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Autore: Circe    12/08/2017    1 recensioni
Bellatrix, Andromeda, Narcissa, Sirius, Regulus. Per ognuno di loro una storia privata e segreta.
Un Natale in famiglia costellato di segreti e conflitti. Bugie e amori.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Tutto pur di averti

(Narratore Rodolphus Lestrange)

Ero andato a piedi fino al paesino di Hogsmeade, incurante del freddo e della neve che ancora cadeva lentamente. In quei luoghi ce n’era sempre molta, rendeva tutto perennemente bianco, senza rumore, senza colore. Io non ero abituato e mi piaceva camminare nella neve, immerso nel silenzio, vedere tutto il paesaggio ricoperto dalla coltre bianca e il cielo sempre grigio e carico di neve anch’esso. 
Quello strano candore mi calmava i nervi.
Tutti quei giorni sempre da solo… non avevo quasi mai parlato con anima viva, non sapevo nemmeno più che suono avesse la mia voce. 
Però finalmente mi ero deciso ad uscire fuori, respirare aria, complice un errore di mio fratello che aveva inviato una sua lettera non a scuola, ma alla gufaia del paese vicino. 
Sono uscito quando ho avuto voglia, incurante dell’ora e di quanto avrei impiegato ad andare a piedi fino in quel luogo, non ho avvisato nessuno e nessuno mi ha notato. In questo modo, se non avessi avuto alcun desiderio di tornare, se fossi voluto scomparire per sempre da quel luogo, forse nessuno se ne sarebbe accorto e nessuno avrebbe potuto riportarmi indietro. 
Chissà perché pensavo sempre così.  
Avrei semplicemente dovuto gettare via quel po’ di Metropolvere che mi ero procurato per tornare, e di sicuro non avrei avuto la forza per rifare la strada a piedi e me ne sarei andato altrove, per sempre.
Non lo feci. Mi ero anzi tenuto la polvere ben stretta e ben da conto perché, prima di leggere quella lettera, stavo ancora abbastanza bene e sarei tornato a scuola quasi volentieri.
Però poi l’avevo letta quella lettera, al caldo, nel pub di Madama Rosmerta. L’avevo aperta e sfogliata e riletta. Mi aveva fatto veramente male, più di quanto avrei potuto immaginare. Così avevo ordinato due Whisky Incendiari e tutto era ricominciato da capo, come prima: il sapore forte, lo stomaco che si spaccava e il dolore che sentivo dentro che piano piano se ne andava via, almeno per un po’.
Tutto per la lettera, anzi no, per una sola frase. 
Quella frase mi dava un fastidio terribile e insopportabile. 
“… sai fratello, ho saputo che Bellatrix Black si sposa. Mi sa che sia vero, una notizia sicura, ne parlano in tanti. Con suo cugino, tale Evan Rosier. Tu ne sai nulla? Sai, mi piaceva quella tua amica, è così bella… a dire la verità mi era sembrato vi piaceste voi due…”
Chiusi gli occhi per un secondo, mi bruciavano, poi lessi ancora due righe.
“… quando siamo venuti a trovarti ci hai parlato di lei, anche nostro padre era così piacevolmente stupito della tua vitalità… e lei, sai, ad una festa mi ha chiesto di te… si è fatta raccontare…”
Si è fatta raccontare di me, però sposa un altro.
Mi innervosiva terribilmente, l’accartocciai nella tasca e cambiai locale, è un trucco facile: così nessuno si accorge di quanto bevi e ti servono comunque. Alla fine compri una bottiglia, che magari fingi sia per una festa, e bevi fuori, per i fatti tuoi.
Anche se c’è freddo e anche se sei da solo, camminando fra una stupida vetrina e l’altra, fra la gente che ride ed è felice e tu gli sputeresti addosso per lo schifo.
Alla fine mi sedetti su una panchina perché ormai faticavo a tenermi in piedi, mi appoggiai allo schienale bevendo un ultimo sorso e ricominciò pure a nevicare forte. Tutti tornavano nelle case, o nei locali del piccolo centro. Ero di nuovo completamente solo.
Sospirai.
Aveva ragione Rabastan… “è così bella…” e io l’avevo avuta così vicina quella sera... 
Estrassi di nuovo la lettera dalla tasca, non riuscivo più a connettere nulla, ma il pensiero vago di Bellatrix mi torturava la mente.  Spiegai i fogli sul mio ginocchio ormai bagnato dalla neve, tremavo e non me ne accorgevo. Guardai lo scritto di nuovo e mi colpì sempre la stessa frase “… Bellatrix Black si sposa…” era una vera e propria pugnalata ogni volta.
Assaggiai di nuovo un sorso, ancora un po’ e avrei perso i sensi. Lì da solo come un cane, su una panchina sperduta, in un paesino sperduto in Inghilterra, senza nemmeno sentire di nuovo i suoi baci e il calore della sua pelle.
Sorrisi e chiusi gli occhi. Pensai che sarebbe stato bello avere l’ultimo bacio da lei, magari farmi scaldare dalle sue labbra, dalla sua pelle, entrare dentro di lei e sentire tutto quel suo fuoco bruciante, vederla e baciarla ovunque, nuda in tutta la sua bellezza.
Un vero fremito di calore e di vita.
Sorridevo a quei sogni mentre la neve mi si fermava sul volto. Magari non era solo un sogno, magari se fossi riuscito ad alzarmi, a ficcare la testa nella neve morbida e ghiacciata e non morire, a non abbandonarmi al freddo vuoto, al nulla...
 Avrei tanto voluto tornare un po’ lucido, trovare un camino e usare la Metropolvere per qualcosa di utile, mi sentivo così male, uno schifo, a bere sempre fino a quel punto. Se solo fossi riuscito a smetterla di comportarmi così, come poi mi consigliavano tutti di fare.
Il male che sento tanto non passa, lo sento solo più forte ora, e mi sento incapace, non faccio quindi che peggiorare la situazione. Purtroppo però questi pensieri li faccio solo dopo essermi ridotto così e non prima, in modo da fermarmi, da evitare tutto ciò, in modo da stare bene. 
E lei ora si sposa, e io qui incapace di tutto, a morire sotto la neve.
Non volevo si sposasse, la volevo io. Era così chiaro ora che mi piaceva e quanto. Per un attimo rividi nella mente delle immagini, momenti di quell’anno passato vicini.
Quando si era seduta di fianco a me nel banco, l’ultimo banco in fondo alla classe, che avevo preso per stare solo e non dover parlare con nessuno. Lei era entrata, con la divisa verde e argento che per la prima volta vedevo bella indossata da una ragazza, i capelli neri lunghi sulle spalle, la camicetta leggermente aperta sul seno e alcuni libri. Quando si era seduta accanto a me, avevo subito provato a guardarle le tette, ma mi aveva rivolto la parola e quella sua voce sferzante mi aveva distratto.
Tutte quelle ore passate al Lago Nero, soli, sull’erba, al tepore del primo pomeriggio, quando mi parlava in francese e frammischiava l’inglese per insegnarmelo, se l’ho imparato subito, o quasi, è stato merito suo. Arrivavo sempre fatto all’inizio, dopo poco però avevo smesso, perché mi piaceva essere lucido quando parlavo con lei, quando la guardavo.
Seduti sul prato, a volte coi piedi in acqua, soli, allora sì che le potevo vedere le gambe, le labbra, la pelle.
In sala comune, quella notte in sala comune… quando mi aveva aspettato, così selvaggia, svestita a quel modo, mi aveva fatto quasi impazzire. Come ci eravamo baciati, con che foga e passione, quanto era bella e sexy, ricordo tutto, ogni suo sguardo, ogni centimetro di pelle, anche se avevo bevuto tanto, ogni sensazione mi è rimasta impressa nella mente.
Anch’io le piacevo, anche questo ora mi era chiaro. Non era solo un gioco.
Cazzo, se solo la smettessi con questa vita, senza morire ora. Senza star qui ricoperto di neve a tremare senza nemmeno accorgermene, freddo come il ghiaccio, immobile. Se riuscissi ad usare la Metropolvere…
Allora, magari… l’avrei avuta solo per me per davvero. 
Stringevo nella mano la Metropolvere, forse era l’unica cosa che ancora sentivo bene al tatto, per il resto volevo solo andare da lei.
Improvvisamente qualcosa deve avermi aiutato, fatto una grazia, mandato un po’ di immeritata fortuna: lo stomaco mi si è ribaltato completamente, iniziai a vomitare come un dannato tutto quello che avevo bevuto. Tutto fuori nella neve, vicino a quella panchina. Mi sembrava di morire, ma una morte migliore di quella che sembrava arrivare poco prima, una morte dolorosa, stomaco che si contorce, gola che brucia, lacrime agli occhi per gli sforzi, ma i polmoni riprendevano un po’ di ossigeno, la testa faceva male, ma riprendeva un pochino a connettere.
Dopo un interminabile tempo in quelle condizioni, il peggio sembrava passato, mi sentivo meglio. Mi ero pulito per bene la bocca con la neve, avevo cercato con fatica il primo pub nelle vicinanze, ordinato, per la prima volta, un bicchier d’acqua e cercato il camino per la Metropolvere.
Prima di usarlo andai nel bagno, cercai di sistemare i capelli completamente inzuppati di neve, lavai il viso e tolsi il mantello bagnato.
Lo specchio non rimandava un’immagine ottima di me, ma pazienza. Volevo solo andare da lei.

Tu sei come me

(Narratore Bellatrix Black)

 

Erano giorni che me ne stavo quasi sempre sola, chiusa nella mia stanza, senza vedere nessuno, o parlare con nessuno. Mangiavo e discorrevo pochissimo, semplicemente l’indispensabile. I miei pensieri correvano continuamente al problema che mi ritrovavo davanti: un matrimonio che non volevo e non desideravo per nessuna ragione al mondo.
Evan aveva convinto mio padre, e lo aveva anche convinto a fare in fretta. Mio padre probabilmente era arrabbiato per il mio comportamento spregiudicato, che poi spregiudicato non è, e voleva mettere le catene alla mia libertà di fare ciò che volevo.
Sono pur sempre una Black e come tale mi devo comportare, penserà lui.
Certamente, io sono sempre una Black e come tale mi devo comportare, ma secondo quel che penso io sull’essere una Black, non secondo quel che pensano loro.
Dovevo solo trovare un modo. 
Quale però ancora non lo sapevo, non mi veniva in mente. Mi torturavo il cervello e non trovavo soluzione.
Non era solo questione di perdere il ragazzo che desideravo, era dover essere costretta e imprigionata in qualcosa che non volevo, lasciare la mia libertà, sentirmi comandata in un mondo di decisioni imposte dall’alto, da padri, o da uomini che non rispettavo.
Non l’avrei mai permesso. Per un piccolissimo istante mi era sembrato di capire mia sorella, anche lei non si sarebbe lasciata comandare a bacchetta, mai. Solo che lei aveva scelto la parte sbagliata.
Io comunque dovevo pensare a me.
Mentre riflettevo su tutte queste cose, il buio si era fatto più scuro nella stanza, le giornate erano brevi e lasciavano ampio spazio alle tenebre. Mi alzai dal letto per accendere le candele e rischiarare un po’ la stanza, il fuoco crepitava nel camino, ma in quel palazzo tanto antico, spesso l’umidità entrava nelle ossa e c’era bisogno di ravviarlo spesso, comunque non sarei uscita dalla mia stanza quella sera, per cui tanto valeva pensarci io. 
Mi avvicinai dunque per sistemarlo e fu così che sentii strani rumori nel camino spento, adibito al passaggio con la Metropolvere: strano perché nessuno lo usava mai per entrare nelle stanze private e men che meno se non si è minimamente fatto annunciare.
D’istinto afferrai la bacchetta, ero pronta per attaccare. Mi si palesò però davanti un ragazzo che a stento si reggeva in piedi, tutto bagnato dal nevischio e pallido come un morto. Aveva gli occhi stravolti e cerchiati da occhiaie profonde, tremava anche un po’, disse qualcosa in un inglese arrangiato, con quell’inconfondibile accento francese che mi faceva battere il cuore e mancare il respiro.
Trattenni il fiato per un momento: quanto lo avevo aspettato… quanto mi era mancato, finalmente si era deciso a fare la sua mossa anche lui.
Mi avvicinai e lo baciai immediatamente. 
Dovetti reggerlo in quell’abbraccio e in quel bacio, era ubriaco e malfermo sulle gambe e freddo come il ghiaccio, le labbra erano pallide, ma tanto belle.
Persino i capelli erano bagnati, non capivo perché dovesse sempre ridursi in quello stato, ma l’ho sentito sorridere durante quel lungo bacio e questo è stato molto bello, rassicurante.
“Sono venuto da te, Bella, non ti sposare, resta con me, stiamo insieme, sposa me.”
Quelle parole mi avevano ridato forza e speranza, una soluzione l’avrei travata.
Il suo tocco mi fece rabbrividire in ogni senso, dimenticare tutto, più lo stringevo e lo baciavo con passione, più lo sentivo animarsi: le labbra tornavano calde e morbide, il respiro si allungava in un sospiro appassionato, le sue mani fredde mi risalivano il corpo fino alle guance da dove iniziarono a riscaldarsi, io iniziai a sentire un desiderio intenso e forte, lo abbracciavo e lo baciavo con passione.
Ci buttammo sul letto, fra le lenzuola e le coperte calde, continuavamo a baciarci senza sosta, senza parlare.
Era un sogno che si realizzava all’improvviso e con un impeto inimmaginabile.
“Sei freddo e bagnato, ti devi spogliare, Rodolphus. Ti scaldo io.” gli dissi ad un certo punto, più per passione che per protezione.
Mi prese il viso tra le mani e guardò intensamente.
“Non ti sposare, Bellatrix. Se ti sposi uccido quel marito e poi stiamo insieme per sempre.”
“Non ho intenzione di sposarmi, Rodolphus, non lo farò per nessuna ragione al mondo, voglio te, da quando ci siamo incontrati, mi sei piaciuto subito e anche tu lo sai.” 
Sorrise a quelle parole, scendendo poi a leccarmi e mordermi il collo, sembrava più tranquillo, più contento, poi aggiunse:
“Dico davvero. Ci penso io, lo uccido, lo ammazzo con le mie mani, se necessario, anche senza bacchetta, tutto pur di averti.”
Mi avvinghiai a lui, ci abbracciammo stretti fra le coperte, sul letto ormai sfatto, lo baciai lenta sul collo e sul petto lasciato scoperto dalla camicia, assaporando l’odore freddo della neve che portava con sé.
“Vedremo, amore mio.”
Sorrise. Poi però ritornò serio un attimo, guardandomi cupo.
“Non sarebbe la prima volta, sai?”
Lo guardai con fare interrogativo.
“Non sarebbe la prima volta che uccido qualcuno, è già successo… per questo sono qui in Inghilterra.”
Rodolphus mi stava confessando il suo segreto finalmente, qualcosa che ormai già sapevo, ma che scelse di dirmi forse per liberarsi, o per paura che mi facesse orrore, non so, ma mi fece piacere quella confessione, comunque.
“Lo so, Rodolphus, lo sapevo già da tempo… e se non l’avessi saputo, l’avrei forse immaginato, tu sei così e io lo sento, lo percepisco, sei come me. E questo non mi fa paura, mi esalta.”
Rimase un po’ pensieroso, ma poi si avvicinò languido.
“Allora spogliami, e fai l’amore con me.” 
Disse così afferrandomi leggero per i fianchi, sotto la maglia, sulla pelle nuda, accarezzandomi  e stringendomi con una sensualità senza eguali.
Continuammo così a lungo, mischiando la nostra pelle, fin nella carne e anche i nostri diabolici sorrisi. Era ancora più bello vederlo sorridere solo per il mio piacere, solo per il mio orgasmo.
Avrei fatto l’amore con lui per sempre, fino alla fine dei miei giorni.

…….
Eccomi qui con il capitolo riveduto e corretto, in questa fiction ho avuto un momento in cui non sapevo se sarebbe stato meglio far scegliere Rodolphus o Evan… 
Solitamente non ho dubbi sul primo, ma qui mi è spiaciuto per l’altro. Ho poi scelto di togliere Lord Voldemort e dare più spazio ai due ragazzi e in seguito ad Andromeda e Ted.
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, ormai la storia è quasi finita, così saprei un po’ come sta andando.
Intanto grazie per le letture!
Circe
   
 
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