Innanzitutto un bacio enorme alle mie prime fan, ladyramione, Charlie_me, SweetCherry, Merry NIcEssus e Telli! Grazie per avermi letto e recensito! Non credevo che questa storia avrebbe riscosso tutto questo successo (anche se tecnicamente è un pò presto per parlarne!), perciò è grazie a voi se esiste questo capitolo!
Buona lettura, continuate a farmi sapere cosa ne pensate!
Smack :*
Capitolo II
“Allora, per stasera
è deciso? Andiamo alla Favola?”
Annuii, prima di ricordarmi che
Alessandra non poteva vedermi
dall’altro capo del telefono. “Si,
certo.” Dissi ad alta voce. “Dobbiamo pur
festeggiare, no?”
La sentii ridere, felice.
“Certo! L’unica cosa che mi
dispiace è che non potremo incontrare Riccardo,
perché stasera lavora…”
Non riuscii a trattenere un
sospiro, spostando il telefono da
un orecchio all’altro. Cavolo, era proprio cotta: come diceva
sempre lei, aveva
superato da tempo la fase “bava alla bocca”, ed ora
si trattava di vero e
proprio innamoramento… L’unica cosa che mi
interessava davvero era che anche
lui nutrisse un minimo di interesse nei suoi confronti. In caso
contrario,
temetti che mi sarebbe spettato nuovamente il ruolo
di Cupido.
Mamma mia.
“Dai, geme,
l’abbiamo
incontrato stamattina! Non ti basta?” Replicai, gettandomi
sul letto a pancia
in su e trattenendo uno sbadiglio. Ma come ci sarei arrivata in
discoteca? Ero
stanchissima, anche quella mattina mi ero svegliata presto per andare
al liceo…
Magari se avessi bevuto qualcosa mi sarei svegliata. O almeno me lo
augurai.
“Bastarmi?? Geme, tu
non hai capito che lo sto sognando di
notte!” Esclamò; me la immaginai mentre sgranava
gli occhi, sconvolta, e
scuoteva la testa con fare rassegnato. “E ci tengo a
sottolineare che non sono
sempre sogni innocenti…”
Questa volta toccò a
me ridere. “Credo che tu abbia un
irrefrenabile bisogno di sfogare i tuoi ormoni…!”
Sospirò.
“Puoi dirlo forte.”
Lanciai lo sguardo
all’orologio, controllando l’orario. Si
stava facendo tardi. “Beh geme, ora entro in doccia e poi mi
preparo… Passo a
prenderti a casa con Matteo, okay? Ha detto che ci accompagna lui alla
Favola.”
Matteo era il ragazzo che stavo
frequentando da circa un
mese. Oh beh, “frequentando” è una
parola grossa, troppo impegnativa: diciamo
che andavamo insieme in discoteca, ma comunque c’era sempre
Ale con noi, oltre
ad altri due amici, Laura e Federico, che stavano insieme. Quindi,
dubito che
si potesse definire “frequentare”. Ma a me stava
bene così: non avevo bisogno
di un ragazzo, in quel momento, né tantomeno di un rapporto
serio. Amavo la mia
libertà, e perderla non faceva parte delle mie ambizioni
future.
Alessandra, comunque, non era
della stessa opinione. “Oh-ho,
con Matteo, eh?” Riecco il tono da cospiratrice: era un
peccato che non potessi
vedere i suoi occhi che luccicavano maliziosi.
“Ci sono anche Laura e
Fede!” Volli sottolineare, arrossendo
leggermente. Ora, voglio specificare che Matteo non era brutto, anzi,
piaceva a
molte ragazze, ma purtroppo – o per fortuna – io
non facevo parte di quelle. Lo
trovavo… Un ragazzo superficiale, ecco, troppo attaccato a
cose che io non
riuscivo a comprendere… Forse sarò anche stata
esagerata e troppo pretenziosa
nei suoi confronti e mi dispiaceva non poter ricambiare
l’interesse che lui
nutriva per me, ma certe cose proprio non riuscivo a tollerarle nei
ragazzi
della sua età. E poi, sono dell’opinione che un
rapporto di questo genere non
debba mai essere forzato… Altrimenti rischia di avvelenare
il sangue e produrre
esattamente l’effetto opposto.
“Si si,
certo…” Mi accontentò lei, per il
momento. Non mi
diede il tempo di replicare, che già mi aveva salutato.
“A dopo, geme, mi
raccomando puntuale!”
E attaccò. Gettai il
cellulare sul letto, dove atterrò in
mezzo ai cuscini, e dove rimase fino a quando non fui pronta.
Decisi di non mettermi dei
vestitini troppo eleganti, anche
perché era solo venerdì sera. Così,
quando spalancai le ante dell’armadio,
afferrai un semplice vestito color porpora, con le bretelline, lungo
fino a
sopra il ginocchio dove terminava con una delicata sfasatura. I sandali
erano
invece neri, alti circa 9 centimetri, con dei lacci che si legavano
intorno
alla caviglia: erano i miei preferiti, e li abbinai ad una borsetta
dello
stesso colore, regalo di Alessandra.
Dopo aver dato una spazzolata ai
capelli, ed averli lasciati
sciolti solo con due forcine laterali, afferrai di nuovo il cellulare
per
mandare un messaggio a Matteo: mi aveva detto di avvisarlo appena fossi
pronta,
e così feci. Mi rimasero una decina di minuti per dedicarmi
al trucco, ma come
al solito mi limitai a mettere il mascara sulle ciglia bionde
– che odiavo
profondamente! – e un leggero filo di lucidalabbra. Giusto
per dire di aver
usato quei dieci minuti!
In quel momento suonò
il citofono.
“Mamma,
apri!” Esclamai, affacciandomi alla ringhiera.
“Dev’essere Matteo!”
Presi un coprispalle nero e mi
precipitai giù dalle scale, in
modo da non far perdere tempo ai miei amici. Passai per la cucina per
salutare
mia madre, schioccandole un bacio sulla guancia.
“Avete intenzione di
fare tardi?” Chiese, osservando il mio
abbigliamento.
Scrollai le spalle.
“Non lo so, mammi. Ora andiamo in
pizzeria, la Favola apre verso le undici… Vabbè,
tanto ho le chiavi, non c’è
bisogno di aspettarmi alzati.”
Lei sorrise. “Stai
tranquilla che quando torni starò già
dormendo. Divertitevi, e salutami Ale!”
Si erano fatte già le
undici e mezza quando arrivammo alla
Favola. Matteo era il fratello del barista, ed era grazie a lui se
potevamo
entrare gratuitamente tutte le volte che volevamo. Perciò,
non appena fummo
dentro ci dirigemmo per prima cosa al bancone, per salutarlo e prendere
qualcosa da bere.
“Geme, cavolo, sei
pallida!” Esclamò Alessandra, non appena
ci sedemmo sugli sgabelli rotondi e imbottiti. “Che
cos’ hai? Stai male?”
Scossi la testa, sforzandomi di
sorridere. “No, tranquilla.
Ho solo un po’ di sonno. Ora bevo qualcosa e mi
passa…”
Al sonno si era aggiunto un
improvviso mal di testa, e la
musica assordante e ripetitiva della discoteca non faceva che
peggiorare la mia
situazione. Avrei dovuto prendere l’aspirina, ma ormai era
troppo tardi.
Dovetti solo sperare che mi passasse al più presto.
“Buonasera, ragazze!
Che cosa prendete?”
Ci voltammo entrambe verso
Giorgio, il barista: la
somiglianza con il fratello era incredibile, se non fosse stato per i
vari
piercing che gli ricoprivano la faccia. Ne aveva uno al sopracciglio,
uno al
labbro, sulla lingua e nella narice… Ogni volta che lo
guardavo mi faceva male.
Contento lui!
Sorrisi, indicando il
menù appeso alle sue spalle. “Lo sai
che amo il Red Heart!”
Rise, annuendo. “Certo,
Giuli! E tu, Ale?”
Sorrise anche lei, contagiata dal
buonumore di Giorgio. “Un Pink
Sweet, grazie.”
“Arrivano!”
Mi guardai un po’
intorno, vedendo che la pista era già
gremita di ragazze e ragazzi che si agitavano come pazzi scatenati. Le
luci
stroboscopiche erano terribili, se le fissavi troppo a lungo rischiavi
di
vedere solo delle macchie lampeggianti e confuse. Comunque, bastava
rimanere
voltati verso il bancone per evitare di rimanere abbagliati, anche se
così si
perdeva la maggior parte del “divertimento”. Tra la
folla intravidi Laura e
Federico che ballavano seguendo un ritmo tutto loro, che non aveva
nulla a che
vedere con quello della musica che invadeva il locale. Sembravano
essere da soli
in mezzo a tutta la gente, come se fossero sospesi in una bolla che li
separava
dal resto del mondo… Per un attimo mi ritrovai a provare una
fitta di invidia
nei loro confronti: sarebbe stato bello poter godere di un simile
rapporto.
“Comunque, geme,
secondo me stai male.”
Mi voltai stupita verso la mia
amica, sollevando un
sopracciglio. “Ma se ti ho detto che sto bene!”
Alessandra fece una strana
smorfia. “Non so, hai uno sguardo
strano.” Mi studiò a lungo con un serio cipiglio,
prima di aggiungere. “Si,
sembri triste… Non vuoi dirmi cos’ hai?”
Scrollai le spalle, sinceramene
sorpresa. “Non so cosa dirti…
Sono solo stanca. Spiegami perché dovrei essere
triste!”
A quel punto Ale
incrociò le braccia, seria. “Senti, geme:
avevi lo stesso sguardo che ho io quando guardo Riccardo, la stessa
espressione
di nostalgia o desiderio… E stavi guardando Laura e
Federico. Conosco quello
sguardo e conosco quelle sensazioni, perché ci sono passata
migliaia di volte…
Ed ora non venirmi a dire che non è così. Siamo
amiche, cavolo, ma se mi
impedisci di consolarti o capire cos’ hai allora non ti stai
comportando come
tale.”
Sgranai gli occhi, stupita. Se
quelli erano discorsi da
discoteca…
Fortunatamente in quel momento
tornò Giorgio con i nostri
aperitivi, il che mi diede un po’ di tempo per pensare ad una
risposta. Cosa
potevo dirle? Mi ero appena autoconvinta del fatto di non aver bisogno
di un
ragazzo perché amavo troppo la mia libertà, e poi
invece mi ritrovavo a fissare
con invidia i miei due amici fidanzati… Non era normale, e
non sapevo
spiegarmelo!
Quando rimanemmo nuovamente da
sole, sospirai. “Geme,
sinceramente non so cosa dirti… Ci sono delle volte in cui
desidero
ardentemente avere un ragazzo da abbracciare e che mi stringa forte a
sé,
mentre altre volte… Amo così tanto la mia
indipendenza che quasi compatisco le
ragazze come Laura che non vivono che per il proprio
fidanzato…!” Tacqui,
bevendo un sorso del mio Red Heart: il sapore del
succo d’arancio misto
a bitter e martini rosso mi invase la bocca, scivolando in gola come un
nettare
rinfrescante. “Temo che oggi sia invece una di quelle volte
in cui vorrei avere
un ragazzo…” Terminai con un sussurro.
Alessandra rimase in silenzio,
senza sapere cosa rispondere.
Fu una fortuna che tornasse Matteo a quel punto, scotendoci dal nostro
cupo
torpore.
“Giuli, vieni a
ballare?” Chiese, poggiando un bicchiere da
birra sul bancone.
Ballare? Quell’oscura
parola proprio non faceva parte del mio
vocabolario! Scossi la testa, alleggerendo il mio rifiuto con un
sorriso.
“Matte, forse non hai visto le scarpe che mi ritrovo! Vai con
geme, che oggi ha
i tacchi bassi.”
Matteo aggrottò le
sopracciglia, scuotendo la testa. “Non
capirò mai la passione di voi ragazze per i tacchi
alti!” Esclamò, rassegnato.
Si passò una mano tra i corti capelli castani, prima di
voltarsi verso Ale.
“Vieni a ballare almeno tu? Non lasciatemi solo!”
Ridemmo entrambe, mentre Ale
scendeva dallo sgabello e gli
batteva una mano sulla spalla, comprensiva. “Povero Matte,
solo soletto!”
Rimasi da sola, mentre i miei
amici raggiungevano la pista e
iniziavano a ballare – o meglio, a dimenarsi –
arrivando accanto a Laura e
Federico con la chiara intenzione di interrompere il loro romantico
chiacchierare. Diedi nuovamente le spalle a quella scena, voltandomi
verso il bancone
e prendendo un altro sorso del mio aperitivo.
Tra un mese avrei compiuto 18
anni. Ed eccomi qui, una
vecchia diciassettenne che non è capace di divertirsi
nemmeno in discoteca, con
i suoi amici… Ma perché dovevo sempre rovinarmi
da sola le serate? Che bisogno
c’era di fare determinate riflessioni nei momenti
più insoliti e impensati?
Amavo farmi del male, a quanto pareva…
Chiusi gli occhi, portandomi una
mano alla testa e
massaggiandomi le tempie. Riecco il mal di testa: si, direi proprio che
è stata
una magnifica serata!
“Ciao.”
Aprii di nuovo gli occhi,
stupita. Chi era quello che mi
aveva salutato? Non conoscevo la voce, non apparteneva sicuramente a
nessuno
dei miei amici, così fui costretta a voltare la testa verso
destra per
controllare. Per poco non caddi dallo sgabello.
Era il ragazzo di quella mattina.
Enrico Occhi Belli.