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Autore: Il Professor What    09/03/2018    1 recensioni
Il Dottore, come sappiamo, viaggia nel tempo e nello spazio, a bordo della sua macchina e con i suoi compagni. La serie e gli altri media ci hanno fatto vedere che, occasionalmente, il nostro Signore del Tempo preferito ha visitato anche il nostro paese. Ma se ci fossero state altre avventure, che la serie non ci ha mostrato?
Questa è la prima di tredici storie dove il Dottore interagisce con la storia del nostro paese. Nell'abbazia di San Gaudenzio, 1302, Dante Alighieri e i Guelfi Bianchi si sono riuniti per cercare di tornare a Firenze. Un misterioso Monaco promette loro una sicura vittoria, con l'aiuto di qualche arma strana. Dante si oppone strenuamente, ed è appoggiato dal Primo Dottore e dal suo compagno, Steven Taylor, che quel Monaco lo conoscono bene...
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 1
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doctor Who: The Italian Adventures'
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Ben ritrovati, miei cari lettori! Scusatemi tantissimo per il ritardo nell'aggiornamento, ma la mia attenzione è stata tutta presa dal mio viaggio a New York. Ebbene sì, in questo momento sto scrivendo dagli States, dove risiedo da una settimana, e dove resterò fino a maggio. Ho dovuto ambientarmi un attimo e finire un lavoro iniziato in Italia, ma adesso sono qui, pronto a ricominciare con il capitolo dove il Sommo incontra il Dottore. Non perdiamo tempo e via!
 
"PER SEGUIR VIRTUTE E CONOSCENZA"
Parte 2

La campana della sesta ora stava suonando, quando mise finalmente giù la penna. Dopo la deprecabile esperienza di quella mattina, Dante aveva di nuovo messo mano alla sua opera interrotta, soffocando nella bellezza dei versi le sue preoccupazioni. Era solo un abbozzo, ovviamente, ma gli anni gli avevano insegnato che, quando l’ispirazione arrivava, era meglio seguirla. E in quel caso i risultati erano stati così sorprendenti che, non per la prima volta, Dante si domandò se non avrebbe fatto meglio ad abbandonare i trattati e mettersi a lavorare completamente al suo vecchio progetto. Di sicuro sarebbe stato più divertente che continuare con i trattati.

“Messer Dante?” chiese Lapo, bussando delicatamente. Aveva imparato a sue spese che disturbare il padrone mentre componeva poteva essere molto pericoloso: gli stivali che gli erano stati lanciati contro accompagnati da insulti a tutto il suo parentado non li contava neanche più.
“Vieni pure, Lapo” rispose però stavolta Dante, con un sorriso rassicurante. “Ho appena finito.”
“Ho il vostro pranzo” disse il servitore, facendosi strada rassicurato, e appoggiando il piatto sulla tavola. “Qui fuori c’è qualcuno che vuole parlarvi. Dice che è molto urgente” aggiunse, sbuffando, in un modo che incuriosì Dante.
“Ha insistito parecchio?” domandò.
“Parecchio? A momenti buttava giù la porta! Ho cercato di fermarlo, dicendogli che stavate componendo, ma non ha voluto sentire ragioni! Ho temuto che fosse necessario legarlo” esclamò Lapo, lasciando andare tutta la sua frustrazione. Il pover’uomo era così agitato che Dante dovette mordersi la lingua per non scoppiare a ridere, facendo torto a quel servitore fedele.
“Se insiste così tanto, allora gli parlerò. Ha per caso detto il suo nome, oltre a farti impazzire?”
“Non mi pare, messere, ora che ci penso” disse Lapo. “Continuava solo a ripetere di essere un dottore.”
“Davvero? Spero allora che non abbia cattive notizie sulla mia salute. Metti pure il pranzo in tavola e fallo entrare.”

Lapo obbedì, e dopo pochi secondi fece entrare il misterioso visitatore: un uomo anziano con indosso un paio di vivaci pantaloni azzurri, una casacca bianca e un mantello ocra, i cui occhi neri saettavano curiosi da un lato all’altro della stanza. “Messere, la ringrazio di avermi ricevuto” disse, chinando la testa. Teneva le mani all’altezza delle spalle, notò il poeta, come se stesse cercando di tenersi in piedi, e il suo atteggiamento era uno strano misto di serio e comico, cose nello stesso corpo fossero stati rinchiusi un buffone e un uomo molto saggio. Decisamente costui dev’essere un uomo interessante, pensò il poeta.
“Si accomodi, dottore” gli disse, indicandogli una sedia. “Il mio servitore mi ha detto che voleva vedermi urgentemente. Mi perdoni se non l’ho ricevuta prima.”
“Si figuri, giovanotto, si figuri” fu la risposta, che prese Dante alla sprovvista, lusingandolo. Di sicuro il suo interlocutore era più anziano, ma definirlo giovanotto… Insomma, aveva ormai quasi quarant’anni! “Ah, e comunque” continuò l’interlocutore “il suo servitore ha capito male la mia presentazione. Io non sono un dottore, sono il Dottore, l’unico e inimitabile, si potrebbe dire.”
“È una presunzione notevole. Fossi in lei, uscito da qui andrei a confessare il peccato di superbia a uno di questi padri” scherzò Dante. “Ma comunque, in cosa posso esserle utile? Spero non si tratti di una cosa di medicina perché, se devo essere sincero…”
“No, messer Alighieri” disse il Dottore, diventando serio. “La cosa è molto più importante. Si tratta del monaco che stamattina è venuto a offrirvi il suo aiuto.”

“Lei lo conosce?” chiese Dante, facendosi subito serio anche lui.
“Purtroppo, sì, e bene, anche. Lui ed io un tempo eravamo… compagni di studio, su… argomenti che sarebbe stato meglio non toccare.”
“Stregoneria, lo sospettavo” mormorò Dante.
“Scienza” lo corresse il Dottore. “Ma non ha importanza, al momento: ora mi ascolti.”
“Perché dovrei?” domandò il poeta. “Ha appena detto di essere stato un amico di quell’impostore.”
“La sua diffidenza è giustificata, ma la rassicuro subito. Non intendo convincerla ad aiutarlo, al contrario, intendo aiutarla a impedire ai suoi compagni di fidarsi di quell’impostore.”
“Posso chiederle come ha fatto a sapere che era qui? Anzi, ora che ci penso, come sa che mi sono opposto a lui, e cosa è successo oggi?”
“Questi sono affari miei” replicò il Dottore, bruscamente. “A lei basti sapere che sono sulle tracce del Monaco da molto tempo, e con lo specifico intento di fermarlo dal causare morte e distruzione. Se voi accettaste il suo aiuto, le conseguenze sarebbero molto più gravi di quanto immagina.”
“Addirittura?” domandò il poeta. “E cosa dovrebbe succedere, di preciso?”
“L’intera struttura della Storia umana ne sarebbe sconvolta, ecco cosa!” esclamò il Dottore, perdendo la pazienza di fronte all’ostinazione dell’altro (perché gli esseri umani dovevano essere così testardi, si domandò non per la prima volta). “Ci sono misteri che è meglio non indagare, cose con cui non bisogna scherzare, e questo è esattamente ciò che fa il Monaco. Non gli deve essere permesso ciò!”

L’improvviso scoppio di rabbia fu così forte da colpire Dante di sorpresa, inducendolo a guardare di nuovo, con più attenzione, il suo interlocutore. Ogni traccia di buffoneria ora era scomparsa, e tutti i lineamenti del suo volto erano ora così tesi che subito il poeta capì che non c’era alcun inganno nelle sue parole. E per qualche strano motivo, ne fu sollevato, come se una parte di lui, per tutto quel tempo, avesse per davvero desiderato che quello strano uomo fosse suo amico.

“Non pretendo di aver capito” disse allora, “ma per il momento diciamo che le credo. Cosa vorrebbe che facessi? La posso far parlare con Scarpetta e gli altri, se…”
“No, messere, non è quello che chiedo. In realtà, credo sarebbe meglio che il Monaco non sapesse affatto che io sono qui. Potrei esservi più utile in questo modo.”
“E allora, cosa vuole?”
“Ho un compagno, un giovane devoto e leale, che ho già mandato qui nel vostro campo per spiare le mosse del nostro nemico. Tutto ciò che le chiedo è di stare in contatto con lui e di riferirgli tutto ciò che viene a sapere sulle mosse del Monaco. L’ideale, se possibile, sarebbe se gli riferisse dov’è che alloggia, e dove tiene le armi che passa a chi le ascolta. Al resto penserò io.”
“Molto bene… Dottore” annuì Dante. “Mi mandi questo suo compagno, e io vedrò come posso esservi utile. Come lo riconoscerò?”
“Oh, non preoccupatevi, vi contatterà lui” disse il Dottore, alzandosi dalla sedia. “Adesso, mi scusi, ma è meglio che vada. Ho già corso un grosso rischio a venire qui, se mi attardo oltre il Monaco potrebbe vedermi. A presto, dunque, messere.”
Dante accompagnò il Dottore alla porta e lo vide andare via, scomparendo nelle ombre che si allungavano nel chiostro dell’abbazia. Lapo, preoccupato dall’espressione del suo viso, gli chiese come stava. “Sto bene, sto bene” rispose il poeta, con un cenno della mano, nel tentativo di sviarne le preoccupazioni: ne aveva già abbastanza il suo padrone. Gli disse solo che, se qualcuno l’avesse cercato, poteva trovarlo nella cappella dell’abbazia: aveva bisogno di riflettere.
***

“La disturbo?” chiese il Monaco, sedendosi sulla panchina accanto a lui. “Posso aspettare che abbia finito le sue preghiere, se desidera.”
“No, meglio che parli adesso” rispose il poeta, sopprimendo uno scatto di irritazione. Se davvero aveva intenzione di fidarsi di quello strambo Dottore, pur essendo consapevole che c’era qualcosa che gli aveva nascosto, tanto valeva cominciare subito. “Così, quando avrà finito, potrò meditare sulle sue parole nel miglior posto possibile.”
“Un’eccellente idea, e degna di un uomo devoto. Lei è pari alla sua fama, messere.”
“L’ultima volta che sono passato a Firenze la mia fama era di essere un barattiere e un traditore” ribatté Dante sarcastico.
“E non lo trova vergognoso? Un uomo della sua levatura morale, e artistica, se posso aggiungere, non merita di essere trattato in questo modo.”
“Se ha intenzione di far leva su un mio presunto desiderio di vendetta per le mie ingiustizie, perde il suo tempo” lo interruppe il poeta. “Sono arrabbiato, certo, ma non al punto da desiderare un massacro. Se lo facessi, non sarei diverso da chi mi ha esiliato.”
“Ma sarebbe uguale ad altri grandi uomini che ammira” continuò il Monaco. “Lei ha citato oggi Farinata degli Uberti, o sbaglio?”
“Che è stato processato dopo la morte per eresia, e i cui figli hanno visto l’esilio. Non ho intenzione di far vivere ai miei la stessa esperienza.”
“Ma chi dice che la dovranno vivere? Io le posso garantire che, con il mio aiuto, ciò non accadrà mai. Non solo riconquisterete Firenze, ma la terrete e la governerete a vostro piacimento.”
“Io non voglio governare Firenze a mio piacimento” insistette Dante. “Io voglio tornare in patria come un cittadino rispettato e tornare a lavorare per il suo benessere. Le sue armi non rientrano nel modo in cui intendo farlo.”

“E allora come?” chiese il Monaco, e Dante fu contento di sentire che il tono mellifluo della voce si era incrinato. Il serpente mostrava le zanne, ora che la lingua aveva fallito. “Lei e i suoi compagni avete contro il Papa e il re di Francia, e nessun imperatore non si occupa dell’Italia da tanto, troppo tempo. Chi vi aiuterà a…?”
“Io ho fiducia nella bontà di Dio, e nello sforzo degli uomini di buona volontà da entrambe le parti. Finché ci sarà speranza, io mi fiderò di questo” rispose il poeta, alzandosi dalla panchina per andarsene. La conversazione era finita, per lui. Non, a quanto pare, per il Monaco, che si alzò dietro di lui e, a voce più alta, disse: “E se questo non dovesse succedere? Se lei non tornasse mai a Firenze?”
Fermo sulla soglia della cappella, Dante si voltò verso il religioso, calmo all’esterno, ma con la rabbia che gli schiumava dentro. “È una minaccia?”
“No, è una possibilità, e sono sicuro che lei l’ha considerata. Se lei a Firenze non tornasse mai più? Se questo esilio, che lei dice non la turba, diventasse la sua condizione di vita? Si ritiene capace di sopportarlo?”

“Lo sa” rispose Dante, un sorriso di scherno sul suo volto, “per gli abiti che indossa, questo è davvero un discorso inadatto. Un monaco dovrebbe essere un uomo di pace, un uomo di Dio. Tutto quello che ho sentito uscire dalla sua bocca sono state parole di odio e di morte, e sa che le dico? Capiti quello che deve capitare, io lo accetterò, come un figlio che accetta dal Padre quello che egli gli dà.”
“Anche se il padre è ingiusto?”
“Quello che ho in mente io non lo è. Quindi non sprechi con me le sue parole di miele, la sua lingua velenosa. Meglio un esilio dignitoso che un ritorno in patria marchiato dall’infamia.”
“Molto bene” annuì allora il Monaco, dopo un istante di silenzio. “Allora credo che non abbiamo altro da dirci, messere. Spero vivamente che non abbia a pentirsi, un giorno, di aver rifiutato il mio aiuto.”
“Stia tranquillo, non succederà” disse il poeta, prima di uscire dalla cappella, non prima di aver chinato il capo in un reverente segno della croce.

Rimasto solo nella chiesa vuota, il Monaco tirò fuori dal saio le due boccette che aveva appena recuperato dal proprio TARDIS. Aveva davvero sperato di non doverle usare. Ammirava il genio dell’uomo, la bellezza che sapeva creare con le sue parole, l’alta fantasia e la profonda morale che lo rendevano davvero un grande fra i suoi simili. Ma purtroppo, adesso era diventato un problema, e uno di quelli che andavano risolti in maniera drastica. Meglio sbrigarsi allora, non avrebbe avuto molto tempo per drogare il vino del servitore.

NOTE

- I trattati cui Dante fa riferimento sono il Convivio e il De vulgari eloquentia ("l'eloquenza del volgare"), due trattati, uno in volgare e l'altro in latino, che il poeta stava scrivendo in quel periodo. Il primo intendeva servire come opera di sapienza, teologica e politica, a partire dalla spiegazione di alcune poesie da lui scritte; il secondo era una difesa dell'uso del volgare come lingua letteraria contro chi ancora utilizzava il latino. Entrambi i trattati saranno lasciati incompiuti per dare spazio alla stesura della Commedia, che secondo gli studiosi iniziò fra il 1304 e il 1306, due/quattro anni dopo la nostra storia.
- Ufficialmente, Dante era iscritto all'Arte (corporazione) dei Medici e degli Speziali, da qui la battuta sul nome di "dottore".
- L'ora sesta equivale al nostro mezzogiorno.
- L'accusa ufficiale con cui Dante è stato bandito da Firenze è quella di baratteria, ovvero di vendita di cariche pubbliche.
- Il Monaco fa riferimento all'ostilità verso i Bianchi sia del Papa, Bonifacio VIII, che del re di Francia, Filippo IV il Bello. Il primo ebbe parte attiva nell'esilio di Dante, il secondo fu aspramente criticato dal poeta per la sua politica anti-papale e anti-imperiale. L'imperatore è ovviamente quello del Sacro Romano Impero, la cui autorità Dante avrebbe invocato più di una volta come soluzione al caos della politica italiana.

E con questo è tutto, gente. A partire da oggi, gli aggiornamenti avverranno nei multipli di 10 di ogni mese, quindi (incrociando le dita) ci vediamo dopodomani per la parte 3 (su 6 complessive) di questa prima avventura; altrimenti, ci rivediamo il 20. Ringrazio ancora Alessia e Cara93 per le recensioni, e alla prossima!

 
  
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