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Autore: Niglia    10/06/2009    6 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Eccomi al 2 capitolo!
Innanzitutto un bacio enorme alle mie prime fan, ladyramione, Charlie_me, SweetCherry, Merry NIcEssus e Telli! Grazie per avermi letto e recensito! Non credevo che questa storia avrebbe riscosso tutto questo successo (anche se tecnicamente è un pò presto per parlarne!), perciò è grazie a voi se esiste questo capitolo!
Buona lettura, continuate a farmi sapere cosa ne pensate!
Smack :*










Capitolo II 











 

 

 

 

 

 

“Allora, per stasera è deciso? Andiamo alla Favola?”

Annuii, prima di ricordarmi che Alessandra non poteva vedermi dall’altro capo del telefono. “Si, certo.” Dissi ad alta voce. “Dobbiamo pur festeggiare, no?”

La sentii ridere, felice. “Certo! L’unica cosa che mi dispiace è che non potremo incontrare Riccardo, perché stasera lavora…”

Non riuscii a trattenere un sospiro, spostando il telefono da un orecchio all’altro. Cavolo, era proprio cotta: come diceva sempre lei, aveva superato da tempo la fase “bava alla bocca”, ed ora si trattava di vero e proprio innamoramento… L’unica cosa che mi interessava davvero era che anche lui nutrisse un minimo di interesse nei suoi confronti. In caso contrario, temetti che mi sarebbe spettato nuovamente il ruolo di Cupido.

Mamma mia.

“Dai, geme, l’abbiamo incontrato stamattina! Non ti basta?” Replicai, gettandomi sul letto a pancia in su e trattenendo uno sbadiglio. Ma come ci sarei arrivata in discoteca? Ero stanchissima, anche quella mattina mi ero svegliata presto per andare al liceo… Magari se avessi bevuto qualcosa mi sarei svegliata. O almeno me lo augurai.

“Bastarmi?? Geme, tu non hai capito che lo sto sognando di notte!” Esclamò; me la immaginai mentre sgranava gli occhi, sconvolta, e scuoteva la testa con fare rassegnato. “E ci tengo a sottolineare che non sono sempre sogni innocenti…”

Questa volta toccò a me ridere. “Credo che tu abbia un irrefrenabile bisogno di sfogare i tuoi ormoni…!”

Sospirò. “Puoi dirlo forte.”

Lanciai lo sguardo all’orologio, controllando l’orario. Si stava facendo tardi. “Beh geme, ora entro in doccia e poi mi preparo… Passo a prenderti a casa con Matteo, okay? Ha detto che ci accompagna lui alla Favola.”

Matteo era il ragazzo che stavo frequentando da circa un mese. Oh beh, “frequentando” è una parola grossa, troppo impegnativa: diciamo che andavamo insieme in discoteca, ma comunque c’era sempre Ale con noi, oltre ad altri due amici, Laura e Federico, che stavano insieme. Quindi, dubito che si potesse definire “frequentare”. Ma a me stava bene così: non avevo bisogno di un ragazzo, in quel momento, né tantomeno di un rapporto serio. Amavo la mia libertà, e perderla non faceva parte delle mie ambizioni future.

Alessandra, comunque, non era della stessa opinione. “Oh-ho, con Matteo, eh?” Riecco il tono da cospiratrice: era un peccato che non potessi vedere i suoi occhi che luccicavano maliziosi.

“Ci sono anche Laura e Fede!” Volli sottolineare, arrossendo leggermente. Ora, voglio specificare che Matteo non era brutto, anzi, piaceva a molte ragazze, ma purtroppo – o per fortuna – io non facevo parte di quelle. Lo trovavo… Un ragazzo superficiale, ecco, troppo attaccato a cose che io non riuscivo a comprendere… Forse sarò anche stata esagerata e troppo pretenziosa nei suoi confronti e mi dispiaceva non poter ricambiare l’interesse che lui nutriva per me, ma certe cose proprio non riuscivo a tollerarle nei ragazzi della sua età. E poi, sono dell’opinione che un rapporto di questo genere non debba mai essere forzato… Altrimenti rischia di avvelenare il sangue e produrre esattamente l’effetto opposto.

“Si si, certo…” Mi accontentò lei, per il momento. Non mi diede il tempo di replicare, che già mi aveva salutato. “A dopo, geme, mi raccomando puntuale!”

E attaccò. Gettai il cellulare sul letto, dove atterrò in mezzo ai cuscini, e dove rimase fino a quando non fui pronta.

Decisi di non mettermi dei vestitini troppo eleganti, anche perché era solo venerdì sera. Così, quando spalancai le ante dell’armadio, afferrai un semplice vestito color porpora, con le bretelline, lungo fino a sopra il ginocchio dove terminava con una delicata sfasatura. I sandali erano invece neri, alti circa 9 centimetri, con dei lacci che si legavano intorno alla caviglia: erano i miei preferiti, e li abbinai ad una borsetta dello stesso colore, regalo di Alessandra.

Dopo aver dato una spazzolata ai capelli, ed averli lasciati sciolti solo con due forcine laterali, afferrai di nuovo il cellulare per mandare un messaggio a Matteo: mi aveva detto di avvisarlo appena fossi pronta, e così feci. Mi rimasero una decina di minuti per dedicarmi al trucco, ma come al solito mi limitai a mettere il mascara sulle ciglia bionde – che odiavo profondamente! – e un leggero filo di lucidalabbra. Giusto per dire di aver usato quei dieci minuti!

In quel momento suonò il citofono.

“Mamma, apri!” Esclamai, affacciandomi alla ringhiera. “Dev’essere Matteo!”

Presi un coprispalle nero e mi precipitai giù dalle scale, in modo da non far perdere tempo ai miei amici. Passai per la cucina per salutare mia madre, schioccandole un bacio sulla guancia.

“Avete intenzione di fare tardi?” Chiese, osservando il mio abbigliamento.

Scrollai le spalle. “Non lo so, mammi. Ora andiamo in pizzeria, la Favola apre verso le undici… Vabbè, tanto ho le chiavi, non c’è bisogno di aspettarmi alzati.”

Lei sorrise. “Stai tranquilla che quando torni starò già dormendo. Divertitevi, e salutami Ale!”

 

Si erano fatte già le undici e mezza quando arrivammo alla Favola. Matteo era il fratello del barista, ed era grazie a lui se potevamo entrare gratuitamente tutte le volte che volevamo. Perciò, non appena fummo dentro ci dirigemmo per prima cosa al bancone, per salutarlo e prendere qualcosa da bere.

“Geme, cavolo, sei pallida!” Esclamò Alessandra, non appena ci sedemmo sugli sgabelli rotondi e imbottiti. “Che cos’ hai? Stai male?”

Scossi la testa, sforzandomi di sorridere. “No, tranquilla. Ho solo un po’ di sonno. Ora bevo qualcosa e mi passa…”

Al sonno si era aggiunto un improvviso mal di testa, e la musica assordante e ripetitiva della discoteca non faceva che peggiorare la mia situazione. Avrei dovuto prendere l’aspirina, ma ormai era troppo tardi. Dovetti solo sperare che mi passasse al più presto.

“Buonasera, ragazze! Che cosa prendete?”

Ci voltammo entrambe verso Giorgio, il barista: la somiglianza con il fratello era incredibile, se non fosse stato per i vari piercing che gli ricoprivano la faccia. Ne aveva uno al sopracciglio, uno al labbro, sulla lingua e nella narice… Ogni volta che lo guardavo mi faceva male. Contento lui!

Sorrisi, indicando il menù appeso alle sue spalle. “Lo sai che amo il Red Heart!”

Rise, annuendo. “Certo, Giuli! E tu, Ale?”

Sorrise anche lei, contagiata dal buonumore di Giorgio. “Un Pink Sweet, grazie.”

“Arrivano!”

Mi guardai un po’ intorno, vedendo che la pista era già gremita di ragazze e ragazzi che si agitavano come pazzi scatenati. Le luci stroboscopiche erano terribili, se le fissavi troppo a lungo rischiavi di vedere solo delle macchie lampeggianti e confuse. Comunque, bastava rimanere voltati verso il bancone per evitare di rimanere abbagliati, anche se così si perdeva la maggior parte del “divertimento”. Tra la folla intravidi Laura e Federico che ballavano seguendo un ritmo tutto loro, che non aveva nulla a che vedere con quello della musica che invadeva il locale. Sembravano essere da soli in mezzo a tutta la gente, come se fossero sospesi in una bolla che li separava dal resto del mondo… Per un attimo mi ritrovai a provare una fitta di invidia nei loro confronti: sarebbe stato bello poter godere di un simile rapporto.

“Comunque, geme, secondo me stai male.”

Mi voltai stupita verso la mia amica, sollevando un sopracciglio. “Ma se ti ho detto che sto bene!”

Alessandra fece una strana smorfia. “Non so, hai uno sguardo strano.” Mi studiò a lungo con un serio cipiglio, prima di aggiungere. “Si, sembri triste… Non vuoi dirmi cos’ hai?”

Scrollai le spalle, sinceramene sorpresa. “Non so cosa dirti… Sono solo stanca. Spiegami perché dovrei essere triste!”

A quel punto Ale incrociò le braccia, seria. “Senti, geme: avevi lo stesso sguardo che ho io quando guardo Riccardo, la stessa espressione di nostalgia o desiderio… E stavi guardando Laura e Federico. Conosco quello sguardo e conosco quelle sensazioni, perché ci sono passata migliaia di volte… Ed ora non venirmi a dire che non è così. Siamo amiche, cavolo, ma se mi impedisci di consolarti o capire cos’ hai allora non ti stai comportando come tale.”

Sgranai gli occhi, stupita. Se quelli erano discorsi da discoteca…

Fortunatamente in quel momento tornò Giorgio con i nostri aperitivi, il che mi diede un po’ di tempo per pensare ad una risposta. Cosa potevo dirle? Mi ero appena autoconvinta del fatto di non aver bisogno di un ragazzo perché amavo troppo la mia libertà, e poi invece mi ritrovavo a fissare con invidia i miei due amici fidanzati… Non era normale, e non sapevo spiegarmelo!

Quando rimanemmo nuovamente da sole, sospirai. “Geme, sinceramente non so cosa dirti… Ci sono delle volte in cui desidero ardentemente avere un ragazzo da abbracciare e che mi stringa forte a sé, mentre altre volte… Amo così tanto la mia indipendenza che quasi compatisco le ragazze come Laura che non vivono che per il proprio fidanzato…!” Tacqui, bevendo un sorso del mio Red Heart: il sapore del succo d’arancio misto a bitter e martini rosso mi invase la bocca, scivolando in gola come un nettare rinfrescante. “Temo che oggi sia invece una di quelle volte in cui vorrei avere un ragazzo…” Terminai con un sussurro.

Alessandra rimase in silenzio, senza sapere cosa rispondere. Fu una fortuna che tornasse Matteo a quel punto, scotendoci dal nostro cupo torpore.

“Giuli, vieni a ballare?” Chiese, poggiando un bicchiere da birra sul bancone.

Ballare? Quell’oscura parola proprio non faceva parte del mio vocabolario! Scossi la testa, alleggerendo il mio rifiuto con un sorriso. “Matte, forse non hai visto le scarpe che mi ritrovo! Vai con geme, che oggi ha i tacchi bassi.”

Matteo aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa. “Non capirò mai la passione di voi ragazze per i tacchi alti!” Esclamò, rassegnato. Si passò una mano tra i corti capelli castani, prima di voltarsi verso Ale. “Vieni a ballare almeno tu? Non lasciatemi solo!”

Ridemmo entrambe, mentre Ale scendeva dallo sgabello e gli batteva una mano sulla spalla, comprensiva. “Povero Matte, solo soletto!”

Rimasi da sola, mentre i miei amici raggiungevano la pista e iniziavano a ballare – o meglio, a dimenarsi – arrivando accanto a Laura e Federico con la chiara intenzione di interrompere il loro romantico chiacchierare. Diedi nuovamente le spalle a quella scena, voltandomi verso il bancone e prendendo un altro sorso del mio aperitivo.

Tra un mese avrei compiuto 18 anni. Ed eccomi qui, una vecchia diciassettenne che non è capace di divertirsi nemmeno in discoteca, con i suoi amici… Ma perché dovevo sempre rovinarmi da sola le serate? Che bisogno c’era di fare determinate riflessioni nei momenti più insoliti e impensati? Amavo farmi del male, a quanto pareva…

Chiusi gli occhi, portandomi una mano alla testa e massaggiandomi le tempie. Riecco il mal di testa: si, direi proprio che è stata una magnifica serata!

“Ciao.”

Aprii di nuovo gli occhi, stupita. Chi era quello che mi aveva salutato? Non conoscevo la voce, non apparteneva sicuramente a nessuno dei miei amici, così fui costretta a voltare la testa verso destra per controllare. Per poco non caddi dallo sgabello.

Era il ragazzo di quella mattina. Enrico Occhi Belli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


   
 
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