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Autore: Old Fashioned    24/10/2017    17 recensioni
Londra, 1887. Nel posto di Polizia di Whitechapel cominciano a verificarsi misteriosi incidenti che colpiscono, uccidendoli invariabilmente, gli agenti veterani.
Sarà una recluta con sei mesi di servizio, Alistair MacLeod, a cogliere una sinistra coincidenza che accomuna tutti i decessi, e a decidere di indagare. Tra segreti inconfessabili, omertà e pericoli, scoprirà una terribile verità.
Seconda classificata al contest "Magiche Feste" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP e giudicato da E.Comper
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tarocchi 3 Salve a tutti/e! Eccoci qui con un nuovo aggiornamento del nostro horror londinese e vittoriano. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, e soprattutto chi ha avuto la gentilezza di lasciarmi un commento.
E ora vi lascio ai nebbiosi vicoli di Londra^^






Capitolo 3


MacLeod uscì dal Bedlam piuttosto perplesso. Ciò che aveva sentito era la realtà dei fatti o la farneticazione di un pazzo?
Difficile non pensare alla seconda opzione: come poteva esistere una donna che moriva fisicamente ma continuava a parlare nella testa delle persone e a far succedere incidenti? Più probabilmente il povero Adamson era impazzito, forse schiacciato dalla colpa di quello che aveva fatto lui stesso e fatto fare ai colleghi, e la sua mente sconvolta aveva elaborato la strana storia che poi gli aveva esposto.
Naturalmente, dopo sette anni non avrebbe avuto alcun senso far dragare il fondo del Tamigi, anche perché con ogni probabilità non avrebbero trovato un solo corpo, ma almeno duecento: i suoi colleghi non erano certo stati gli unici a pensare di disfarsi di un cadavere buttandolo nel fiume con un peso al collo.
Si chiese dove fosse la madre di O’Hanigan, quella Catriona che si faceva chiamare Papessa Nera, e di cui tutti sembravano avere un sacro terrore. Stabilì che doveva tornare il prima possibile al Bedlam, per farsi dire da Adamson in cosa consisteva, concretamente, ‘ci ha pensato Wyndham, con un cuscino in faccia.’
Mentre stava così ragionando, l’orologio batté le dodici, ed egli realizzò che era quasi ora di pranzo. Meccanicamente, si diresse al pub che si trovava di fronte al posto di Polizia, dove tutti i colleghi andavano a pranzare quando erano in servizio.
Appena entrato si imbatté in Campbell, che era seduto al suo tavolino preferito e stava mangiando una generosa porzione di kidney pie annaffiata con birra leggera.
Non appena si accorse di lui, il collega lo salutò e gli fece cenno di avvicinarsi. “Non hai il turno di notte, Alistair?” gli chiese quando si fu seduto.
Il più giovane annuì.
E che ci fai in giro a quest’ora? Dovresti essere a dormire.”
L’altro stava per rispondere quando arrivò il cameriere e chiese: “Che cosa vi porto, agente MacLeod? Abbiamo la kidney pie, la cottage pie e dei sandwich col prosciutto.”
Il giovane fece distrattamente la sua ordinazione – dopo le ultime rivelazioni non aveva una gran voglia di mangiare – e quando l’uomo si fu allontanato, fissò Campbell negli occhi e gli disse: “Sono stato al Bedlam stamattina.”
L’altro non parve molto impressionato. “E quindi?”
Ho parlato con Adamson.”
All’udire quel nome, Campbell gli fece bruscamente cenno di abbassare la voce, poi dardeggiò un’occhiata apprensiva in giro. Quando fu certo che nelle immediate vicinanze non ci fosse nessun volto conosciuto, emise un sospiro e disse: “Ti avevo già chiesto di lasciar perdere questa storia, se non sbaglio.”
Charles, quell’uomo mi ha raccontato la verità.”
La verità? I deliri di un ammalato di nervi, vorrai dire.”
Tornò il cameriere, e i due si zittirono. L’uomo posò il piatto davanti a MacLeod, gli consegnò anche una pinta di birra e gli augurò buon appetito, quindi se ne andò.
Appena furono di nuovo soli, Campbell disse: “Te lo ripeto, Alistair: lascia perdere questa storia.”
Perché?”
L’altro emise un sospiro di esasperazione. “Sei un novellino con sei mesi di servizio, non sai nemmeno allacciarti le scarpe se non hai un veterano di fianco, cosa pensi di fare?”
Se stare con i veterani significa imparare a fare quello che avete fatto voi, grazie tante, sto con i novellini.”
Campbell si passò una mano sul viso e rispose: “Pagherei qualsiasi cosa perché tu ti potessi riascoltare fra dieci anni, così capiresti che idiozia hai appena proferito. Tu non sai niente del servizio, vedi le cose solo da fuori, come i giornalisti e i giudici, perché non ti ci sei ancora calato dentro. E da fuori, caro mio, sono bravi tutti a dirti cosa avresti dovuto fare.”
Beh, non ci vuole poi chissà che mentalità strana per pensare che ammazzare di botte qualcuno per toglierlo di mezzo non sia esattamente il comportamento dell’agente modello.”
Ma che bravo,” replicò l’altro con tono sarcastico, “sei come tutti gli altri, solo pronti a puntare il dito e a giudicare. Uno come te, che vive nel castello fatato, dovrebbe fare il reverendo, non il poliziotto.” Si alzò bruscamente in piedi.
Aspetta, Charles,” lo richiamò MacLeod.
Il collega lo fissò sprezzante. “Mi piacerebbe che l’avessi ritrovato tu, uno dei bambini uccisi da quel bastardo. Forse adesso ragioneresti in maniera diversa. Forse capiresti che ci sono individui che nella loro schifosa vita non potranno fare altro che del male, e vanno eliminati come se fossero bestie rabbiose.”
Detto questo, gli girò le spalle e uscì.

§

Seduto alla scrivania, MacLeod giocherellava con la penna. La sala era talmente silenziosa che si percepivano distintamente il lieve sibilo del gas che usciva dai cannelli delle lampade e il respiro pesante di Gardner, che sicuramente si era già addormentato.
Tanto per fare qualcosa, si mise a sfogliare il registro.
Ripensava alle parole che Campbell gli aveva rivolto poche ore prima e si chiedeva se e quanto Bene e Giustizia coincidessero. Davvero non capiva quale fosse il modo giusto di comportarsi perché era solo una recluta? Con l’esperienza avrebbe capito dove e fino a che punto fosse lecito violare la Legge in nome di un bene superiore, e dove invece essa fosse da applicare con il massimo rigore?
Ma chi faceva le leggi? Chi stabiliva cosa fosse bene o male?
Posò la penna e si passò una mano fra i capelli con un sospiro di frustrazione. A pensare a certe cose c’era il rischio di farsi venire mal di testa.
Si alzò e andò nella stanza attigua a prendere il bricco dell’acqua.
Preparò la teiera, prese due tazze e tornò alla sala principale. Quando arrivò sulla soglia, fu investito da un’ondata di freddo mortale e quello che aveva in mano minacciò di cadergli: al centro del locale c’era la vecchia signora. La misteriosa figura era in lutto strettissimo, portava come al solito uno scialle frangiato, un ampio cappello con la veletta e i guanti.
Non appena lo vide, prese ad avanzare a passettini nella sua direzione.
MacLeod deglutì e dovette fare uno sforzo per impedirsi di indietreggiare. Gettò una fugace occhiata a Gardner, che però era abbandonato sulla sedia con la testa all’indietro e la bocca aperta, e non sembrava in grado di intervenire in suo favore.
Buona sera, agente,” salutò la signora, al solito con una voce che sembrava fatta di polvere e ragnatele. “Sto cercando l’agente Clifford Adamson, per favore.”
Non… non è più in servizio, signora. Posso… ehm… sapere il motivo per cui lo cercate?” Rabbrividì, il freddo sembrava farsi di attimo in attimo più intenso. Ebbe la sensazione che se fosse rimasto al cospetto di quella strana figura ancora per qualche secondo, la teiera fumante gli si sarebbe trasformata in un blocco di ghiaccio.
La signora emise un suono rauco e fischiante che gli parve una grottesca risata, quindi si voltò impercettibilmente verso Gardner.
Improvvisamente, la sedia su cui l’agente dormiva scivolò, e con un fracasso da fine del mondo egli rovinò a terra trascinandosi dietro tutto quello che c’era sulla sua scrivania. All’improvviso rumore, MacLeod fece un salto, la teiera di latta gli rotolò via rimbalzando sul pavimento e versando tè bollente ovunque, le tazze andarono in frantumi.
Quando i due poliziotti riuscirono a riprendersi dallo spavento, della signora non c’era più traccia.
William Gardner si alzò dolorante e disse: “Per la miseria, MacLeod, ma si può sapere che ti è preso? Un altro po’ e mi facevi venire un colpo.”
Tu l'hai fatto venire a me.”
Stai scherzando? Che ti salta in mente di lanciare la teiera come se fosse una palla da rugby?”
Veramente, io ho mollato la teiera dopo che tu hai fatto tutto quel fracasso.”
Impossibile: dormivo,” gli rispose candidamente Gardner.
Devo mandare un messaggio al Bedlam,” disse l’altro per tutta risposta.
Eh? Un che? Dove?”
Un messaggio, al Bedlam. Un paziente è in grave pericolo.”
Ma cosa stai dicendo?”
So che è in pericolo. Non ho tempo per spiegarti.”
Secondo me ci devi andare tu, al Bedlam,” brontolò Gardner.
Senza ascoltarlo, MacLeod si infilò nell’ufficio del sergente Kelsey, dove si trovava l’apparecchio telefonico che metteva in contatto tutti i posti di Polizia di Londra. Cercò il numero di quello più vicino all’asilo per alienati e lo compose.
Posto di Polizia di Kennington, agente Harris,” rispose una voce assonnata dall'altro capo del filo.
MacLeod, di Whitechapel,” disse rapido il giovane, “chiamo per segnalarvi che un paziente del Bedlam si trova in grave pericolo.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi l'agente Harris chiese: “E voi come fate a saperlo da laggiù?”
Ve lo spiego dopo. Mandate qualcuno a cercare un paziente che si chiama Clifford Adamson. È stato un nostro collega, e in questo momento è in grave pericolo.”
Ma l'altro sembrava ancora poco convinto. “Un agente impazzito?” chiese, come se fosse quella la cosa più importante.
Vi ho detto che vi spiegherò tutto dopo,” replicò MacLeod con una punta di fastidio nella voce, “Ora andate. Clifford Adamson.”
Sì, l'avete già detto.”
La comunicazione si chiuse.
MacLeod abbassò la cornetta e si girò: alle sue spalle c'era Gardner che lo fissava con aria perplessa. “Sei sicuro di stare bene?” gli chiese.
Sto benissimo.”
Cosa gli racconti domani, a Kelsey?”
Perché?”
L'apparecchio telefonico. Lo sai che farebbe usare più volentieri sua moglie, piuttosto che quell'affare.”
Il più giovane emise un sospiro, quindi gettò un'occhiata alla sala e disse: “Sarà meglio che vada a prendere uno straccio.”

Un'ora dopo, squillò il telefono. L'insolito richiamo fece sussultare i già tesi agenti.
MacLeod abbandonò quello che stava facendo e si precipitò sull'apparecchio. “Posto di Polizia di Whitechapel, agente MacLeod,” recitò nella cornetta.
Oh, giusto voi,” disse l'agente Harris dall'altra parte del filo. “Siete veggente, per caso?”
Che intendete dire?”
Quel paziente di cui mi avevate dato le generalità, Adamson.”
Il giovane sentì che il cuore gli balzava nel petto. “Sì?”
Beh, appena ho smesso di parlare con voi, ci hanno chiamati dal Bedlam: il tizio era stato strangolato da un altro paziente. Quando siamo arrivati sul posto, il dottore ha detto che l'assassino era sempre stato un pazzo tranquillo, che prima di allora non aveva mai fatto male a nessuno, ma io dico che con quella gente non si può mai sapere, giusto?”
MacLeod rimase a guardare la cornetta come inebetito.
Giusto?” lo richiamò alla realtà la voce del collega.
L'altro sussultò. “Ehm, certo. Certo, scusate.”
Avreste dovuto vederlo, l'assassino: un ometto alto come un soldo di cacio. Ma dove la trovano, quella forza, dico io...”
Il giovane agente ringraziò e chiuse la comunicazione. Deglutì a fatica a causa della bocca secca e si passò una mano sul viso. “Mio Dio...” esalò.
Che c'è?” chiese Gardner dalla sala.
Sarà meglio che vada a fare dell'altro tè. Bello forte, questa volta.”

§

I dintorni della conceria avevano un aspetto sinistro anche nel pieno di una mattinata di sole. La luce forte faceva impietosamente risaltare i muri anneriti dalla polvere di carbone e le finestre buie. Sembrava addirittura che il calore dei raggi rendesse più disgustoso il tanfo che aleggiava dappertutto.
Come al solito, per strada non c'era anima viva.
La casa sorgeva lugubre al centro del suo giardino di sterpi. Nonostante fosse sereno, si era mantenuta intorno all'edificio, forse a causa dell'umidità del suolo, una lieve caligine che strisciava rasoterra e si annidava negli anfratti più ombrosi.
MacLeod salì i gradini che conducevano alla porta d'ingresso e abbassò la maniglia, che come la volta precedente cedette morbida.
Nonostante la temperatura mite dell'esterno, una volta oltrepassata la soglia l'agente si trovò a rabbrividire nel pesante pastrano.
C'è nessuno?” chiese a voce alta. Non gli giunse alcuna risposta.
Si addentrò nell'ingresso, alla ricerca di una fonte di luce. Ricordò il mozzicone di candela che aveva visto sotto il ritratto della zingara, lo raccolse staccando la colata di cenere che l'aveva incollato al pavimento e lo accese. Con quello in mano, salì cautamente al piano di sopra.
Il primo ambiente nel quale entrò, ovvero una camera da letto, conservava ancora biancheria e lenzuola, come se il suo occupante si fosse assentato col proposito di fare ritorno quanto prima. Nei cassetti c'erano abiti maschili, alcuni anche di un certo pregio. Sotto il letto c'era un paio di scarpe di buona fattura. Sotto il cuscino, l'agente trovò una rivoltella carica.
Proteggendo con la mano la fiammella tremolante, si spostò nella stanza da bagno. Lì trovò un assortimento di articoli da toeletta, sia maschili che femminili. Di nuovo, oggetti di pregio, in avorio e argento.
Sollevò un lembo del telo che copriva lo specchio, e gli parve di vedere, riflessa nella lastra, un'ombra alle sue spalle. Sussultò e si girò bruscamente, ma i suoi occhi incontrarono solo il vuoto.
Aspettò che il ritmo del respiro tornasse normale, quindi stabilì che si era trattato di un gioco di luci causato dalla fiamma della candela e proseguì con la sua esplorazione.
Il corridoio si biforcava a T. La cosa che lo lasciò perplesso, e che anche la volta precedente, ricordò, l'aveva colpito, fu la presenza di un armadio enorme proprio nell'incrocio dei due bracci della T, appoggiato al muro nel braccio orizzontale. Il mobile, di solido rovere, era pesante e ingombrante, tanto che tra esso e il muro antistante si passava a stento.
Con fatica si spostò verso una stanza che fungeva da guardaroba femminile. Dentro c'erano abiti dai colori sgargianti, ma di una foggia che non si vedeva più in giro da almeno una quindicina di anni. Trovò anche stivaletti, guanti, cappelli, biancheria e altro. Le cose erano sia riposte negli armadi che abbandonate in cumuli sulle spalliere delle sedie. Sollevò la candela per osservare meglio, e notò su una parete la tipica sagoma lasciata da un mobile che viene portato via.
La fiamma ebbe un'oscillazione, e MacLeod si girò di scatto: la sensazione di avere qualcuno alle spalle era tornata, più forte di prima, ma di nuovo non vide nessuno. Emise in un lungo sospiro il fiato che aveva trattenuto. Uscì dalla stanza dei vestiti, la fiamma oscillò di nuovo minacciando di spegnersi. Il poliziotto vi mise intorno la mano a coppa per proteggerla, ma non c'erano correnti d'aria. “Questo è curioso,” mormorò a disagio.
Tornò sui suoi passi, ripercorse il corridoio, oltrepassò l'armadio e arrivò a un salottino che aveva al centro un tavolo rotondo coperto da una tovaglia che arrivava fino a terra. Ne sollevò un lembo, ma non vide nulla di particolare al di sotto.
Fece girare intorno la fiamma della candela: c'erano delle vetrine con dentro delle ceramiche, qualche fotografia alle pareti, una cornice velata che doveva racchiudere uno specchio.
La fiamma della candela cominciò a farsi sempre più piccola, come se lo stoppino stesse per consumarsi definitivamente. Il che era impossibile, dal momento che nel mozzicone ce n'era ancora almeno un pollice.
Quando la luce assunse l'intensità di una brace di sigaro, l'agente fu costretto a interrompere le sue osservazioni.
Tornò verso la scala, e la fiamma riprese ad ardere normalmente.
MacLeod si girò, e di nuovo rimase a guardare le stanze buie che aveva appena lasciato, faticando a convincersi che non ci fosse nessuno.
Andò alla camera da letto e infilò la mano sotto il cuscino, ma la pistola era ancora dove l'aveva lasciata.
Scese al piano terreno, spense la candela soffiandovi sopra e la depose su un tavolo, quindi si strofinò le mani infreddolito e uscì all'aria aperta.
Per quanto il posto fosse lugubre, quando fu nel giardino si concesse un sospiro di sollievo. Realizzò di avere tutti i muscoli della schiena indolenziti per la tensione. “Domani mi faranno un male d'inferno,” borbottò.
Mentre stava percorrendo il vialetto, vide due donne fermarsi a osservarlo dalla strada. Si scambiarono qualche frase, poi una di esse a voce alta lo avvisò: “Non ci abita nessuno, là dentro!”
Il cancelletto era aperto, ma nessuna delle due sembrava essere intenzionata a mettere piede nel giardino.
MacLeod le raggiunse. “Buon giorno,” salutò, portandosi due dita alla fronte come aveva visto fare ai vecchi, “Da quanto tempo è disabitata questa casa?”
Le due si scambiarono un'occhiata, poi una disse: “Saranno sette anni, signore.”
Di chi era?”
Di nuovo uno sguardo tra le due donne, poi quella che sembrava più autorevole disse: “È meglio se andate a parlare con l'ebreo, signore.”
“L'ebreo? E chi sarebbe?”
L'altra intervenne: “È uno che ha un negozio di libri vecchi. Sta a due isolati da qui.” Sollevò un braccio per indicare la direzione.
“Lui vi parlerà,” intervenne l'altra. “Parla sempre con tutti.”
“E voi perché non mi parlate?”
“Di questa casa?” replicò la più giovane, “Oh, no. Proprio no. Scusate, signore.” Arretrò di un passo, come per sottrarsi all'influenza nefasta della magione, poi disse all'altra donna: “È meglio che andiamo.”
“Sì, si è fatto tardi.”
Si allontanarono rapide, piantando l'agente lì su due piedi, attraversarono la strada e scomparvero dietro l'angolo camminando a passo svelto.

All'agente non rimase altro da fare che recarsi dove gli avevano suggerito le due donne, ovvero al negozio di libri vecchi dell'ebreo.
Dovette chiedere un po' in giro, ma alla fine riuscì a identificare il luogo: si trattava di una vetrina polverosa, nella quale erano disposti libri che sembravano usciti da un monastero benedettino. I testi non davano l’idea di essere in esposizione, piuttosto sembravano riposti come in un armadio. Tutto il luogo in effetti dava l'idea di un ritrovo di intenditori, più che di un esercizio commerciale.
Mentre era fermo con aria irresoluta sul marciapiede, dal negozio uscì un signore anziano, che gli si avvicinò e in tono cortese gli domandò: “Posso fare qualcosa per voi, agente?”
L'uomo aveva un'espressione buona, premurosa, faceva pensare al nonno che ogni nipotino vorrebbe avere.
Aveva i capelli grigi lunghi fin sulle spalle e una barba da patriarca che gli arrivava al petto. Portava un dignitoso completo nero un po' liso sui gomiti.
L'agente gli rivolse un sorriso e rispose: “Sto cercando un negozio di libri gestito da un ebreo. È questo, per caso?”
L'altro accennò di sì. “Temo proprio che sia questo, agente,” rispose in tono bonario, “anche se non sono ebreo, sono armeno.” Gli porse la mano. “Petros Kasparian,” si presentò.
“Alistair MacLeod,” si presentò a sua volta l'agente. “E allora perché vi chiamano ebreo?”
L'uomo alzò le spalle. “Forse perché si dà per scontato che chiunque venga dall'est e venda libri antichi appartenga a una delle tribù di Israele.” Gli accennò l'ingresso del negozio: “Prego, entrate.”
Il poliziotto si piegò un po’ per oltrepassare la porta, e si infilò con qualche difficoltà tra scaffali carichi di libri antichi. Si mosse adagio cercando di non urtare nulla.
“Ebbene, come posso aiutarvi?” gli chiese il signor Kasparian raggiungendolo.
“Si tratta di una vecchia casa abbandonata della quale nessuno sa o vuole fornirmi informazioni. L’unica cosa che sono riuscito a cavare fuori a due passanti è stato il consiglio di venire a parlare con voi.”
L’altro aggrottò le sopracciglia e annuì grave. “È la casa della cartomante, vero?”
“Della cartomante?”
Kasparian annuì di nuovo, poi disse: “Una villetta isolata, con le persiane del piano superiore inchiodate, giusto?”
MacLeod si trovò involontariamente a sorridere. “Proprio quella.”
“Un posto piuttosto sinistro, non è vero?”
“Già,” rispose l’agente.
“E ditemi, che cosa posso fare per voi?”
“Potete raccontarmi quello che sapete. C’è un mistero, intorno a quella casa, e non riesco a venirne a capo.”
Il vecchio assentì con un vago sorriso. Persi tra decine di piccole rughe d’espressione, i suoi occhi neri, straordinariamente vivi, brillavano. “Omero diceva che Il fascino dell’ignoto domina tutto. Voi siete d’accordo?”
“Io voglio scoprire la verità,” si limitò a rispondere l’agente.
“E non è anche questo un modo di addentrarsi nell’ignoto? Di portare la luce dove regnavano le tenebre?”
MacLeod non rispose.
Kasparian lo prese gentilmente per una spalla, e sospingendolo verso un retrobottega che sembrava ancora più piccolo e ingombro di carta del negozio, gli disse: “Vi racconterò quello che so.”

Seduto su uno sgabello fra due traballanti pile di libri, un bicchiere di vino di melagrana in mano, il poliziotto fissava con aspettativa il libraio.
Veramente non avrebbe potuto bere, dal momento che era in servizio, ma Kasparian aveva insistito per fargli assaggiare quella che aveva definito una specialità della sua terra. Trovandosi così vicino all’acquisizione di informazioni che aveva inseguito per settimane, MacLeod non si era sentito di declinare l’offerta. Immaginò che se Kelsey lo fosse venuto a sapere l’avrebbe spedito a contare i merluzzi che scendevano dai pescherecci ai docks, ma si sentiva di dire che quello era un caso di forza maggiore.
Il libraio si versò a sua volta un bicchiere di vino, che alla luce delle lanterne a gas prendeva una cupa tonalità di granato, poi disse: “Bene, bene. Da dove volete che cominci?”
“Dall’inizio.” MacLeod si bagnò appena le labbra con la bevanda, in un tentativo di compiacere il suo ospite e al tempo stesso non venire meno all’obbligo di mantenere la sobrietà.
“Dall’inizio,” fece eco Kasparian. “Molto bene.” Bevve un sorso, poi disse: “Avete mai sentito il nome di Malcolm O’Hanigan?”
“Sono qui per lui.”
Ebbene, era Malcolm O’Hanigan il padrone di quella casa. Credo che sia ancora intestata a lui, fra l’altro. Quando le sue azioni criminose cominciarono a fruttargli, la comprò per viverci con sua madre.”
Che tipo era la madre?” chiese l’agente.
La gente diceva che era una strega e che i tarocchi che usava per leggere il futuro erano quelli di Satana. Tutti la chiamavano la Papessa Nera, e anche se andavano a consultarla ne avevano una paura tremenda. Correva voce che le sue maledizioni fossero terribili.”
Voi l’avete mai vista?”
Sì, certo. Una volta andai addirittura a farmi leggere le carte da lei.”
Davvero?”
Ve l’ho detto: il fascino dell’ignoto domina tutto. E poi in effetti i suoi tarocchi erano veramente pregevoli. Dallo stile direi che dovevano avere almeno cinque secoli, anche se le figure erano del tutto particolari, e si mantenevano stranamente vivide, nonostante lei manipolasse quel mazzo praticamente tutti i giorni.” Sollevò le sopracciglia e soggiunse: “Io glieli avrei comprati volentieri, anche pagandoli molto bene, ma figuratevi se ha mai accettato di venderli.”
Affascinato dalla narrazione, soprappensiero MacLeod bevve un generoso sorso di vino e assunse un’espressione soddisfatta, poi chiese: “E adesso dov’è la donna?”
Dopo aver spadroneggiato per anni con le sue fatture, a un certo punto rimase invalida e fu costretta a letto. Ci furono parecchi che tirarono un sospiro di sollievo, ma in breve si accorsero che la Papessa Nera era più potente che mai, e a quelli che avevano esultato maggiormente capitarono inspiegabili incidenti, naturalmente mortali. Ricominciò a fare le carte, solo che invece del tavolino tondo del salotto, adoperava una tavola di legno che si teneva in grembo mentre era sdraiata nel suo letto.”
Sì, ma… adesso sarà morta, no?”
L’altro assentì col capo. “Quando scomparve il figlio, scomparve anche lei. Si sparse la voce che fosse morta, e nessuno ha mai avuto il coraggio di entrare in quella casa per controllare. Un giorno trovai le persiane inchiodate, non so se per impedire alla gente di entrare o a chissà cosa di uscire, e da allora nulla è cambiato, a parte il fatto che pian piano gli alberi e le statue del giardino sono spariti.”
Il poliziotto bevve un altro sorso. “Questo è strano,” disse poi. “Sapete, la porta d'ingresso è aperta. Io ho abbassato la maniglia e sono entrato come se niente fosse.”
Fu la volta di Kasparian di fare tanto d'occhi. “Siete entrato?”
Dovevo controllare,” fu la candida risposta.
La gente del quartiere si sarà fatta l'idea che siate un pazzo, o che abbiate il coraggio di un leone.”
MacLeod fece una breve risata. “Nessuna delle due cose, signore. O almeno spero non la prima. È compito dell'agente di Polizia addentrarsi laddove altri non osano spingersi. Altrimenti, come potremmo contrastare il crimine?”
L'armeno assentì con un sorriso.
Per tornare a noi,” riprese il poliziotto, “Non capisco perché abbiano inchiodato le persiane, se poi hanno lasciato la porta aperta. È strano, non credete?”
Di solito, le cose ci sembrano strane quando non abbiamo abbastanza elementi per comprenderle fino in fondo.”
Voi dite?”
Se ripercorrete la storia della conoscenza, vi accorgerete che è così. Pensate a quante cose venivano credute magia nei tempi antichi. Ora invece la Scienza ci spiega che sono solo fenomeni naturali.”
MacLeod abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, che fra un discorso e l'altro era ormai quasi vuoto. “Voi credete che la magia esista?” domandò pensoso.
Perché mi fate una domanda del genere?”
L'altro alzò gli occhi. “Non lo so. È che quello che sta succedendo non ha una spiegazione logica, signor Kasparian.”
Io penso che l'acquisirà una volta che avrete in mano tutti gli elementi della vicenda, agente.” gli disse il libraio con fare incoraggiante.
Voglia il Cielo che sia così,” sospirò il giovane poco convinto.

§

Stasera non fai altro che sbadigliare,” disse Campbell. “Mi sembra di fare il giro di ronda con un coccodrillo del Nilo.”
Contrito, MacLeod rispose: “Scusa, Charles. Ho dormito poco.”
L'altro fece girare intorno la lanterna, la fissò su un cumulo che si rivelò essere una persona avvolta in una coperta e sbuffò. “Se non la smetti di stare in servizio di notte e correre dietro ai tuoi fantasmi di giorno, tra un po' cadrai per terra come una pera marcia.”
Sono così vicino, che...”
Sei vicino al collasso,” lo interruppe l'altro bruscamente. “Devi dormire. Hai una faccia che sembri scappato dal sanatorio.”
Continuarono a camminare fianco a fianco per un po’. La notte sembrava tranquilla, nemmeno particolarmente fredda, considerando la stagione. Alla fine, MacLeod disse: “Perché invece non mi aiuti, Charles?”
Non ci voglio entrare in questa storia.”
L’altro si fermò, costringendo il primo a imitarlo. Infilò la lanterna dentro una finestra semiaperta e diede un’occhiata a quello che c’era dall’altra parte, facendo scappare un paio di gatti randagi. “Ci sei già dentro,” disse poi, apparentemente parlando fra sé e sé. “Ci sei dentro fino al collo, dal momento che in quella lista di sei anche tu, e di otto che eravate, siete rimasti in tre.”
Sei premuroso a farmelo notare.”
Sono realista. Ora non puoi alzarti e andartene come al pub, quindi mi devi stare a sentire. Io non so se qualcuno ti abbia ordinato di tenere la bocca chiusa o che altro, fatto sta che gli agenti che hanno partecipato a quell’arresto stanno morendo uno dopo l’altro.”
Lo so.”
Mancate tu e altri due.”
So anche questo, dannazione!” ringhiò Campbell. “Credi che non ce l’abbia sempre scolpito in mente, il fatto che siamo rimasti in tre?”
E allora aiutami, no? Cos’hanno fatto per te i veterani, a parte ordinarti di non parlare?”
Tu non capisci. La fedeltà al corpo viene prima di tutto.”
Anche prima della verità?”
Tu non capisci,” ripeté Campbell, quindi lo distaccò di qualche passo.
Il più giovane lo seguì per un po’ in silenzio, poi disse: “Almeno posso raccontarti quello che ho scoperto finora? Magari tu riesci a capire cosa sto trascurando.”
L'altro sospirò con fare esasperato e replicò: “Pensavo di essere uno scozzese cocciuto, MacLeod, ma in confronto a te sono più volubile di un'adolescente ubriaca.”
Non sono cocciuto,” fu la piccata risposta, “non mi piace lasciare le cose a metà, ecco tutto. E ora, vuoi aiutarmi o no?”
Va bene, senti, ti aiuto. Basta che la smetti.”
Grazie!”
Bah. Fermiamoci a bere una tazza di caffè mentre parli, almeno. Sto gelando.”
Fecero una sosta a un chiosco che teneva aperto fino a tardi, ordinarono la bevanda e diligentemente il più giovane cominciò a esporre i fatti.
Alla fine della narrazione, Campbell lo stava fissando con tanto d'occhi. “Da non credere,” disse.
MacLeod rispose: “Te l'avevo detto che c'era qualcosa di strano.”
Il primo vuotò la tazza e la spinse sul bancone per farsela riempire di nuovo, quindi brontolò: “Quasi quasi mi dispiace che non ci sia Dobbins con la sua fiaschetta. Mi sono venuti i brividi, e non per il freddo.”
È una brutta storia,” assentì il più giovane.
Quella roba che hai visto nella casa… insomma, sembra magia nera.”
Probabilmente lo è. Ma c’è qualcosa che non sto capendo, qualcosa che mi sfugge. Dove dormiva la donna? Perché non ho trovato la camera?”
L’altro si strinse nelle spalle.
MacLeod finì a sua volta il caffè, quindi si voltò verso il collega e gli chiese: “Cos’è successo quella notte? Io so che...”
Zitto!” lo interruppe Campbell. Fece girare una rapida occhiata, ma nessuno sembrava fare caso a loro. “Vieni, andiamo a controllare come stanno le cose verso Spitalfields,” gli disse, prendendolo per una spalla e sospingendolo avanti.
Quando si furono allontanati dalla mescita, l’agente disse: “Quello che è successo lo sai, no? Hai detto che te l’ha raccontato Adamson.”
So che qualcuno di voi è andato anche alla casa.”
Non io. So che ci andarono Wyndham e Taggart. Quando tornarono, dissero che la vecchia non sarebbe più stata un problema.”
Non sai cos’hanno fatto?”
Non l’hanno mai detto. E nessuno l'ha mai chiesto, ovviamente.”
Continuarono a camminare per un po’, i fasci di luce delle lanterne danzavano sul selciato davanti ai loro piedi, i passi echeggiavano cadenzati. Alla fine, MacLeod propose: “E se provassimo a chiedere qualcosa a Wyndham? In fondo, anche lui è in pericolo.”
Non ti parlerebbe mai.”
Dici che preferisce morire?”
Campbell alzò le spalle. “Forse.”
Allora è più matto del povero Adamson.”
Un dubbio che ho sempre avuto.” Poi, dopo una pausa: “Non andare a stuzzicarlo, Alistair, va bene?”
Perché?”
Lascia perdere e basta. Piuttosto, possiamo andare alla casa di O’Hanigan domani pomeriggio, se vuoi.”
MacLeod non poté impedirsi un sorriso. Subito dopo però chiese: “Perché non domattina?”
L’altro sospirò. “Chi sei, lo scozzese testardo delle storielle comiche? Domattina dobbiamo dormire. Puoi anche fermarti da me, se ti va, tanto vivo per conto mio.”
Posso andarci anche da solo,” replicò caparbio il più giovane.
Non è il caso.”
So badare a me stesso.”
L'ho notato, ma se non ti accompagnassi non sarei un buon poliziotto. Siamo colleghi, in fin dei conti.”
MacLeod avrebbe voluto chiedergli da dove spuntava, all’improvviso, tutta quell’etica, ma preferì non rischiare di rovinare l’alleanza che si stava così faticosamente creando.
Colleghi, certo,” ripeté, poi continuò a camminare al suo fianco senza più aggiungere altro.

§

I due poliziotti si fermarono di fronte alla casa. Questa volta si erano portati le lanterne, ognuno la propria, e una buona scorta di fiammiferi.
Appoggiati al recinto, rimasero per un po' a contemplare la sinistra magione, poi MacLeod chiese: “Tu ci eri mai stato, qui, Charles?”
L'altro scosse la testa. “Tutti sapevano della casa di O’Hanigan. Io però non ci sono mai entrato.”
Percorsero il vialetto.
Campbell si guardava intorno, l'espressione faceva chiaramente capire quanto poco gli piacesse quello che stava vedendo. “Mette i brividi,” brontolò.
Aspetta di vedere com’è dentro,” replicò l'altro.
Salirono i tre gradini che conducevano alla porta, poi MacLeod abbassò la maniglia e spinse l’uscio, che cedette con un cigolio. Da dentro giunse l'ormai consueto odore di muffa e polvere, accompagnato da un'ondata di freddo che spinse Campbell a indietreggiare brontolando un'imprecazione.
Entrarono. Al chiarore che proveniva dall'esterno accesero le lanterne, quindi si chiusero la porta alle spalle. Cominciarono a esplorare il luogo facendo girare dappertutto i fasci di luce.
Campbell indicò il pentacolo di vernice rossa subito davanti alla soglia. “E questo?”
MacLeod alzò le spalle. “Ce n'è così tanti che ci si stanca di contarli, soprattutto sulle porte e sulle finestre. Tu sai cosa significhino?”
Protezione, credo. Ci vorrebbe un'altra strega per dircelo con sicurezza.”
Quella che abbiamo qui basta e avanza, direi.”
Esplorarono il piano inferiore, incluse le stanze che MacLeod non aveva ispezionato le volte precedenti, ma trovarono solo altri pentacoli, principalmente graffiati sugli infissi delle finestre, e i residui di qualche genere di rituale, candele, rami secchi e un ritaglio bruciacchiato di pergamena, sul tavolo di marmo della cucina.
Si scambiarono un’occhiata: il silenzio era assoluto, non si sentivano nemmeno i pochi rumori dell’esterno. Dappertutto gravava un tanfo di chiuso che si mescolava all’odore della conceria dando luogo a una mistura venefica, putrescente, che sembrava succhiare pian piano le energie con il suo lezzo nauseabondo.
Peggio di un cimitero,” commentò Campbell. “Vediamo cosa c’è di sopra?”
Salirono al piano superiore, ispezionarono le camere presenti. A un certo punto, Campbell si fermò a metà del corridoio, puntò il fascio di luce contro l’armadio che si trovava esattamente di fronte a loro e disse: “E questo qui?”
MacLeod lo fissò con aria interrogativa.
Non ti sembra un posto strano, per un armadio? Voglio dire, proprio qui, nell’incrocio tra i due corridoi...”
Le lampade si affievolirono, i fasci di luce presero una tonalità giallastra.
Ecco che ricomincia,” disse MacLeod.
Cosa?”
È successo anche l’altra volta: quando sono arrivato qui, la luce ha cominciato a fare così.”
Per tutta risposta, l’altro allungò la mano verso una delle maniglie dell’armadio e tirò. Si udì uno scricchiolio, l’anta si schiuse e qualcosa cadde sul pavimento con un rumore metallico. I due sussultarono e fecero un salto indietro.
Simultaneamente puntarono gli ormai fiochi fasci di luce sull’oggetto, e videro che si trattava di un ferro da stiro. Illuminarono l’interno del mobile, e lo trovarono pieno delle cose più pesanti che si potevano rinvenire in una casa: alari del caminetto, pentole di ghisa, ciocchi di legno, addirittura un sacco di carbone.
Togliamo questa roba,” disse Campbell.
Posarono le lanterne da una parte e cominciarono a estrarre cose dall’armadio. La sensazione di aver fatto una scoperta importante li riempiva di un’aspettativa febbrile, che conferiva loro una foga sempre maggiore nel portare a termine il compito.
Alla fine, ansanti, contemplarono il mobile vuotato di ogni suo contenuto.
MacLeod si terse il sudore dalla fronte e propose: “Lo spostiamo?”
Fianco a fianco, si posero con la schiena contro un lato di esso e fecero forza con le gambe. Dopo qualche tentativo, il pesante armadio di rovere ebbe un sussulto e si spostò leggermente.
Forza!” esclamò Campbell.
Continuarono a spingere, guadagnando pollice dopo pollice. Sul pavimento comparve il cerchio esterno di un pentacolo.
Alzarono gli occhi sulla parete e videro il telaio di una porta.
Raddoppiarono gli sforzi.

Alla fine, ansanti e sudati, i due agenti si trovarono a contemplare quello che verosimilmente era l’ingresso alla camera di Catriona O’Hanigan. Sull’anta era stato disegnato un pentacolo che ne occupava tutta la larghezza, accompagnato dagli stessi simboli che si trovavano anche intorno al ritratto fotografico. Per terra c’erano mazzetti ormai disseccati di erica e vischio.
Si scambiarono un’occhiata, poi MacLeod allungò lentamente una mano verso a maniglia e la abbassò, ma la porta era stata chiusa a chiave.
Sollevò le sopracciglia e disse: “Curioso: quella d’ingresso no e questa sì.” Fece una risatina nervosa.
Di là ci dev’essere qualcosa di importante,” gli suggerì Campbell, quindi arretrò di un passo e colpì sotto la maniglia con una potente pedata. La porta scricchiolò ma rimase al suo posto. “È bella solida,” constatò l’agente, “Normalmente le faccio saltare al primo colpo.”
Ci vollero altri due tentativi, poi l’anta si spalancò bruscamente, andando a sbattere contro la parete con uno schiocco che fece sussultare i due. Dall’interno della stanza, immerso in tenebre picee, provenne l’odore greve che si respirava negli ossari.
Fermi sulla soglia, i due agenti si scambiarono un’occhiata, poi MacLeod andò a prendere la lanterna e guardò dentro. Si trattava di una camera da letto femminile. Sulla sinistra c’era un armadio con l’anta a specchio, sulla destra una pettiniera con il piano disseminato di cosmetici. Accanto a essa era disposto un paravento che pur coperto dalla polvere conservava il brillio di sete cinesi. La parete centrale e opposta alla porta era occupata da un monumentale letto a baldacchino con i cortinaggi tirati.
Il pavimento era coperto di tappeti e disseminato di capi di vestiario e oggetti.
MacLeod in testa, i due entrarono cauti, facendo scorrere qua e là il fascio di luce delle lanterne. Girarono intorno al letto, cercarono di scrutare all’interno, ma pesanti strati di broccato rosso e oro lo impedivano.
Alla fine, Campbell sottovoce suggerì: “Bisogna guardare dentro.”
L’altro annuì e tese la mano verso il bordo della tenda. Deglutì irresoluto. Un po’ si vergognava a dirlo al collega, ma da quando aveva messo piede in quella camera aveva cominciato a provare una sensazione terribile: come la paura, ma più forte. Un terrore ancestrale, che gli faceva tremare le gambe e battere il cuore come se avesse voluto saltargli fuori dal petto. Percepì gocce di sudore gelido corrergli lungo le tempie.
Alistair?” sussurrò Campbell in tono interrogativo.
L’altro deglutì. “A posto,” gli assicurò, poi afferrò il lembo di stoffa e lo tirò da una parte.
Subito dopo, entrambi sussultarono e fecero un salto indietro. MacLeod quasi si fece sfuggire di mano la lanterna.
Rimasero qualche secondo a guardarsi, come per raccogliere un coraggio che sembrava sul punto di abbandonarli, quindi si riavvicinarono adagio.
Nel letto c’era un cadavere mummificato. Era sotto le coperte, con la schiena appoggiata a due cuscini. Gli abiti e la pettinatura lo identificavano come femminile. Il volto era brunastro, scavato. Gli zigomi protrudevano come creste. I denti, di un inquietante candore, sporgevano come quelli di una fiera. Luce fioca conferiva alle orbite ormai vuote l’aspetto di buchi neri, dal fondo dei quali uno sguardo carico di malevolenza sembrava seguire i due agenti.
Le mani, lunghe, rinsecchite, con il bianco delle falangi che spuntava qua e là nelle giunture, erano posate su una tavoletta di legno, proprio sotto una fila di otto carte.
Gli agenti le osservarono incuriositi: si trattava di arcani maggiori dei tarocchi. Erano grandi circa il doppio di carte da gioco normali, e sembravano fatte di pergamena. Sul dorso avevano un intricato disegno nero e rosso nel quale brillava ancora qualche residuo di foglia d’oro.
MacLeod si chinò a osservarle meglio. Da una parte c’era un mazzo coperto. Le otto carte erano in fila, e da sinistra a destra le prime cinque erano scoperte e le ultime tre coperte.
L’agente allungò cautamente una mano e raccolse la prima. Rappresentava un carro visto di fronte, trainato da due cavalli. A bordo del veicolo c’era un re con scettro e corona. “Il carro,” lesse.
La posò e prese la seconda: una torre colpita da un fulmine, che crollava facendo precipitare un uomo. “La torre.”
La terza rappresentava una ruota alla quale erano avvinghiati degli animali grotteschi. “La ruota.”
Nella quarta c’era un uomo a testa in giù, sospeso per un piede. “L’appeso.”
La quinta rappresentava un uomo vestito come un giullare, ma con gli abiti stracciati. Teneva un fagotto in spalla, aveva un bastone da viaggio ed era seguito da un cane. “Il matto.”
A questo punto, MacLeod alzò gli occhi sul collega. “Tutto questo non ti suggerisce niente?” mormorò con voce incerta.
Campbell annuì. “Il povero Hayes travolto da un carro, Pierce precipitato nel crollo della torre, Banks stritolato sotto la ruota dentata, Jackson impiccato a testa in giù, Adamson ucciso da un matto. Qui bisogna immediatamente chiamare un prete.” Fece per muoversi, ma l’altro lo trattenne. “Aspetta, vediamo quelle coperte.”
No! E se scoprendole li fai morire?” Deglutì. “Cioè… ci fai morire?”
Riflettici, Charles: questa stanza era sigillata, chi avrebbe potuto girare le carte? L’entità che sta agendo qui dentro non è qualcosa di umano.”
Già, forse hai ragione.”
Mac Leod prese la prima carta coperta e la girò. “Questa è strana,” disse aggrottando le sopracciglia. C’erano due torri o colonne ai lati di una spianata. In primo piano si vedeva un lago, sulla cui sponda c’erano due cani, o due lupi. Nel cielo brillava una luna che però sembrava un mezzo sole, perché era circondata da raggi arancioni. “La luna.”
La seconda era una donna in abiti eleganti, con un ampio cappello, che spalancava le mascelle di un leone. “La forza,” lesse l’agente.
Si scambiarono un’occhiata. “Prendi l’ultima,” suggerì Campbell.
L’altro la sollevò e la girò. Rappresentava una donna dall’aria autorevole seduta su uno scanno, con una mitria papale in testa e un libro aperto sulle ginocchia. “La papessa.”
Seguì un lungo silenzio. MacLeod rimise la carta al suo posto e si fece indietro, richiudendo i cortinaggi sul sinistro spettacolo. “Da brividi,” commentò.
Fece qualche passo nella stanza, quindi andò all’armadio e lo aprì: dentro c’erano un abito nero, uno scialle frangiato, sempre nero, un cappello con un’ampia veletta di tulle e un paio di scarpe. Ne prese una e osservò la suola: era infangata. La toccò e si accorse che era ancora umida.





   
 
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