L’Erede del Male.
“I watched
you let yourself
die,
Now it's too late to save you this time.
You bury me alive,
And everybody's gotta breathe
somehow,
Don't leave me to die,
Too consumed by your own emptiness and lies1”.
[We are the fallen – Bury me alive]
Atto IV, Parte II – Il
mostro dietro la maschera.
Barry non era contento di quella loro sosta, Katie
ne era cosciente, ma era stato più forte di lei. La ricerca di quel maledetto
libro li aveva impegnati nell’ultima settimana e sembrava non essere destinata
a risolversi molto facilmente, e lei si era detta che, dopotutto, non sarebbe
stato poi tanto orribile se si fossero concessi un piccolo strappo, una piccola
vacanza infrasettimanale. Viste anche le sessioni che negli ultimi tre giorni2
aveva dovuto tenere con Harry Potter, non le si poteva certo negare quel
piccolo piacere. A tutti loro piaceva il Quidditch e Winnie, l’unica che non ne
era mai stata molto attratta, aveva ricevuto un gufo da qualcuno che le
chiedeva spiegazioni su suo cugino che l’avevano messa in allarme, non che
Katie si sentisse molto toccata dalle vicende di Malfoy, tutt’altro. Hermione,
che avrebbe opposto molte resistenze a quella piccola gita, era impegnata con l’acquisizione
di ciò che le sarebbe servito una volta che avessero trovato l’incantesimo dal Necromicon3 e quindi non
sarebbe stata un problema per i suoi piani. Quanto a Barry e Ophelia, era
bastato qualche lamento con la promessa di non ubriacarsi subito dopo.
Soprattutto perché Philly era una tifosa accanita del Puddlemere
e non avrebbe rinunciato a dei biglietti neppure sotto tortura.
«L’ultima volta siamo andati a vedere la partita
degli Europei» constatò proprio la donna, sistemandosi la sciarpa blu ed oro
intorno al collo. Era quasi strano
vederla circondata da vivi senza
sembrare un pesce fuor d’acqua, ma, dopotutto, lei era imparentata con Harry e
lui, per quanto sembrasse buffo e sgraziato negli eventi sociali, era sempre
stato un asso nel Quidditch. Forse avrebbe dovuto chiederle se anche lei, ai
suoi tempi, avesse giocato. «Credo fosse Inghilterra contro Francia, non è
vero?».
Barry grugnì, braccia incrociate ed espressione da
vecchio ippogrifo brontolone. «Avrei preferito assistere alla Coppa America, ma
sono stato assaltato da due bevitrici di
tè per averlo solo pensato. Il Quidditch europeo è noioso, qui ormai non
muore più nessuno» si lagnò, alzando gli occhi al cielo quando sua moglie gli
scoccò uno sguardo a dir poco omicida.
Vagamente divertita, Katie alzò la mano come a
voler chiedere il permesso per parlare. «Se vogliamo esser pignoli, io sono irlandese. Ma la Francia aveva battuto i
nostri ragazzi facendo finire un bolide in testa ad Aidan Lynch. Dovevo
assistere alla loro disfatta da parte degli inglesi» spiegò, seppur
contrariata. Irlanda ed Inghilterra non erano mai state Nazioni amiche, tantomeno
sul campo da Quidditch, ma la vendetta era vendetta e, non avendo modo di
potersi vendicare direttamente sui battitori francesi, era stato bello
assistere alla loro distruzione da parte del dinamico duo inglese4.
«È ora che Lynch si ritiri, ormai è vecchio».
Katie rantolò qualcosa di incomprensibile,
portandosi la mano al cuore. «Ritira immediatamente quello che hai detto, prima
che io sia costretta a schiantarti». Poi, alzando lievemente il tono della voce
ed indicando il campo, ancora vuoto. «Aidan Seamus Lynch è il più grande cercatore del mondo. Potrebbe
giocare fino a settant’anni ed il boccino continuerebbe ad essere suo! Lui è il
più grande, il magnifico! Ricordi Berlino di due anni fa? Oppure Almati del
’90? Aveva solo diciassette anni
eppure ha segnato un nuovo record! E quest’anno, ai mondiali di Singapore,
dimostrerà al mondo che l’Irlanda c’è».
Il ghigno con cui Barry la fissò l’avrebbe fatta
innervosire, se non fosse stata troppo presa a sentirsi indignata per l’insulto
non velato al capitano della sua nazionale. Era vergognoso che parlassero di lui in certi termini. Assolutamente
vergognoso. «Ammiro il tuo amor Patrio, Trina,
ma stai dimenticando i mondiali del ’94 e quelli del ‘985» le fece
notare l’uomo, dando dei colpetti al posto accanto a lui affinché lei si
sedesse. «Se non sbaglio, Lynch è stato sempre sballottato. È Krum la vera leggenda».
Ophelia, rimasta a fissare con curiosità il campo
vuoto, scosse il capo. «Ottimo cercatore, ma ha perso molta della sua velocità
negli ultimi anni. Lynch è leggero, cosa non trascurabile perché riesce a
risultare più aerodinamico. Quanto a Krum,
soprattutto negli ultimi mesi, credo sia diventato più simile a…».
«Ad una patata su di una scopa» grugnì Katie,
puntando poi l’indice verso Barry. «E non chiamarmi Trina, lo sai che lo odio. Mia madre mi chiamava così ed io non
l’ho mai sopportato, mi ricorda l’infanzia» lo ammonì, facendo per continuare
il suo sproloquio ma venendo bruscamente interrotta dalla voce del
commentatore, che stava dando il benvenuto agli spettatori accorsi per
assistere allo scontro Puddlemere – Harpies. Un brivido lungo la spina dorsale anticipò di una
frazione di secondo la pelle d’oca che le ricoprì le braccia, mentre le gambe
le cedevano improvvisamente, facendola tornare seduta.
Il cambiamento negli altri due fu piuttosto
immediato: un attimo prima sorridevano amabilmente, un momento dopo avevano gli
sguardi inespressivi che saettavano fra lei ed il campo.
«Ed ecco
la formazione del Puddlemere United!
Blair! Dawson! Clark! Lynch!».
«Possiamo sempre andare via. Nessuno ci obbliga a
restare qui» le fece notare Ophelia, allungando la mano per sfiorarle il
gomito. Il suo tono di voce non era rassicurante, ma freddo, quasi scientifico.
Le stava semplicemente facendo notare l’ovvio. Poteva andare via, doveva andare via.
«Stevens!».
Anche suo marito, accanto a Katie, allungò la mano
per posargliela sulla spalla. «Philly ha ragione, ragazzina. Nessuno ci obbliga a stare qui,
tantomeno…».
«Baston!».
L’ultima macchietta blu ed oro fece il suo
ingresso nel campo e, grazie alla sua vista sempre perfetta, Katie riuscì a
scorgere perfettamente i tratti del suo vecchio capitano, molto più massiccio
di quanto non fosse stato da ragazzino ma certamente anche più alto, i capelli
un po’ più lunghi di qualche anno fa ed una barbetta che spiccava sul suo viso
pallido come un punto scuro nel cielo. Lo osservò fare il suo giro d’onore fra
gli applausi tonanti del pubblico, la posizione rigida e sicura che l’aveva
sempre contraddistinto. Quante volte l’aveva rimproverata di non essere
abbastanza ferma sulla scopa?
È una
partita, Kat, non il dannato balletto!
«Trina, andiamo via». La voce di Barry era
qualcosa di lontano, Katie non riusciva quasi a percepirla. Un bisbiglio,
forse, oppure un’eco. Sì, l’ultima ipotesi era la migliore. L’amico che fino a
poco prima aveva avuto la mano sulla sua spalla doveva esser finito sul fondo
di un pozzo, insieme a tutti gli altri. Oppure era lei ad essere precipitata?
Non era sicura. Anche il boato era sparito, solo il rumore sordo del suo cuore
le rimbombava nelle orecchie. «Trina!». Qualcuno la abbracciò, ma non le
interessò.
L’incantesimo si spezzò quando Oliver Baston,
dalla sua posizione davanti agli anelli, si voltò in direzione della tribuna
d’onore, con un sorriso così immenso che anche Katie, dalla sua posizione,
riuscì a notarlo. Seguì i suoi occhi, consapevole di ciò che avrebbe trovato ma
sempre troppo impreparata per reggere il colpo.
L’altra era così
ordinaria. Nulla di eccezionale, davvero, con i suoi banali capelli scuri ed i
suoi banali occhi castani ed il suo banale – no, non era banale, l’aveva comprato lui – anello al dito, non sarebbe mai spiccata in una folla se
Oliver non l’avesse accompagnata, se non l’avesse illuminata.
«Katrina».
Il richiamo di Ophelia arrivò chiaro, questa
volta. Non più dal fondo del pozzo, perché lei era riemersa, nonostante non
fosse più la stessa persona che era sprofondata nel buio. La sua amica – poteva
definirla tale, quando lei e suo marito erano stati dei genitori migliori, per
lei, della sua stessa famiglia biologica? –non l’aveva chiamata con il suo nome
intero soltanto per rimproverarla.
Un nome è
il più forte degli incantesimi, la prima determinazione del nostro stesso essere,
ciò che ci limita e ci rende reali.
Katrina.
Il sangue
bruciava nelle vene come acido, lo sguardo era offuscato di ombre che non
c’erano state fino a poco prima.
Lei non si rese quasi conto di essere scattata in
piedi o di essersi mossa finché il suo sguardo non venne puntato sulle
scalinate degli spalti. Dietro di lei camminavano i suoi accompagnatori,
probabilmente con gli occhi colmi di preoccupazione.
Le mani
tremavano, così come il resto del corpo. Il cambiamento faceva sempre male.
Katrina amava
il dolore.
«Hai bisogno di qualcosa?».
«Possiamo andare immediatamente nella mia Sala
Mortuaria».
Domande
pratiche, prive di ogni pregiudizio. Solamente un Magizoologo ed una
appassionata di cadaveri avrebbero mai potuto mostrare tanta tranquillità con
lei. Con il mostro che stava divorando la
fanciulla.
Quando Katrina sorrise, sembrò quasi che la temperatura
intorno a lei fosse scesa improvvisamente ed un paio di persone lì vicino si mossero
nei loro posti, a disagio, osservando con la coda dell’occhio quella ragazza
bionda che si allontanava con fare sicuro, pallida come la neve ma non
altrettanto incantevole, i cui occhi erano diventati cieli notturni senza
stelle.
«Abbiamo un libro da trovare, io posso essere molto più utile di lei».
Lei, che ogni giorno sembrava morire lentamente,
soffocata da un peso che non aveva scelto di portare.
Se solo avesse alzato lo sguardo, avrebbe
incrociato gli occhi angosciati di Oliver, che la stava osservando fuggire via
da lui, ancora una volta ed ancora senza una spiegazione, senza una sola
parola.
L’anello al dito della donna nella tribuna d’onore
sembrò brillare di più, quasi ad evidenziare il contrasto con il buio che aveva
inghiottito Katrina.
Non
c’erano più scelte da fare.
***
Non erano
affari suoi se Malfoy era sparito.
«Se Draco è stato ucciso o catturato, signor
Potter, è affar suo. Significa che i nostri nemici
comuni hanno fatto dei passi avanti e sono riusciti ad arrivare anche a lui»
gli rispose Winter Vane, senza neppure guardarlo e senza scusarsi per essersi
impicciata ancora una volta nei suoi pensieri. «Come le ho già detto, non è che
io mi diverta ad ascoltare cosa le passa per la testa. Non ho altra scelta, se
lei non è capace di alzare le difese» aggiunse, con parecchia più acidità di
quanta Harry avrebbe voluto sentirsene buttare addosso.
Per un momento, infatti, si sentì un po’ un
vermicolo. Dopotutto, non doveva essere una vita facile, quella della donna, e
lui poteva benissimo mettere a frutto quelle poche lezioni che Piton aveva
accettato di dargli e fare in modo di lasciarle un po’ di pace. «Mi dispiace di
non essere più bravo. Il mio insegnante di Occlumanzia
ed io non abbiamo avuto un buon rapporto finché…» non è stato troppo tardi. Non lo disse, ma il ricordo di Piton
distrutto dalle zanne di Nagini gli attraversò la
mente e lei si irrigidì6. «Mi scusi».
Tirando fuori un sorriso rassicurante, per quanto
non propriamente credibile, Winter Vane gli fece cenno di non preoccuparsi.
«Tranquillo caro, con il mio lavoro è piuttosto comune che mi sia sbattuta in
faccia un’immagine simile. Non sono fragile come può sembrare» lo rassicurò,
continuando a far strada lungo i corridoi scuri. «Credo sia lei a dovermi
scusare per averla strappata ad una pacifica giornata in compagnia della sua
fidanzata. È stata Hermione a dirmi di venire a prenderla per accompagnarmi,
lei è impegnata con qualcuno di cui non può rivelare l’identità e non si
sentiva tranquilla a mandarmi da sola».
Curioso, Harry continuò ad osservarla con il capo
lievemente inclinato. «Davvero non sa con chi sia Hermione adesso?» le domandò,
inarcando le sopracciglia. «Dubito sia possibile nasconderle qualcosa, non per
molto tempo quantomeno».
Winter rise lievemente, il nervosismo evidente
come un brivido sul fondo di quel trillo apparentemente rilassato. «Hermione è
molto brava con l’Occlumanzia, non le piace avere
gente capace di leggerle la mente… credo sia a causa delle ragioni che l’hanno portata ad arruolarsi. Per un periodo mi sono sentita un po’ ferita,
in realtà, perché credevo che non volesse essere mia amica o che non si
fidasse… col tempo ho imparato a rispettare la sua decisione. È giusto che
ognuno possa mettersi nella posizione di difendere i propri pensieri». Con la coda dell’occhio, la bionda osservò il
dubbio e la confusione affacciarsi sul volto di Harry, ma aspettò qualche
istante prima di ricominciare a parlare. «Anche Hermione ha i suoi limiti,
tuttavia. Mi dispiace per Lipsia».
Un brivido corse lungo la schiena dell’Auror. Quello non
era un argomento che aveva intenzione di affrontare con una Legilimens tanto
potente. Non aveva idea di quanto ampi potessero essere i suoi poteri, non
aveva certo voglia di fornire ulteriori accessi alla parte più fragile e
nascosta della sua anima. Con uno sforzo disumano, rafforzò le sue difese. Non avrebbe parlato di Lipsia. «Perché
non ha aspettato che tornassero gli altri suoi colleghi, piuttosto che chiedere
a me? Sono certamente più preparati di me» disse invece, mantenendo lo sguardo
fisso davanti a sé. «Sono solo un Auror».
«Sei il Golden Boy, non sottovalutarti» lo riprese
lei, con un sorriso mesto. C’era qualcosa nel suo sguardo che Harry non riuscì
a decifrare. «Scusa se ti do del tu, caro, ma era da un po’ che ci stavi
pensando ed ogni volta hai fatto un passo indietro. Abbiamo la stessa età, non
siamo certo due vecchietti» continuò, con un’allegria posticcia quasi
inquietante. «Sei stato scartato alla selezione Banshee a causa dei suoi
problemi mentali. È un criterio che viene valutato in modo strano, altrimenti
tre quarti di noi non sarebbero risultati idonei e la nostra squadra forse non
sarebbe proprio esistita… diciamo che se in tanti siamo a metà fra follia geniale e follia da ricovero ma tendiamo per la prima… tu tendevi troppo
verso la seconda per poter essere scelto».
Quella
era un’informazione che Harry non credeva di dover avere. Era
stato selezionato? Quando? Era stato quell’impiegato della Conferenza che
l’aveva stressato per mesi a scartarlo? Credevano non fosse abbastanza bravo
per un lavoro del genere? Lui aveva salvato
il mondo, come potevano bollarlo semplicemente come pazzo? Anche Hermione era
stata male, portata al limite della sopportazione finché non era stata sul
punto di crollare, eppure era stata scelta. Scelta e salvata.
Perché non avevano salvato anche lui?
«Perché non volevi essere salvato».
Era stata una risposta che lui, anche se in minima
parte, si era aspettato. Una risposta un po’ banale, forse, ma l’unica davvero reale. Non era poi così strano che i
servizi segreti più importanti e pericolosi del mondo non volessero avere a che
fare con qualcuno come lui, che avrebbe mandato tutto al diavolo pur di
smettere di soffrire. C’era anche andato vicino, a Lipsia. Senza Hermione –
perché era stata lei a salvarlo, per
l’ennesima volta – non avrebbe fatto il suo ritorno a casa e non avrebbe avuto
modo di vedersi fare il regalo più bello del mondo dalla sua futura moglie, in
quel momento fortunatamente al sicuro a casa, sotto le coperte e con un paio di
Auror a pochi metri di distanza. Era stato un
sollievo sapere che il suo Capo avesse già dato ordini affinché alcuni suoi
colleghi pattugliassero casa sua, la Tana e casa di Andromeda Tonks. Mettere al sicuro la sua famiglia era una
preoccupazione che era stata tolta dal carico delle sue spalle e che finalmente
gli aveva consentito di respirare almeno un po’. Hermione, naturalmente, non
poteva essere messa sotto scorta: lei era
la migliore scorta che ci fosse in circolazione ed il fatto che lui e Malfoy
fossero sempre accompagnati, in un modo o nell’altro, dai membri della Squadra,
lasciava intendere quanto fossero tutti preoccupati per la loro incolumità.
Pensando, tuttavia, ai vari colleghi di Hermione,
partendo da Katie e dal suo sorriso triste, fino ad arrivare all’allegra biondina
che gli trotterellava accanto, Harry si ritrovò a riflettere sulle parole che
la stessa Winter gli aveva rivolto poco prima.
La nostra
squadra non sarebbe esistita.
«Katie davvero non ti rende giustizia, non sei
affatto tardo come ha tentato di farci credere» si congratulò, seppur con
parecchia ironia, Winter, lanciandogli uno sguardo storto. «Credi che delle
persone sane di mente sarebbero state pronte a mollare tutta la loro vita,
fingersi morte o semplicemente sparite nel nulla per anni?» gli chiese,
raddrizzando le spalle e sollevando il mento in una posa altezzosa. «Siamo
tutti folli, in un modo o nell’altro, altrimenti non saremmo arrivati alle
Banshee. Non farti ingannare da un bel viso, Harry Potter. Anche i mostri sanno
indossare un bel vestito, una maschera e sorridere per il loro pubblico».
Vagamente inquietato, Harry cercò di ricrearsi
un’immagine di tutti e cinque i membri della squadra Banshee 3. C’erano gli
sposini apparentemente normali che Harry proprio non riusciva ad inquadrare.
Certo, lei aveva una strana passione per i morti ed ancora non era apparso un
Magizoologo che non avesse una strana e macabra passione per sangue e creature
spaventose, ma non sembravano poi tanto terribili. Soprattutto Ophelia, che era
bizzarra, ma non in un senso troppo negativo e se era arrivata a sposare quel
tipo doveva aver avuto le sue buone ragioni. C’era poi Katie, che nascondeva
qualcosa di così terribile da non poter essere rivelato e che probabilmente
l’aveva divorata dall’interno al punto di costringerla a cambiare la propria
esistenza in modo drastico. Non tutti
avevano avuto una scelta, era stato il modo in cui Hermione lo aveva
liquidato una settimana prima, alla tana. Hermione,
che lui conosceva fin da quando erano poco più che bambini, aveva un lato
oscuro che aveva avuto modo di incontrare parecchie volte: il trucco della
brava ragazza poteva reggere con chiunque non avesse notato la follia nei suoi
occhi durante la preparazione della Polisucco o
durante le iscrizioni sul foglio maledetto dell’ES. Hermione sapeva essere
machiavellica e malvagia molto più di tanti Mangiamorte che avevano incontrato
nel corso degli anni e, Harry tuttavia non si sarebbe mai azzardato a dirlo ad
alta voce, dopo l’incontro con Bellatrix quel lato di
lei sembrava essere solo peggiorato. Il pensiero che potesse aver acquisito un certo talento da quella
donna lo fece rabbrividire.
«Non si viene torturati da Bellatrix
Lestrange per poi dimenticare, Potter» lo ammonì la
bionda, con un tono lezioso davvero sgradevole. Il modo in cui pronunciò il suo
cognome lo fece irrigidire: era familiare,
anche se non riusciva a comprendere il perché. Come Malfoy? No, era qualcosa di peggiore7.
«Hermione è una delle migliori Inquisitrici che siano mai passate per l’Organizzazione. Non ti permetterò farla
sentire in colpa per questo» gli disse secca. Il modo in cui si girò a
sorridergli, subito dopo, gli fece tremare le ginocchia. «Dopotutto, non è
certo lei a doversi occupare dei
nostri ospiti più reticenti».
Winter Vane, con quella sua aria da svampita
appena giunta da New Orleans, era, con ottime probabilità, la più spaventosa di
tutto il gruppo, anche se buona parte del giudizio di Harry era reso nullo
dall’impossibilità di conoscere la vera natura del potere di Katie. Se nella
sua vecchia amica era la sua stessa apparenza a mettere paura, la Vane mostrava
d’avere qualcosa di ancora più radicato in lei, una massa oscura ben nascosta
sotto un bel sorriso e riccioli alla Shirley Temple
che avrebbero potuto ingannare un po’ chiunque. Hermione e gli altri erano
capaci di controllare gli orrori del mondo,
che fossero i morti, le bestie crudeli o gli incantesimi, ma lei…
C’era molto di più nascosto sotto le belle
fossette e gli occhi di smeraldo.
«Hai paura del lupo cattivo, signor Potter? Sta’
tranquillo, non vuole certo mangiarti» lo rassicurò, riuscendo in tutto tranne
che nella sua impresa, non con quel sorriso spaventoso sulle labbra. Non quando
Harry fu più che certo di aver notato uno strano lampo argenteo nei suoi occhi.
Fu sul punto di aggiungere qualcosa, forse per prenderlo in giro e ridere della
sua reazione esagerata, ma si fermò, il sorriso congelato sul viso. Per un
attimo fu ancora più spaventosa, perché spaventata
a sua volta.
«Cosa sta succedendo?» domandò, nonostante fosse
consapevole che avrebbe potuto semplicemente pensare la sua richiesta, senza porla
ad alta voce e rischiare di rivelare la loro posizione. Per una qualche
ragione, dubitò che lei lo avrebbe ascoltato, in quel caso. «Vane, che succede? È Malfoy?».
Impallidita più di quanto Harry pensasse fosse
possibile, Winter sollevò la mano per intimargli il silenzio, inclinando il
capo come se avesse voluto ascoltare qualcosa con maggiore facilità. Le tremò
il labbro inferiore, mentre le pupille si dilavano in modo quasi comico. Un attimo dopo scattò via,
correndo lungo il corridoio come se avesse avuto il diavolo alle calcagna e
senza preoccuparsi che Harry la stesse effettivamente seguendo. Gli ci vollero
un paio di istanti per recuperare, indeciso se farsi prendere dal panico o far
insorgere l’Auror che era in lui per capire cosa stesse succedendo e dopo farsi prendere dall’ansia.
«Vane, maledizione, parla!» sbottò, facendo prevalere la seconda scelta e sentendosi
grato nei confronti delle varie ore di preparazione che l’Accademia l’aveva
costretto a seguire. Se avesse perso la testa, probabilmente non sarebbe
sopravvissuto e non sarebbe più tornato a casa da sua moglie e dai suoi
bambini.
«Non adesso! Non è ancora troppo tardi» fu tutto ciò che inizialmente
ottenne come risposta, insieme ad un’ondata di angoscia che sapeva non appartenergli, perché era
un’emozione troppo complessa, troppo elaborata per lui, che negli ultimi due
anni era sempre passato da livelli più o meno diversi di depressione, senza mai
spegnersi in quel modo.
Harry realizzò, mentre correva per porre rimedio
ad un danno che ancora non conosceva, che nonostante fosse arrivato sul fondo
del baratro, nonostante Lipsia, non fosse
mai riuscito a perdere quella scintilla sul fondo del suo cuore, quel piccolo
calore che era la speranza, cresciuta
insieme al ventre di Ginny.
Winter Vane non aveva quella scintilla. Forse non
l’aveva mai avuta.
Perché?
Trovarono Malfoy ed un altro uomo che lui
riconobbe essere Theodore Nott accasciati in un
angolo, le espressioni vuote di chi avesse visto l’Inferno e non ne fosse più
uscivo vivo, una brutta ferita sulla fronte del biondo che sembrava
estremamente recente. Winter si inginocchiò fra loro, senza osare toccarli ma
osservandoli con tanta intensità da fargli credere che li stesse visitando, poi fece un cenno ad Harry,
così che si avvicinasse. «Adesso tu farai esattamente come ti dirò e forse qualcuno di noi ne uscirà vivo»
mormorò, deglutendo e ricominciando a parlare prima che lui potesse
intervenire. «Sono un tuo superiore, Potter, quindi farai come ti dico e basta. Tu prenderai Draco e Theodore e
userai la passaporta d’emergenza che ho con me,
perché non è possibile smaterializzarsi dal Mausoleo dei Malfoy».
Mausoleo
dei Malfoy? Quella sottospecie di labirintico insieme di
grotte era un mausoleo? Perché erano
finiti in mezzo ai resti degli antenati di Draco? Perché Malfoy e Nott erano lì? Cosa li aveva
attaccati?
«Non è un cosa,
è un chi» spiegò velocemente la Vane,
armeggiando con la cintura per estrarne una piccola bussola d’argento. «Fai
come ti dico, vai dalle Guardie Carceriere di Azkaban e comunica loro che Sandman8 è scappato, poi fai
in modo che lo scoprano anche gli altri della squadra e che vadano a chiedere i
rinforzi».
L’ansia di Harry non fece che aumentare, con
quelle parole, ma si sbrigò ad avvicinarsi per poter afferrare sia Malfoy che Nott. «Tieniti a me, andremo via tutti» disse, con il tono più risoluto di cui fosse in possesso.
Non se ne sarebbe certo andato via lasciandola lì. Non aveva mai abbandonato uno dei suoi compagni d’avventura,
non avrebbe certo iniziato in quel momento. Per lui erano già morte troppe
persone. «Chiunque sia, adesso è lontano, abbiamo tutto il tempo per chiamare i
rinforzi e…».
Il sibilo con cui lei gli rispose lo fece
rabbrividire e, se non fosse stato tanto abituato a guardare in faccia il
pericolo, non avrebbe notato il
cambiamento. Winter Vane non era più la bella ragazza del sud con dolci
guance colorate di rosa e gli occhi come un prato. A ricambiare il suo sguardo
furono due lastre di ghiaccio, circondate da una cascata di capelli neri come
le piume di un corvo ed incastonate in un viso pallido come quello di un
cadavere.
Harry ricordava quegli occhi. Non poteva
dimenticarli.
Elladora Mulciber.
«Adesso tu prenderai loro due ed andrai via di
qui» gli ringhiò contro lei, le mani piantate al suolo e le unghie conficcate
in modo doloroso contro la roccia. Erano insanguinate, probabilmente spezzate
fino alla carne. Stava lottando contro qualcosa, ma cosa? Chi? «Chi ha fatto questo a loro non si è mai allontanato. È
dietro di noi, lo è sempre stato, ma si è saputo nascondere bene. È la sua
specialità» continuò, parlando in un rantolo.
«Non ti lascerò qui».
«Non hai scelta» gli disse, socchiudendo gli occhi
e piegando il capo di lato, con una smorfia carica di dolore. «È me che vuole,
ha sempre voluto me. Draco è stato
attirato qui solo per farlo diventare un’esca. Si è fatto da parte per
permetterti di portarli via… uno scambio equo, dal suo punto di vista. Io valgo
più di due uomini».
Confuso, Harry provò a guardarsi intorno, senza
trovare nulla di sbagliato, senza notare
quale potesse essere la fonte di tutto il dolore che lei stava mostrando. «Chi
diavolo è? Cosa vuole da te? In che senso vali più di due uomini? Aziona la passaporta, posso portarci tutti via da qui e allora saremo
al sicuro. Vane, il tuo naso sta
sanguinando!».
Con
lentezza, la donna si sollevò leggermente in piedi e costrinse Harry a prendere
la sua bussola, oltre che ad avvicinarsi a Nott, che
altrimenti sarebbe rimasto indietro. «Alcuni potrebbero chiamarlo amore paterno, io, invece, la chiamo
psicosi». Si irrigidì nuovamente, per poi rilassare le spalle e bisbigliare
qualcosa di incomprensibile ma che tuttavia somigliava molto ad un troppo tardi, idiota. Alla fine, raddrizzò
le spalle e si voltò, sollevando il mento con la stessa posa algida che aveva
assunto durante l’allegra scampagnata. «Padre,
noto che sei fuori da Azkaban. Il piacere è tutto tuo» salutò quindi, con un
pesante accento inglese, simile a quello di Malfoy.
Dalle ombre, con una tranquillità tale da lasciare
Harry sbalordito perché era impossibile
che non l’avesse notato, Mulciber fece la sua
comparsa, molto più ringiovanito di quanto non fosse stato durante il processo
e, poco ma sicuro, molto più folle.
Gli
stessi occhi di sua figlia.
«Via, via Winnie
cara. Ti sembra questo il modo di accogliere il tuo unico genitore? Avrei
voluto presentarmi a te come il tuo molliccio, ma ho pensato che sarebbe stato
troppo banale da parte mia. Mi sono
anche preoccupato di giocare un po’ con i nostri cari amici. Il vecchio
trucchetto di Evan Rosier
redivivo funziona sempre9. Non ho mai capito perché lui sia
diventato uno spauracchio ed io no… e pensare che lui era così inutilmente melodrammatico».
Spaventata, Winter si irrigidì, avanzando di un
paio di passi come a voler proteggere i due svenuti ed Harry. «Sei tu il mio molliccio, lo sei sempre
stato, solo che io sono stata troppo sciocca per capirlo in tempo e fare la
cosa giusta». Con un cenno veloce, Winter estrasse la bacchetta. Lo sforzo di
resistere agli attacchi mentali dell’uomo che le aveva dato i natali era
evidentissimo. «Gli orrori di Rosier erano molto più
adatti a dei bambini dei tuoi. Lui non aveva mai mangiato le sue vittime, dopotutto» aggiunse, con disgusto,
rafforzando la presa sulla sua unica arma, mentre l’uomo sorrideva macabro. «Addio, Padre».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Quanto mi piace
distruggere la vita della gente. Forse dovrei mandare una scatola di
cioccolatini ad Oliver Baston, che in tutto questo è l’unico, vero innocente. Più o meno. Mica sono
stata io a fidanzarmi con una tipa random.
Punti importanti:
» 1
– “Ti ho guardata lasciarti morire/ Questa
volta è troppo tardi per salvarti/ Mi hai seppellita viva/ E tutti devono
respirare in qualche modo/ Non lasciarmi morire/ consumata dal tuo vuoto e
dalle bugie”. Questa volta il riferimento è alla “vera” natura di Katie e
Winnie. Entrambe, infatti, hanno soffocato il loro vero io per tentare di condurre vite normali. Naturalmente, queste bugie
non possono durare, quindi, alla fine, la maschera è caduta ed il mostro ha
ripreso il controllo. Katrina ed Elladora non sono
soggetti con cui scherzare, il fatto che odino loro stesse più di chiunque
altro è il peggiore fra gli stimoli.
» 2
– Ci troviamo ad una decina di ore dalla seconda parte del capitolo precedente.
Sono, quindi, passati circa tre
giorni dalla prima parte, cioè da quando Harry ha iniziato le sue sessioni
intensive per recuperare il messaggio di Voldemort.
» 3
– Necromicon,
Il Necronomicon
è uno pseudobiblium, cioè un libro mai scritto ma citato
come se fosse vero in libri realmente esistenti. Il Necronomicon,
infatti, è un espediente letterario creato dallo scrittore statunitense Howard
Phillips Lovecraft per dare verosimiglianza ai propri racconti, che diventò
gradualmente un gioco intellettuale quando anche altri scrittori cominciarono a
citarlo nei lor Secondo Lovecraft, il Necronomicon
sarebbe un testo di magia nera redatto dall'"arabo pazzo" Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell'VIII secolo e morto a Damasco
in circostanze misteriose. Con Necromicon
si intende generalmente un libro che “parla dei costumi dei morti” o comunque
che fa riferimento al funzionamento della vita ultraterrena. SONO ANNI che
voglio metterlo in mezzo.
» 4
- Riferimento ai battitori della Nazionale Inglese che io ovviamente non
conosco ma che, a quanto pare, sono a dir poco eccezionali. Katie li ammira
molto ma non li ritiene alla stessa altezza dei battitori irlandesi,
ovviamente.
» 5
– Riferimento ai Mondiali a cui ha partecipato anche Harry nel 1994
(Irlanda-Bulgaria) e poi ai mondiali del 98 (Irlanda-Australia).
» 6
– Lei non si è irrigidita a causa dell’immagine in sé ma, piuttosto,
perché lei stessa ha conosciuto Severus Piton. Non erano amici, ma Piton aveva
preso a cuore il destino di quella povera bambina.
» 7 –
Harry, non conoscendo l’identità reale di Winnie, non riesce a collegarla a suo
padre. Naturalmente, dopo comprenderà e ricollegherà a lei quello stesso tono
che l’uomo aveva usato contro di lui durante il Processo.
» 8 –
Sandman è un nome in codice. In teoria è un altro
nome per Morfeo, il Dio del Sogno, ma non posso spiegarvi bene perché Mulciber si è guadagnato questo soprannome affettuoso.
Voglio dire, è un legilimante, non è mica difficile
;) Diciamo che ai Paciock è andata bene
che a prenderli di mira sia stata Bellatrix e non
lui.
» 9 –
Mi dispiace, ma Evan non è tornato miracolosamente in
vita. Semplicemente, Sandman ha usato i suoi
trucchetti per terrorizzare Draco e Theo, contando sul fatto che il vecchio
compagno d’armi sia rimasto materia d’incubi, una specie di “Dracula” o “Hannibal
Lecter” di noi poveracci babbani.
Avete capito cos’è Katie? Un po’ di gente
aveva fatto ipotesi corrette, ma, credetemi, c’è altro dietro l’angolo. Povera piccina. E
povera Winnie.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie