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Autore: Nana_13    28/11/2017    1 recensioni
"...È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io.
E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui."
Questi furono i pensieri di Juliet la sera del ballo dell'ultimo anno. Lei e le sue amiche avevano creduto di passare una serata alternativa andando a quella festa, senza avere ancora idea del guaio in cui si stavano cacciando.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

 

Il vestito perfetto

Rachel diede una controllata all’orologio, constatando di essere arrivata troppo presto. Si era data appuntamento con le amiche sotto casa di Claire, che non si poteva pretendere arrivasse puntuale figurarsi in anticipo. Lei invece preferiva sempre presentarsi qualche minuto prima, perché non voleva che gli altri la aspettassero. 

Di lì a poco arrivò Juliet, contenta e sorridente come ogni volta che stava per comprare qualcosa di nuovo, mentre di Claire neanche l’ombra. Ormai erano abituate ai suoi ritardi e non ci trovarono nulla di strano, ma dopo circa mezz’ora di attesa decisero di suonare il campanello per sapere se almeno fosse viva.  

“Secondo me sta ancora dormendo.” disse Rachel indispettita.

Juliet sventolò la mano. “Ma no, ti pare.”

Il faccino di Megan, la sorellina di otto anni di Claire, fece capolino sulla soglia e, una volta riconosciuti i visi delle ragazze, la bambina aprì completamente la porta.  

“Ciao.” le salutò timida. Più rotondetta della sorella, aveva gli stessi capelli corvini, anche se lunghi e fluenti, ma non gli stessi occhi azzurri. Rachel le sorrise radiosa. “Ciao, Meg. Cercavamo Claire...”

“Sta finendo di vestirsi.” le informò, prima di voltarsi verso le scale e urlare: “CLAAAAAIRE!”

“Megan! Cosa ti ho detto sul gridare a squarciagola?” La rimproverò una voce dall’interno della casa.

“Scusa mamma, ma Ray e Juls cercavano Claire.”

“Sì, ma non c’è bisogno di gridare.” le ripeté Kate, comparendo dietro di lei dalla cucina. “Buongiorno ragazze, entrate. Claire scende subito.” le accolse con uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti.

Intanto, dal piano di sopra Claire sentì le amiche chiacchierare con la madre, che per fortuna le stava intrattenendo mentre lei finiva di vestirsi. Era salita solo da qualche minuto, perché aveva perso un sacco di tempo facendo colazione. Per ottimizzare i tempi, tentò di infilare l’altra gamba nei jeans, saltellando dalla sua camera al bagno con in bocca lo spazzolino da denti; poi si risciacquò in fretta, tornò all’armadio e prese la prima maglietta a portata di mano. 

Dopo un buon quarto d’ora fece finalmente la sua comparsa in salotto con le scarpe in mano. “Ehi!” le salutò trafelata, rivolgendo loro un sorrisetto di scuse.

Non appena la vide, l’espressione di Rachel passò dal cordiale al funereo nel giro di pochi secondi, ma lei la batté sul tempo. “So già quello che stai per dire, però stavolta non è stata colpa mia. La sveglia non ha suonato.” 

Rachel annuì, incrociando le braccia. “Certo, tanto con una scusa o con un'altra riesci sempre a fare tardi.”

Lei sbuffò senza replicare, finendo di allacciarsi le scarpe, mentre Kate ridacchiava divertita. “Questa scena mi ricorda i tempi del liceo. Anch’io ero una ritardataria cronica. Dev’essere genetico.” Fece l’occhiolino alla figlia e quando sorrise due fossette le si formarono ai lati della bocca, in un modo del tutto simile a quello di Claire, che infatti le somigliava moltissimo anche fisicamente, oltre che nell’indole.

Una volta pronta, prese le chiavi della macchina che sua madre le porgeva e precedette le amiche alla porta. 

“Comprati un bel vestito.” si raccomandò Kate, mentre si scambiavano un rapido bacio sulla guancia.

Avevano appena oltrepassato la soglia, quando Megan rispuntò all'improvviso, correndo incontro alla sorella. “Compra qualcosa anche a me!” 

Claire alzò gli occhi al cielo. Era dalla sera prima che la assillava. “Sì, sì, va bene.” tagliò corto, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

Presero il suo SUV perché i negozi erano concentrati nella zona centrale e loro abitavano tutte negli isolati circostanti. In più, non sapevano quanti pacchi avrebbero dovuto caricare e l’auto di Claire aveva il bagagliaio più capiente. 

Nel giro di poco tempo furono in centro e, una volta parcheggiato, si diressero subito alla Boutique di Carol, l’unico negozio in città che forniva abiti da cerimonia. Il locale interno era molto elegante, diverso dalla maggior parte degli altri negozi, con la tappezzeria color crema e il pavimento di marmo lucido. Al centro del soffitto pendeva un lampadario di cristallo e lungo le pareti una gran varietà di vestiti appesi su aste di metallo rendeva l’ambiente più vivace.

Appena le vide, una ragazza formosa in completo pantaloni nero venne verso di loro, ancheggiando sui tacchi alti. “Salve, posso aiutarvi?” chiese sorridente.

“Volevamo provare qualche vestito.” spiegò Rachel, mentre Juliet alle sue spalle si guardava intorno estasiata.

“Anche voi per il ballo di fine anno, immagino.” Una signora dal fisico asciutto, in tailleur celeste pastello, capelli raccolti in uno chignon e occhiali sul naso, uscì da dietro alla tenda di un camerino con in mano una risma di fogli, che poi porse alla commessa. “Ci pensi tu a riporre l'inventario, Lindsey? Quando hai finito, torna qui ad aiutarmi.”

“Certo, Carol.”

Mentre Lindsey si allontanava a passo svelto, la donna le squadrò da capo a piedi da sotto gli occhiali. “Allora, sapete già su cosa orientarvi?”

Rachel e Juliet mandarono avanti Claire, perché, a differenza loro, non aveva la più vaga idea di cosa mettersi e poi era anche la più complicata in fatto di gusti. Così Carol le fece accomodare su un divano di fronte ai camerini e spedì un’altra commessa, una ragazza filiforme di nome Ashlee, alla ricerca di un vestito che potesse fare al caso suo. 

Al suo ritorno aveva con sé diversi abiti, quasi tutti di forme e colori che a Claire non sarebbero mai piaciuti, ma che Carol la costrinse a provare comunque. “Non si può giudicare un vestito senza prima averlo indossato.” disse compita, mentre Ashlee la aiutava a infilarne uno dalla testa. Dopodiché, con la tipica delicatezza delle commesse, afferrò i nastri sulla schiena e li tirò con forza in modo che il corpetto aderisse al busto. Claire si mise una mano sul petto, tentando di respirare, ma si sentiva strizzata come una sardina in scatola.

Prima di uscire dal camerino per farsi vedere si guardò allo specchio per valutare la situazione da sola. Nel complesso l'abito era bello, anche se troppo lungo e pomposo per i suoi gusti. Per non parlare del colore...

Non appena la vide Rachel storse il naso, mentre Juliet abbozzava un sorrisetto di circostanza. “Beh, magari con le scarpe giuste...”

“Neanche un paio di trampoli basterebbe.” ironizzò Claire, con il fiato mozzato dai lacci troppo stretti. “Per non parlare del fatto che riesco a malapena a respirare. Non credo che arriverei a fine serata, morirei soffocata prima. E poi è rosa pesca.”

Carol le riservò un’altra delle sue occhiate a raggi X, per poi convenire che non le donasse affatto. “Bene, niente rosa. Proviamone un altro.” Fece cenno alle commesse, che subito scattarono ad aiutare Claire. 

Ne provò altri quattro a ripetizione e ogni volta usciva dal camerino sempre più afflitta. Le propinavano tutti abiti lunghi, pieni di pizzi e fiocchi che detestava. Ormai stava cominciando a perdere le speranze, quando Juliet, stanca di aspettare seduta, era tornata con un vestito più corto, di colore blu acceso, senza maniche e con la scollatura a V. “Perché non provi questo?” chiese, mostrandolo all’amica.

“Carino.” approvò lei, con un barlume negli occhi. 

Dopo averlo indossato e stabilito finalmente che si trattasse del vestito perfetto, fu la volta di Juliet. Con lei Carol si sbizzarrì, facendole indossare ogni sorta di modello possibile. Non ce n’era uno che non le stesse bene, ma alla fine optò per un abito bordeaux lungo e svasato sul fondo, senza spalline e con drappeggi sul corpetto. 

Rachel invece, andò sul sicuro scegliendone uno bianco, dalla linea semplice e aderente, con ricami in pizzo nero e scollatura a barchetta. 

L’ora di pranzo era passata da un pezzo quando uscirono dal negozio soddisfatte e cariche di buste. Dopo i vestiti avevano trascorso un’altra ora a scegliere le scarpe, finché i morsi della fame non avevano cominciato a farsi sentire. 

“Vi prego, andiamo a mangiare prima di comprare le maschere.” le implorò Claire, esausta. Così lasciarono gli acquisti in macchina e raggiunsero a piedi una pizzeria lì vicino.

Pranzarono con pizza e crocchette di patate e quando ebbe finito, Claire si poggiò contro lo schienale della sedia con aria satolla. 

“Ma dove la metti tutta questa roba?” commentò Rachel.

Juliet ridacchiò. “Di questo passo non entrerai nel vestito.”

Lei fece spallucce. Se aveva fame, non c’erano vestiti o balli a impedirle di mangiare. Tornata a casa avrebbe fatto una corsetta intorno all’isolato per smaltire tutto.

“Certo… Siamo a corto di un accompagnatore.” osservò Juliet malinconica, disegnando con l'indice cerchi concentrici sul suo tovagliolo. In effetti ci sarebbero stati solo Mark e Cedric, visto che Jason non poteva venire.

“Tanto andiamo al ballo come amici, Juls.” le ricordò Claire

“Amici, eh?“ L’amica le lanciò un’occhiatina ammiccante. “Dì la verità, hai preso il vestito corto per far colpo su Cedric.” Sorrise sorniona.

Per tutte risposta, Claire finse di restare sorpresa. “Accidenti, mi hai scoperto.” ironizzò, assumendo subito dopo un cipiglio eloquente. “Per favore…”

A quella reazione Juliet guardò Rachel e si sorrisero complici. “Magari non l'hai fatto di proposito, ma scommetto che sotto sotto...”

“Okay, andiamo a pagare?” Con fare evasivo, Claire si alzò di scatto dalla sedia, afferrando il cartone della pizza e gettandolo nel secchio, mentre le amiche sghignazzavano alle sue spalle.

Uscirono che era già primo pomeriggio. Il cielo, poco prima limpido, si stava ingrigendo e preannunciava pioggia. D'altronde abitavano in montagna e lì il tempo cambiava velocemente. 

“Mi sta venendo una mezza idea.” esordì Juliet, una volta entrate in macchina. 

“Un’altra? Non ne hai avute già abbastanza di idee geniali per questa settimana?” ribatté Claire ironica.

“Ma anche per tutto il mese, direi.” aggiunse Rachel.

“No, no, ascoltate!” si affrettò lei, quasi parlandole sopra e sporgendosi verso i sedili anteriori per avere la loro attenzione. “Perché non andiamo a dare un'occhiata al vecchio castello?”

Dopo un istante di perplessità, Rachel si voltò a guardarla. “Adesso? Dobbiamo ancora comprare le maschere e poi sta quasi per piovere...”

“E io non ho mai guidato in salita con la pioggia.” aggiunse Claire. Per raggiungere il castello, infatti, avrebbero dovuto affrontare una serie di tornanti piuttosto ripidi, che l’avrebbero messa a dura prova anche con il bel tempo.

“Su, avanti!” insistette Juliet implorante. “Giusto un sopralluogo, per vedere com'è.”

Le assillò a tal punto che alla fine acconsentirono solo per non sentirla più. Se ci si metteva d'impegno, era capace di ottenere tutto ciò che voleva.

La strada per il castello era perfino più ripida di quanto si aspettassero, i tornanti protetti solo da un parapetto d’acciaio non troppo alto. Claire andava a venti chilometri l'ora con le mani inchiodate sul volante, il corpo rigido e la schiena dritta per vedere meglio davanti a sé. Ogni curva era fonte di angoscia, perché era praticamente impossibile prevedere l'arrivo di un altro veicolo dal senso opposto. Per fortuna, nessuno a parte loro aveva deciso di visitare il castello quel pomeriggio. 

D'un tratto la strada si interruppe, mutando forma in un sentiero acciottolato su cui le ruote dell'auto sobbalzavano, tanto che quando Claire si fermò sul vialone che portava all'ingresso e spense il motore, ringraziò il cielo che la sera del ballo non sarebbe toccato a lei ripetere l'esperienza. 

“Guardate che bello!” Juliet abbassò il finestrino e appena si sporse fuori venne investita da una raffica di vento, che le scompigliò i capelli. Sentiva una strana attrazione verso quel posto, come se qualcosa dentro di lei la spingesse a entrare. Non si spiegava il motivo. Forse semplicemente non vedeva l’ora di andare al ballo. 

Nel frattempo, nuvoloni grigi si stavano addensando nel cielo e il vento sempre più impetuoso scuoteva i rami degli alberi che formavano la foresta intorno al maniero, producendo fruscii sinistri. Il vecchio castello si stagliava davanti a loro come in un quadro, con le sue torri merlate e svettanti incorniciate dal cielo plumbeo, e le mura, coperte qua e là da rampicanti, che gli donavano un aspetto ancora più pittoresco. 

Neanche le prime gocce di pioggia spensero l’entusiasmo di Juliet, che prese a frugare nella borsa in cerca del cellulare. “Facciamo qualche foto.”  propose, prima di sporgere fuori il braccio, cercando la posizione migliore per scattare. Ben presto, però, si rese conto di stare scomoda, così sbuffò e scese dalla macchina, mentre le amiche la osservavano perplesse. 

“Dai sbrighiamoci, prima che venga giù il diluvio.” le spronò.

“Sarebbe meglio andarcene. Mi viene l’ansia a guidare con la pioggia, lo sai.” Claire riusciva a stento a trattenere l’inquietudine che quel posto le metteva addosso. Più guardava il castello più faceva fatica a immaginarselo addobbato a festa, anzi, le venne un brivido al pensiero di doverci entrare. 

“Una foto sola.” le pregò Juliet, sfoderando la faccia da cucciolo ferito più convincente che le fosse mai riuscita. 

Alla fine l’ebbe vinta di nuovo e, armate di pazienza, Rachel e Claire scesero dalla macchina, per poi seguirla mentre si avvicinava un po’ di più al castello. 

“Strano, non c'è nessun via vai.” notò Rachel, facendo caso all'insolita calma piatta che regnava nei dintorni. “Tra pochi giorni ci sarà un ballo e non c'è nessuno impegnato nei preparativi.”

Juliet, però, non sembrò ascoltarla. “Dai, venite. Qui si vede benissimo.”

Con il castello a fare da sfondo, si strinsero accanto a Juliet, che sollevò  il cellulare per scattare un selfie

Intanto, la pioggia si era fatta più fastidiosa e una goccia beccò in pieno l'occhio di Rachel, che però non poté asciugarsi perché doveva rimanere in posa. “Juls, sbrigati.” mormorò tra i denti, stretti in un sorriso forzato.

“Che state facendo?” tuonò una voce maschile alle loro spalle.

Le ragazze trasalirono, voltandosi tutte insieme e videro due uomini ben piazzati e in completo nero, dall’aria poco amichevole, venire verso di loro. 

“Questa è proprietà privata.” disse uno in tono fermo, anche se non meno brusco. “Non sono ammesse visite al castello.”

Rachel fu la prima a riaversi dallo spavento. “Ci scusi, noi… noi pensavamo che fosse ancora accessibile.” mentì. In realtà sapeva benissimo che da quando era stato comprato non era più permesso l'accesso ai turisti. 

Dopo essersi scambiato una rapida occhiata con il compagno, il tizio in nero le scrutò con aria sospettosa, prima di capitolare. “Devo chiedervi di andarvene, per favore.”

“Certo, certo. Ce ne andiamo subito” annuì con un sorriso di scuse, mentre con le amiche tornava velocemente alla macchina. “Scusate ancora.” aggiunse, poco prima di chiudere lo sportello. Poi sospirò, guardando Claire. “Metti in moto.”

Durante la discesa nessuna fiatò, Claire perché troppo concentrata a non finire giù nel burrone, ma come le altre anche perché ripensava all’incontro imbarazzante con quei due.

“Che reazione esagerata.” esordì Juliet dopo un po’, la testa abbandonata sullo schienale e il viso rivolto fuori dal finestrino. “Neanche fosse la Casa Bianca.”

“Evitiamo di parlarne, per favore?” la zittì Rachel nervosa.

“Sei ancora convinta di voler andare al ballo?” intervenne Claire, gli occhi sempre fissi sulla strada. “Quei tizi avevano un'aria poco raccomandabile.” Pensò che se andarci significava rischiare di essere scoperti da soggetti del genere, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non avevano usato toni aggressivi, eppure c'era qualcosa in quelle facce che non le era piaciuto per niente. Qualcosa di minaccioso.

 

-o-

 

Juliet mise piede dentro casa completamente zuppa. Il tempo di salutare le amiche, scendere dalla macchina e percorrere i pochi metri dal vialetto alla porta e si era scatenato un nubifragio. 

La madre le venne subito incontro dal salotto, prendendole la borsa e aiutandola con pacchi e buste. “Perché non hai portato l’ombrello?” 

“Stamattina c'era il sole. E poi siamo a giugno inoltrato, chi avrebbe immaginato un diluvio del genere?” Senza muoversi troppo per non bagnare il pavimento, si tolse le scarpe e le lasciò accanto alla porta, mentre aspettava che la madre le portasse un asciugamano. Con la coda dell’occhio vide suo padre seduto sul divano in salotto, intento a guardare la replica di una vecchia partita di baseball in tv, e si sporse oltre l’arco d’ingresso per salutarlo. “Ciao, papi.”

Lui rispose con un qualcosa che assomigliava più a grugnito distratto che a un vero saluto. Quando guardava il baseball era difficile che si distraesse con altro. 

“Hai trovato il vestito? Fammi vedere.” disse la madre di ritorno, indicando le buste con un cenno del capo e porgendole l’asciugamano; poi, senza aspettare la figlia, aprì la busta per guardare dentro. Tirò fuori la scatola contenente il vestito nuovo e la appoggiò sul tavolo in salotto. “Mi piace!” approvò entusiasta, sollevandolo davanti a sé. “Un po’ vecchio stile. Sembra quello che indossai al mio ballo di fine anno, ti ricordi tesoro?” chiese al marito, che però non la sentì, troppo preso dalla partita. 

Quando la figlia ebbe finito di asciugarsi, li raggiunse in salotto. “Aspetta, ma all’epoca non stavi ancora con Kate? Eh, papà?” 

“Sto guardando.” le rammentò Arnold, sviando il discorso. 

Martha sventolò la mano, provvedendo a rispondere per lui. “In realtà tra loro era praticamente finita, visto che Kate sarebbe andata al college e lui no. Poi quella sera mi invitò a ballare e da quel momento...”

“Sì, sì, ti sei innamorata follemente di lui, lo so. Questa parte la conosco già.” concluse Juliet.

“No, non è stato così immediato. Però quando ce ne stavamo lì, mano nella mano e i nostri occhi si sono incontrati, ho sentito… le farfalle.” disse con aria trasognante, mentre le appoggiava addosso il vestito per vedere come le stava. “Bella anche la scollatura.”

Alla parola scollatura, l’attenzione di Arnold si spostò repentinamente dallo schermo alle due donne. “Direi che è anche troppo scollato.” commentò, squadrandola da capo a piedi.

“Dai, Arnold. È un vestito da sera, è normale che sia così.” la difese sua madre.

Lui non sembrava molto convinto, ma non obiettò. “Piuttosto, chi sono questi due con cui uscite? Non li ho mai sentiti.” chiese sospettoso. Evidentemente la moglie gli aveva già accennato qualcosa al riguardo.

“Siamo compagni di scuola.” rispose Juliet, ormai abituata agli interrogatori del padre. “E non ti preoccupare, ci andiamo solo come amici.”

“Beh, vorrei vedere. Neanche li conosco.” ribatté. “Ecco perché vi accompagnerò io.”

Juliet rimase impietrita, presa alla sprovvista da quella decisione improvvisa. Si erano già accordate con i ragazzi che avrebbero preso la macchina di Mark e non poteva certo dire a suo padre che in realtà sarebbero andati da tutt’altra parte. “M-ma, perché?” balbettò. 

“Perché ho deciso così.” tagliò corto lui. E quella doveva essere la sua ultima parola, perché tornò a concentrarsi sulla partita senza aggiungere altro.  

“Papà, non abbiamo mica dieci anni!” esclamò Juliet, guardando poi la madre in cerca di supporto. Lei però fece spallucce, facendole intuire di doversi rassegnare. Ovviamente non si rendeva conto della gravità della situazione, visto che anche lei era all’oscuro di tutto. Il padre le aveva cambiato le carte in tavola con quell’assurdo atteggiamento da genitore iper-apprensivo e ciò avrebbe significato dover rivedere in parte il loro piano. 

Decise che più tardi avrebbe chiamato le amiche per discutere dell'imprevisto, ma per il momento prese con sé gli acquisti e si avviò sbuffando al piano di sopra. 

Era ancora immersa nei suoi pensieri quando, passando davanti alla camera di Richard, vide la porta socchiusa, segno che fosse concesso a chiunque di entrare. Depositò le buste in camera sua, dopodiché entrò dal fratello senza fare troppo rumore e lo trovò davanti al computer con espressione concentrata. Capì subito cosa stava facendo, ma evitò lo stesso di tempestarlo con domande che potessero infastidirlo. 

Lui non si mosse, né la guardò, continuando a lavorare. “Ho quasi finito, se vuoi saperlo.” la informò, leggendole nel pensiero. “Il tempo di qualche ritocco e tu avrai i tuoi biglietti, e io la mia schiava.” Sogghignò, enfatizzando l’ultima parola.

“Tranquillo, finisci pure. Non volevo metterti fretta.” replicò lei, per poi buttarsi a sedere sul letto con aria mesta. “Uffa, papà si è fissato che vuole accompagnarci al ballo.” 

Richard ridacchiò, senza dire niente.

“Il problema è che pensa sia il ballo della scuola.” continuò a lamentarsi Juliet. “E adesso non so come fare, perché se gli dico che non voglio che ci accompagna vorrà sapere il motivo e farà altre domande, a cui non posso rispondere senza svelare tutto.” disse in un fiume di parole. “Che casino...” sbuffò ancora. 

Le dita di Richard continuavano a battere sulla tastiera, senza che accennasse una parola di conforto. Tra loro funzionava così: Juliet si sfogava spesso dei suoi problemi e in cambio lui la ascoltava, anche se a prima vista poteva non sembrare. Qualche volta, poi, le dava anche qualche consiglio utile, ma non era quello il caso.

A un certo punto, si rese conto di doversi fare una doccia prima che arrivasse l’ora di cena, così uscì dalla camera, lasciandolo lavorare. Intanto avrebbe pensato a qualcosa per convincere il padre che farsi accompagnare dai genitori al ballo dell’ultimo anno avrebbe significato essere presa in giro dagli altri ragazzi per il resto della sua vita.

Così a cena tornò alla carica, ma fu tutto inutile. Arnold non si mosse dalla sua decisione e alla fine Juliet desistette, anche per evitare di scendere troppo nei dettagli della questione e insospettirlo. Discuterne ancora non sarebbe servito a niente, perciò, dopo aver aiutato la madre a sparecchiare, salì di sopra con l’unico desiderio di una lunga dormita. Ormai era tardi per chiamare Rachel e Claire, e inoltre era troppo stanca anche solo per stare al telefono. Così, raggiunto il letto, quasi non fece in tempo a sdraiarsi che si addormentò, sprofondando nel mondo dei sogni…

 

Si risvegliò in una radura circondata da alberi dalle folte chiome scure. Era sdraiata sull'erba, faccia in giù, e tutto intorno a lei era avvolto da una fitta nebbia che lasciava intravedere appena l'ambiente.

Piantò i palmi delle mani e fece leva sugli avambracci per tirarsi su. Si guardò intorno per capire dove fosse finita, ma dapprima non vide niente. Tutto era sfocato e anche l'atmosfera era strana, rarefatta, come surreale. 

D'un tratto, a poca distanza da lei due figure umane si fecero più nitide, come se si fossero materializzate lì da poco. Socchiuse gli occhi per distinguerne i tratti e finalmente a fatica riconobbe le sue migliori amiche.

Rachel e Claire erano in piedi, immobili, anche i loro sguardi erano fissi. Sembravano quasi prive di espressione, poi all’improvviso i loro occhi si riempirono di lacrime, che iniziarono a scendere copiose lungo le guance.

Juliet provò a mettersi in piedi e ci riuscì, ma sentiva a malapena le gambe, come se anche il suo corpo non fosse del tutto presente. Voleva andare da loro, così fece il primo passo e poi un altro, e poi un altro ancora, ma non le raggiungeva mai. Rimanevano sempre ferme, eppure non riusciva a coprire la distanza che le separava. Nello stesso tempo, più falliva nel suo intento e più loro si disperavano. Volevano che le raggiungesse, ma lei non ci riusciva.

A quel punto tentò di chiamarle, urlare, ma la voce non uscì. Corse più forte e urlò ancora, inutilmente.

Da un momento all’altro si sentì afferrare una caviglia e, prima che se ne rendesse conto, era di nuovo a terra. Si girò sulla schiena, lottando per liberarsi, e in un primo momento ci riuscì, ma ben presto altre mani uscirono dal terreno e le artigliarono le gambe, i vestiti, arrampicandosi sempre più rapidamente su di lei per trascinarla sotto terra con loro. 

Juliet urlò, implorò che qualcuno la aiutasse, ma non c’era nessuno. 

Proprio quando stava ormai per essere sommersa, scorse un'altra figura, un ragazzo appoggiato al tronco di un albero a pochi passi da lei. I tratti del viso erano confusi, tranne per un unico particolare: gli occhi. Di un grigio ghiaccio, luminosi come non ne aveva mai visti. 

Avrebbe voluto gridargli di fare qualcosa, ma la voce continuava a morirle in gola. Sperò allora che intuisse comunque la sua richiesta d’aiuto, invece lui le diede le spalle e se ne andò indifferente. 

Disperata, si sentì mancare l’aria e l’ultima cosa che vide fu la sua schiena che si allontanava, prima che una mano le raggiungesse il volto, accecandola del tutto...

 
 
   
 
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