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Autore: Lunaticalene    01/03/2017    1 recensioni
« Ah, a proposito di quello. » un passo nella sua direzione, la mano sinistra che scivola nella tasca, in maniera quasi distratta. «Chiudi gli occhi » un comando, che non appare come un'imposizione ma che costruisce un principio di attesa che lo porta a deglutire, piano, mentre chiude gli occhi.
La sensazione delle punte di pelle che sfiora il collo e qualcosa di gelido che che pizzica la pelle, nascosta sotto al calore della sciarpa. Il movimento leggero, di una mano che scivola sfiorare l'altezza del cuore.
« Buon compleanno soldato » e il leggero tintinnio del metallo di una mostrina che adesso pende, ancora oscura ai suoi occhi, a un frammento di stoffa dal suo cuore.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una settimana e un'ora dopo o « Sono finito in un Harmony » o il mio gatto tenta di uccidermi. 
 

«MA QUANTO POSSO ESSERE IMBECILLE? DIMMELO TU. “CI VEDIAMO TRA UNA SETTIMANA E UN’ORA MA CHE PUTTANATA DA HARMONY HO DETTO?» che poi, ad onor del vero, ignora tassativamente il contenuto di un Harmony, ma anche solo l’impressione che la sua voce abbia avuto quel suono lo lascia disgraziatamente perplesso. Si lancia, quasi, sul letto, la schiena che impatta contro il piumone, evitando il gatto a cui si rivolge e massaggiando gli occhi, laddove le palpebre incontrano il naso.
«No, ma davvero. Il premio coglione dell’anno è tutto mio» continua, in quel monologo, mentre il felino servo muto si arrampica sul suo torace, massaggiandolo sulle unghie e afferrando il gancetto della zip tra i denti. Lo sguardo di nuovo perso sul soffitto, prima di serrarlo. Questioni futili, principi di una qualche organizzazione. La vaga idea di dover già decidere cosa indossare, dove andare. Il pensiero di dover sistemare la camera per farlo dormire. Il labbro inferiore che viene morso all’idea, immediata, di condividere con l’amico lo spazio di quella stanza. Si solleva sui gomiti, con miagolante disappunto del proprio inquilino, andando ad osservare il punto in cui dovrebbe trovare posizione un fatidico letto. Incastrarlo, abbastanza vicino al suo. Recuperare un piumone in più dall’armadio. Aggiungere un paio di cuscini. Un’invasione di spazio vitale che non si ripete da anni. Da quando, proprio la ragazzina incontrata quella mattina, non è stata a casa sua. Era il suo modo di sdebitarsi del suo prestito. Una serata a cena con lui, quando nessuno si scompone a far dormire insieme due bambini, siano pure maschio e femmina. Chiacchere, al tempo apparentemente leggere, tra due esclusi. Lui troppo piccolo, lei troppo grossa. L’immagine, intravista quella mattina sui social che fa capolino di nuovo. Con uno scatto recupera il telefono, guadagnando rancore per le prossime due vite del gatto che finisce a terra, soffiando. Il suo recupero, per fissarla per un attimo. Quella moto, che in realtà non somiglia affatto a quella che lui ricorda. Anche se deve ammettere che per lui, le custom, sono tutte semplicemente uguali.
“Tenetevi il cavallo bianco, il mio principe azzurro deve arrivare su un Harley Davidson” un’aggiunta di lato “-anche un Ducati Monster non mi fa schifo”.

[Beka? Com’è fatto un ducati Monster? ]
Una fotografia compare pochi minuti dopo nella schermata della chat, probabilmente frutto di una ricerca rapida che avrebbe anche potuto svolgere da solo.
[ Perché? ] accenna una didascalia asettica.
[Curiosità. Effettivamente non fa per nulla schifo. ]

 


Un movimento lento e placido, mosso al di sotto delle coperte. Un frammento di calore che viene collezionato nel momento in cui la pelle sfiora appena contro la pelle. È il contatto, appena accennato, di dita che sfiorano dita, intrecciando un frammento di polso scoperto. È il concreto effetto di un respiro placidamente sincronizzato, il vago movimento di una palpebra che si alza perchè un braccio sfiora lo stomaco. Un voltarsi lento, che sbilancia appena il fianco trovando pur l'appoggio di un corpo solido dietro la schiena. La sagoma in ombra di un profilo noto. Il lento risveglio e lo sbattere appena accennato delle labbra. Un velo di sorpresa, per una presenza inattesa e la voglia di arrendersi a quel calore che batte nel petto.

Boom. Il rumore di una pila di libri che semplicemente cade a terra. La ceramica che si frantuma in coriandoli e schegge.

« Cazzo gatto, vuoi farmi morire d'infarto? » il cuore accelerato lo sguardo accusatorio mosso nel buio che si associa ad un “pop” di materasso abbassato e ad un corollario di fusa che lo fissano da vicino. Occhi blu contro il verde impastato di sonno e una mano che si allunga affondando nel pelo chiaro mentre si riappoggia contro il cuscino. «Hai frantumato una tazza vero? Lo sai che occorre molto di più perchè io ti perdoni » accenna, voltandosi verso l'impossibile lato sinistro di un letto ad una piazza, trovandolo vuoto. La mano libera che va a stropicciare gli occhi, incapaci di farsi delle reali domande. La vibrazione del telefono, che richiama la sua attenzione, nel suono ovattato della sveglia. « E che cazzo due volte. » la mano abbandona il gatto, si allunga in cerca del cavo di alimentazione, percorrendolo al ritroso fino allo schermo touch. « ...aspetta. » l'attenzione rivolta di nuovo al gatto, nemmeno gli occorresse un serio interlocutore per gli improperi a venire « Cazzo è il ventotto! » una realizzazione che lo fa saltare giù dal letto, inciampando col piede sui cocci abbandonati al suolo. « io ti scotenno una di queste mattine » lo sguardo di odio che dura il mezzo secondo che occorre al felino a ruotare sulla schiena, porgendo a chi non lo tocca, l'addome. « ...non te la caverai per sempre così, lo sai vero? ».
« Mrao » una risposta, che sembra voler addolcire quel senso di ansia che prende a crescere. Alla fine mancano solo otto ore più una a quel presunto appuntamento di cui ha effettivamente avuto conferma. Un biglietto aereo prenotato. Una paio di informazioni raccolte.
È con quel pensiero che raggiunge la pista, con quel pensiero che pattina, cade e inciampa un paio di volte. Una distrazione di cui nessuno riesce a capire il motivo sebbene qualche commento vago venga speso dai compagni di allenamento senza una domanda diretta.
« Quindi che cosa hai intenzione di fare domani? Oltre finire in ortopedia per esserti rotto una gamba. » l'indice di Mila che accarezza la smorfia prodotta dalle sue labbra « Sarebbe un modo originale per festeggiare il tuo compleanno. Potremmo metterti una candelina sul gesso, sarebbe carino no? »
« Di quale gesso parli vecchia? »
« Di quello che se continui a cadere di farà mettere Yakov dopo averti spaccato un ginocchio. Lo sai che se non ti concentri lui e Lilia la prendono sul personale »
« Ma io sono concentrato! »
« ...e su cosa di preciso? »
« Su un sogno »
Replica piano, prima che sia proprio Lilia a richiamarlo. A costringere la sua attenzione a focalizzarsi sui fondamentali da inserire nel nuovo libero. Cercando di capire per quale motivo, a lei sconosciuto, lui abbia scelto di cimentarsi coi quattro cignetti. Vane le prove di convincerlo a scegliere un altro pezzo, un solo o un pas de deux al massimo. Un pas de quatre, ridotto ad un solo singolo cigno è qualcosa che la sua mente da prima ballerina digerisce solo a tratti. Una sfida coreografica che si è imposta direttamente contro Bourne e che deve passare da un adolescente che in quel momento somiglia a tanti altri.
Quelli capaci di distrarsi pensando a qualcosa o qualcuno. Quelli che dimenticano di aver ipotecato la loro anima per la vita. Confida, da donna d'arte, che sia qualcosa di passeggero. Che sia solo vincolato ad una qualche infatuazione randomica, di qualunque tinta. Amici, compagni. Dettagli persi in un corollario di scarpette rosse che la Fata di Russia, sembra avere difficoltà ad indossare oggi.
Un respiro e un sospiro che accompagnano le sue parole.
« Yuri. » sentenzia al termine di una sequenza « Domani puoi limitare il tuo allenamento ai fondamentali e prenderti il resto della giornata libera. »
Le palpebre che sbattono incerte.
« Come? »
« Hai ospiti per il tuo compleanno no? Sarebbe scortese tenerli a guardarti tutto il giorno. Non puoi permetterti di non allenarti ma per quanto riguarda me puoi riposarti. Anzi, in questo modo avrai il tempo di assimilare la coreografia e iniziare ad interiorizzarla »
Più che un permesso, quelle parole, somigliano ad un compito aggiuntivo a cui non sa se dover davvero dire grazie. È con quel dubbio che si incammina verso lo spogliatoio, che lava via il sudore prima di andare a vestirsi. Victor non c'è. Nemmeno il maiale giapponese. A dire il vero non ha fatto caso alla loro presenza in tutto il giorno. Capita spesso in realtà che Victor si inventi delle cose assurde per il suo personale allenamento. Domande in merito a smesso di farsele.
Quella distrazione continua ad accompagnarlo, fino a quando non raggiunge la reception del palazzetto.
«...sei in anticipo» una voce, che lo richiama e lo rende consapevole del valore acquisito dalle parole di Lilia nella sua mente. È una punizione. Nessun buon gesto. Una punizione per la sua disattenzione. Gli occhi verdi si sollevano sul ragazzo che si alza lentamente da una delle sedie poste all'attesa.
« Come? »
« Avevi detto un'ora. Sono appena passati quaranta minuti. »
«...vuoi che torni dentro per venti minuti? »
« uhm. No. Immagino vada bene anche se sei in anticipo. »
Silenzio mentre lo sguardo si abbassa in direzione della sua figura intera. Una giacca di pelle, un pantalone scuro, degli scarponcini comodi. Lui è in tuta. Non si è nemmeno posto il problema di vestirsi in maniera diversa.
« Vogliamo andare? »
«..aspetta e dove? »
« Non ne ho la minima idea. Sei tu quello che vive qui, non io »

Un dato di fatto, che obbliga il biondo a fare mente locale dei posti di Mosca che più gli piacciono. Quelli in cui merita passare un pomeriggio, festeggiare un compleanno. Ha fantasticato sulla cosa per un po' e poi ha perso quel pensiero, quasi troppo normale, in mezzo agli axel e i lutz.
« Beh, dovremmo prendere un paio di autobus per andare... » principia, per vedere il kazako passargli avanti, avvicinarsi semplicemente ad una moto così simile a quella che l'altro ha inviato in risposta alla sua domanda.
Com'è fatto un ducati monster?
« Ho pensato che avresti voluto vederlo dal vivo a questo punto » commenta semplicemente allungando in sua direzione un casco che rimane per qualche momento sospeso tra le dita. Lo sguardo perso nell'imbottitura interna.
Il mio principe azzurro deve arrivare su un Harley Davidson.
Il capo che viene vigorosamente scosso, quando non capisce per quale motivo quelle parole, così a caso, si generino nel suo cervello.
« Andiamo si. Vai avanti di un paio di km sulla principale poi svolti al terzo semaforo a destra. Poi all'angolo di una libreria svolti a sinistra...»

Indicazioni stradali che vengono comunicate prima che il rombo della moto e il silenzio ovattato del casco lo avvolgano. Le braccia strette contro la schiena che ha davanti, il lato destro del volto poggiato in modo osservare la strada scorrere e cancellarsi da un lato. Il vento contro le gambe, sulle spalle la cinghia stretta del borsone, in modo da non perderlo in corso d'opera. Dita che inseguono le dita, accavallandosi e stringendo un po' la stoffa rigida. Un senso di calma e quella distrazione costante che si svuota. Come se a veder muovere il mondo i contorni del proprio si ridimensionassero fino a raggiungere una densità statica.
La moto si arresta a pochi passi dal cancello in ferro battuto di un parco. I colori d'inverno che fanno a pugni con un retaggio vado di autunno, mescolandosi alla primavera che spinge per arrivare. Parole di vario genere, commenti di ghiaccio e di memorie.
Dettagli futili di colazioni, pranzi, e un vago tentativo di programmazione. Un cellulare che viene fatto scivolare fuori dalla tasca e sollevato. Uno scatto, uno click della fotocamera interna. Una faccia brutta e nel rivederla un sorriso che nasce spontaneo. Un sorriso sincero che esplode e che un click, involontario, cattura. Una memoria che si sigilla nel silenzio dei social. Sfugge alla necessità di condivisione, persino al semplicemente tentativo di rivederla.
Una chiamata ai quei dissociati dei suoi compagni. L'idea, nata per caso di festeggiare sul serio. E una frotta di “si” inaspettata e, sinceramente, gradita. Un passaggio dal dormitorio, una coccola rapida al gatto e la possibilità data all'amico di farsi un bagno e prepararsi mentre lui, semplicemente, può cambiarsi in camera.
Ci mette niente, in un pantalone nero trapuntato di pelo di gatto che invano prova scuotere, e una felpa, dall'intramontabile disegno leopardato. Il profilo della sera, traghettato di nuovo sulle spalle di una moto che scivola sull'asfalto nero.
Il caos di un locale e qualcuno che sostiene che in una qualche legislazione adesso sia perseguibile per legge. Il fatto che altrove invece non possa minimamente toccare l'alcol, che gli viene prontamente e diligentemente sottratto da Victor. In nome della sua salute ovviamente. Battute sciocche, pensieri salati e giochi di parole a danno di un giapponese che, col russo, ancora non ha fatto davvero pace. La presuasione che lo trascinata ad una diretta social, per ringraziare i suoi fan e la ripresa, altrettanto live, delle candeline che vengono spente su una torta bianca. Pacchetti regalo, segno che la sua richiesta alla fine è stata semplicemente una formalità. Il tutto una volta scoccata la mezzanotte, per non anticipare niente. Una lunga sciarpa di Pile leopardata che Mila gli rigira attorno al collo al momento di salutarlo.
« Se ti prendi un malanno poi finisce che è colpa mia. E chi la sente Lilia umpf. E tu fai attenzione alla nostra fatina, altrimenti rischi di morire anche tu, insieme a me. » accenna verso Otabek che sembra non dare segno di capire davvero il senso delle sue parole. Un viaggio in obbligato silenzio fino a quando la moto non si ferma e il casco si abbassa.
« Vuoi andare a dormire? » gli domandano due occhi scuri, accesi solo dalla luce gialla di un lampione.
« Immagino che sia il caso » replica, sollevando lo sguardo verso il cielo, il casco poggiato in grembo.
Una discesa lenta, da quella specie di cavalcatura moderna, prima di restare a fissare la luna.
« Sai, ho scelto la musica del libero » così, apparentemente a caso.
« Davvero? Vuoi dirmi quale? »
« Il pas de quatre del Lago dei Cigni »
Non una risata. Non una mozione contraria.
« Mi piace. È un bel pezzo. »
« Si, non è affatto male. »
« Tu hai scelto il tuo? »
« Si. Ho scelto Lohengrin »
«...ci ha pattinato pure il cosetto con il ciuffo rosso, che è giapponese pure lui no? »
« Si. È una bella musica. È anche una bella storia. »
« é il cavaliere del cigno no? Quello che cavalca il cigno nel lago e arriva a terra e salva la tizia che però non lo deve chiamare per nome ma quella è scema e rompe le palle finchè non lo scopre e tutti morti? »
« ...circa si. »
« Non posso ricordarmi mica tutte le storie che parlano di cigni eh! » rimbecca quasi offeso dal divertimento sotteso a quel “circa”.
« Mai detto il contrario » i palmi delle mani, guantati contro il freddo della guida notturna si sollevando il alto, in un cenno di resa. Un nuovo silenzio, che si traduce in uno sguardo allunga. Occhi negli occhi e sigilli di immobile silenzio.
« Andiamo Elsa » aggiunge allungando la mano destra verso la fata che solleva un sopracciglio scuro.
« E adesso che è? Sono diventato una principessa mestruata in un castello di ghiaccio? »
« No, Elsa è la tizia che non deve chiedere il nome di Lohengrin. »
« ...e quindi tu saresti Lohengrin e io la rincoglionita? »
« Mi auguro di no. O a quest'ora saremmo morti in due. »
La mano porta che viene afferrata piano, lasciando che quelle parole siano davvero un gioco e niente di più o di me. Niente altro che sorrisi, simmetrici a quello di quel pomeriggio.
« Beka. »
« Morto. »
Un sorriso che si accenna un poco di più.
« Grazie. »
« E di cosa? »
« Della moto. Di essere venuto fino a qui solo per il mio compleanno. »
« Ah, a proposito di quello. » un passo nella sua direzione, la mano sinistra che scivola nella tasca, in maniera quasi distratta. «Chiudi gli occhi » un comando, che non appare come un'imposizione ma che costruisce un principio di attesa che lo porta a deglutire, piano, mentre chiude gli occhi.
La sensazione delle punte di pelle che sfiora il collo e qualcosa di gelido che che pizzica la pelle, nascosta sotto al calore della sciarpa. Il movimento leggero, di una mano che scivola sfiorare l'altezza del cuore.
« Buon compleanno soldato » e il leggero tintinnio del metallo di una mostrina che adesso pende, ancora oscura ai suoi occhi, a un frammento di stoffa dal suo cuore.  

   
 
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