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Autore: Water_wolf    28/06/2018    2 recensioni
{ Space!AU | Percy/Annabeth, Luke/Ethan }
È una verità universalmente riconosciuta, che non avere un copilota è meglio che averne uno incapace. Per questo, quando Percy diventa il suo nuovo compagno di volo, Annabeth è tutt'altro che contenta. Costretti a fare squadra, impareranno a fidarsi l'una dell'altro—e a non uccidersi a vicenda.
Nel frattempo, il Primo Pilota Luke è scomparso durante una missione. Tranne Annabeth, tutti lo danno per morto. E quando riceve un inquietante messaggio, non le rimane altro che partire insieme a Percy alla volta dello spazio.
Annabeth lo afferrò per un braccio, lo tirò vicino a sé e guardandolo negli occhi mormorò in tono di minaccia: «Se per colpa tua—perché sarà sicuramente colpa tua—oggi ci schiantiamo, sappi che non smetterò mai di cercare di liberarmi di te.»
Le labbra di Percy Jackson si arcuarono in un grande, sfrontato e deliberatamente provocatorio sorriso sarcastico. «Ricevuto.»

♣♣♣
Copilota. Si erano affibbiati l’un l’altro quella definizione, con sprezzo o affetto a seconda del caso, come una moneta che al posto di testa e croce oscilla tra maledizione e benedizione.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Leo Valdez, Luke Castellan, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cinque
 
Gli addetti alla comunicazione del Campo Mezzosangue accettarono di ricevere la trasmissione, un’operazione che Annabeth non poteva compiere, se voleva mantenere l’anonimato sulle sue azioni. Era già tanto che un segnale in teoria inesistente fosse stato rilevato. Toccò velocemente il cellulare, facendo scorrere una tendina e assicurandosi di registrare la chiamata, oltre che triangolare la posizione dell’emittente.
Lo schermo divenne nero per una manciata di secondi. I pixel si colorarono lentamente, fino a completare l’immagine dell’interno dell’abitacolo di una navicella spaziale. Diverse luci di emergenza lampeggiavano a intermittenza, gettando riflessi rossi sul viso del pilota. Annabeth sobbalzò nel riconoscere Luke in quel ragazzo innaturalmente magro, deperito al punto di essere una mera copia di se stesso e dallo sguardo folle. La cicatrice che gli attraversava la guancia sembrava ancora più scavata all’interno del suo volto, pallido e lucido di sudore.
«Primo Pilota Luke Castellan a campo base. Mi ricevete?» domandò.
Un pugno nello stomaco le avrebbe fatto meno male del suono della sua voce.
«Ripeto, mi ricevete?» continuò Luke. Solo allora Annabeth si accorse delle lievi interferenze che disturbavano il segnale. «Dio, spero di sì.» Si passò una mano sulla fronte, detergendosi il sudore. Era il gesto stanco di un uomo esausto. «Dovete ascoltarmi. La missione Olympus va interrotta a effetto immediato. Il pericolo è troppo grande. Ve lo assicuro, è meglio non trovare ciò che stiamo cercando.» Il suo tono parlava di inquietudine e angoscia mai provate prima d’ora. «Per me è troppo tardi ormai, sono compromesso. E se non volete che a voi accada lo stesso, smettete immediatamente di trasmettere questo segnale. Dovete rimanere nascosti, al sicuro. Per questo, non venite a cercarmi. Non fatelo» pregò con la voce e con gli occhi. Occhi azzurri, chiarissimi, ora pieni di panico e dolore, ma anche determinazione. «Ascoltatemi, cancellate Olympus, e probabilmente sarete salvi. Questa sarà la mia ultima comunicazione. Da questo momento in poi, consideratemi morto.»
Un bip la avvertì che la trasmissione era terminata.
Annabeth esalò un respiro tremante. Si dovette appoggiare al distributore di merendine per non crollare a terra. Se fosse successo, non era sicura che sarebbe riuscita a rialzarsi.
Questa sarà la mia ultima comunicazione. Da questo momento in poi, consideratemi morto.
Le parole le rimbombarono nella mente, riaprendo una ferita mal rimarginata. L’aveva appena ritrovato, l’aveva appena sentito parlare, l’aveva appena visto vivo, e adesso lui stesso voleva che lo credesse morto. Qual era la logica crudele del fato? Ce l’aveva almeno, una logica? O la sofferenza che provava era destinata a non avere senso?
«Cosa cazzo è appena successo?»
La voce di Percy la riscosse. Si voltò immediatamente, scoprendo il ragazzo a pochi centimetri da lei, una distanza sufficiente a permettergli di guardare il video, nonché ascoltarlo. Nella fretta, Annabeth non aveva nemmeno inserito le cuffiette.
«Tu non hai visto niente» rispose, deglutendo. L’emozione era tanta da renderle difficile persino parlare. «Niente, okay?»
Lo sguardo del moro la inchiodò al suo posto, glaciale. «No» ribatté. «Io ho visto. C’era il Primo Pilota, lì. Parlava al centro comunicazioni del Campo. Come hai fatto a connetterti alla rete? E perché diceva di abbandonare le ricerche, quando lo abbiamo già fatto due mesi fa, dichiarandolo deceduto?»
Annabeth sostenne il suo sguardo e le sue accuse. Incrociò le braccia sotto il seno, come se bastassero a proteggerla dal caos in mezzo al quale si trovava. «Non avresti dovuto intrometterti in affari che non ti riguardano» lo apostrofò, ricordandosi che la miglior difesa è l’attacco. «Quindi non hai il diritto di conoscere le risposte.»
«Cosa? Ma ti senti?» esclamò, allargando le braccia in segno di incredulità. «Ho il diritto di sapere dal momento in cui ho assistito a tutto questo. Non sono immagini che si scordano facilmente.» Non ottenendo alcuna reazione, sospirò pesantemente e aggiunse: «Non voglio litigare con te, okay? Ti ho raggiunta perché non mi rispondevi più e mi sono preoccupato, non volevo ficcare il naso. Ma adesso ho bisogno di capire, per cui parlami, per favore.»
«È un peccato che tu non voglia litigare» replicò Annabeth lentamente, assicurandosi che ogni parola arrivasse dove intendeva, «perché è l’unico modo in cui forse potresti ottenere qualche informazione da me.»
Gli occhi di Percy furono attraversati da qualcosa di simile alla delusione. «Annabeth…»
«Restane fuori» ribadì lei, impietosa. «Va bene cercare di andare d’accordo, ma adesso stai oltrepassando il limite. Siamo copiloti, non migliori amici. Voliamo insieme, non aspettiamo che faccia buio per sussurrarci segreti all’orecchio.»
Percy guardò di lato, fece schioccare la lingua contro il palato e annuì più volte. La mascella contratta era l’unico segno della rabbia trattenuta a stento. Quando ritornò a concentrarsi su di lei, i suoi occhi erano più intensi che mai. «Se le cose stanno così, allora ti farò un’altra domanda, copilota» ribatté, tagliente. «Prima di me, chi era il tuo compagno di squadra? O è un segreto anche questo?»
Annabeth si sentì punta sul vivo. Non aveva energie sufficienti per continuare quella discussione, tantomeno per dire la verità. Abbassò lo sguardo e replicò solo: «Ci restano due aule da pulire. Io prendo la 113, tu la 115.»
Si allontanò camminando piano, tentando di ignorare gli occhi Percy fissi sulla sua schiena.
 

 
Mentre attraversava l’ampia sala, diretta al simulatore di volo, Annabeth non vide nulla di quanto si era aspettata. Niente sguardi carichi di curiosità, niente conversazioni concitate, niente bisbigli cospiratori o commenti cinici. I suoi compagni chiacchieravano amichevolmente, alcuni sbadigliavano e si lamentavano della stanchezza, altri ridevano dell’ultimo meme comparso la mattina sui social. Non si comportavano in modo fuori dall’ordinario, perché, Annabeth realizzò, per loro non ce n’era ragione. La notizia non era stata diffusa. Gli organi dirigenti avevano deciso di tenere tutto nascosto, insabbiare ancora di più l’accaduto.
La ragazza si scoprì a stringere i pugni senza rendersene conto. Possibile che Luke resuscitasse giusto per comunicare di considerarlo morto, e alla gente andasse bene? Possibile che fosse l’unica a cui importasse?
Non proprio l’unica, pensò, ritrovandosi faccia a faccia con Percy davanti alla loro postazione. Lui non era rimasto indifferente alla vicenda.
Le parole che gli aveva diretto la sera prima, affilate come coltelli, le pesavano ancora sul cuore. Era stata spietata, colpendolo dove sapeva avrebbe fatto male, per evitare che la confrontasse e le tirasse fuori la verità. Eppure, non era totalmente pentita. C’era una parte di lei che la pensava esattamente così e gioiva per aver finalmente trovato espressione.
Il moro alzò la testa al suono dei suoi passi, riabbassarla subito dopo e tornare a fissare lo schermo del cellulare. Annabeth fece lo stesso, lasciando che la distanza fisica tra di loro equivalesse a quella emotiva. Non sarà bravo a guidare un’astronave, rifletté pigramente, ma è decisamente fantastico a mettere il broncio.  La sua coscienza protestò. Poteva quasi vederla prendere forma, trasformarsi in un angioletto dalle sembianze di Piper e posarsi sulla sua spalla, obiettando prontamente: «Non è corretto. Da quando è con te, non vi siete schiantati nemmeno una volta. Dagli del credito.»
Non ebbe tempo di indugiare oltre in quelle o altre riflessioni—se stesse perdendo la ragione, ad esempio—, perché Chirone fece il suo ingresso nell’aula e incitò gli studenti ad entrare nei simulatori. Annabeth fece un profondo respiro e sciolse le spalle, cercando di liberare la mente. Se voleva portare a termine l’esercitazione con un buon risultato, doveva lasciare indietro l’angoscia per Luke. Per fortuna era sempre stata brava a compartimentalizzare.
Le bastò indossare le cuffie e ascoltare Chirone dare i dettagli della missione del giorno, per capire che non sarebbe stato tanto semplice. Essa consisteva nell’attraversare un campo di asteroidi, il che richiedeva calcoli precisi e una profonda conoscenza delle forze che si stabilivano tra i diversi corpi in movimento.
«Per superare gli ostacoli indenni, pilota e copilota devono lavorare all’unisono» concluse l’istruttore. «Buona fortuna.»
L’enorme schermo curvo davanti ad Annabeth si accese, illuminando l’ambiente altrimenti scuro. Leve e pulsanti di controllo, situati di fronte e affianco a lei su un pannello rialzato, fecero lo stesso, riempiendo lo spazio di lucine colorate. Quando il computer finì di caricare la simulazione, la ragazza si ritrovò a fissare una riproduzione tridimensionale e accurata del luogo descritto da Chirone.
Si sistemò meglio sulla poltrona, studiata per ricreare quella di una vera astronave, e non resistette alla tentazione di lanciare un’occhiata al proprio compagno. Illuminati dal basso, gli zigomi sembravano più pronunciati, conferendogli un’aria seria e concentrata. Dal momento che nulla al di fuori del paesaggio roccioso pareva importargli, Annabeth si focalizzò nuovamente sulla missione.
Ad alta voce, enumerò le varie sequenze di comando. Percy rispose ad ognuna di esse con un “check”, confermando la loro operatività. La vera prova iniziò nel momento in cui Annabeth strinse la mano attorno alla leva responsabile della potenza del motore e la spostò lentamente in avanti, avvicinandosi a velocità graduale agli asteroidi, dando così il tempo al moro di calcolare la traiettoria del loro movimento.  Arrivarono tanto vicini alla zona di pericolo che Annabeth cominciò a preoccuparsi. Le mani le fremevano per entrare in azione, mentre gli occhi rimbalzavano da un asteroide all’altro.
Finalmente, Percy le comunicò i dati. «Trentasette gradi, direzione sud-ovest. Avanti così per sette metri, poi spostati di dodici gradi verso ovest.»
La bionda annuì, inserendo le coordinate nel sistema computerizzato della nave e dando avvio alla rotta. Lo schienale della sua poltrona vibrò leggermente, riproducendo l’idea di movimento. Quando i calcoli del compagno si rivelarono corretti, la felicità per quel primo successo era contaminata da un pizzico di sorpresa, solo un’altra prova della sua mancanza di fiducia. La sensazione si ripresentò identica ogni volta che superavano un ostacolo, zigzagando tra la cintura di asteroidi senza intoppi. Le ultime manovre, che l’avevano portata ad aggirare un masso inclinandosi pericolosamente sulla sinistra, avevano richiesto tutte le sue capacità e il suo sangue freddo per non rigirarsi su se stessi.
Percy non poté trattenersi dall’emettere un sospiro di sollievo. «Per fortuna è andato tutto liscio. Ottimo controllo» commentò. «Adesso, prosegui su quest’asse per tre metri, dopodiché aumenta la velocità e spostati a nord di ventinove gradi e mezzo.»
Annabeth inarcò un sopracciglio. «Se lo faccio, corro il rischio di non posizionarmi correttamente.»
«Lo so, ma altrimenti l’asteroide accanto tende ad avvicinarsi e molto probabilmente colliderà e noi potremmo ritrovarci lì in mezzo» spiegò il ragazzo.
«Non sono convinta» obiettò lei. «Non sarebbe meglio lasciare che l’uno colpisca l’altro, liberando la via?»
«Non ci sarebbe via libera.» L’irritazione nella voce del moro era palpabile. «Secondo i miei calcoli, dopo l’impatto le forze si altererebbero sensibilmente e il rischio di venire abbattuti da un'altra roccia aumenterebbe. Questa è la nostra unica possibilità.»
Annabeth rimase in silenzio, ponderando la situazione. Il margine di manovra diminuiva ogni secondo e, se non avesse preso una decisione in fretta, presto non avrebbe più potuto fare nulla. Chi doveva ascoltare, la sua testa o il ragazzo seduto poco lontano da lei?
«Non ti sto chiedendo di rivelarmi i tuoi preziosi segreti, copilota, solo di fidarti di me, per una volta» sbottò Percy. «È così difficile?»
Annabeth strinse i denti. Perché sì, era difficile, ma anche perché era la scelta giusta. Sfruttando gli ultimi momenti disponibili, strinse la mano destra sulla cloche e si portò in posizione, mentre la sinistra faceva scivolare in avanti la leva, dando potenza ai motori. Tenne gli occhi fissi sullo schermo, guardando con preoccupazione l’asteroide avvicinarsi sempre di più. L’astronave stava passando praticamente rasente alla sua superficie, quando un movimento sulla destra colse la sua attenzione. L’altro corpo celeste, di una dimensione decisamente superiore al primo, stava compiendo un arco. Annabeth aumentò la velocità, pregando di riuscire a passare prima dell’imminente collisione. L’enorme roccia gettò un’ombra sull’abitacolo della nave, oscurandola in parte, e la ragazza chiuse gli occhi. Anche se si trattava di una simulazione, la grafica era così realistica da farle temere la vista dell’impatto. Quando li riaprì, però, nessuna luce rossa di avvertimento lampeggiava sullo schermo, nessun simbolo di pericolo compariva a intermittenza sul monitor. Davanti a lei si estendeva ancora l’immensa oscurità dello spazio, parzialmente riempita dal campo di asteroidi.
Un verso a metà tra lo stupore e la gioia sfuggì dalle sue labbra, mentre diceva: «Ci siamo riusciti.» Si voltò verso Percy, pronta a complimentarsi con lui, ma la risposta del ragazzo arrivò prima.
«Non c’è bisogno. Chiaramente non lo credevi possibile» replicò, quasi senza distogliere lo sguardo dalla simulazione. «Il prossimo ostacolo è vicino. Inclinati a sud, sud-est di cinque gradi.»
Annabeth sbatté le palpebre, rimanendo immobile. Allora il moro si girò verso di lei, guardandola per davvero. Lo vide lottare con se stesso per mantenere il distacco, o forse se lo immaginò e basta, perché la sue parole furono: «Hai bisogno che te lo ripeta?»
«No. Cinque gradi sud, sud-est.»
Scosse la testa. Eppure non riuscì a scuotere via l’impressione che Percy Jackson fosse stato sul punto di ringraziarla per essersi fidata di lui.
 
 

Annabeth aveva saltato la cena. Al termine delle lezioni, era tornata in stanza ed era crollata sul letto per la stanchezza, recuperando qualche ora di sonno arretrato. Si era svegliata di soprassalto al suonare della sveglia Punizione delle 20.30, ed ora si dirigeva a passo di marcia verso l’aula 101. Come spesso accade dopo i pisolini, più che sentirsi fresca e rilassata, era più sconvolta e rallentata del solito, quindi ci mise un po’ a riconoscere la sedia a rotelle di Chirone proprio di fronte alla porta della classe.
«Prof» esclamò, fermandosi di fronte a lui e cercando di darsi un tono. Ma si rendeva conto di quanto fosse difficile, se non inutile, considerati i capelli che sfuggivano al codino, il volto congestionato a causa della corsa e la maglietta del Campo uscita direttamente dalla lavatrice. «B-buona sera. Ehm…Cosa la porta qui?»
«Ho bisogno di parlare con te, figliola» rispose il centauro, con la calma che lo contraddistingueva.
Tuttavia una sensazione di disagio iniziò a farsi strada dentro la ragazza. «Solo con me?» domandò, nascondendo il proprio malessere dietro una maschera di cortesia. «Vuole chiedermi come va con il mio nuovo copilota?»
«No, mia cara, non si tratta di Percy» sospirò l’istruttore capo.
Il brutto presentimento si concretizzò in un brivido lungo la schiena. Forse cominciava a capire dove sarebbe andato a parare quel discorso.
«Cosa non si tratta di Percy?»
Il ragazzo giunse dal corridoio alle spalle di Annabeth e si piazzò tra lei e il centauro, osservando entrambi con crescente interesse. Gli sguardi che si scambiarono per il minuto successivo erano così intensi che avrebbero potuto creare un campo elettrico.
«Va bene» capitolò infine Chirone. «Entrambi, seguitemi in direzione. Vi spiegherò una volta lì.»
Annabeth deglutì. Non era mai stata in direzione. Dopotutto, ci finiva solo chi aveva commesso un’infrazione e lei era una studentessa modello. In apparenza, almeno, si corresse mentalmente. Ad ogni modo, ora è troppo tardi per rimediare. Lasciò che il centauro la precedesse, camminando lentamente dietro la sua sedie a rotelle. Mentre proseguivano lungo il corridoio, le luci passarono dall’azzurro all’arancione, segnalando l’ingresso in una zona riservata.
Percy le si fece vicino, si assicurò che Chirone non potesse sentirli e le chiese a bassa voce: «Sei nei guai?»
Annabeth girò il viso verso di lui, lanciandogli un’occhiata significativa. «Hai messo da parte il broncio?»
Lui roteò gli occhi. «Onesto» concesse. «Ma ora ci sono cose più importanti di cui parlare.»
La ragazza fu costretta ad annuire. «Ho la forte sensazione di essere finita in un grande, grandissimo casino» mormorò.
«Riguardo ieri sera...»
Annabeth lo mise a tacere con uno sguardo. «Sì, riguardo ieri sera. Se fingi di non sapere nulla, probabilmente ne resterai fuori.» Bloccò le sue proteste sul nascere, aggiungendo: «Sono i miei segreti, copilota. Dunque sono i miei problemi.»
Percy aprì la bocca per contestare, però lei decise di mettere fine a quella conversazione portandosi al fianco del professore. Percepì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni, ma lo ignorò.
Mancavano pochi passi alla sala di comando, non aveva più senso continuare a parlare. Si fermarono davanti a un portone metallico. Chirone appoggiò la mano destra su un pannello lì accanto, poi avvicinò leggermente il viso per lo scan della retina. A procedura completata, le porte scivolarono verso l’interno, aprendosi su un’ampia zona circolare. La maggior parte dello spazio era occupato da una vetrata vista Pianeta Blu, davanti alla quale era sistemata una scrivania, esattamente al centro della stanza. Le pareti e la fornitura bianche concedevano un’aria sospesa nel tempo, interrotta solo da alti vasi di piante finte e una singolare testa di leopardo incorniciata.
Tra quello e le misure di sicurezza, ad Annabeth parve tutto un po’ eccessivo. Ma dopotutto il Direttore in sé era un po’ eccessivo.
Il Signor D. stava dando loro le spalle, contemplando lo spazio attraverso il vetro, quando lo schiudersi delle porte lo aveva fatto voltare. Come al solito, trasgrediva le regole di abbagliamento che imponevano la divisa. Indossava un completo scuro, probabilmente nel tentativo di slanciare la propria figura tarchiata, su cui spiccava la scelta della camicia: una fantasia animalier sui toni del fucsia.
«L’approccio diplomatico non ha funzionato?» domandò non appena la porta si richiuse alle loro spalle. Girò attorno alla scrivania e fece loro cenno di avvicinarsi. «Venite, ho sistemato queste due poltrone apposta per voi.»
Dopo un attimo di esitazione, Annabeth si sedette come richiesto. Anche Percy fece lo stesso, gettando un’occhiata nervosa al Direttore appoggiato allo spigolo. Chirone andò a posizionarsi dall’altra parte del tavolo, accanto al seggio vacante che sarebbe spettato all’altro.
«Ho ritenuto più saggio cambiare strategia» rispose nel frattempo. «In fondo, le informazioni che abbiamo sono abbastanza chiare…»
«Sì, sì» lo anticipò il Signor D. «Ha già spiegato a Chase e Johnson perché si trovano qui?»
«No» replicò il centauro, mentre Percy tossicchiava educatamente. «Veramente è Jackson, signore.»
«Certo, io che ho detto, Perry?» ribatté l’ometto, infastidito.
Il ragazzo aveva appena aperto bocca per correggerlo di nuovo, ma Annabeth lo prese per un braccio e strinse. Ignorando il flebile lamento del compagno, sorrise e si rivolse a Chirone. «Ci stava raccontando perché siamo stati convocati.»
«Giusto» confermò. «La scorsa notte, una navicella sconosciuta si è messa in contatto col Campo. Il pilota menzionava l’esistenza di un segnale, emesso da noi e diretto il più lontano possibile. Il problema: non c’era stata nessuna autorizzazione da parte della direzione per un’operazione del genere. Naturalmente i nostri tecnici hanno controllato, l’hanno trovato ed eliminato all’istante.» Fece una pausa, congiungendo le mani e soffermandosi con lo sguardo sui giovani davanti a lui. «Ci siamo subito chiesti chi avesse violato il sistema. Gli informatici sono riusciti a capire che il comando è stato attaccato dall’interno, ma i firewall erano troppo complessi perché identificassero la fonte specifica.»
«Se volete scoprire chi è stato, contate pure su di noi» intervenne Percy.
Annabeth dovette riconoscere che era un bugiardo nato. Sapeva benissimo che non cercavano il loro aiuto, eppure quella frottola gli era uscita con una facilità e una credibilità ammirabili. Peccato che non l’avrebbe aiutata a uscire da quella situazione.
«Oh, figliolo» replicò Chirone, ingannato dal suo bluff. «È chiaro che non sai nulla.»
«Meno un sospettato» fischiettò il Signor D., smettendo di controllarsi la manicure. «O meglio, meno un complice. Non abbiamo mai pensato che fosse lei la mente dietro tutto questo, Johnson. Senza offesa.»
Il moro assunse un atteggiamento confuso. Cambiò la posizione sulla poltrona e corrugò la fronte, prima di chiedere: «Complice? Significa che pensate si tratti di Annabeth?» Simulò una mezza risata. «E che motivo avrebbe per fare una cosa simile? È una ragazza seria, usa il tempo per studiare, non per violare la rete della base.»
Chirone sembrava sempre più amareggiato. «Se ti mostrassimo il video, credo che capiresti.»
«Non ce n’è bisogno.» Annnabeth si stupì di quanto suonasse salda la sua voce. «Sono stata io.»
Percy sgranò gli occhi. Gli altri avrebbero detto per la meraviglia, ma lei sapeva che era per l’incredulità. Era la rabbia per aver buttato all’aria i suoi tentativi di coprirla a farlo reagire così. Ma Annabeth aveva tenuto la bocca chiusa per molto tempo, lasciando che l’indignazione si accumulasse dentro di lei, ed ora la stava soffocando. Ciò che aveva fatto era necessario, era logico, e l’avrebbe provato.
«Sono stata io» ripeté, attingendo alle emozioni che si agitavano dentro di lei per trovare la forza di parlare. «Quando avete dichiarato il decesso di Luke, non ci potevo credere. Una persona importante come lui, e voi vi arrendevate alla prima difficoltà. Così, ho hackerato il centro di comunicazioni per trasmettere un segnale, nella speranza che lui lo trovasse e tornasse a casa. Ci è voluto del tempo, ma è successo. Adesso non potete ignorarlo.»
Il Direttore smise di sorridere. Si alzò, sistemandosi i polsini della giacca, e andò a sedersi alla scrivania. «Bla bla bla» disse. «Molto commovente. Ma la verità è che possiamo ignorarlo, perché è precisamente ciò che faremo. Ora, per quanto riguarda il tuo comportamento, Annabel Chase…»
«Sta scherzando.» Annabeth non si soffermò a correggerlo. «Il Primo Pilota del Campo Mezzosangue, scomparso da più di due mesi, si mette in contatto con noi e lei ha intenzione di guardare dall’altra parte? È assurdo.»
«L’ex Primo Pilota del Campo Mezzosangue, il tuo ex copilota» precisò l’ometto, i ricci neri scesi ad oscurargli il volto, «ha dichiarato, e cito testualmente, “non venite a cercarmi”, “consideratemi morto”.»
La ragazza piantò le unghie nei braccioli della poltrona, sfogando sull’oggetto la proprio frustrazione. «È chiaro che è sconvolto. Le sue parole potrebbero essere il risultato dello shock e della mancanza di contatto umano» obiettò, cercando di rimanere calma. «La cosa più ragionevole da fare è raccogliere dati, ricostruire il quadro completo per poi decidere come agire. Luke è l’unico in possesso di queste informazioni, ci serve.»
«Già, intanto avremmo salvato una vita» la spalleggiò Percy.
Chirone si schiarì la gola. «Purtroppo la situazione è più complicata di così. Siete troppo giovani per ricordare ciò che successe cinquant’anni fa e le sue implicazioni.»
La ragazza annuì. «La Grande Apertura.»
«Cinquant’anni fa» riprese il centauro, assumendo il suo tono da professore, «un oggetto non identificato attraversò l’atmosfera della Terra e si schiantò nelle vicinanze di Astana, Kazakistan. Come sapete, quell’ufo si rivelò essere un’astronave proveniente da Kuron, un pianeta lontano. Il fatto straordinario è che due membri dell’equipaggio sopravvissero all’impatto. Non fu semplice comunicare con loro, ma quando ci riuscimmo, grazie agli sforzi congiunti di linguisti e scienziati provenienti da tutto il mondo, scoprimmo che scappavano dalla guerra e cercavano rifugio. Si erano spinti fino all’estremità della galassia, fino alla nostra minuscola Terra, per sfuggire alla persecuzione. Eccetto il loro essere alieni, non avevano nulla di diverso dai migranti che sbarcavano sulle coste italiane nello stesso periodo. Presto arrivarono altri come loro, tutti in fuga da Crono, un titano che aspirava a controllare l’intero universo. In cambio di protezione, misero a disposizione le loro conoscenze avanzate e diedero avvio a una epocale rivoluzione scientifica. Scoprimmo nuove fonti di energia, sviluppammo innovativi congegni tecnologi e, soprattutto, potenziammo i programmi spaziali. Nell’arco di trent’anni, la Terra si apriva al resto del mondo.»
«Ehm… Cosa c’entra questo con Luke Castellan?» domandò Percy.
«Vedi, figliolo, nulla di ciò che ho raccontato sarebbe successo se quei primi extraterrestri fossero stati seguiti dall’esercito di Crono. Se insieme a loro avessero portato la guerra, saremmo stati spacciati. La nostra salvezza consistette nell’essere un pianeta relativamente piccolo, distante dal centro della galassia e, di conseguenza, distante del pericolo. Mentre prosperavamo al sicuro nell’isolamento, il tiranno venne sconfitto, e noi prosperammo ancora» rispose l’istruttore capo. «Siamo tutti molto legati a Luke. È un giovane brillante, incredibilmente brillante. Ci fidiamo della sua capacità di giudizio. Per questo non possiamo andare a cercarlo. Se, come dice, farlo metterebbe a rischio la sicurezza del Campo e della Terra stessa, gli daremo ascolto. Lo scoppio di un conflitto ci annienterebbe. Si tratta di una vita, in cambio di milioni.»
Percy sprofondò nella poltrona. Annabeth si morse l’interno della guancia, sperando che il dolore le restituisse la lucidità di cui aveva bisogno.
«Capisci perché quello che hai fatto è così grave?» proseguì Chirone, rivolgendosi direttamente a lei. «A causa dell’affetto che provavi per Luke, non solo hai infranto le regole, ma hai anche potenzialmente messo in pericolo tutti quanti.»
«Io e gli altri professori ci riuniremo in consiglio al più presto per decidere il tuo destino» aggiunse il Signor D. «Si parla di espulsione.»
Annabeth se l’aspettava da quando aveva varcato la soglia, eppure sentirlo dire ad alta voce la lasciò senza fiato. Il sangue si congelò all’interno delle vene. Impallidì. Udì vagamente Percy prendere le sue difese, ma il suono del suo raggiante futuro che andava in frantumi le riempiva le orecchie.
«Capisco» riuscì finalmente a buttar fuori. «Se mi è permesso, ho solo un’ultima domanda fare.»
Sia Chirone sia il Direttore le fecero cenno di andare avanti.
Prendendo coraggio, chiese: «Che cos’è Olympus? Intendo, cos’è veramente
«Informazione riservata» rispose il Signor D., annoiato.
La bionda scosse la testa. «Lo immaginavo.»
Si alzò in piedi, augurò una buona serata e camminò verso l’uscita. Un sensore rilevò la sua intenzione e le porte si aprirono all’istante. Udì i passi di Percy alle sue spalle, per cui non si stupì di sentirlo chiamare il suo nome.
Si allontanò di qualche passo dall’ufficio, prima di fermarsi nel corridoio e aspettarlo. «Sono molto stanca» lo avvisò, e persino il suo tono era fiacco. «Sinceramente, non sono proprio in vena per un altro discorso.»
«Lo capisco. Anch’io ho molto su cui riflettere» rispose l’altro. Si muoveva circospetto, cercando l’approccio giusto. «Volevo solo dirti che mi dispiace. Davvero.»
Le rivolse un piccolo sorriso. Poi si allontanò, lasciandola sola.
La colpì la realizzazione che era da parecchio che si sentiva così, sola, fisicamente e spiritualmente. Nemmeno Piper—Piper, la sua migliore amica; Piper, che la capiva; Piper, che le voleva bene—era riuscita ad eliminare quella sensazione. Altrimenti, l’avrebbe messa a parte dei suoi piani dal principio. Inconsciamente, si era creata il vuoto attorno. Ora che la sua unica certezza, il diploma da pilota al Campo Mezzosangue, era a rischio, si sentiva instabile, malferma.
Sospirando, prese il cellulare dalla tasca e controllò che ore fossero. Se aveva iniziato con le riflessioni filosofiche, doveva essere sicuramente tardi. Una notifica sullo schermo segnalava la presenza di un messaggio non letto. Intuì che si trattava di quello inviatole prima da Percy, quello che aveva scelto di ignorare, così lo aprì solo per liberarsi del pop-up.
La sua mano tremò impercettibilmente nel leggerlo.

 
thepercyjaxon: sei la mia copilota, dunque sono anche i miei problemi



Angolino dell'autrice
So che molti avevano perso le speranze, ma finalmente ecco il nuovo capitolo. Come avevo già detto, dovete avere pazienza con me haha
Sono successe molte cose e temo di essere andata parecchio OOC nel cercare di seguirle tutte. Regalerò pacchi di gocciole a chi me lo farà sapere in una recensione.
Ultimo ma non per importanza, Felice Pride Month a chi, come me, lo festeggia!

Water_wolf
  
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