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Autore: Ayr    22/06/2017    2 recensioni
Ritrovai quelle lettere un po' sgualcite e consumate dal tempo in un anfratto nascosto sotto le assi di legno del pavimento della camera padronale, mentre stavo restaurando Palazzo Cicogna. Erano pochi, fragili fogli di carta che custodivano la travagliata storia d'amore di due giovani durante le guerre di indipendenza.
La maggior parte erano rovinate e illeggibili, ma ho cercato di ricostruirne i contenuti generali, estrapolandoli da quei frammenti di carta superstiti. Ho cercato di restaurare la loro vicenda, così come riporto agli antichi splendori palazzi in decadenza, e davanti ai miei occhi, si è dipanato lentamente il ritratto del loro sentimento, profondo e indissolubile nonostante il tempo e le difficoltà, simile ad un quadro dalle linee pulite e classicheggianti. L'immagine di un bacio si è delineata davanti ai miei occhi, e credo che quel bacio racchiuda l’essenza di questi stralci di vita e di storia, affidati a qualche goccia di inchiostro e sigillati in uno scrigno di effimera carta. È solo una piccola parte delle lettere che riesumai, ben misera a confronto, ma è tutto quello che sono riuscita a racimolare…Spero che sia sufficiente…
[Terza classificata nel contest "In punta di pennello" indetto da Stainless_ sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Monreale, 19 maggio 1860

Mia adorata,

vi chiedo umilmente perdono. Non avete ricevuto più mie da quando salpammo da Porto Santo Stefano, e profondamente mi vergogno per avermi costretto a rimanere in pensiero per me.
Purtroppo, i frenetici e intensi avvenimenti di questi ultimi giorni hanno prosciugato ogni minuto del mio tempo, lasciandomene una briciola miserrima da dedicare interamente a me stesso, e a voi. Quest’oggi solamente sono riuscito a racimolare un poco di carta e un carboncino, e a scribacchiare qualche riga per voi, per rincuorarvi e rassicurarvi sulla mia incolumità.
Il pensiero di voi è stata l’unica ancora che mi ha permesso di non affogare in questo mare di morte e disperazione.
Una sanguinosa e terribile battaglia si è conclusa quattro dì addietro, e mi ha concesso l’onore spiacevole di sfiorare l’orrore della guerra, la desolazione e la devastazione che le sono compagne, e l’annullamento totale dell’umanità.
Preferirei non dilungarmi su così tristi e macabri argomenti, ma lo sconvolgimento che ha prodotto in me un simile avvenimento, è tale da non poter essere contenuto troppo a lungo, e ho la necessità di condividerlo con qualcuno.

Io facevo parte del primo Battaglione dei Cacciatori delle Alpi, e non presi parte alla battaglia, se non nelle fasi finali, rimanendo nel contingente di riserva. Gran parte di quello che sto per riferirvi mi venne raccontato, sebbene ebbi la sfortuna di assistere con i miei occhi ai più grotteschi episodi, che intimamente scossero il mio animo.
Breve ma intenso fu lo scontro, e al primo assalto dei borbonici, inaspettato e violento, respinto con non poche difficoltà dai nostri, la speranza di poterlo vincere si era già dileguata come una fiamma di candela spenta da un soffio di vento.
Il generale, avendo notato come a malapena fossimo riusciti a frenare l'attacco di un sesto delle forze nemiche schierate, pensando che difficilmente avremmo potuto resistere a un'azione più energica, diete l’ordine di prepararsi alla ritirata. Ma il prode Garibaldi bloccò tale ordine e intimò con la sua voce imperiosa: «Nino, qui si fa l'Italia o si muore!»
Quelle poche parole ebbero l’effetto di un incantesimo sugli uomini: quel pugno di sbandati trafelato, pesto, insanguinato, sfinito da tre ore di corsa e di lotta, trovò nelle maliarde parole dell’uomo la forza di risollevarsi e tenersi in piedi, e riprese, come gli era stato ordinato, la sua salita micidiale, risoluto all'ecatombe. Come egli aveva previsto, la fortuna fu nostra: incalzati nuovamente di fronte a quel branco di indemoniati che pareva uscissero da sottoterra, sgomenti dall'improvviso rombo dei cannoni che Orsini era finalmente riuscito a portare in linea, turbati dal clamore crescente delle squadre sui loro fianchi, i borbonici disperarono di vincere, e voltate le spalle, abbandonarono il monte e si precipitarono a rifugiarsi dentro Calatafimi.

La vittoria, però, è stata resa amara dal sapore di sangue e dal puzzo di morte che la impregnò: diciannove dei nostri caddero, tra cui il giovane
Gaspare Tibelli, spirato il giorno del suo diciottesimo compleanno, nel primo assalto, accanto al portaordini Adolfo Biffi di tre anni più giovane. Mi era stato affidato l’incarico di rintracciare i feriti e i moribondi in quel marasma di carne e corpi, e mentre vagavo come un dannato sulla desolante distesa di cadaveri, l’occhio cadde su quel giovane uomo che rantolava penosamente, il petto dilaniato da una baionetta. Non si poteva fare molto per lui: la lama aveva perforato un polmone e il respiro era rotto e macchiato di sangue. Mi accostai a quel giovane e feci tutto quanto fu in mio potere, accompagnando la sua dipartita per il Regno dei Cieli. Conosco la famiglia di quel ragazzo, e fu per me straziante essere lo spettatore imponente della sua morte. Mi domando che senso abbia avuto questa battaglia e a che prezzo siamo riusciti a conquistare la vittoria.
Lo spettacolo più miserabile, però, apparve a Partinico, la sera addietro: all'entrata e per le vie della città, trovammo molti cadaveri di soldati borbonici, carbonizzati e straziati in mille modi. Intorno a sette od otto di questi cadaveri, molto fanciulle danzavano a cerchio tenendosi per mano e cantando. Interrogata, da uno dei nostri, una donna del perché non li avessero concesso una sepoltura degna, «Perché non meritano sepoltura; devono mangiarseli i cani!» ella rispose e tali parole produssero in noi grande orrore e sgomento. Il popolo era stato molto maltrattato dai soldati borbonici, anteriormente alla battaglia di Calatafimi, e quando questi tornarono fuggendo e sbandati, la popolazione aveva dato loro addosso massacrando quanti potevano, e perseguendo il resto verso Palermo
.
Ma erano cadaveri d'Italiani da Italiani sgozzati che, se cresciuti alla vita dei liberi cittadini, avrebbero potuto servire efficacemente la causa del loro oppresso Paese. Invece, come frutto dell'odio, suscitato dai loro perversi padroni, essi, finirono straziati, sbranati dai loro propri fratelli, con tal rabbia da far inorridire le jene!
Non rinnego gli ideali che mi hanno spinto in questa impresa, ma mi chiedo se questo sia il metodo più efficace e se le conseguenze di questa nostra impresa saranno sempre ugualmente cruente.
All’inizio non nutrivo alcun dubbio in proposito: la guerra condotta per nobili scopi è una guerra giusta, almeno così pensavo…Ma dopo gli avvenimenti di quest’ultimo periodo non sono più certo di nulla.
In questi momenti, arriva in soccorso il ricordo di voi, che mi rammenta il motivo che mi spinse ad imbarcarmi in questo progetto ancora abbozzato e pernicioso: desidero offrirvi un luogo che possiate finalmente sentire come vostro, una Nazione unica, che possiate chiamare “casa” e che riunisca, oltre a voi, tutti coloro che si sentono parte di questa famiglia.
Non sopporto il pensiero che viviate sotto il gioco di una potenza straniera, che non comprende i nostri bisogni e la nostra lingua; voi necessitate di vivere in una Nazione che sia libera e unita, dovete sentirvi parte di un popolo in cui vi riconosciate e vi sentiate protetta, come se fosse un’estensione della vostra famiglia.
Ho avuto modo di parlare con Garibaldi, poco prima della battaglia, e riferii a lui queste stesse parole.
Il generale ha un aspetto da brigante con quella sua capigliatura fulva, lunga e selvaggia e i dardeggianti occhi chiari, dallo sguardo fiero e profondo, ma dentro di sé nasconde un animo ardimentoso e temerario, più di tutti noi. È lui che guida e sprona, che risolleva chi precipita nella polvere. È lui che sostiene tutti noi: un sol uomo a reggerne mille!
Ha un incredibile vigore e la forza dei suoi ideali è tale da superare qualunque ostacolo ostruisca il suo cammino. È inarrestabile! Il fervore con cui sostiene le sue idee è pari solo a quello con cui i Santi sostenevano la Fece per la quale vennero martirizzati- spero di non risultare ai vostri occhi blasfemo con codesto azzardo, ma non saprei come altrimenti spiegare quell’ inestinguibile fiamma che arde entro di lui e illumina e a scalda noi altri.   

Durante quel breve colloquio, mi domandò per chi stessi combattendo e rischiando la mia vita. Non chiese “per cosa”, ma “per chi”, come se avesse intuito che la mia motivazione fosse una persona, e non un’ideale o uno scopo effimero e inconsistente. Gli parlai di voi e del dono che mi ero prefissato di farvi.
«Non dimenticatevi mai della vostra promessa» mi disse, stringendomi una spalla, «Sono gli affetti che ci permettono di rimanere umani.» E quando fissò gli occhi turchini su di me, sussurrando codeste parole, vidi brillare nelle sue iridi la stessa determinazione che accende il mio cuore, mitigata da un’umanità profonda e sofferta. Quella stessa umanità l’aveva spinto a ordinare che i cadaveri dei borbonici venissero seppelliti. Nei suoi occhi si specchiava una tristezza sconfinata, scaturita non solo dalla desolazione e dalle barbarie causate dalle battaglie, ma maturata attraverso la sofferenza di vedere la propria città natale strappata alla sua legittima proprietaria e diventare terra straniera. Quello sguardo era lo specchio dei tormenti del suo cuore.
Mi narrò del terribile patto, sancito dalla Francia come pagamento per il soccorso che stava offrendo alla nostra causa, e mi confessò che avrebbe liberato la città, come ora stava facendo con queste terre.

I Siculi ci hanno accolto benevolmente, come dei salvatori, e molti di loro si sono uniti alla nostra causa.
Ho conosciuto uno di questi prodi connazionali,
Saverio Privitera, uno “scugnizzo” mio coetaneo che ha la propria dimora e la propria amata ad Acireale. Trascorriamo le sere rievocando le rispettive città e riesumando le loro bellezze, smussandone i difetti che paiono più insignificanti agli occhi della memoria e della nostalgia.  Egli mi ha aiutato ad apprezzare questa terra brulla e inospitale, mostrandomi le sue bellezze nascoste e segrete, rivelate solo a coloro che sono capaci di scovarle: le montagne aspre che si arrampicano fino al cielo, sfidandone le azzurrità infinite; gli arbusti che con strenua testardaggine rimangono abbarbicati alle colline butterate dalle piante di fichi, e le rovine, che appaiono improvvisamente, lasciandoti con un grido di meraviglia e sorpresa incastrato tra le labbra, ricordi morenti di civiltà perdute intrise di storia e segreti, che raccontano nei sussurri del vento di antichi fasti e guerre e amori, e racchiudono tra le colonne rovinate dal tempo le grandi imprese gloriose come le piccole conquiste quotidiane. Mi piace passeggiare tra queste costruzioni decadenti, un senso di pace e tranquillità mi invade, concedendomi il lusso di cadere nell’oblio della contemplazione dell’arte. Queste mie escursioni solitarie sono il mio massimo diletto e ogni attimo libero, diviene per me l’opportunità di godere del silenzio denso di significati e misteri di cimiteri di un’altra epoca. E il mare di quest’isola è un’altra delle bellezze celate d questa terra: è di un azzurro intenso e omogeneo, paragonabile a quello del cielo terso e alla sfumatura del vostro abito, quello che indossaste il giorno in cui partii.
Ho raccontato a Saverio di voi, come egli mi ha narrato della sua Maria Assunta, che lo attende ad Acireale. Racconta di lei con le lagrime agli occhi, e la pipa sospesa tra le dita, dimenticata, totalmente immerso nella contemplazione estatica dell’immagine di lei.
Io stesso devo avere un aspetto simile quando, a mia volta, mi dilungo sulla vostra bellezza e le vostre altre numerose qualità; attraverso le mie parole commosse e sentite, la vostra figura si delinea come un affresco dalle tinte delicate e morbide: il vostro abito azzurro, la vostra folta capigliatura scura in cui affondare le dita come in un mare di seta, i vostri occhi supplichevoli e brillanti di lagrime...e le vostre labbra, le vostre amatissime e sospirate labbra! Ancor oggi posso rievocarne la morbidezza fragile e il sapore dolce e lieve, di promesse appena sussurrate e di dolceamari addii.

Immerso nei crepuscoli malinconici di questa terra, riassaporo ogni istante di quel bacio, e ogni volta mi sembra assuma un sapore e un significato nuovi eppure conosciuti.
Quel bacio fu per me il più straziante e il più bello che rubai alla vostra bocca profumata: il suo calore aleggia come un’ombra sulla mia, accompagnandomi nei momenti di sconforto e malinconia.
Esso è per me una fonte da cui ho attinto la forza per continuare combattere e sopravvivere un giorno in più: è quel bacio a infondermi la fermezza che rinfranca e incoraggia l’anima mia, e mi permette di affrontare un nuovo dì. E il ricordo della vostra bocca tremante e disperata cancella le immagini tetre e meschine di cadaveri e morte; la vostra dolcezza e la vostra delicatezza e il solo loro ricordo sono bastanti per rendere più sopportabile questo Inferno, portandone una scheggia di Paradiso.
Le vostre lacrime ancora bagnano le mie gote, e le vostre piccole mani candide ancora stringono il mantello, nel tentativo ultimo di trattenermi e percepisco ancora il vostro corpo tremante, che avvolgeva il mio, cercando un rifugio tra le mie braccia, pregandomi di non partire e lasciarvi.
Eppure, mi lasciaste andare, amandomi a tal punto da permettermi di inseguire il folle progetto di un sognatore abbigliato di scarlatto. E ve ne sono immensamente grato.
Sappiate che non vi ho abbandonata. Quello fu un bacio disperato in cui raccogliemmo tutti i nostri sentimenti, il nostro affetto e le nostre preoccupazioni, in cui cercammo entrambi un conforto e una speranza; ma per me, fu anche il sigillo di una tacita promessa: tornerò da voi, mia amata, e vi sposerò!
Quel bacio diventerà il preludio di tanti altri, scambiati all’ombra di questi alberi di limoni, quando vi porterò a visitare la Sicilia e condividerete con me questo sole e questo mare, scambiando battute con altri italiani e sentendoci parte di un’unica realtà.
Questo è il mio intimo giuramento per voi, luce dei miei occhi,.
Vi amo profondamente e disperatamente, e a ogni nuovo respiro il mio pensiero corre a voi, ringraziando Iddio di concedermi una speranza in più di rivedervi. Vorrei poter tornare presto ad assaporare le vostre labbra e accarezzare il vostro corpo.
Ho bisogno di voi e del vostro affetto, le vostre lettere sono un magro conforto, un fantasma sbiadito della vostra amabilità, della vostra sensibilità, del vostro riso e del vostro profumo.
Voglia Iddio che ritorni il più presto possibile per sigillare il compimento della mia promessa.

Per sempre vostro
Alessandro

   
 
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