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Autore: Circe    12/02/2018    2 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Bellatrix: “Bello e vulnerabile”


Cominciavo a sentirmi lievemente male. Mi girava la testa, come se avessi le vertigini e lievi brividi si irradiavano per tutto il corpo.
Dovevo decidermi a prendere la contromaledizione, o sarebbe stato troppo tardi.
Guardai la ferita che avevo alla mano è infatti aveva un brutto aspetto: rossa, tendente al viola tutto attorno, i lembi di pelle sembravano quasi aprirsi man mano che passava il tempo e avevano un colore giallognolo.
Rod non mi aveva certo risparmiato, aveva usato una maledizione potenzialmente mortale. Io conoscevo bene la pozione da usare in questi casi, conoscevo bene i tempi entro i quali può essere somministrata e quando invece risulta ormai completamente inutile e stavo sforando il limite consentito.
Aspettavo il mio maestro da troppo tempo ormai, volevo produrre insieme a lui la pozione, volevo farmi coccolare, speravo di utilizzare quell’incidente in allenamento per far sì che si prendesse cura di me, ma era assente e continuare ad aspettare sarebbe diventato troppo pericoloso.
Mi alzai lentamente dal divano rassegnata e mi recai nella stanza delle pozioni. Cominciavo già a percepire una nausea crescente, oltre alle vertigini. Aprii con un incantesimo segreto l’armadietto delle sostanze per le contromaledizioni, mescolai la pozione giallo acceso con quella color viola intenso, diluii con qualche goccia di acqua di sorgente e attesi un paio di minuti senza quasi respirare. In seguito al viraggio del colore mormorai per tre volte la formula di magia oscura, presi una benda e rovesciai sopra una quantità abbondante di pozione, mettendo il tutto sulla ferita, a quel punto mi calmai e attesi che facesse effetto.
Riflettei su quell’episodio e su tutta la sua rabbia.
In tutto quel lungo periodo non avevo mai affrontato Rod veramente, mi ero comportata come se nulla fosse, continuavo la nostra vita insieme come prima, ma la mia mente era perennemente rivolta ad un’altra persona. Pensavo che lui non se ne accorgesse, che non facesse caso ai possibili cambiamenti del mio comportamento, o che io fossi assolutamente brava a non far scoprire i miei sentimenti più segreti. Lui non ha mai affrontato il discorso e nemmeno sembrava desideroso parlassi io, dunque mi ero convinta di potere andare avanti in quel modo. Mi ero sbagliata, Rod aveva accumulato una rabbia invisibile che solo oggi per la prima volta mi è stata palese. In un semplice allenamento di routine, in un duello che era poco più di un gioco, aveva sfoderato una maledizione potente e incisiva che, oltre a disarmarmi, poteva letteralmente uccidermi. Per quanto fosse sempre stato molto violento, era comunque un atteggiamento eccessivo anche per lui.
Il mio maestro non voleva dissidi e litigi fra i suoi Mangiamorte, gli avevo promesso che non ci sarebbero più stati problemi fra Lestrange e Carrow. 
E ora gli portavo gelosie invidie e tensioni fra Lestrange e Lestrange? Non era possibile, dovevo cercare una soluzione, ma non avevo idea di quale avrei potuto trovare.
Alzai la benda e controllai la ferita: sembrava aver già acquisito un aspetto migliore. Ricoprii tutto e attesi ancora mentre rimettevo le ampolle al loro posto.
Qualche istante dopo percepii che qualcuno si era materializzato alle mie spalle e mi voltai.
Lo vidi e fu come se il mio cuore riprendesse a battere dopo tanto tempo, come se la mia vita riprendesse di nuovo ad esistere.
Il mio Signore era avvolto in un mantello nero, il bavero leggermente rialzato, ma senza cappuccio, lui non lo portava quasi mai.
Si avvicinò senza salutarmi o parlarmi, mi prese delicatamente il polso e con fermezza mi voltò la mano sollevando la garza per guardare la ferita.
“Mi hanno comunicato che ci sono stati problemi e in effetti ce ne sono stati…”
Così vicino com’ era notai il suo pallore straordinario, sentii le mani fredde, quasi tremanti che mi toccavano il polso. Quando si voltò verso di me, mi puntò addosso occhi con pupille così dilatate che mi misero una strana sensazione addosso, come un disagio istantaneo, una lieve angoscia per come lo vedevo.
“Mio Signore, state male? Dove siete stato?”
Fui troppo precipitoso forse, perché ottenni l’effetto opposto a quanto speravo.
“Non sono affari tuoi, io so badare a me stesso, piuttosto, come è successo questo tuo incidente?”
“Niente, maestro, un incidente appunto, durante un allenamento, una maledizione mi ha colpito alla mano, ho comunque già provveduto con un antidoto.”
“Quanto hai aspettato?”
Voi… avrei voluto rispondere semplicemente così… Ho aspettato voi! Ma non lo feci.
“Qualche ora…” dissi un po’ titubante, mi aspettavo la sgridata che puntualmente arrivò. Fredda, tagliente, terribile, e io naturalmente incassai, perché me la meritavo, ascoltai zitta finché non mi disse che occorreva prendere un’altra pozione, per sicurezza e mi intimò di seguirlo nella stanza della magia oscura. Lo seguii in quell’antro oscuro a cui solo io, se si esclude il mio Signore, avevo accesso libero e frequente.
Richiuse la porta alle sue spalle e si tolse il mantello. Portava una camicia troppo leggera per quel periodo dell’anno, ma vedevo la pelle scoperta leggermente imperlata di sudore, i muscoli e i nervi del collo tirati, mi aspettavo mi facesse domande, ma non disse una parola, si avvicinò al tavolo con altre pozioni, boccette, pipette e si mise ad armeggiare con quelle.
Mi avvicinai a lui che mi chiese se mi sentivo bene.
“Sì, mio Signore, solamente la testa un po’ intontita, tutti gli altri sintomi sono passati.”
“Sei stata sciocca ad aspettare tutto questo tempo, non deve accadere più.”
Annuii mentre mi porgeva un bicchierino con la nuova pozione, il liquido dentro dondolava leggermente,  gli guardai la mano: tremava.
“Dai, muoviti, bevi, l’ho preparata apposta per evitare rischi.”
Afferrai il bicchiere e mentre bevevo lo guardavo negli occhi, quegli occhi neri ormai avevano solo pupille.
“Mio Signore, voi davvero state bene?”
“Sto bene, siediti e aspettami sul divano, ora parliamo.”
Feci ciò che mi diceva, ma lo osservai: prese un bicchiere d’acqua aggiungendo alcune gocce da una boccetta che teneva in un cassetto, poi venne a sedersi vicino a me.
“Siete stato via molto?”
Annuì solamente, senza parlare. Capii che dovevo attendere, lo lasciai sorseggiare in pace fino a quando lo vidi più calmo.
Si appoggiò allo schienale del divano, guardandomi rilassato e io lo potei ammirare in tutta la sua sciupata e inquietante bellezza.
“Ho fatto delle cose, Bella, di cui forse un giorno ti parlerò, ora sono stanco… torno a casa e trovo guai, lo sai che non mi piace.”
Chiamava quel luogo casa, tornava a casa e io gli procuravo disturbi: non andava bene così, lo sapevo, dovevo imparare a comportarmi diversamente, mi sentivo così bambina davanti a lui, così sciocca. Quello che prima mi sembrava assolutamente naturale come farmi curare e coccolare da lui perché mi avevano fatto male, ora mi sembrava una sciocchezza infantile.
“Mio Signore, ora sto bene, ma vi assicuro che seguirò meglio i vostri dettami d’ora in poi.”
Restò in silenzio, io non potei fare a meno di pensare che si occupava così solo di me, con nessun altro aveva questi accorgimenti, queste premure. 
Lo osservai di nuovo, sembrava calmo più sereno, il sudore era scomparso, i muscoli che prima avevo visto tirati d tesi erano tornati normali, la pelle pallida era rilassata, sia sulle tempie che sul collo. Il suo sguardo era tranquillo, niente più pupille grosse, anzi, mi guardava fissamente e quasi languidamente, in totale silenzio, in un’atmosfera irreale. Respirava lentamente, posando il suo sguardo, altrettanto lentamente, sui miei capelli, nei miei occhi, sul viso e sul mio corpo. Passammo minuti in quel silenzio totale a guardarci, io perché lo faceva lui, lui come sempre era impenetrabile.
Poi chiuse gli occhi per qualche istante, sospirando a lungo, scostandosi i capelli dagli occhi, sembrava non facesse più molto caso a me, o alle mie parole, forse fu questo che mi fece venire il coraggio di parlargli senza temere sfuriate.
“Se non l’ho fatto, è solamente perché aspettavo voi. Voi vi prendete cura di me e lo fate in un modo che non dimostrate avere con nessun altro… e per me, mio Signore, questo è un piacere davvero enorme.”
Per un attimo mi sembrò non mi avesse minimamente ascoltata, poi però rispose lentamente:
“Lo so bene, Bella.”
Avrei tanto voluto chiedergli cosa sapeva. Sapeva che mi trattava in modo completamente diverso da tutti glia altri? Sapeva che a me faceva talmente piacere che facevo apposta anche a rischiare una maledizione pur di farmi curare da lui? O sapeva che ero innamorata perdutamente di lui? 
E lui? Lui fingeva di non sapere del mio amore? O non lo capiva veramente?
Domande che sarebbero rimaste senza risposta, perché non osai chiedere nulla di simile. 
Mi avvicinai invece a lui, che appoggiò per terra il bicchiere ancora pieno per metà, non si mosse nemmeno per appoggiarlo sul tavolino di fronte. Mentre lo appoggiava sul pavimento scorsi sulle dita un anello che fino a quel momento non avevo notato.
“L’anello dell’erede?” 
Forse fui ancora troppo precipitosa, ma lui capì subito a cosa mi riferissi e annuì. Gli sfiorai le mani per vedere bene l’anello, lui stranamente lasciò fare, per cui presi coraggio, appoggiai la sua mano tra le mie e sfiorai il metallo con la pietra, ma soprattutto accarezzai la sua pelle, le dita. A quel contatto sentii il cuore battere forte e riscaldarmi tutta, notai che la sua mano era calda, aveva completamente smesso di tremare e si era abbandonato al mio tocco.
“Mio Signore, l’avevo sentito descrivere solo nei racconti vaghi dei miei nonni, non sapevo esistesse veramente, è davvero bello, vi sta molto bene.”
Era vero: le sue dita sottili, magre, portavano quell’anello antico e prezioso come fosse il gioiello più insignificante di questo mondo, era anche leggermente largo e la pietra scivolava sul lato, ma questi particolari contrastanti lo rendevano ancora più magnetico ed attraente.
Mentre io osservavo quel monile, lui teneva lo sguardo altrove, quasi non sopportasse la vista dell’anello. 
“Guardalo bene, se ti piace, perché non lo porterò ancora a lungo, presto tornerà dove deve stare.”
Non capii bene il motivo di quella strana ritrosia, non feci nemmeno in tempo ad osservare ancora bene la pietra che scostò la mano dalle mie. Riprese il bicchiere dal pavimento e terminò di bere tutto in un sorso, con un grande sospiro si riappoggiò allo schienale chiudendo gli occhi.
Rimasi zitta, era un momento particolare, non potevo rischiare di mettermelo contro, si sarebbe chiuso e mi avrebbe scacciata malamente, ormai lo conoscevo, quindi attesi.
Dopo poco riaprì gli occhi, sollevò la testa e guardò altrove.
“Appena trovo la voglia di tornare in quel posto.”
Naturalmente non capii, seguiva solo i suoi pensieri, non il mio discorso, ma fui abbastanza sensata da non fare domande, era evidente fosse un argomento delicato.
Ogni argomento che toccasse la sua famiglia era evidentemente difficile da toccare, forse quasi impossibile.
“Certo, mio Signore, non mi importa dell’anello, non intendevo domandare cose di cui non volete parlare.”
Sorrise a quelle parole, riportando lo sguardo su di me.
“Ci sono molte cose che non sai di me… e ci sono tante cose che ancora non conosci della magia oscura.” 
Io non capivo il senso di quelle parole, nemmeno il collegamento che potessero avere con quell’anello.
“Me ne parlerete mai? Mi insegnerete anche queste cose? Io, mio Signore, voglio conoscere tutto di voi e della magia oscura.”
“Tu vuoi, vuoi, ma intanto devi imparare a fare quello che ti dico in modo preciso e ineccepibile.” 
Indicò la mia mano con un cenno del capo.
Alzai la benda senza rispondere nulla, la ferita sembrava un normalissimo taglio, il brutto aspetto era scomparso.
Lord Voldemort la guardò a malapena, ma io sapevo che ormai era tutto a posto, mi preoccupava di più il suo stato. Rispetto al suo ritorno era cambiato in maniera completa e anche abbastanza repentinamente. Dissi che la ferita non dava più alcun problema, che non avrei più commesso errori, ma lui non rispose nemmeno, era evidente che ormai era perso nei suoi pensieri.
Mi resi conto che avrei dovuto andarmene e lasciarlo in pace, ma il mio desiderio di restare ancora con lui era talmente forte che non mi risolvevo di andare via.
Era un momento strano, ma speciale, lo guardavo attentamente e lui sembrava così lontano, così diverso… avrei solo voluto dirgli che lo amavo davvero tanto, a scapito di tutto, senza pensare a nessuna regola, a nessun dettame a cui ubbidire.
Ogni tanto chiudeva gli occhi, non ce la faceva restare concentrato, allora guardavo quel viso meraviglioso, elegante, sensuale, anche se scarno e sciupato, quelle labbra pallide e i capelli che lentamente ricadevano sugli occhi.
In uno di quei momenti gli accarezzai il viso, avvicinandomi a lui, fino a sentire il tepore della sua pelle. Ero sicura che in un momento di lucidità mai e poi mai me lo avrebbe lasciato fare, approfittai dunque di quegli istanti per seguire il mio cuore e fare finalmente ciò che desideravo. Al mio tocco alzò lo sguardo su di me e, stringendomi per la vita, mi portò vicina a lui, poi mi baciò molto lentamente e profondamente.
In quel bacio morbido ho sentito di nuovo quel sapore dolciastro che da tanto non aveva alle labbra, sulla lingua, ovunque, sono stata inondata da quel sapore che sentivo tanto intenso da impregnare sapore e odore, e lui mi baciava in quel modo nuovo, completamente istintivo, che adorai subito. Affondai le mani fra i suoi capelli, prendendo l’iniziativa, sentendo che mancava completamente delle solite difese. L’ho stretto a me, continuando a baciarlo come se tempo e spazio non esistessero più.
Solo dopo lungo tempo si allontanò lentamente da me e io riaprii gli occhi in seguito a quell’estasi fantastica. Restai a guardarlo in silenzio.
Eravamo ancora vicinissimi, aveva un’espressione davvero indecifrabile, ora c’erano quasi solo le sue iridi scure, nere, screziate di rosso.
Invece di continuare ciò che ero convinta avessimo iniziato, chiuse di nuovo gli occhi.
“Sono stanco, lasciami solo.” 
Lo sentii appena sussurrare quella frase.
In quel momento rimasi male, non tanto per il sesso mancato, ma perché non volevo lasciarlo, avrei voluto solamente abbracciarlo, dirgli: vi voglio bene, mio Signore, non fate così, non state qui, così, da solo.
Mi morsi le labbra e dissi altro.
“Ma state bene, mio Signore? Posso lasciarvi tranquillamente?”
Sorrise; anzi, si mise quasi a ridere. 
“Sto bene, puoi andare, Bella.”
Non mi azzardai a dire e fare altro, mi alzai in piedi e lo guardai ancora una volta, osservai com’era bello e come sembrava vulnerabile in quel momento.
Lo amavo da impazzire, qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa succedesse.
Quel sapore dolciastro che avevo nella bocca dopo i suoi baci me lo faceva sentire ancora più vicino.
Mi sentivo straordinariamente tranquilla, la luce chiara che entrava dalle finestre pareva avvolgermi in una calda sensazione di tepore.
Silenziosamente uscii e richiusi la porta alle mie spalle: il sogno era finito, fuori mi aspettavano i fratelli Lestrange, eppure mi sentivo avvolta da vaga sensazione di onnipotenza, qualsiasi cosa avessero fatto o detto, non mi toccava minimamente.
A me importava solo del mio Signore.


   
 
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