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Autore: __roje    22/03/2018    2 recensioni
YUGEN. Seconda parte di Ikigai
Questa è la seconda parte e continuo di Ikigai dove appunto ritroviamo Aki e Hayato alle prese con i loro problemi. Due ragazzi che si sono scoperti innamorati, ma sono dei semplici adolescenti e intorno a loro c'è chi vuole dividerli.
Riusciranno i due ragazzi a stare insieme andando oltre il loro passato?
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo [3]

Il ritorno di Hayato era diventato l’argomento principale di tutti i giorni. Ogni ragazzo e ragazza non faceva che parlarne, e da quando si era ripresentato con i capelli neri, le ragazze non avevano fatto a meno di notare quanto fosse ancora più sexy di prima.
Il corteo di ragazze aveva ripreso a seguirlo ovunque, ma a differenza di prima, Hayato nemmeno se le filava e non aveva più fatto finta di trovarlo piacevole. Anzi, le ignorava e aveva invece cominciato a fare amicizia con molte più persone, erano infatti molti i compagni di classe che gli davano a parlare e trovavano piacevole la sua compagnia. Era davvero cambiato.
Iku se ne stava seduto davanti a me mangiando il suo bento disse: “Da quanto ho sentito è stato negli Stati Uniti in questi mesi, ha frequentato una scuola li per terminare il secondo anno ma poi per motivi suoi è voluto tornare” ci raccontò ciò che aveva sentito.
Noi presenti, ascoltammo ogni cosa con attenzione. Yoshida si lasciò cadere contro la sedia e sbuffò, “Non ne posso più. Sembra un deja vù, non si fa che parlare di Hayato da una settimane.”
Mina rise “Sei geloso?”
“Per nulla!” Yoshida le fece broncio.
Iku lasciando perdere il loro battibecco si rivolse a me “Tu ci hai già parlato Aki? Eravate amici no?”
“No, non ne ho avuto occasione in verità.”
“Ah no? Credevo foste in contatto anche mentre lui era in America.”
Scossi la testa, “No, non ci parlo da un anno ormai.”
Fu allora che apparì dal nulla Mayu con una busta tra le mani, prese posto proprio accanto a me e come sempre mostrò a noi tutti il suo sorrisone e le sue guance sempre rosse. “Scusate il ritardo ma c’era molta fila vicino alla caffetteria” si giustificò, “ma ho preso un budino per tutti!”
“Sei una grande!” la venerò Yoshida afferrando il suo.
Mayu mi gettò un occhiata “Questo alla vaniglia è per te Aki.”
“Grazie ma passo, ho mangiato troppo” e feci per andarmene prima in classe.
In quei giorni non avevano fatto che girare voci su di lui, ognuna delle quali erano sembrate vere. Mi erano arrivate alle orecchie anche voci riguardo una presunta relazione avuta in quei mesi, e sentire una cosa del genere mi aveva ferito moltissimo ma cosa potevo farci? Non stavamo più insieme, e forse aveva trovato la felicità in qualcun altro. Lo meritava, era un bravo ragazzo e dovevo essere felice per lui.
Ma io lo amo.
Eppure dentro di me non potevo fare a meno di provare un sentimento egoistico, volevo ancora che guardasse solamente me come aveva fatto un tempo. Se chiudevo gli occhi mi tornavano ancora alla mente le sue dolci parole, i suoi baci e tutti i momenti trascorsi insieme. Momenti che sembravano essere frutto di un sogno ormai lontano.
Andai in bagno a darmi un rinfrescata e mi gettai una buona quantità di acqua in faccia. Mi guardai allo specchio maledicendomi per come ero e ciò che avevo fatto. Disprezzavo me stesso per la mia incapacità di andare oltre e di vivere normalmente la mia vita scolastica. Quei tre anni si erano rilevati l’inferno, non li avrei rimpianti anzi non aspettavo altro che la fine di tutto per potermi lasciare tutto alle spalle.
Il peggio arrivò quando al ritorno da scuola, giorno dopo giorno, non facevo che incrociare Hayato sulla via di ritorno. Lo trovavo sempre fuori dal suo cancello, e nel vedermi mi salutava con un cenno e un sorriso. Tutto così finto, tutto così vuoto. E questo era quasi tutti i giorni. Più cercavo di non incrociarlo e più non potevo fare a meno di guardarlo in classe, era assurdo che fosse riuscito ad andare avanti in quel modo. Il ragazzo che un tempo avrebbe urlato il suo amore per me era svanito, e per lui ero invisibile. Mi aveva ormai catalogato come una delle tante facce che avrebbe visto a scuola.
Era trascorso un mese dal ritorno di Hayato, e oramai si era circondato di persone che potevano chiamarsi suoi amici.
Non avevo mai creduto possibile che potesse essere così socievole, o magari faceva finta o era sul serio cambiato in qualche strano modo. Forse l’America gli aveva fatto bene.
Arrivò presto il giorno della visita medica e tutti noi venimmo convocati in palestra per pesarci. Era una seccatura, feci un respiro profondo e andai insieme a tutti i miei compagni verso lo spogliatoio per lasciare i vestiti li prima del controllo.
“Spero che l’infermiera dica che sono perfetto!” esclamò Yoshida guardandosi allo specchio. Cominciò a contrarre i muscoli del braccio per mostrarci la sua prestanza fisica.
“Ti dirà solamente che sei un pallone gonfiato” lo derise Oija togliendosi la maglietta, “vero Aki?”
“Eh? Ah si.”
Yoshida mi si avvicinò “Che fai non ti togli la maglietta? Mostraci i tuoi muscoli su!” e cominciò a tirarmi via i vestiti facendomi il solletico sui lati. Cercai di scappare via da quella presa.
“Lasciami Yoshida! Smettila!” cominciai a ridere per il solletico.
“Oija bloccalo non riesco a toglierla!” rise mentre cercava l’aiuto dell’altro e quest’ultimo si prestò allo scherzo tenendomi le braccia più che poteva, senza però stringere troppo. Erano due idioti.
“Piantatela davvero!” urlavo mentre ridevo.
Di colpo sentimmo il tonfo pesante di una porta che si chiudeva. Oija e Yoshida si fermarono colpiti da quel rumore, e subito dopo da dietro gli armadietti comparve Hayato a petto nudo, l’ampio torace in vista e i folti capelli neri che gli davano un aria così tenebrosa e sensuale.
Ci fissò con un espressione glaciale, e un brivido di freddo mi investì così come anche i miei amici.
Hayato si rivolse in particolare verso Yoshida con lo sguardo di chi voleva iniziare a fare a pugni, “L’insegnante ti sta cercando, è il tuo turno.”
Tutta la tensione di prima svanì di colpo quando Hayato mostrò un sorriso e lo sguardo di prima svanì di colpo. Ci sentimmo tutti molto meglio e Yoshida parve dimenticare subito l’accaduto andando fuori dallo spogliatoio seguito da Oija che era il primo dopo di lui.
Diversamente da loro io non potevo fare a meno di pensare che per un momento mi era sembrato di vedere il vecchio Hayato, quello che non faceva altro che guardare male il prossimo. Era stata un impressione forse.
Senza accorgermene eravamo rimasti da soli nello spogliatoio, mi voltai a guardarlo di nascosto e lo vidi intento a rimettersi la divisa addosso. Era ancora così bello, anzi forse più di prima. Volevo toccarlo, stringerlo a me, ma non potevo più farlo ormai e quel pensiero mi rese molto triste.
Fu in quel momento che Hayato si voltò anche lui cogliendomi di sorpresa, istintivamente tornai a fissare davanti a me l’armadietto, tenendo la testa bassa. Aveva capito che lo stavo fissando.
“Puoi smettere di fissarmi?”
Sussultai per quella domanda, allora raccolsi coraggio per voltarmi a guardarlo. Lo trovai rivolto verso di me, serio in volto che mi scrutava con attenzione.
“Non ti stavo fissando...”
Hayato sospirò, “Vengo fissato ogni dannato giorno qui, so riconoscere quando qualcuno lo fa. Se vuoi parlarmi fallo, ma smettila di fissarmi.”
“M-mi dispiace...”
Si voltò per indossare la camicia che cominciò ad abbottonare “Sono tornato da un mese e non c’è stato giorno in cui tu non mi abbia fissato. E’ snervante sai.” Se ne era accorto. “Quel giorno volevi dirmi qualcosa, ma sono dovuto scappare via. Cos’è che volevi?” si voltò di nuovo verso di me aspettando una risposta.
Alludeva chiaramente a quel giorno nel corridoio. “I-io volevo semplicemente... e-ecco...” le parole mi morirono in gola, così come era svanito tutto il coraggio di quel giorno. Non ricordavo neppure più cos’è che volevo dirgli.
“Va tutto bene adesso” disse di colpo e lo fissai stupito, “sono passati mesi da allora, all’inizio è stata dura. Devo ammettere però che se sono andato in America è stato principalmente per me stesso, e per la mia salute mentale ma adesso se sono tornato è perché sono capace di parlarti senza alcun problema. Possiamo essere amici se anche tu lo vuoi, frequentarci come compagni di classe e studiare insieme. Possiamo avere un rapporto normale, così come doveva essere anche allora.” Hayato stava sul serio dicendo quelle cose. La stessa persona che un tempo aveva dichiarato di amarmi. Tutto il suo amore si era consumato e ora mi chiedeva di essere suo amico? “E’ difficile per te vedermi come un amico?” mi domandò.
“Credo di no...”
“Perfetto allora se vuoi dirmi qualcosa fallo senza problemi e senza imbarazzo” mi sorrise, chiuse l’armadietto alle sue spalle, raccolse le sue cose per andare via, “ci vediamo in classe Aki.”
Erano mesi che non gli sentivo pronunciare il mio nome, udire di nuovo la sua dolce voce dirlo mi fece venire un colpo. Hayato era tornato ma non era più lo stesso, improvvisamente sognai di poter tornare indietro, di potermi stringere nelle braccia della persona che avevo amato così tanto. Adesso al suo posto c’era una persona che non riconoscevo più, che non mi trattava più male ma con un assurda gentilezza che sapeva di finzione. Il mio Hayato era definitivamente scomparso.
Da quel momento in poi le cose sarebbero andate avanti così, facendo finta di essere amici. Aveva anche detto che era così che sarebbe dovuta andare, che il nostro amore era stato sbagliato fin dall’inizio e forse era vero. Se fossimo rimasti semplici amici dall’inizio tutto quel disastro non sarebbe mai accaduto.
Era colpa di entrambi. Avevamo preteso troppo, cercato una felicità che non era destinata ad esserci e ognuno di noi aveva avuto le proprie colpe. Ci eravamo fatti del male a vicenda e ora tutto era finito senza lasciare traccia se non delle ferite che ancora cercavo di curare.


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