aria per poco e ripiombò a terra, adesso molto più vicina a lei. 
Dopo poco furono una accanto all'altra, i loro gomiti quasi si sfioravano. 
Si guardarono, gli occhi accesi di divertimento e complicità. 
Dopodiché Gea focalizzò lo sguardo davanti a sé. Si illuminò a guardare quella distesa baciata dal sole, il modo in cui ogni sasso brillava verso il cielo terso, il modo in cui tutto coesisteva perfettamente, e poi allargò il campo visivo sul maestoso vulcano che si ergeva alla sua destra. Dentro al petto le si espanse un calore dettato dalla gioia. 
Il suo battito cardiaco sembrava accordato su quello della terra. 
E così aumentò. Aumentò. Il suolo tremò per un attimo, come un palpito. Riprese quello successivo. Si rifermò. Poi vibrò di un altro battito. 
Ninlil guardò per terra, impressionata da quell'evento. Deimos si teletrasportò in un altro punto per continuare a seguire Gea con lo sguardo. 
I battiti della terra incrementarono d'intensità, esattamente come quelli della sua incarnante. E poi Gea rise. I sassi saltellarono come pop corn scoppiettante, generando un rumore simile ad una risata. 
Ninlil arrestò il passo per osservare sconcertata l'amica. E questa, proprio in quel momento, proprio mentre il suolo sembrava cantare e rombare, mentre il cielo tuonava note delicate, mentre fili di elettricità cesellavano il terreno lasciando le loro impronte, abbassò un braccio. Con le dita sfiorò i ciottoli, e poi lentamente sollevò la mano davanti a sé. Fu un gesto armonioso, come quello di un direttore d'orchestra che batte il tempo per i suoi musicisti. 
Dalla terra tremolante si generò un trampolino largo e robusto. 
Gea velocizzò il passo, divorò gli ultimi metri sotto le suole consumate. Scalò il trampolino, il cuore impazzito, e si lanciò nell'aria. Continuò a muovere le gambe come se stesse correndo, agitò le braccia nel vuoto. Il vento le schiacciava quasi il respiro, ma questo non le impedì di urlare dall'emozione. 
Si sentiva dannatamente bene. La sua mente era sgombra e lucida malgrado l'azione avventata. Perché possedeva il controllo di sé, dei suoi poteri. Percepiva la sicurezza che le donava la terra, se ne sentiva rassicurata e cullata. 
Un'alta pedana discendente fino al suolo si eresse sotto i piedi di Gea. E così lei scivolò giù piano, dimezzando man mano la velocità per evitare di schiantarsi. 
Quando si fu fermata appoggiò le mani alle ginocchia e si piegò su se stessa, il fiato corto e gli occhi sgranati dal miscuglio di adrenalina e sensazioni che stava provando. 
Ninlil la raggiunse immediatamente e per un po' si limitò a fissarla. Poi scoppiò a ridere e si buttò su di lei per abbracciarla. La ragazza dai lunghi capelli dorati rise e le circondò i fianchi con un braccio. 
<< Adesso crederai che sono pazza >> affermò divertita. 
<< Lo credevo già prima, non ti preoccupare >> scherzò Ninlil, distanziandosi per fare spallucce. Le due risero ancora. 
<< Hai disperso abbastanza energia >> proruppe Deimos, apparso improvvisamente vicino a loro. Sondò i grandi occhi di Gea, trovandoli luminosi e stanchi. 
Quest'ultima gli sorrise felice. << Sono stata brava quindi. >> 
<< Non direi >> la freddò lapidario. Gli zaffiri erano seri e di un blu talmente intenso da  farle sentire quello sguardo persino nelle ossa. << Non ti saresti mai dovuta ridurre in quelle condizioni >> aggiunse in un secco rimprovero. 
Gea non perse il sorriso. << Imparerò. >> 
<< Sarebbe l'ora. >> 
Ninlil li osservava incuriosita, con un piccolo sorriso mentre spostava gli occhi da l'uno all'altra. Pensò che fossero una strana coppia, ma al contempo perfettamente bilanciata. Lui imperscrutabile e duro, lei un libro aperto e sensibile. Lui spietato e freddo, lei compassionevole e dolce. Cozzavano su ogni aspetto, ma da ogni scontro maturavano scintille di sentimenti, e non pretesti d'odio. 
<< Che ne dite di venire a casa mia? >> propose entusiasta. << Vivo nell'Oregon, non troppo distante da dove avete lasciato la macchina. Potrete rimanere quanto volete e nel frattempo avremo la possibilità di fare il punto della situazione sugli altri due elementi. >> 
Gea la guardò con una luce speranzosa negli occhi. << Ma sei sicura di avere posto per noi? >> 
<< Oh sì >> rispose prontamente. << Di questo non ti devi preoccupare. Quando fu costruito il condominio mio nonno comprò due appartamenti sullo stesso pianerottolo, nella speranza che un giorno andassi a vivere accanto a loro. Il vostro sarà un po' piccolo, ma è confortevole. Io vivo con mia nonna nell'altro appartamento. >> Sorrise. << Saremo separati solo da uno zerbino e due metri. >> 
Gea si accese come una lampadina, perciò si voltò a cercare il consenso di Deimos, il quale la stava già fissando. 
<< Sei d'accordo? >> gli chiese con il respiro ancora affrettato. 
<< No >> asserì lui, ignorando la delusione negli occhi della ragazza. << Acqua e fuoco sono sulle vostre tracce, e voi al momento siete come due punti luce sulla loro mappa percettiva. Farvi stare insieme non fa che agevolare la loro ricerca, sapranno dove venirvi a trovare. >> 
<< Percepiscono i nostri poteri anche se siamo separate >> ribatté Ninlil. 
<< Ma con minore intensità, il che dilata il loro tempo di ricerca e favorisce voi >> spiegò il ragazzo, l'inflessione severa. << Potrete incontrarvi solo a miglia di distanza da loro, possibilmente con un oceano di mezzo, come in questo momento. Da qui non possono avvertire la vostra presenza. >> 
Gea si tirò su dritta. << Perché non stabiliamo dei giorni ed un orario in cui trovarci qui? Potremmo allenarci insieme e scambiarci informazioni, magari anche meditare un piano d'attacco. Non potremo nasconderci per sempre, perciò tanto vale sfruttare il tempo che abbiamo a disposizione per diventare più forti. >> Forse era l'adrenalina ancora in circolo che la faceva parlare, ma per la prima volta da che aveva scoperto di essere l'incarnante della terra sentiva di avere una possibilità se solo si fosse impegnata con dedizione e coraggio. La paura dell'insuccesso era ancora lì, proprio dietro l'angolo, ma in quell'istante si costrinse a non svoltare per incontrarla. 
Ninlil soppesò la proposta con brevi cenni del capo. << Sì, ci sto. >> Allungò un braccio verso Gea ed incurvò le labbra in un sorriso. << Non ci arrendiamo. >> 
La giovane dai lunghi capelli dorati le strinse la mano e sorrise. << Combattiamo. >> 
<< Mi piace, sai? Potrebbe diventare il nostro motto >> meditò Ninlil, spiritosa. << Non ci arrendiamo, combattiamo. >> 
Gea rise e rivolse l'attenzione a Deimos. << Ora sei d'accordo? >> 
<< Sì, ad andarmene. >> Un attimo dopo le toccò la spalla e tutti e tre scomparvero. 





                                                                      *  *  *





<< Ti posso curare il braccio? >> chiese Gea al ragazzo, mentre procedevano spediti sull'autostrada per Hillsboro. 
Era passata l'ora di pranzo, il sole svettava nel cielo come un imperatore sul proprio trono e una fresca brezza entrava dal finestrino abbassato della ragazza, scompigliandole i capelli che aveva stretto in una bassa coda laterale. 
Era da un po', precisamente un'ora, che non riusciva a staccare gli occhi da Deimos. Per meglio dire dall'unico braccio, quello sano, con cui teneva il volante. L'altro era mollemente appoggiato sul cambio, in una posa disinvolta che non tradiva sofferenza. 
E quella era circa la terza volta che gli riponeva la domanda, solo che lui evitava di risponderle o le scagliava addosso qualche occhiata impassibile e scura. 
Anche quella volta non fu diversa. 
Gea alzò gli occhi al cielo e sbuffò dal naso, per poi voltarsi a guardare fuori dal finestrino. Incrociò le braccia sul petto con stizza, le labbra arricciate. 
Stranamente dopo aver disperso energia non si sentiva affatto debilitata. Stanca sì, ma non priva di forze e poteri come la prima volta. Aveva persino potuto provvedere a guarirsi le ferite causate dallo scontro con Ninlil. 
Ma più di tutto le premeva risanare il braccio malmesso di Deimos. Non poteva sopportare la consapevolezza di avergli fatto del male, seppur senza volerlo. 
In realtà si sentiva in colpa. Perché nel momento in cui lui le aveva ordinato di dargli una seconda scossa lei lo aveva fatto. Aveva, sì, tentato di calibrarsi, ma non si era tirata indietro. Lo aveva esposto ad un pericolo ed un rischio enormi. 
Adagiò la nuca contro il sedile e diede una sbirciata al ragazzo. 
Lo fissò a lungo, chiedendosi che cosa gli frullasse nella testa, quanti passaggi della sua vita le tenesse ancora nascosti. Poi non ce la fece più a trattenersi, la punta della lingua quasi le bruciava. 
<< Sei arrabbiato con me, vero? >> esordì incalzante. << Lo so, sono stata stupida. Avrei dovuto fermarmi e non incamerare troppa energia, ma non ce l'ho fatta. Non riuscivo a ragionare e nemmeno a rendermi conto di quel che stavo facendo. Vuoi che lo ripeta? Sono stata stupida >> concluse con uno sbuffo. << Ora potresti farmi curare il tuo braccio? >> 
<< Almeno lo riconosci >> pronunciò schernente lui. 
L'inflessione nel suo tono accese una miccia nella ragazza, che si sporse dal sedile per infilzarlo con un'occhiata truce. << Ti ho già detto di sì. Ma vogliamo parlare di quanto sia stato idiota tu, invece? Ti sei fatto dare due scosse del tutto inutili. >> 
Un lampo di rabbia saettò negli zaffiri di Deimos. Strinse la presa attorno al volante e contrasse la mascella. << Sì, se si considera per cosa l'ho fatto >> sputò sprezzante. 
Gea ritrasse la testa e sbatté rapidamente le palpebre. Il cuore le stava picchiando forte contro il petto, perché con quelle parole le aveva appena detto che la sua vita era inutile. Per l'ennesima volta, proprio come ai primi tempi. 
<< Intendevo dire che ci saremmo subito potuti teletrasportare altrove, ma grazie. Mi fa piacere notare che la tua opinione è rimasta la stessa. Tipico di un idiota >> commentò raccogliendo le gambe al petto, quasi a voler creare uno schermo dalle sue parole.
<< Se parli tanto per dare aria alla bocca evita di farlo >> disse lapidario. 
<< Perché starei dicendo un mucchio di cavolate? >> ribatté infervorata, indicandosi. << Hai ragione, preoccuparsi per te lo è >> gettò fuori. << Tanto cosa ricevo indietro? Non mi rispondi, eviti persino di guardarmi, quando apri bocca mi insulti. Perché dovrei farmi tanti problemi per te? Se sei contento così, tieniti il braccio in quel modo. >> Spedì lo sguardo oltre il finestrino e si strinse più forte le gambe. 
La rabbia le ribolliva nello stomaco, incendiandole i pensieri. 
Gli era grata per ciò che aveva fatto per lei, ma non tollerava il suo atteggiamento indisponente ora che gli aveva chiesto di sistemargli il braccio. Più lui si comportava in quel modo, più lei si sentiva in colpa. 
Deimos espirò piano, gli zaffiri incastonati sulla strada. Con la coda dell'occhio notò che i frammenti di cemento sulle corsie saltellavano, smossi dall'umore infiammato della ragazza. 
Per un po' non volò una mosca, l'abitacolo era sprofondato nel più teso silenzio. 
Poi, d'un tratto, lui colpì forte il volante con il palmo della mano. << Non sai un accidenti di quello che dici >> sbottò rivolgendole una breve occhiata che avrebbe fatto scappare chiunque. 
Gea sollevò un sopracciglio. << Sai com'è, tu eviti di rispondere ad ogni domanda. >> 
Lo sguardo del ragazzo divenne affilato come la lama di un boa. << E tu non perdi tempo a costruirti una versione dei fatti che sia verità immutabile. >> 
Lei si accigliò ed alzò le braccia, esasperata. << Ho semplicemente detto che non ti saresti dovuto sorbire due scosse se solo ci fossimo spostati altrove. >> 
Deimos scosse il capo con un sorrisetto derisorio. << Sei una gran presuntuosa. >> 
<< Come, scusa? >> La ragazza spalancò gli occhi con palese scetticismo. << Ma ti sei mai sentito? Tu sei il sinonimo in carne ed ossa della parola presuntuoso. >> 
<< Credi di poter giudicare le mie scelte in base alle tue assurde supposizioni? Vuoi insegnarmi come e quando usare il teletrasporto? >> sciorinò lui in fretta e con forte nervosismo, prima di dare un rude colpo al cambio per uscire dall'autostrada. << Non hai capito proprio niente. >> 
Imboccò la corsia di scolo, percorrendola a gran velocità, e prese per una cittadina di cui Gea non fece in tempo a leggere il nome, ma era sicura che non fosse Hillsboro. 
<< Dove stai andando? >> gli chiese ansiosa, guardandosi attorno. 
Lui non rispose, continuò a procedere spedito. 
La ragazza incastrò i grandi occhi sul suo profilo e gettò i piedi sul tappetino. << Ferma subito questa macchina >> ordinò in un sibilo. 
Deimos sembrò non sentirla nemmeno, in compenso pigiò sull'acceleratore e cambiò marcia. Poi, prima che Gea esplodesse in uno sfogo di rabbia, virò verso un parcheggio semivuoto. Immise l'auto in uno dei tanti posti liberi e spense il motore bruscamente, tanto da far balzare la vettura in avanti. 
Staccò le chiavi dal quadro e le lanciò in grembo alla ragazza. << Cavatela da sola >> disse freddo, il blu degli zaffiri quasi nero dalla furia. << Saprai fare le scelte più giuste, non quelle di un idiota. >> Detto ciò, scese di macchina e sbatté violentemente lo sportello. 
Gea ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi prima che il suo cervello, ed in particolar modo il suo cuore, le comandassero di uscire di volata dall'auto. 
Raggiunse un lato del cofano ed incuneò le gemme ambrate sul viso duro del giovane. 
<< Ti stai comportando come un bambino >> sbraitò severa. 
Lui la raggelò con un'occhiata. << Non sono mai stato bambino, non so che significhi comportarsi come un marmocchio >> sputò tra i denti, i muscoli rigidi e tesi. 
Quelle parole colpirono Gea dritte nello stomaco. Per un attimo le fecero persino dimenticare perché fosse tanto arrabbiata. 
Erano parole dure e piene di rabbia, ma più di tutto fragili. Così umane che era certa non gliele avrebbe mai sentite pronunciare. 
Ed invece eccole lì, sospese in un litigio di cui non ricordava più l'origine. 
Abbassò il capo, ma senza dimostrarsi provata da ciò che aveva detto. Sapeva che se solo gli avesse mostrato cosa le stava turbinando nella testa e nella pancia, lui l'avrebbe scambiata per pietà e si sarebbe chiuso a guscio. 
<< Non volevo dire che sei un idiota >> affermò con un sospiro. << Mi dà fastidio sapere di averti fatto del male. Me la sono presa con te perché ce l'ho con me stessa. >> Alzò gli occhi e incontrò quelli di Deimos che la fissavano impassibili, la mascella ancora granitica. 
<< Non avremmo fatto in tempo a teletrasportarci, vero? >> proseguì lei, il tono basso.
Gli zaffiri cupi del ragazzo rimasero taglienti. << Saresti morta prima di toccare un suolo diverso >> replicò secco. 
<< E perché non mi hai fatto disperdere energia con un combattimento immediato? >> 
<< Avresti attirato gli altri elementi come miele >> si sforzò di spiegare, il tono sprezzante di chi detesta ciò che sta facendo. << Rilasciare energia nel mio corpo ti avrebbe temporaneamente tenuto in vita e non avrebbe rappresentato un rischio di localizzazione. >> La trapassò con lo sguardo. << Nessun elemento può avvertire il mio potere o la mia presenza, la tua energia nel mio corpo è nulla alle loro percezioni. >> 
I palpiti della ragazza aumentarono esponenzialmente mentre un nugolo di farfalle le bazzicava nella pancia. 
L'aveva salvata due volte. La prima trasportandola sulle proprie spalle e facendole espellere il potere in eccesso, la seconda proteggendola dagli altri due elementi con il proprio corpo. Nel vero senso del termine. 
A testa bassa, con un piccolo sorriso sulle labbra che non riusciva a nascondere, aggirò l'auto e si avvicinò al giovane. << Mi permetteresti di guarirti il braccio? >> domandò con voce morbida, osservandolo di sottecchi. 
<< Non mi serve il tuo aiuto >> ringhiò lui, i tratti del viso induriti dal nervoso. 
Gea spalancò gli occhi. << Ma io non voglio aiutarti >> dichiarò. << Voglio soltanto correggere un mio errore. >> Sorrise scherzosa e gli diede un colpetto sull'addome. << Dai, non fare il burbero. Oggi ho sbagliato su tutta la linea, non ne ho combinata una giusta. Almeno concedimi di rimediare a qualcosa. >>
Gli zaffiri di Deimos persistettero a guardarla con freddezza. << Ci tieni così tanto? >> gettò fuori spazientito. 
<< Sì, molto. >>
<< Fa' quello che ti pare. Sono stufo di sentirti piagnucolare. >> Voltò la testa da un'altra parte, spedendo il suo imperscrutabile sguardo oltre il parcheggio. 
Gea sorrise mentre lo esaminava di sottecchi, poi appoggiò le mani attorno al suo polso e chiuse gli occhi. Sentì immediatamente l'energia fluirle dal corpo e riscaldare i suoi palmi. Nella mente riusciva quasi a vedere il ponte che li univa attraverso quel potere. 
Quando riaprì gli occhi si sentiva bene. Felice, per meglio dire. Soprattutto quando vide il ragazzo muovere il braccio e sgranchirsi le dita. 
Si alzò sulle punte con un balzello e gli scoccò un bacio sulla guancia, cogliendolo di sorpresa. Deimos spalancò impercettibilmente gli occhi e si girò subito a guardarla. 
Lei sorrideva con una vivace luce nello sguardo. << Grazie >> gli disse, dondolandosi sui talloni. 
Per un attimo il cuore del ragazzo accelerò i battiti. Perché prima che lei subentrasse nella sua vita, nessuno lo aveva mai ringraziato per qualcosa. Era stata lei la prima a fargli conoscere quella parola. L'aveva sentita pronunciare tante volte agli umani, ma non aveva mai conosciuto che cosa fosse davvero la gratitudine. E ora sapeva che pochi la conoscevano sul serio. Perché se quel bagliore che le accendeva lo sguardo era sincera riconoscenza, avrebbe dovuto essere presente in ogni grazie che le sue orecchie avevano udito da lontano. Ed invece non lo aveva mai visto. 
<< E forse dovrei aggiungere un'altra parolina >> proseguì lei, schiarendosi la voce. << Scusa. >> Sorrise, abbassò la testa imbarazzata e poi la rialzò facendo spallucce. << In fondo non credo che tu sia un idiota. >> Lo guardò con aria giocherellona. << Ma molto in fondo, in fondo, in fondo. >> 
Deimos fece scivolare due dita nei suoi pantaloncini e l'attirò di scatto a sé. Un sorrisetto storto si fece spazio sul suo viso mentre la osservava con gli occhi socchiusi e la testa inclinata di lato. 
Gea sorrise divertita ed appoggiò le mani sul suo petto. << Vuoi chiedermi scusa anche tu? Sono tutta orecchi. Non essere timido. >> 
<< Non pronuncerei quella parola neanche in punto di morte >> sentenziò lui, accarezzandole col pollice una striscia di pelle sul ventre. 
La ragazza abbassò per qualche secondo gli occhi sulla sua bocca. Il cuore le stava pompando come quello di un maratoneta dopo venti chilometri di corsa. Le farfalle nello stomaco stavano svolazzando impazzite. 
Deimos calò di poco il capo, fino a sfiorarle col respiro una ciocca di capelli sfuggita alla coda e ricaduta lungo il viso. 
Gea sollevò appena la testa e la inclinò dischiudendo le labbra. << C'è qualcosa che v... >>
<< Sta' zitta. >> La baciò d'impeto, si gettò sulla sua bocca come fosse stata una calamita e lui il polo opposto. Come un affamato sul cibo. Ne succhiò il labbro superiore, baciò appassionatamente quello inferiore, introdusse con prepotenza la lingua come per farle capire che era lui ad avere il controllo di quel contatto. Ed intanto la sua mano restava lì, sul suo ventre caldo, a tastare con carezze ruvide i segni concentrici attorno al suo ombelico, a vezzeggiare la pelle col pollice per sentirla fremere. 
Gea arpionò con forza la sua maglietta, salendo verso il colletto e soffermandosi dietro il collo per sospingerlo verso di sé. Catturò un labbro del ragazzo e lo mordicchiò lievemente, poi si distanziò per riprendere fiato, il cuore che quasi le scappava dal petto. 
Sentì il respiro concitato di Deimos su una guancia, la pancia le dolse per il tripudio di emozioni che scoppiettavano in ogni angolo della sua mente. 
Con gli occhi ancora chiusi, rialzò la testa per baciarlo sul mento, sul profilo della mandibola, sulla bocca. Furono una serie di piccoli baci dati con amore, ognuno contenente una confessione di quel sentimento che le gonfiava il cuore. 
Sull'ultimo delicato bacio, Deimos mosse piano le labbra e lo ricambiò. 
Nella testa della ragazza esplose il caos. Le emozioni erano talmente tante che pensò di collassare come le farfalle nello stomaco, rimaste stecchite da quel gesto inaspettato. Magari non aveva risposto al suo bacetto per amore, ma per lei, qualunque cosa fosse stata, era importante. Perché era stato un gesto tenero, quasi... da coppia. 
Le guance le divennero incandescenti. Aprì gli occhi e sperò che quelli del ragazzo non la stessero guardando. Era troppo imbarazzata per poterlo guardare in faccia. 
Ed invece eccoli lì quegli zaffiri dal taglio profondo, magnetico, capaci di farle sobbalzare il cuore e piegare le ginocchia. 
Si ritrovò a pensare che lui possedesse lo sguardo più bello e penetrante che le fosse mai capitato di vedere. Uno di quegli sguardi che mette soggezione e sembra leggerti dentro, da cui vorresti scappare e al tempo stesso non staccarti mai. E poi c'era quel blu. Quel blu oscuro, misterioso, pieno di segreti come la notte e affascinante come l'opera d'arte di un artista cieco. Lasciava di stucco, con un milione di domande nella testa e mille palpiti nel petto. 
Ed in quel preciso istante, quei perforanti zaffiri la stavano fissando attentamente. 
Gea deglutì imbarazzata ed abbassò il capo, dandogli un colpetto sul petto. << Dovremmo andare >> disse soltanto, schiarendosi la voce. 
Poi si staccò in fretta da lui e sgattaiolò in macchina sotto il suo sguardo divertito. 
Deimos si soffermò ad osservarla mentre lei faceva di tutto per non guardarlo: puliva il cruscotto con colpetti delle dita, controllava la cintura di sicurezza, si rigirava un braccialetto attorno al polso, lanciava occhiate ai sedili posteriori. Poi gli spuntò un sorrisetto non appena la vide farsi aria al viso con ampi movimenti delle mani. E subito dopo lei lo guardò, speranzosa che non l'avesse vista proprio in quel momento.
Lui, in tutta risposta, alzò un sopracciglio. 
Gea sgranò gli occhi, l'ulteriore imbarazzo di essere stata beccata a farsi aria alla faccia dipinto nello sguardo. 
Si accigliò indispettita ed iniziò a borbottare contro la sfortuna che le ronzava attorno come una viscida zanzara. 
Deimos sorrise ancora una volta, divertito nel vederla parlare da sola, chiusa in una macchina e con le braccia strette al petto. E di nuovo pensò che quell'umana, proprio quell'umana dagli occhi così sinceri da sembrare trasparenti, quell'umana che in quel momento si stava appiccicando due bottigliette sulle guance paonazze, sì, proprio lei, fosse bella. 






















  
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