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Autore: Circe    10/12/2017    3 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Rodolphus: “Non potevo farci nulla”




Quella sera tornarono tardi, anzi non era sera, era già notte inoltrata. 
Mi dava fastidio, tutto quel tempo mi infastidiva, sapevo che Bella doveva superare la prova per diventare una Mangiamorte, che probabilmente le ore che passavano erano dovute a ciò, ma ero nervoso lo stesso: non sapevo nulla di quella prova, non sapevo dove fossero, né cosa stessero facendo, e lei era così legata al suo maestro, sempre così dipendente da lui.
Lui no, di questo ero certo, lui non la considerava, lui non teneva nessuno in grande considerazione, per cui dovevo stare tranquillo.
Eppure tranquillo non ero, rigiravo incessantemente la bacchetta tra le dita e sentivo la mano sudata, i muscoli tesi, gli occhi nervosi.
“Sei inquieto, vero fratello? Il Signore Oscuro non torna e si sta tenendo Bella tutta per sé…”
Ecco, mancava solo Rabastan ad angosciarmi più di quanto già non fossi, il nostro rapporto fraterno di odio e amore prevedeva una continua e reciproca tortura e umiliazione, in nome di quella terribile ragazza che era mia moglie.
Io l’amavo e lui anche.
All’inizio pensavo che Rab la desiderasse solo perché era la mia ragazza, ma dopo anni che vedevo come si comportava, come la guardava e come si curava di lei, avevo capito e accettato che anche lui la amasse davvero. 
Accettato malamente, a dire il vero, perché la cosa mi infastidiva non poco, ma era così e non potevo farci nulla.
Inoltre negli ultimi tempi qualcosa era cambiato: trovavo consolatorio quell’amore disperato di Rabastan, e questo cambiamento mi dava sui nervi perché voleva dire che sotto sotto mi sentivo disperato anch’io e l’unica consolazione era non sentirmi solo.
Perché? Per il semplice fatto che Bella era sempre più legata a lui, al maestro. E lui… lui le concedeva mille attenzioni in più rispetto a noi poveri altri Mangiamorte.
Lui le insegnava le arti oscure, perdeva ore e ore a spiegarle, correggerla, allenarla, solo a lei concedeva tutto questo tempo e queste energie.
Si dicevano tante cose di cui nessuno sapeva e conosceva nulla, lui era per lei un vero maestro a tutto tondo.
Mi ero sempre preoccupato che fosse lei a provare qualcosa per Lord Voldemort, ma non avevo neanche mai lontanamente pensato che anche lui potesse in qualche modo avere un interesse, diciamo un interesse particolare, nei confronti di lei.
“No, non sono inquieto, fratello, sono nervoso, tutto qui. Non capisco perché impieghino tutto questo tempo.”
Rabastan si girò verso di me impensierito, l’aria strafottente era sparita.
“Pensi che qualcosa possa essere andata storta?”
“No… non credo… conoscendo Bella non penso che nulla sia andato storto.”
Restammo zitti, uno accanto all’altro nei nostri mantelli neri.
“Allora vedrai che torneranno a momenti… Lord Voldemort non ha nessun interesse a restare in giro a lungo.”
Già non aveva nessun interesse a restare in giro a lungo… eppure ci restava. E ci restava con Bellatrix.
“E pensare che ho organizzato io tutta questa farsa!” 
“Farsa, fratello? Allora sei proprio geloso marcio! Fino a ieri andavi tutto orgoglioso, eravate tutti felici e contenti… Bella diventa una Mangiamorte, io sono diventato un Mangiamorte, grandi festeggiamenti, grande felicità. Ora dici che è tutta una farsa…?”
Non avevo voglia di sorbirmi anche le provocazioni di Rab, voltai sui tacchi e mi allontanai, stavo proprio per cambiare stanza quando sentii il classico pop della materializzazione.
Allora mi voltai di scatto e li vidi.
E la vidi.
Vidi quello sguardo ed ebbi una fitta alla testa, vidi quelle guance rosa e mi si strinse lo stomaco in una fitta dolorosa, vidi quel sorriso che mi fece male al cuore.
Li misi a fuoco entrambi per bene, in tutta l’agitazione che avevo.
Non erano vicini tanto da toccarsi e questo avrebbe dovuto togliermi almeno un po’ di tutta l’angoscia che sentivo, ma lui le stringeva ancora il braccio sinistro, la avvicinava a sé in un modo tutto nuovo, un modo che avrei dovuto aspettarmi, ma che in verità non ero preparato a capire fino in fondo, e a subire fino in fondo.
Bella portava il suo vestito lungo e nero, i capelli sciolti le ricadevano sul bel viso semicoperto dal cappuccio. Solo una parte lasciava completamente scoperta: l’avambraccio sinistro, con la manica della veste tirata verso l’alto e lasciata così, in maniera scomposta.
Su di esso capeggiava, in rilievo e colorato di fresco, il tatuaggio appena fatto: il Marchio Nero. Tutt’attorno la pelle era rossa e rosata, un’irritazione uniforme lungo il perimetro del tatuaggio.
Mi avvicinai istintivamente per abbracciarla, notando che anche Rabastan avanzava verso i nuovi arrivati, ma quando le fui più vicino guardai meglio il marchio, e quell’irritazione attorno non era così omogenea come mi era parso all’inizio, come la conoscevo già bene dal mio marchio.
No… c’erano due piccoli lividi vicino, due piccoli maledetti lividi sulla pelle della mia Bella, lì proprio sul suo marchio. Lividi che io non avevo mai avuto, che Rabastan non aveva mai avuto, che nessuno aveva mai avuto.
Alzai gli occhi sul Signore Oscuro, in segno di saluto. Lui ricambiò con sguardo inaccessibile, lontano ed enigmatico.
Poi schiuse le labbra in un freddo sorriso.
Con sguardo sconsolato gli guardai le labbra che piegava in quel sorriso misterioso. Quelle labbra, quanto le ho odiate: erano loro che avevano lasciato i lividi, ne ero certo.
E io non potevo fare nulla, nulla di nulla.
Durante tutti quegli istanti lui non la lasciava. Impassibile, prepotente eppure freddo e distaccato, non sapevo come facesse a mostrarsi tutto e il contrario di tutto.
In quegli istanti percepii che la teneva in qualche modo stretta a sé, faceva sentire tutto il suo potere, tutta la sua volontà. La voleva e non l’avrebbe più lasciata.
Non gli importava nulla di me e di nessun altro. Quegli occhi che fissavano lungamente Rab e me stavano a significare che sarebbe cambiato molto, tutto.
In tutti quei mesi passati come Mangiamorte avevo imparato, almeno in parte, a leggere quegli occhi e quello sguardo. Il suo volere andava oltre i miei sentimenti e i miei desideri, il suo desiderio di possesso andava oltre il suo stesso carattere distaccato e volubile.
Si era preso la mia Bella, non so in che modo, e ora la voleva tenere per sé.
Ebbi così paura di perderla per sempre in quell’attimo, che provai a non capire e non pensarci, provai a mettermi in moto a fare qualcosa.
“Mio Signore, ora che siamo al completo, possiamo iniziare subito a fare qualcosa?”
Tutti posero l’attenzione su di me, anche il Signore Oscuro mi diede maggiore attenzione, anche se col pensiero sembrava lontano anni luce, enigmatico e distante.
Però improvvisamente arrivava con discorsi perfettamente logici e taglienti, come se avesse da sempre ragionato su tutto e avesse già esperienza di tutto.
Si scostò i capelli dagli occhi, massaggiandosi leggermente la tempia, poi mi rispose:
“Non avete più nulla da fare per questa notte, se volete potete accogliere la nuova arrivata nel migliore dei modi, fra voi nuovi adepti, io ho bisogno di parlare con gli altri Mangiamorte.”
Lanciò un’occhiata veloce ad Avery senior, Mulciber, Dolohov e gli altri che, ubbidienti, si sono ritirati con lui nella stanza adiacente.
Non guardò più Bellatrix, che invece lo seguì silenziosamente con lo sguardo finché non si chiuse la porta alle spalle.
Non mi sfuggì la sua espressione affranta nel vederlo andare via, sparire senza nemmeno guardarla.
Di malavoglia restammo Rab, Bella e Alecto, perennemente attaccata a mio fratello che non la degnava di uno sguardo, perso com’era dietro a Bella. E poi c’ero io, che sentivo nascere dentro di me una rabbia che raramente avevo provato in passato.
“Dunque? Che si fa per accogliere la nuova arrivata?”
Alecto prese subito la palla al balzo per evidenziare che si trovava un gradino più in alto di Bella essendo lei Mangiamorte da più tempo, inoltre sicuramente il suo scopo era quello di restare per più tempo in compagnia di Rab.
Mio fratello non si fece certo pregare, lui voleva restare in compagnia di Bella ovviamente.
“Andiamo a festeggiare in quel locale nuovo a Nocturne Alley!”
Di quale locale nuovo stesse parlando non saprei dire, dato che non ne avevano aperti di nuovi. Era evidente il suo scopo: dove andare non gli importava, l’importante era festeggiare Bellatrix.
Già Bellatrix… io avrei voluto semplicemente andare a casa con lei da soli e capire cosa fosse successo, vedere come si comportava nei miei confronti, volevo stare con lei, riprendermela completamente, rifarla solo mia. Invece subito mi ha evitato.
“Va bene, andiamo dove dice Rab, così potrò entrare anch’io a far parte del gruppo.”
Sapeva proprio mentire bene, non le importava nulla di festeggiare insieme a noi poveracci, voleva davvero solo evitare il confronto diretto con me! 
Mi voltai verso di lei e la guardai bene, senza aggiungere altro.
Teneva ancora l’avambraccio scoperto, con la mano destra sul tatuaggio, in una sorta di gesto protettivo, di carezza perenne. Non aveva davvero bisogno della nottata con noi altri per sentirsi una del gruppo, anzi lei non ambiva ad essere del gruppo, ambiva solo a entrare nella cerchia più stretta di Lord Voldemort ed essere la sola vicina a lui.
“Non sei stanca?” Le chiesi.
Bastava guardarla in viso per vedere che non era stanca, era distrutta. Aveva gli occhi stanchi e cerchiati di scuro, era pallida e taciturna.
“No Rod, sto bene.”
Mi guardò e mi sorrise, ma non poteva mentire con me, io la conoscevo come le mie tasche: voleva solo starmi lontana quella notte, non voleva dormire nel letto con me.
Con un gesto di stizza, che voleva sembrare di passione, la afferrai fra i capelli, la tirai a me e la baciai a lungo. Lei mi lasciò fare.
Rispetto ai nostri soliti baci, Bella non mise nemmeno un quarto della sua solita passione.
E non era certo per la stanchezza.


Dal grimorio di Rabastan: “Il marchio nero”



Le cose iniziavano a farsi interessanti.
Davvero interessanti.
Avevo osservato tutta la situazione fin dal ritorno di Bella e del Signore Oscuro e ho avuto il piacere, finalmente, dopo più di vent’anni, di vedere il mio caro e dolce fratellino nell’ordine: inquieto, impaurito, terrorizzato.
Ebbene, come avevo già previsto, lui se l’era presa. Almeno così sembrava.
Non saprei dire da cosa si capiva, ma c’era una certa affinità tra i due che prima non si notava, c’era lo sguardo di Bella che non era più così fanciullesco, era diventato più… direi più sofferente in un certo senso, ma anche più completo. 
C’era il sorriso a fior di labbra di Lord Voldemort così freddo e languido, che sembrava inequivocabile il significato.
È così io, il povero piccolo stupido Rabastan, l’innamorato mai considerato, o quasi mai considerato, arrivavo sullo stesso gradino del grande, spavaldo e spudorato Rodolphus, che cadeva inesorabilmente dalle stelle alle stalle.
Il marito… diciamo cornuto? Sì dai, diciamolo. Non so cosa sia peggio tra la mia e la sua situazione.
Credevi che ti amasse fratello? Ne eri spocchiosamente certo? Mi facevi pesare la mia miserabile condizione di innamorato respiro? Ora vedrai cosa ti capiterà a vedertela col maestro di arti oscure.
Non immagini nemmeno la sofferenza.
Questo pensavo mentre camminavamo per Nocturne Alley, coi nostri cappucci tirati fin quasi sul viso, alla ricerca del posto inesistente di cui avevo parlato.
Arrivati in un locale qualsiasi proposi di fermarci, sia Rod che io ci sedemmo vicino a Bella.
Alecto mi seguì come era ormai solita fare nonostante i suoi continui dissidi con Bella e Rod e si portò dietro il gemello, infine si accomodò Avery jr, anche lui unitosi al gruppo da non molto tempo.
Mi rendevo conto sempre di più che non era facile mantenere gli equilibri fra noi Mangiamorte, eravamo tutti uomini meno una: Bella. 
C’era anche Alecto, ma non aveva molto della donna e passava inosservata vicino a Bella Black, anzi, no, dimentico sempre, Bella Lestrange.
Probabilmente non lo dimenticherei tanto spesso se il nome Lestrange lo portasse grazie a me, e non a mio fratello.
La tavola si animò velocemente fra discorsi e Whisky incendiari, avrebbe dovuto essere una festa, ma sembrava tutti si divertissero meno la festeggiata che, silenziosa e pensierosa, sorseggiava appena il suo Whisky sgranocchiando qualche patatina.
Approfittando di una distrazione di Rod, le diedi una gomitata sul braccio e non appena si voltò verso di me, le feci cenno di uscire a fumare.
Fu semplice come piano: Rod era andato pochissimo tempo prima, per cui pensavo di non essere disturbato, Bella si alzò subito, e da quello capii che non ne poteva più di stare lì seduta.
Quando mio fratello si voltò era già troppo tardi: noi eravamo quasi alla porta, quindi, per fortuna, me ne ero liberato.
Uscì lei per prima e io le rimasi dietro, il vento fresco della notte, ormai quasi prima mattina, le scompigliò i capelli. Bella solitamente se li lasciava muovere senza badare minimamente alla cosa, quella volta invece si fece attenta, e alla prima folata più decisa del vento, alzò il viso lentamente lasciandosi sfiorare e gli sorrise.
Sorrise proprio alle carezze dell’aria sul suo volto, non l’avevo mai vista tanto strana, e dire che era sempre stata molto particolare.
Quando si voltò verso di me poi, senza dire una parola le porsi il pacchetto di sigarette, così da offrirgliene una, ma lei scosse la testa.
“Ho smesso!”
Ero incredulo:
“Hai smesso? Ma dai e da quando? Perché?”
“Ho smesso da quando me lo ha consigliato…”
“Il maestro di arti oscure…” pronunciammo insieme quella frase all’unisono, ridendo, io prendendo in giro lei che lo ripeteva all’ossessione quel “maestro di arti oscure”, lei dopo averlo detto aveva capito la presa in giro e aveva sorriso mentre mi guardava.
Quant’era bella…
Buttai quindi via il pacchetto immediatamente, senza nemmeno pensarci un attimo. 
Bella rimase stupita e mi chiese come mai.
“Perché avevo iniziato solo per piacere a te, per far colpo, adesso a che mi serve?”
Rise subito alle mie parole. Eccola di nuovo la mia Bella, la sua risata sferzante, sfrontata e provocante, quella risata piena di superiorità nei miei confronti, che solo io sapevo quanto le faceva piacere che la facessi sentire così.
Era un segreto solo nostro. Io la facevo sentire così, ma in cambio avevo tutte le sue confidenze, persino le sue debolezze, a volte.
“Allora? Come è andata la prova? Non ne hai parlato…”
A quel punto arrossì vistosamente, ma non si decideva a dire nulla, doveva proprio essere un segreto inconfessabile.
“È andata bene, non è stata difficile, ma intensa. Ora Rab sono stanchissima, vorrei andare a casa.”
Ecco la bambina che correva da me nel momento del bisogno, ora vuole essere riaccompagnata, ma non da Rod che non vuole affrontare, viene da me.
“Vado a chiamarti Rod? Così andate insieme?”
“No! No, vado da sola, soltanto avvisalo tu quando torni dentro, voi continuate pure a divertirvi.”
Mi ero sbagliato, la bambina era cresciuta nel giro di una notte, non voleva più compagnia, non voleva più aiuti, ora faceva da sola.
Non la volevo perdere così, i suoi capricci da viziata erano l’unica cosa che mi concedeva.
“No, dai, non andare sola, ti faccio compagnia volentieri, vengo io, lasciamo stare Rod.” 
Era un maldestro tentativo, lo capivo, ma non sapevo che altro fare.
“Non sono più sola ora, ho questo.” Mi disse mostrandomi l’avambraccio arrossato su cui capeggiava il Marchio Nero.
Quanto ne era orgogliosa? Le brillavano gli occhi anche solo mostrandolo.
Io invece ricevetti come una coltellata nello stomaco quando me lo fece vedere, e una coltellata al cuore quando disse che da quel momento non era più sola.
Sì certo, aveva lui, il maestro di arti oscure.
Anzi, ora che le era penetrato nella carne era diventato il suo Signore.
Penetrato nella carne nel senso che le aveva tatuato il suo marchio, intendo questo, spero ancora si sia limitato a questo genere di entrata.
Altro non mi è dato sapere.
Ma non è detto che non sia successo.
Per la prima volta mi sentii davvero a disagio parlando con lei del maestro. Una sensazione strana che non riuscivo a descrivere e nemmeno a capire fino in fondo.
Iniziai a domandarmi molto spesso cosa a essere fatto, cosa lui voleva davvero da lei.
“Posso vederlo?”
Indicai con lo sguardo il Marchio sul suo braccio, ben visibile con la manica tenuta alta, ma volevo toccarla, vedere il tatuaggio da vicino.
Lei annuì.
Vidi che prima di porgermi il braccio osservò il disegno accarezzandolo letteralmente con lo sguardo, poi prese tutto il suo tempo per accarezzarlo con le dita.
Aveva tolto tutti gli anelli, aveva le mani nude, con l’unico vezzo dello smalto nero. Le sue dita passarono delicatamente su tutto il disegno, nonostante la pelle arrossata e irritata dovesse farle ancora piuttosto male, non le sfuggì un solo centimetro del disegno.
Poi mi prose il braccio.
Rimasi incantato dalle sue mosse, così lente, profonde. Racchiudevano tutti i suoi sentimenti per lui.
Io dovevo solo sperare che lui si mostrasse in tutta la sua crudeltà, che la respingesse, poi sarebbe venuta da me per farsi consolare.
Però guardai quel Marchio e ebbi i primi dubbi e tentennamenti.
Vi erano dei piccoli lividi attorno, doveva averle succhiato la pelle, non potevano essere lividi creati dal tatuaggio, non era proprio possibile purtroppo. 
Come poteva essere stato proprio lui, però?
Perché lo avrebbe fatto?
Non c’era però solo quello a farmi vacillare. Era proprio il tatuaggio in sé che sembrava speciale. 
Era così scuro, così nero, così vivo e vivido. 
Ero certo che il mio non fosse così, avrei potuto giurare che neanche quello i Rod fosse fatto a quel modo.
Bella mi guardava interrogativamente, ma io non riuscivo a parlare. La paura che lui non l’avrebbe delusa si fece avanti prepotente in me.
Tentai di scacciarla, tentai di guardare Bella e ritrovare la mia lucidità e la mia sicurezza.
Invece vidi in lei una donna, misteriosa e quasi sconosciuta. 
Quando era cambiata così?
Possibile che non me ne fossi accorto?
Le accarezzai i capelli.
“Come sei bella, lo sai che diventi ogni giorno più affascinante?”
Lei si limitò a sorridere apertamente. Le piacevano i complimenti.
“Allora proprio non vuoi raccontarmi nulla della prova?”
Avrei davvero voluto sapere tutto ciò che era successo, a costo di farmi del male. Invece il suo silenzio fu peggio del racconto stesso.
“È andato tutto bene, ora sono veramente stanca, Rab, voglio andare a casa. Salutami tu gli altri.”
Annuii dispiaciuto, non osai fare altre domande. 
“Posso chiederti un favore?”
Era una richiesta che non ammetteva un no come risposta, cosa che comunque non avrei mai fatto.
“Dimmi pure.”
Lei si chiuse il mantello, lasciando sempre solo il Marchio in bella vista, poi si alzò il cappuccio.
Era splendida così nascosta, così misteriosa e minacciosa.
“Non lasciare che Rod torni a casa stanotte, voglio rimanere sola.”
Sgranai gli occhi e tacqui per qualche istante, lei mi guardò impassibile. Avevo visto la lenta discesa negli inferi di mio fratello in quella frase.
Non sapevo cosa mi aspettasse però.
Lentamente annuii.
“Certo, Bella, farò in modo che nessuno ti possa disturbare questa notte.”
A quelle parole la vidi smaterializzarsi velocemente e rimasi solo anche io. Non sarei riuscito a tornare al tavolo, ma avevo paura che Rod venisse a cercarci fuori.
Inoltre le avevo promesso che lo avrei trattenuto. Le avevo promesso di lasciarle la notte solo per lei.
Cosa doveva fare? 
Questa domanda mi martellava nella testa.
Cercai di riprendere fiato, respirare aria pura prima di costringermi a tornare all’interno.
La pensai e ripensai. 
Voleva sognare del suo maestro in solitudine. Voleva guardare tutto il tempo il suo marchio sulla pelle. Voleva masturbarsi pensando a lui.
Mentre la pensavo che faceva certe cose mi sentii eccitato più che mai.
Dovetti aspettare ancora parecchio tempo al freddo prima di riuscire a rientrare senza l’eccitazione totalmente visibile sotto i pantaloni. 
Mi sentii perso, in balia totale dei miei sentimenti, sottomesso dalla sua essenza che non mi lasciava respirare autonomamente.
Quella donna mi devastava, mi faceva impazzire, era l’unica però che mi faceva sentire davvero vivo.
 
 
 
   
 
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