Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Water_wolf    22/04/2018    3 recensioni
{ Space!AU | Percy/Annabeth, Luke/Ethan }
È una verità universalmente riconosciuta, che non avere un copilota è meglio che averne uno incapace. Per questo, quando Percy diventa il suo nuovo compagno di volo, Annabeth è tutt'altro che contenta. Costretti a fare squadra, impareranno a fidarsi l'una dell'altro—e a non uccidersi a vicenda.
Nel frattempo, il Primo Pilota Luke è scomparso durante una missione. Tranne Annabeth, tutti lo danno per morto. E quando riceve un inquietante messaggio, non le rimane altro che partire insieme a Percy alla volta dello spazio.
Annabeth lo afferrò per un braccio, lo tirò vicino a sé e guardandolo negli occhi mormorò in tono di minaccia: «Se per colpa tua—perché sarà sicuramente colpa tua—oggi ci schiantiamo, sappi che non smetterò mai di cercare di liberarmi di te.»
Le labbra di Percy Jackson si arcuarono in un grande, sfrontato e deliberatamente provocatorio sorriso sarcastico. «Ricevuto.»

♣♣♣
Copilota. Si erano affibbiati l’un l’altro quella definizione, con sprezzo o affetto a seconda del caso, come una moneta che al posto di testa e croce oscilla tra maledizione e benedizione.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Leo Valdez, Luke Castellan, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
quattro

 
 
C’era solo una cosa peggiore delle lezioni di Zero-G delle 8.30: l’odore di vomito che si spandeva durante le lezioni di Zero-G delle 8.30. Annabeth non capiva come certe persone si ostinassero a fare una colazione pesante, se tanto rimettevano tutto subito dopo. Sembrava quasi lo facessero apposta. Mentre il colpevole di quel giorno veniva accompagnato fuori dal compagno, un’arpia entrò nell’area a gravità zero e si affrettò a pulire le particelle di vomito che fluttuavano a mezz’aria.
«Che schifo» sentì dire qualcuno, suscitando una serie di assensi tutt’intorno a lui.
Annabeth ringraziò mentalmente l’esistenza delle arpie, che in quelle occasioni non battevano ciglio, e distolse lo sguardo da quello spettacolo disgustoso. Percy, a qualche metro di distanza da lei, sbadigliò. Quando si accorse del suo sguardo, commentò il suo stato con un tono che esprimeva il concetto meglio di quanto avrebbero mai fatto le sue parole. «Ho puntato cinque sveglie e mi sono alzato dopo aver ritardato l’ultima due volte.»
Troppo stanca per ridere, la bionda si limitò a sorridere, gesto che probabilmente sottolineò le borse sotto gli occhi. Avrebbe voluto replicare, ma al posto di una frase, dalla bocca le uscì uno sbadiglio.
«Ti odio» disse, fulminando il suo copilota con lo sguardo. «Adesso andremo avanti così per tutta la mattina.»
Percy non sembrava molto dispiaciuto. Non ebbe tempo di verificarlo, perché l’istruttore Eolo batté le mani e richiamò la loro attenzione.
«Bene. Dopo questa interruzione» pronunciò l’ultima parola con gli occhi rivolti al soffitto, «possiamo riprendere l’allenamento. Quest’oggi vorrei che prestaste particolarmente attenzione e ripassaste tutti i movimenti di base, perché poi le metterete alla prova sul campo e non ho voglia di assistere ad attacchi di panico.» Scandagliò la classe, osservando una ventina di diciottenni in preda all’estasi e all’incredulità. «Sì, questo significa che è arrivato il momento della vostra prima passeggiata nello spazio.»
L’annuncio venne accolto da una serie di esclamazioni di giubilo. Annabeth si stupì di essere una delle tante voci. Si voltò di lato per vedere chi stesse gridando più forte, scoprendo che, naturalmente, si trattava dei fratelli Stohl. Quando Connor, o forse Travis, la notò, le rivolse un ghignò e fece un dub. Percy, che aveva assistito a tutta la scena, rise. I suoi occhi verdi erano accesi da una luce nuova, vitale, che aveva spazzato via la stanchezza di pochi attimi prima. La ragazza lasciò che quell’energia la contagiasse, nella speranza che sortisse lo stesso effetto.
Non era certa si trattasse di un passo in avanti nel loro rapporto, eppure lei e il moro non ebbero bisogno di parole per mettersi d’accordo sul fingere di ripassare i movimenti cui aveva accennato Eolo. In ogni caso, si giustificò, l’eccitazione aveva raggiunto livelli tali che anche volendo non sarebbero riusciti a prestarci attenzione. La colpa era indubbiamente dell’istruttore, perché dare una notizia del genere di prima mattina aveva molti effetti collaterali ed era suo compito conoscerli.
Dopo quindici, lunghissimi minuti, l’istruttore alzò il coperchio che proteggeva la leva e la abbassò, ripristinando la gravità all’interno dell’ampia sala di esercitazioni. Annabeth provò una leggera sensazione di instabilità a posare nuovamente i piedi per terra, simile a quando si scende da una barca.
Al click di un altro pulsante, la parete davanti a lei smise improvvisamente di essere una parete, aprendosi nel mezzo e rivelando una stanzetta oltre di essa. Sentì qualcuno dietro di lei mormorare “figata” e non poté fare a meno di essere d’accordo.
La sua attenzione fu catturata immediatamente da Eolo, che se ne stava a gambe larghe davanti al compartimento segreto. «Come potete vedere» iniziò, «dietro di me ci sono due set di tute spaziali. Per la vostra prima uscita, utilizzerete un modello un po’ meno alla moda di quelli che potete vedere nelle missioni ufficiali, ma senza dubbio più sicuro. Se pensavate che avrei lasciato dei ragazzi del primo anno con degli stivali a propulsione, vi sbagliate di grosso.»
Percy si sforzò di non apparire deluso, anche se sembrava vicino a mettere il broncio. Annabeth fece del suo meglio per non mostrarsi divertita dal suo comportamento.
«Entreranno due coppie alla volta e usciranno scaglionate. Farete un percorso di trenta metri, dopodiché tornerete indietro. Questa è la prima volta che uscite al di fuori del Campo. Si tratta di un inizio graduale, oggi non farete nulla di complicato. Dalla prossima lezione, però, inizieremo a lavorare sodo. Non pensate che sia facile. Ci vorrà molto esercizio, prima che riusciate a essere disinvolti nella tuta e—»
«Ci fa uscire o no?»
Il professore sembrò farsi improvvisamente più grosso, come se dalla bocca aperta avesse risucchiato tutta l’aria della sala e l’avesse usata per gonfiarsi come un palloncino. «Stohl» tuonò. «Voi sarete gli ultimi.»
«Ma—»
«Niente ma. Siete fortunati se vi faccio partecipare ancora all’esercitazione» lo interruppe. «Queste premesse sono necessarie. Là fuori, sarete voi, il vostro copilota e le vostre due teste. Se volete rimanere vivi, dovete farle funzionare. E per farlo, dovete prima ascoltare me.»
I fratelli Stohl non obiettarono oltre. Si cucirono la bocca e rivolsero gli occhi al pavimento, evitandosi di vedere l’espressione goduta di Clarisse, poco distante. Ma le lunghe, lunghissime premesse di Eolo cancellarono anche quella.
Annabeth percepì Percy inclinarsi pericolosamente verso di lei e preparò una mano per sostenerlo, ma la voce del professore lo riscosse in tempo.
«Allora? Chi saranno i primi?»
Il suo piede destro scattò involontariamente in avanti. Nel momento in cui gli occhi di Eolo incontrarono i suoi, Annabeth cercò di convogliare nello sguardo tutto il suo desiderio. L’istruttore annuì e la ragazza lo udì pronunciare il suo cognome come in un sogno. Percy strinse un pugno e lo portò lievemente in avanti in segno di vittoria. Subito dopo, seguirono Clarisse La Rue e Silena Beauregard.
Si tolsero le scarpe e la giacca della divisa e, seguendo le istruzioni di Eolo, indossarono stivali e tute spaziali. Si trattava di un modello più antiquato rispetto a quelli usati nelle vere missioni, quello che Annabeth aveva visto indossare a Luke in più di un’occasione. Queste erano più larghe, più pesanti e di un materiale meno performante, con una libertà di movimento limitata. A confronto con le prime tute costruite dall’uomo, così ingombranti e poco pratiche che alla ragazza veniva difficile credere che fossero state usate per davvero, erano dei gioiellini.
«Controllate che il vostro partner abbia indossato correttamente la tuta» ordinò l’istruttore, «dopodiché, infilate il casco. Il collegamento radio si attiverà subito.»
Percy si avvicinò a lei e allargò le braccia, come a chiedere se fosse pronto oppure no.
Annabeth lo osservò per bene, prima di decretare: «Hai la zip aperta.»
Il ragazzo inarcò le sopracciglia e fece per guardare giù, ma si trattenne. «La zip non c’è.»
La bionda ghignò. «Ci hai quasi creduto, però» ribatté. «Non sei abbastanza attento.»
«Metti il casco, Sapientona» brontolò lui, «che è meglio.»
L’istruttore aspettò che tutti quanti avessero ultimato di vestirsi, prima di rivolgersi a loro parlando attraverso il piccolo microfono appuntato dietro l’orecchio. «Prova. Prova. Mi sentite, ragazzi?»
«Sì» rispose Annabeth, mentre alle sue orecchie giungevano le parole di Eolo e gli assensi dei suoi compagni. Era come indossare delle normali cuffie.
«Avvicinatevi alla parete sud» comunicò Eolo. «Le protuberanze che vedete sono i contenitori dei cavi di sicurezza. Il cavo è letteralmente il vostro cordone ombelicale, visto che senza di esso fluttuereste in giro senza controllo. Inoltre vi fornisce l’ossigeno necessario a completare la passeggiata. Aprite le custodie protettive e agganciate il cavo al retro della tuta del vostro partner, preferibilmente senza attorcigliarvi e incastrarvi come fate sempre. Così, perfetto.»
Il cuore di Annabeth iniziò a battere più forte. Era una questione di minuti, poi sarebbe andata nello spazio. Era conscia di esserci già, nello spazio, ma trovarsi su una base era ben diverso dall’essere là fuori, senza nessun vetro tra lei e le stelle. Tutto il suo essere anelava a trovarsi all’esterno, solo lei e la sterminata vastità dell’universo.
Non recepì le ultime raccomandazioni di Eolo né fece caso a un portone che si chiudeva e sigillava dietro di lei, separandola definitivamente dall’insegnante. Il tempo necessario per l’airlock le parve infinito. Stare ferma le riusciva difficile, così voltò la testa e spiò il viso di Percy in cerca della sua reazione. Vi lesse concentrazione e determinazione, entusiasmo e impazienza.
Il ragazzo non si accorse subito di essere osservato. La notò con la coda dell’occhio e un pigro sorriso sornione gli incurvò le labbra. «Mi guardi ancora perché vuoi farlo, Sapientona?»
Annabeth annuì. «Già.»
«Eh-ehm» tossì Clarisse. «Sapete che siamo tutti in collegamento, vero? Sentiamo ogni cosa. Per cui, per favore, risparmiate le romanticherie per un altro momento.»
«Romanticherie?» ripeté la bionda, esprimendo la sua incredulità e la sua indignazione, mentre Percy roteava gli occhi e ribatteva: «Non rompere, Clarisse.»
Silena mise una mano sulla spalla dell’amica per trattenerla dal continuare la discussione, ma il suo intervento risultò superfluo, perché il muro di fronte a loro si divise e si aprì sull’esterno.
Annabeth rimase senza fiato. Di fronte a lei c’era il vuoto, l’oscurità infinita chiamata spazio. Ma c’era anche il resto del Campo Mezzosangue, la base circolare che orbitava intorno alla Luna—oh, la Luna. Satellite non era il termine giusto per descrivere la perfezione di quel corpo celeste, il suo biancore evanescente e i crateri sulla superfice. La Luna, l’ispirazione di ogni vero poeta, la guida di ogni anima sola. Non le era mai sembrata così bella come in quell’istante. Sotto di lei, intravedeva il pianeta blu, la sua Terra. Casa era magnifica da lassù. Mancava da mesi, da quando era salita sullo shuttle che l’aveva portata fino al Campo.
Si riscosse. Si trovava lì per una ragione, in quel momento portare a termine il percorso di trenta metri e avvicinarsi di un altro passo al sogno di diventare pilota. Non poteva concedersi il lusso della nostalgia e dei sentimentalismi.
«Iniziamo» sussurrò, più a se stessa che agli altri.
Individuò le sbarre poste a intervalli regolari sul fianco della base. Bastava un piccolo slancio per muoversi dall’una all’altra, aiutandosi poi con le braccia. Tuttavia era sufficiente calcolare male la distanza per mancare la presa e rimanere sospesi nel vuoto, con solo il cavo di sicurezza a impedire di fluttuare via.
«Vai pure» la incoraggiò Percy. «Io ti sono subito dietro.»
La risposta di Silena le giunse attraverso gli auricolari inseriti nel casco. «Lo stesso vale per noi.»
Annabeth non se lo fece ripetere una seconda volta. Misurò a occhio lo spazio tra lei e la prima sbarra, fece un respiro profondo e si lanciò. La sensazione di subbuglio la prese allo stomaco durante il salto. Il corpo reagì prima della mente, e le sue mani guantate si chiusero attorno al metallo, arrestando il suo volo. Inspirò ed espirò, imponendosi di recuperare la calma. Quando il cuore smise di batterle nelle orecchie, si accinse a compiere il secondo movimento. Si aggrappò al sostegno successivo con più facilità, e così con quello seguente. Eolo le era sembrato esageratamente apprensivo, ma adesso comprendeva la ragione del suo comportamento. Senza l’allenamento in ambiente Zero-G, nessuno avrebbe definito quel percorso una passeggiata.
Aveva appena raggiunto il quarto appiglio, quando Percy si aggrappò al primo. Accompagnata dal suono lieve del suo respiro attraverso gli altoparlanti, passò da sbarra a sbarra con agilità crescente e attenzione costante. Aveva trovato un ritmo, rendendo il suo incedere stabile e regolare. Aveva percorso all’incirca quindici metri, eppure sentiva già il sudore impregnarle la fronte e bagnarle la schiena. Ma la fatica non era che un effetto collaterale di quell’esperienza fuori dal comune.
L’armonia dei suoi movimenti venne interrotta dall’improvvisa intromissione di Clarisse alla radio. «Jackson, sei troppo lento. »
«Va bene» rispose il ragazzo, scocciato ma rimanendo entro i limiti dell’educazione. «Hai altre critiche da farmi, o posso andare avanti in pace?»
Tenendosi saldamente alla sbarra, Annabeth controllò la situazione alle proprie spalle. A separarla dal suo copilota c’erano due sostegni, una distanza di circa tre metri; appena dietro di lui era ferma La Rue. Probabilmente era partita troppo presto e ora doveva aspettare che Percy si muovesse per fare lo stesso, però era incapace di aspettare il suo turno e gli stava col fiato sul collo.
«Per favore, Clarisse» intervenne, sforzandosi di suonare appacificante, «lascia stare il mio copilota.»
«Nessuno ti ha interpellata, Chase» ribatté quella, piccata. «Il tuo copilota» quotò, scimmiottandola, «mi ha chiesto se avessi altre critiche e, in effetti, è così. Non solo è troppo lento, ma è anche imbranato e incapace. Mi domando come ci si senta a fare così pena.»
Annabeth percepì la propria bocca spalancarsi. Era conscia che Clarisse fosse prepotente e competitiva, però non pensava fino a quel punto. Anche se non si riferivano a lei, prese quegli insulti sul personale.
Stava per ribattere che non si doveva permettere, ma Percy la precedette. Con una calma che era essa stessa una presa in giro, la voce che trasudava sarcasmo, disse: «E io mi domando come ci si sente ad essere così stronza. Immagino non troveremo mai una risposta.»
Dopodiché, allungò un braccio, puntò gli stivali e si diede la spinta necessaria a raggiungere la sbarra seguente. Sarebbe stata una traiettoria perfetta, se non fosse stato per Clarisse. La ragazza saltò nello stesso momento, dandosi il doppio dello slancio, finendo addosso al moro e sbalzandolo via. Mentre lei si appropriava dell’appiglio, Percy si ritrovò a fluttuare lontano dalla base spaziale, il vuoto a circondarlo.
Il suo grido si propagò attraverso gli altoparlanti. Una doccia fredda sarebbe stata preferibile a quel suono e alla disperazione che comunicava.
Annabeth pensò in fretta.
«Percy.» Scandì il suo nome lentamente, cercando di trasmettere quanta più calma riuscisse. Doveva farlo ritornane in sé, se voleva che lo ascoltasse. «Percy. So che senti la mia voce. Concentrati solo su di me, okay?»
Passarono due estenuanti secondi, prima che lo sentisse rispondere. «Okay.»
«Perfetto. Devi respirare. Non lasciare che il panico abbia il sopravvento. Non stai correndo nessun pericolo, sei legato al cavo di sicurezza. Non volerai via nello spazio. Sei al sicuro, ancorato al Campo e a noi» disse. «Il cavo ti sta passando tra le gambe. Afferralo—e continua a respirare. Esatto, lentamente, così. Bravissimo. Ce l’hai fatta! Ora ti basta tirare e arriverai dritto al punto di partenza. Io ti raggiungo subito.»
Solo quando lo vide fare come diceva, concesse a se stessa di respirare. Avvisò le due ragazze della sua intenzione di tornare indietro e intimò loro di fare spazio e non muoversi. Superarle richiese una dose maggiore di agilità, ma per fortuna i sostegni avevano una forma oblunga che le permise di aggrapparsi anche considerando l’ingombro di un altro corpo. I piedi di nuovo sulla piattaforma iniziale, comunicò via radio il suo ritorno ed Eolo eseguì le manovre per fare rientrare lei e Percy. Trascorso l’airlock, Annabeth si levò immediatamente il casco e colmò la distanza tra di loro.
«Come stai?» chiese. Non lo lasciò rispondere, perché aggiunse subito: «Quello che ha fatto Clarisse è imperdonabile, oltre che crudele. Si merita una sospensione bella e buona.»
Il ragazzo era scuro in volto, eppure nel rivolgersi a lei il suo tono era caldo. «Sto bene. Sono solo un po’ scosso. In quanto a Clarisse…»
«In quanto a Clarisse, saremmo noi professori a decidere il da farsi, non voi allievi» intervenne Eolo, avvicinandosi a passo lento verso di loro.
Annabeth non aveva nemmeno registrato la sua presenza, sopraffatta da ciò che era appena successo. Ora che lo vedeva, però, sentì la rabbia montare dentro di lei e dovette compiere uno sforzo su se stessa per contenerla. «Lei era in contatto con noi per tutto il tempo» lo accusò. «Perché non è intervenuto? È un istruttore, è responsabile di tutto quello che accade durante le sue lezioni, eppure è rimasto in silenzio e ha lasciato la situazione in mano a delle matricole inesperte.»
«Il senso è proprio questo, Chase» replicò Eolo, rilassato. «Ho deciso di non intromettermi volontariamente, perché volevo capire se eravate in grado di gestire una circostanza imprevista. I problemi, gli errori sono inevitabili. Saper fare i conti con lo stress e l’ansia è essenziale per diventare un pilota a tutti gli effetti. Se non ce l’aveste fatta o se la minaccia fosse stata reale, sarei intervenuto a guidarvi.»
«A me la minaccia sembrava abbastanza reale» commentò Percy.
L’istruttore fece un gesto minimizzante con la mano. «Sei sempre rimasto attaccato al cordone ombelicale, Jackson, non agitarti. Piuttosto, ringrazia la tua compagna. È stato grazie alla sua logica e al suo sangue freddo se avete superato la prova. Chase, complimenti.» Le sorrise, prima di aggiungere: «Ora cambiatevi e tornate di là. Molti devono ancora provare.»
Indecisa tra provare orgoglio per il complimento o fastidio per la poca considerazione, risolse di fare come le era stato detto e rimandare il problema a dopo.
Dall’altra parte della stanza nascosta, i suoi compagni di corso erano in trepidante attesa. Non appena la videro uscire, si strinsero attorno a lei e Percy e iniziarono a bombardarli di domande. Dopo aver risposto dieci volte a “è difficile?”, sette a “hai avuto paura?” e venticinque a “com’è andata?”, riuscì a smarcarsi e poté andare a sedersi in fondo alla palestra. Il moro si posizionò di fronte a lei a gambe incrociate.
Mentre Annabeth si sistemava la coda di cavallo, cercando di dare un aspetto decente alla massa di ricci biondi appiattiti dall’uso del casco, il ragazzo chiuse gli occhi e appoggiò la nuca al muro, sospirando di sollievo. Rimase in quella posizione per qualche minuto, poi aprì un occhio e la guardò. «Eolo ha ragione, comunque» esordì. Con la testa reclinata all’indietro, il pomo d’Adamo era in evidenza e sottolineava i movimenti articolatori del parlato. «Là fuori sei stata fantastica. Senza di te, mi sarei lasciato prendere dal panico. Grazie.»
«Non c’è bisogno, ho solo ragionato sul problema e cercato una soluzione» ridimensionò, eppure sentiva le orecchie scottare. «Siamo una squadra ormai. Tu avresti fatto lo stesso per me.»
«Vero» confermò lui. Poi si mise a ridere. «Una squadra in tutto tranne che nel simulatore di volo. Lì siamo pessimi.»
La battuta strappò ad Annabeth una risata, ma l’ilarità non durò molto. Il sorriso di Percy si spense poco dopo e risalire al motivo non le risultò molto difficile.
«Mi dispiace per quello che ha detto Clarisse» iniziò. «Ma credimi, l’ha fatto solo per distrarti e darti sui nervi. Non c’è niente di vero nelle sue parole.»
«Apprezzo la gentilezza, ma non devi mentire per farmi sentire meglio» replicò lui. «So di avere dei punti deboli, così come so di averne anche di forti. Per qualche ragione, però, non riesco mai a dimostrare le mie qualità.»
«Tre giorni fa sarei stata più che d’accordo con te» ammise Annabeth. «Anche adesso ho i miei dubbi, non ti montare la testa. Però qualcosa sei riuscito a dimostrarlo, perché non sei terribile come pensavo. O almeno, riesci ad essere terribile con una buona musica di sottofondo.»
Percy ghignò. «Questo significa che la playlist Pulizie di Punizione ti piace?»
«Abbastanza.»
«E ‘sta sera ballerai con me?»
La bionda sbuffò. «Te lo scordi.»
Il ragazzo aveva la risposta sulla punta della lingua, ma ammutolì all’improvviso. Ad Annabeth bastò girarsi per comprendere la ragione del suo comportamento: Silena Beauregard stava camminando dritta verso di loro. Si fermò a pochi passi dalle gambe di Percy e gli rivolse un ciao con la sua voce dolce e armoniosa.
«Clarisse non lo farà mai» proseguì, «per cui mi scuso al posto suo. Mi dispiace, Percy. Spero tu possa perdonarla e dimenticare l’accaduto.»
«Non preoccuparti, Silena. È tutto a posto» sdrammatizzò lui. «Potevo avere una banale passeggiata, invece ho provato il tuffo nel vuoto.»
Silena sorrise educatamente e si allontanò, lo sguardo di Percy che indugiava sulla sua figura slanciata. Annabeth ottenne la sua attenzione solo quando gli parlò nuovamente. «Magari fossi bravo a volare quanto lo sei a parlare…» sospirò, fingendo esasperazione.
Il ragazzo rise. «Se lo fossi, la nostra strada per il diploma sarebbe decisamente più noiosa.»
A quella frase, anche Annabeth rise.
 

 
«Aspetta, aspetta, aspetta.» La voce di Piper aveva raggiunto un volume talmente alto che si sentiva nitidamente anche al di là della porta del bagno. «Non ci credo. Mi stai prendendo in giro. Ma io non ci casco.»
Seduta sul wc, le brache calate, Annabeth alzò gli occhi al cielo. «Pipes, non ti sto prendendo in giro, lo giuro. È successo.»
«Tu hai salvato Percy Jackson da una lenta morte per assideramento durante l’esercitazione. Cose del genere semplicemente non succedono.»
«Infatti non sarebbe morto» ribatté la ragazza, riprendendo lo stesso tono puntiglioso dell’amica. «Né io l’ho salvato. C’è stato un brutto imprevisto, Clarisse è stata una stronza, io ho risolto la situazione e basta.»
«Dici poco!» esclamò Piper. «Se è vero, perché ancora ho difficoltà a crederci, hai eguagliato Wonder Woman.»
Annabeth tirò lo sciacquone e aprì la porta del bagno. Mentre si avvicinava al lavabo per pulirsi le mani, domandò: «Wonder Woman?»
«Sì, perché è sia una badass sia una brava persona» rispose, seguendola da vicino. «Stai davvero dando il tuo meglio con Percy. Lui ti stimola.»
La bionda le lanciò un’occhiata stranita. «Anche Luke mi stimolava, se è per questo.»
«Mm. Giusto.» Piper si prese un momento per considerare l’intera situazione. «Forse il punto è che Luke non aveva bisogno di te per migliorare, mentre Percy sì. Entrambi crescete grazie all’altro. Non c’è fine a quello che potete imparare, insieme.»
«Forse hai ragione» ammise Annabeth. Si asciugò le mani e si voltò verso l’amica. «O forse è solo il tuo lato romantico che prende il sopravvento.»
La cheeroke le diede una gomitata. «Non si insulta il mio lato romantico.»
«Aia. Okay» rispose Annabeth, massaggiandosi il fianco.
«Alla fine, il mio istinto non sbaglia mai» ribadì l’altra.
La bionda cercò di non sorridere. «Okay.»
«Sono seria.»
«Okay.»
Piper incrociò le braccia.
Annabeth mantenne la faccia da poker.
«Meglio per te che sia davvero okay» minacciò la ragazza, «altrimenti la prossima volta che verrai a raccontarmi di Percy Jackson, io non ti ascolterò.»
«Ma—» Annabeth rimase interdetta, poi rise.
Piper lasciò crollare la sua faccia da finta arrabbiata e sorrise. «Ci siamo intese, Chase.»
«Intese» confermò lei. «Ora muoviamoci, altrimenti arriveremo tardi a lezione.»
 

 
L’odore di detergente chimico le riempiva le narici da due ore, ormai. Stava iniziando a darle alla testa. Forse avrebbe fatto meglio a controllare l’etichetta e assicurarsi che non potesse sballarsi con quella roba. Il pensiero era talmente assurdo che la fece sorridere.
«Se trovi dell’umorismo in questa situazione» esordì Percy, «condividilo, per favore. Anch’io ho bisogno di ridere.»
Annabeth smise di passare il moccio e alzò la testa nella direzione del compagno. Tutto il suo corpo esprimeva stanchezza, a partire dalle spalle incurvate fino alla mano con cui si massaggiava la parte bassa della schiena. La ragazza non si illudeva di trovarsi in uno stato migliore. A giudicare dai segnali che le inviavano le sue membra, portava i diciott’anni come se fossero novanta.
In quel momento, Annabeth realizzò che non potevano andare avanti così. «Ci serve una pausa.»
«Adesso?» chiese lui.
«Sì, adesso» rispose la bionda, con ancora maggiore convinzione. «Siamo in punizione, non in schiavitù. Puliremo dopo le ultime aule. Ora, andiamo a prenderci qualcosa da bere e rilassiamoci un attimo, a meno che tu preferisca ammazzarti di fatica.»
Percy sorrise. «Mi avevi convinto a “sì”.»
Annabeth ricambiò. Dopodiché, si diressero fianco a fianco verso l’area relax. Le luci del passaggio sfumarono dal bianco al verde man mano che si avvicinavano. Il corridoio si aprì su una grande sala, con il pavimento metallico rivestito di un materiale elastico, punteggiato di poltroncine, divanetti e pouf a forma di sacco. Vedere quel luogo completamente vuoto, quando di solito era preso d’assalto dagli studenti, le provocò una sensazione aliena. Diverse console per videogame erano posizionate in giro per l’ambiente, ma gli schermi erano spenti e nessuna coda si era formata dietro di esse. Dall’attrazione principale, una piscina di palline di venti metri quadrati, non provenivano né urla né schiamazzi.
«Sembra di stare su un altro pianeta» commentò Percy, invitato a sussurrare dal silenzio innaturale che regnava.
«Già» concordò Annabeth.
Non era mai stata una grande amante dell’area svago. L’aveva sempre trovata troppo rumorosa e caotica, oltre che vagamente odorante di formaggio. Piper sosteneva ci fossero solo due possibili spiegazioni: o erano le decine di pacchetti di patatine al formaggio che si mangiavano là dentro, o erano i piedi scalzi. Annabeth preferiva di gran lunga la prima possibilità, nonostante non ci passasse comunque molto tempo. Semplicemente, l’area relax non faceva per lei.
Ora che era vuota, però, assumeva tutto un altro fascino. In quel momento, il posto apparteneva a lei e Percy, solo a lei e Percy. Erano liberi di fare tutto ciò che passasse loro per la testa e la tentazione risvegliò il suo spirito piegato dalla punizione.
 «La adoro» aggiunse. «Cosa facciamo? Hai qualche idea?»
«Solo una» rispose il ragazzo. I suoi occhi verdi brillarono di malizia nel rivolgerle un sorriso da combina guai. «Ma è una dannatamente fantastica.»
Le afferrò la mano e iniziò a correre, lanciando un grido di guerra. Annabeth non ebbe il tempo di protestare, trascinata via dalla sua forza e dal suo entusiasmo. Volarono sulle gambe fino alla piscina, evitarono per un pelo di rimanere incastrati nella rete protettiva e arrivarono sul bordo. La ragazza ebbe appena il tempo di visualizzare l’oceano di palline colorate davanti ai suoi occhi, prima di venirne sommersa.
Affondò di diversi centimetri, ma si mosse subito e guadagnò la superfice. L’immagine di piedi scalzi e sudati le invadeva la mente. Nuotò fino al margine e vi si issò, ripetendosi di respirare dalla bocca. La nausea non le era ancora passata, quando la testa di Percy fece capolino tra le palline, seguita poco dopo dalle braccia e parte del busto.
«È stato stupendo!» esultò. «Lo rifacciamo?»
Annabeth non sapeva se sorridere a quel tono da bambino o andare a vomitare in angolo all’idea. «Io passo» rispose. «Però tu fai pure. Non troverai mai più la piscina in queste condizioni.»
Il moro scrollò le spalle. «Come vuoi.»
Il suo secondo lancio fu un tuffo a bomba, che sparò palline da tutte le parti. Annabeth ne afferrò una al volo, evitando che la colpisse alla tempia. Quando Percy emerse di nuovo, scuotendo i capelli come una fotomodella che esce dall’acqua, la tirò nella sua direzione. Lui la evitò, poi si girò per protestare. «Ehi! Non vale, non ero pronto.»
«Un pilota deve essere sempre pronto» ribatté lei, andandoci giù pesante col sarcasmo.
«Ah-ah» fece l’altro. Il suo sguardo vagò sulle palline attorno a lui e le sue dita ne accarezzarono una. «Non iniziare una guerra se non sei pronta a combattere, Sapientona.»
Annabeth decise che non era il caso che la situazione degenerasse, tantomeno ritrovarsi più a lungo a contatto con quel ricettacolo di germi. «Sono troppo stanca per combattere» replicò, alzandosi lentamente per evitare che i suoi muscoli doloranti protestassero. «Ho sete, vado a comprare da bere. Vuoi qualcosa?»
«Sì, grazie» rispose. «In realtà sto morendo.»
Annabeth fece un cenno d’assenso col capo, scese dalla piattaforma rialzata della piscina e si diresse alla macchinetta più vicina. Sfilò il cellulare dalla tasca dei pantaloni, controllando le notifiche mentre decideva cosa prendere. Aprì l’applicazione da lei stessa creata, giusto per un controllo veloce, prevedendo che quella notte non avrebbe avuto abbastanza forze per farlo. Per scacciare la delusione nel non vedere niente di fuori dall’ordinario, si mise a elencare ad alta voce, così che anche Percy potesse sentirla.
«Tè freddo, Sprite, Fanta, Diet Coke…» enumerò. «Io penso prenderò la Diet Coke, tu in…»
Si interruppe. La lingua rimase paralizzata all’interno della sua bocca, incapace di portare a termine la frase.
«Io pure» rispose il moro.
Udì a malapena la sua voce, tanto era distante da quel luogo e quel momento. La mente aveva abbandonato il suo corpo.
«Sapientona, mi hai sentito? Io pure una Diet Coke.»
No, non l’aveva sentito. Non aveva registrato una singola parola che aveva pronunciato. Come poteva, quando il mondo si era appena capovolto?
«Annabeth, mi stai facendo paura. Se è uno scherzo, non è divertente.»
È uno scherzo?, si domandò Annabeth. Non lo so, si rispose.
Si accorse che la mano che reggeva il telefono era in preda a un tremito. Sbatté le palpebre, uscendo da quella sorta di stato catatonico, e si impose si smetterla. Con rinnovata attenzione, fissò lo schermo del cellulare.
Un pop-up lampeggiava con urgenza al centro di esso.

 
Il segnale HB-037Z è stato rilevato.
Poi:
Tentativo di comunicazione da astronave sconosciuta a Campo Mezzosangue.
Tentativo di comunicazione da astronave sconosciuta a Campo Mezzosangue.
Tentativo di comunicazione da astronave sconosciuta a Campo Mezzosangue.
 
È uno scherzo?, si domandò di nuovo.
No, si rispose. Non lo è.
Luke era vivo.
E voleva parlare con loro.



Angolino dell'autrice
Mi scuso se l'aggiornamento è arrivato più tardi del solito. La mia vita al di fuori di qui è una montagna russa, al momento. Spero che la maggiore lunghezza possa compensare haha
Se anche a voi piace Wonder Woman, scrivetelo in una recensione.
Se da bambini amavate (o odiavate) le piscine di palline, scrivetelo in una recensione.
Se vi domandate perché i personaggi non vanno mai in bagno e vi è piaciuto che Annabeth si sia provata un essere umano con dei bisogni primari, scrivetelo in una recensione.
Se vi siete rotti le palle di queste scuse o buone ragioni (a vostra discrezione) per recensire e farmi capire se la storia piace o meno, scrivetelo in una recensione.
Un bacione, alla prossima!

Water_wolf
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Water_wolf