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Autore: Nereisi    28/04/2018    3 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note Autrice: In realtà sto venendo - di nuovo - meno al mio proposito di iniziare a postare una volta scritti i primi 10 capitoli. Però sto avendo veramente un periodo di merda e in particolare sta giornata è stata 'na boasa (termine tecnico della mia zona) assoluta. HO BISOGNO DI UN PO' DI SODDISFAZIONE, OK? 
Però, a mia discolpa però, posso dire che c'è anche stato un ragionamento dietro: il primo capitolo effettivamente non dice molto della trama; invece da questo parte il plot vero e proprio, ci sono già alcuni indizi, viene introdotto il mio OC... Insomma, dai. HA SENSO QUESTO AGGIORNAMENTO NON STIAMO A DISCUTERE.
Vi dico, come vi avevo già detto lo scorso capitolo, che per aggiornamenti veri e propri dovrete aspettare un po'. Sono a buon punto con la scrittura (ho anche aggiunto un paio di cosette alla trama) ma in questo periodo oltre alla sessione che si avvicina sto combattendo con ben due lavori (e i lavori di traduzione di altre fic)... insomma, ho un bel po' per le mani. 
Abbiate pietà e dateme feedback, ne ho bisogno per la mia salute mentale. Pls.
 

Barefoot
- Stumbling -

 



Namea distava più di due settimane di navigazione a velocità sostenuta.
Nonostante non si trovasse in una zona problematica e il viaggio fosse proseguito senza intoppi – a parte l’occasionale mostro marino - non furono proprio due settimane piacevoli per la ciurma. C’era un’aria strana a bordo, agitazione mista a preoccupazione, e un senso di anticipazione che era nuovo per tutti.

Da quando la loro avventura era cominciata, tutte le isole che avevano visitato e tutte le battaglie che avevano combattuto erano state, più che altro, il frutto di un caso o comunque di qualcosa che non aveva un rapporto diretto con la loro volontà. Da Punk Hazard, invece, le cose avevano cominciato a cambiare. Certo, erano approdati sull’isola sempre per caso, ma quando avevano incontrato Law avevano scelto di stringere l’alleanza, avevano scelto se combattere o meno.
E ora, per la seconda volta, avevano scelto di agire, di immischiarsi in affari che non li riguardavano per niente. A differenza di Punk Hazard, però, non avevano trovato un Trafalgar Law che gli spiegasse per filo e per segno chi erano i nemici, gli obiettivi da raggiungere e come raggiungerli. Questa volta non avevano la più pallida idea di chi fossero gli avversari, di come sconfiggerli, di quanti fossero. Non sapevano se erano più forti di loro. E questo li metteva in agitazione.

Da quando avevano deciso la loro prossima meta e il loro obiettivo finale – salvare i bambini – Zoro si era alzato e si era barricato nella coffa, intensificando il suo già spartano regime di allenamento e facendosi a malapena vedere per i pasti. Una volta Sanji era andato a portargli degli spuntini e una volta salite le scale era quasi soffocato per il tanfo di sudore e umidità che impregnava l’aria. Rischiando di rovesciare i contenuti del proprio stomaco sul pavimento, il cuoco aveva lasciato frettolosamente il vassoio su un tavolino e si era precipitato ad aprire tutte le finestre, facendo entrare aria fresca e respirandola a piene boccate per ripulirsi i polmoni. Voltandosi verso lo spadaccino con gli occhi che lacrimavano, lo aveva trovato a sollevare pesi con ogni arto disponibile, concentrato come se non avesse sentito il rumore causato dall’altro uomo. Prima che potesse urlargli i peggio improperi per aver attentato alle sue facoltà olfattive, lo sguardo di Sanji fu catturato dal bordo dei pantaloni dello spadaccino. Strabuzzando gli occhi, il cuoco si rese conto che gli andavano larghi e cominciavano a scivolargli lungo i fianchi, nonostante fossero quelli che utilizzava sempre e gli andassero bene appena una settimana prima. Imbestialito, il cuoco gli scatenò prima la propria furia a suon di calci e urla, poi iniziò ad andare a prenderlo ad ogni pasto, trascinandolo fino alla mensa e assicurandosi che mangiasse tutte le abbondanti portate che il biondo aveva cucinato. Successivamente, prese anche a portargli tutti gli spuntini sulla coffa; infine, gli tirò un colpo basso spedendogli contro Chopper, che gli fece la ramanzina riguardo all’importanza del nutrirsi durante un periodo di allenamento intensivo e lo rimproverò di non pensare abbastanza alla propria salute – il tutto condito da un musetto tremante e dagli occhi grandi colmi di preoccupazione.

Chopper stesso, d’altro canto, non era nelle migliori delle condizioni. Certo, non arrivava ad estremi esagerati come quelli di Zoro, ma era ancora tormentato dai sensi di colpa per non essere riuscito a curare i bambini di Punk Hazard; a questo si aggiungeva l’ansia dell’ignoto, di sapere che avrebbero salvato altri bambini, ma di non sapere in che condizioni li avrebbero trovati, di quali cure mediche avrebbero avuto bisogno. Si sentiva impotente davanti a qualcosa che sapeva stava per accadere e questo lo portava ad avere il morale sotto gli zoccoli. A pesare su di lui c’erano anche le condizioni mediche degli altri membri della ciurma, che avevano trovato il loro personale modo di scendere a patti con l’ansia ma, similmente a Zoro, in alcuni casi peggioravano solo la situazione.

Franky aveva affermato che il suo Shogun era adatto ad ogni tipo di battaglia – anzi, a detta sua era rimasto deluso per non averlo potuto scatenare anche a Punk Hazard – ma nonostante questo, più di qualche volta veniva colto da un dubbio improvviso durante la giornata che lo portava a correre sottocoperta per controllare che tutto fosse perfetto e nessuna delle sue macchine necessitasse di una stretta di bullone.

Nami era talmente preoccupata per tutta la faccenda che non riusciva a rilassarsi un secondo. Provava costantemente tecniche per far andare la nave più veloce, ma nonostante la sua bravura e l’eccellenza della Sunny quella a cui stavano procedendo sembrava essere la velocità massima. Ad aggiungersi c’era anche la sua coscienza: voleva arrivare il prima possibile da quei bambini, li voleva salvare, ma allo stesso tempo sapeva di non essere la più forte nella sua ciurma. Questo la portava a chiudersi per ore intere nel suo studio a studiare ancora più a fondo la meteorologia e il suo Clima Tact, cercando di ideare nuove tecniche e astuzie per potersela cavare in qualsiasi situazione.
Non solo.

Dal momento che era stata lei a proporre – e a convincere – la ciurma di imbarcarsi in questa avventura si sentiva responsabile di tutta la faccenda. E il fatto che i nemici le fossero ignoti in tutto e per tutto la stava mettendo in ansia a dei livelli esponenziali. Così, cercava di lavorare ancora più sodo, sacrificando ore di sonno nel processo. Il risultato finale era una navigatrice completamente spossata e dalla miccia cortissima – se non inesistente – che la portava ad esplodere al minimo fastidio. Il che non contribuiva per niente al buonumore della ciurma.
Usopp rimaneva Usopp, e qui non c’è bisogno di approfondire.

Gli unici membri che sembravano rimanere calmi erano Robin, Luffy, Brook e Sanji. Robin aveva cercato di documentarsi il più possibile su Namea, trovando poco e niente. L’isola era citata solo qualche volta nei manuali che possedeva e l’unico spunto di rilievo sembrava essere la sua terra particolarmente fertile e la rigogliosa vegetazione che la ricopriva, facendola sembrare un piccolo angolo di paradiso. Un paradiso tropicale, non come Skypeia. Avendo le sue ricerche dato pochi frutti, si era accontentata di passare le proprie giornate a leggere o a giocare a scacchi con Sanji. Quest’ultimo, nonostante si fosse gettato anima e corpo nel proprio lavoro per sostenere al meglio gli altri, aveva ben presente i propri bisogni nutrizionali e cercava di non dare ulteriore pensiero al medico di bordo tenendosi in riga da sé.
Brook, d’altro canto, faceva quello che sapeva fare meglio: suonare. Spesso si appostava fori dalla porta dello studio di Nami o su una delle travi che reggevano le vele dell’albero maestro per far sì che la propria musica rilassante potesse essere udita anche dai propri amati compagni, permettendo loro di sciogliere un pochino i nervi.
E Luffy… beh. Era Luffy. Agitato per i motivi sbagliati.

“Chissà che tipo di carne avranno…” Mormorò sognante, scrutando l’orizzonte mentre era steso a pancia in giù sulla polena.
Robin sorrise dalla sua sedia a sdraio. Da due settimane non faceva che rimbalzare tra l’euforico e il capriccioso, non vedendo l’ora di attraccare e risentendosi del tempo impiegato per raggiungere la meta – andandosi a lamentare da Nami senza il minimo tatto e ottenendo solamente di farla esplodere. Si comportava così ogni volta che c’era una nuova isola da esplorare e anche questa volta non faceva eccezione. Era bello poter contare sul suo onnipresente entusiasmo in un’atmosfera inusuale come quella che si era creata a bordo.

La porta della cucina si aprì cigolando. “Devo ricordarmi di dire al nasone che i cardini avrebbero bisogno di un’oliata…” Borbottò Sanji uscendo con un vassoio carico di onigiri.
“Sono per Zoro?” Chiese Chopper alzando la testa dal libro che stava leggendo.
“Già,” Sbuffò il cuoco. “Sembra che sia tornato normale ma non mi fido, voglio controllare ancora per un po’ quello stupido marimo prima che si faccia del male da solo senza nemmeno rendersene conto. ” Concluse con fare irritato.
Chopper sorrise, chiudendo il tomo. “Grazie Sanji. Posso portarne un paio a Nami? Stamattina si è ripresa dalla febbre, un piccolo spuntino potrebbe farle aprire lo stomaco e stimolarle l’appetito per l’ora di pranzo.” Il cuoco si illuminò, annuendo con entusiasmo e chinandosi affinché la piccola renna potesse afferrare un paio di onigiri dal vassoio per poi trotterellare verso la camera delle ragazze.

“Oh, sono per me quelli?” Giunse una voce dall’alto. Zoro si era sporto dalla finestra della coffa e guardava giù con un sorrisino derisorio, la mano a tenergli su la testa. Sanji gli indirizzò un’occhiataccia, scrollando le spalle e dirigendosi verso la scaletta che lo avrebbe portato dallo spadaccino. “Ma quale onore! Sarò il primo a essere servito oggi, mamma chioccia?” Lo canzonò quest’ultimo mentre lo osservava aggrapparsi ai pioli. Il resto della ciurma presente sul ponte alzò collettivamente gli occhi al cielo, sospirando davanti all’ennesimo teatrino dei due. “Non avevo mai visto una gallina in giacca e cravatta. Sai, se ti vestissi meno da damerino avresti meno problemi a muoverti-“

“Cerchi rogne?!” Berciò Sanji, salendo senza problemi a dispetto delle prese in giro dell’altro, una mano a sostenere il vassoio. “Pensa a fare il tuo dannato lavoro, vedetta dei miei stivali! O anche i tuoi occhi hanno il tuo stesso senso dell’orientamento? Non vedresti un’isola nemmeno se ce l’avessi davanti a quella fronte larga che ti ritrov-“
“Terra!”
Sanji si bloccò per un attimo prima di riprendere ad arrampicarsi con stizza. “Terra, un’isola, quello che ti pare! Non metterti a fare le pulci su tutt-“
Terra!

Il biondo alzò lo sguardo verso la coffa e vide che lo spadaccino aveva il braccio teso fuori dalla finestra, il dito a puntare l’orizzonte. Girò il collo seguendo l’indicazione e – stringendo gli occhi – vide un puntino all’orizzonte. La mano sui pioli si strinse maggiormente e deglutì. Gettando un’occhiata in basso vide che anche gli altri avevano sentito il grido di Zoro e si stavano affrettando verso la prua. Luffy stava saltando sulla polena, ridendo e festeggiando.

Riportò lo sguardo al puntino. Ad occhio e croce mancavano ancora due ore prima di attraccare. Con risolutezza riprese la scalata verso la coffa. Se si fosse sbrigato e avesse cucinato leggero – ma nutriente, ovviamente – avrebbe potuto assicurarsi che i gli stomaci dei propri compagni fossero belli pieni quando avrebbero gettato l’ancora.
Dopotutto, non sapevano cosa li stesse aspettando.
 
 
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Namea non era per niente come se l’erano aspettata.
Certo, grazie alle scarne informazioni trovate da Robin sapevano che era un’isola rigogliosa, ma siccome sapevano che da lì erano avvenute moltissime sparizioni se lo immaginavano come un postaccio losco, sinistro e lugubre. Il tipo di isola dove non faresti mai andare dei bambini in giro da soli.

A dispetto delle loro fantasticherie, Namea sembrava un vero e proprio paradiso turistico tropicale. Dovettero girare metà della costa prima di trovare quello che sembrava l’unico porto presente sull’isola, ed ebbero così modo di darle uno sguardo approfondito. Una folta vegetazione ricopriva l’isola e il mare intorno ad essa sembrava più chiaro delle acque sulle quali avevano navigato in quelle settimane. Le spiagge di finissima sabbia bianca che circondavano tutta la costa erano adornate di ombrelli e sdrai e popolate da innumerevoli turisti stesi al sole. L’isola era ricoperta da tantissimi hotel costruiti sul limitare della costa, probabilmente per sfruttare l’incredibile appeal di quelle spiagge paradisiache, mentre il vero e proprio cuore della vita residenziale era rappresentato dall’unica città che si sviluppava intorno al porto. Alakai – era questo il nome della città, scritto a caratteri cubitali su un arco che sovrastava l’unica strada che usciva dal porto per dirigersi verso il centro abitato.
Namea avrà anche avuto un solo porto ma era un signor porto. Curato, frenetico, pieno di segnaletica, saturo di casse, navi delle più disparate dimensioni e funzioni e, ovviamente, persone.

La ciurma non ebbe altra scelta che attraccare lì. Avrebbero preferito gettare l’ancora in un posto più nascosto, ma Namea aveva un solo porto, la costa completamente circondata da spiagge e nessuno scoglio nei suoi dintorni da usare come riparo. Non era una giornata ventosa, quindi la bandiera non sventolava, ma avendo il Jolly Roger dipinto anche sulle vele era un po’ difficile passare inosservati.

Si radunarono sul ponte, adocchiando il molo con fare guardingo. Con loro sorpresa, nessuno gli diede particolarmente attenzione. Qualcuno guardò verso di loro, ma non ci fu nessun segnale che li indusse a pensare di essere malvoluti. Nessuna espressione di paura o disgusto, nessuna tensione nell’aria, nessun grido di allarme.
Uno ad uno scesero dalla Sunny, radunandosi sul molo. Non appena Franky ebbe assicurato le cime agli ormeggi vennero avvicinati da un ometto anziano e un po’ sovrappeso, ma non per questo meno arzillo. Sbatté gli occhi un paio di volte quando notò Franky e Brook, ma non fece commenti.

“Per la tassa portuale sono 5000 Berry, grazie.” Disse allegro tendendo la mano. Senza perdere un colpo, Nami pagò: nonostante fossero pirati era meglio seguire la legge dove possibile per evitare problemi.
L’ometto si intascò i soldi e tirò fuori una cartella. “A che numero è ormeggiata la vostra nave?” Chiese. Quando la navigatrice rispose, l’ometto fece scorrere gli occhi fino ad individuare la loro nave. “Oh, pirati.” Nami si irrigidì, ma l’esattore non si scompose di una virgola, scarabocchiando qualcosa sulla cartella. “Ok, abbiamo finito. Può rimanere lì per tre giorni, oltrepassato il limite dovrete pagare una sovrattassa. Ricordatevi il numero del vostro ormeggio, se ci sono problemi rivolgetevi a me. Ma speriamo non ci siano problemi!” Scherzò, facendo un occhiolino a Nami. La ragazza sorrise e anche gli altri tirarono un sospiro di sollievo.
“La ringrazio.”
“Di che, signorina? Per aver fatto il mio lavoro?” Rise l’ometto. “A Namea chiunque è il benvenuto, anche i pirati. Certo, finché non causano problemi, s’intende.” Chiarì, lisciandosi i folti baffi.

“Non abbiamo intenzione di causarne.” Gli assicurò Robin, guadagnandosi un sorriso di approvazione dal vecchietto. “Potrebbe descriverci in breve l’isola? È la prima volta che veniamo, non la conosciamo per nulla.”
“Oh, ma è presto detto!” Rispose pimpante l’altro. Sembrava non vedesse l’ora che gli venisse posta quella domanda. “Namea è in tutto e per tutto una, se non LA, meta turistica senza pari in questo tratto di mare e non ne troverete di simili per centinaia di miglia! La vita e l’economia dell’intera isola girano intorno al relax e alla cura dei clienti, senza di questi non avremmo di che vivere.” Sembrava essersi calato a fondo nel ruolo di guida. Forse era quello il suo vero lavoro e non l’esattore delle tasse portuali. “Non abbiamo altre attrattive, purtroppo, ma di bellezza ne abbiamo in abbondanza! Quindi cerchiamo di attirare persone di tutte le estrazioni sociali: per questo motivo accettiamo chiunque e ci vantiamo dei nostri prezzi, i più bassi di tutto il Nuovo Mondo! Vi dirò di più, la tassa che avete appena pagato è la cosa più costosa di tutta Namea!” A questo, il cuore e il portafoglio della navigatrice ebbero un sussulto d’amore nei riguardi dell’isola. “Infine, abbiamo stretto un patto con la marina. Qui nessuno può essere catturato, a meno che non diventi violento ovviamente. Vedrete marine, ma non vi possono toccare. In realtà, ce n’è sempre qualcuno in giro per farsi un po’ di vacanza!” Gli rivelò con fare cospiratorio. Nami tirò un rumoroso sospiro di sollievo, il resto della ciurma rise.
Ma una particolare risata non fu udita.

“Sembra che abbiamo trovato un posto meraviglioso e ospitale! Direi che per una volta potremmo anche prendercela con calma!” Rise forzatamente Nami, incamminandosi verso l’arco.
“Nami…” La chiamò Chopper, esitante.
“No.” Sorrise la navigatrice, non girandosi e puntando ostinatamente lo sguardo verso la città.
“Ma Nami-” Ritentò Chopper.
“Non dirmelo Chopper. Non lo voglio sentire.” Disse secca, continuando a marciare spedita. “Non siamo approdati nemmeno da dieci minuti!”
“Ma Nami!” Insisté Chopper. “Luffy è sparito!”
Nami crollò in ginocchio, singhiozzando sconfitta.
 
 
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Miracolosamente, quando ritrovarono il loro capitano scoprirono che non si era infilato in nessun guaio. Era seduto ad un tavolo fuori da quello che sembrava un hotel sotto una grande tettoia in legno ricoperta da piante cadenti in fiore, ingurgitando cibo senza nemmeno fermarsi a respirare. Nami ringraziò ogni dio esistente della convenienza del posto, se non fosse stato per quello probabilmente avrebbero dovuto pagare un conto salatissimo.

“Razza di idiota, avevi appena mangiato!” Ringhiò Sanji. Luffy rise, sputacchiando pezzi di cibo mentre gesticolava verso i nuovi piatti che gli stavano venendo serviti dal cameriere. Il poverino aveva il fiatone, probabilmente non aveva avuto occasione di riposarsi un secondo da quando il loro capitano aveva assalito quel posto. Nami ebbe un moto di compassione.

“Beh,” Si intromise Robin, lo sguardo puntato verso l’interno dell’edificio. “sembra che Luffy ci abbia risparmiato la ricerca di un alloggio.”
Nami allungò il collo e scorse un bancone dietro il quale presenziava una vecchina con i capelli strettamente legati in una crocchia. Dietro di le, un grosso mobile con decine di nicchie, in ognuna delle quali penzolava una chiave. “Direi che possiamo sistemarci qui.” Sospirò. “Per oggi cerchiamo di riposarci e rifornirci di provviste e quant’altro. Visto che siamo in un’isola tranquilla potremo prendercela con calma per una volta. Cerchiamo di essere il più preparati possibile.” La navigatrice si girò verso la ciurma, ignorando i suoni raccapriccianti del capitano che si ingozzava. “Domani.” Disse, l’anticipazione che le faceva tremare la voce. “Domani inizieremo le ricerche.”
 
 
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Chopper si arrampicò sulla sedia e si lasciò cadere su di essa tirando su col naso. “Cos’ha che non va quest’isola?!” Si lamentò, scacciando via le lacrime con un gesto rabbioso. “Hanno i cuori fatti di pietra?!”
“Su, Chopper… Non te la prendere.” Cercò di consolarlo Usopp, carezzandogli la schiena. La piccola renna strinse i denti, cercando di contenere le proprie emozioni.
“Deduco che nemmeno voi abbiate avuto successo.” Disse Robin.
Usopp scosse la testa. “Quest’isola era fin troppo perfetta. Non è tutto oro ciò che luccica, avrei dovuto fidarmi del mio istinto!” Esclamò, melodrammatico.

“Non solo non ci hanno detto nulla di utile” intervenne Chopper, “ma quando abbiamo insistito, quando abbiamo cercato di fargli capire che dei bambini erano scomparsi, che c’erano dei genitori che li stavano aspettando-“ Si interruppe per tirare su con naso. “Ci hanno detto che non era né un nostro né un loro problema! Ci hanno detto di non fare più domande e girare al largo!” Buttò fuori con rabbia. Franky boccheggiò, tirando fuori un fazzoletto ridicolmente piccolo per le sue mani e tamponandosi gli occhi. “Come possono dire una cosa del genere?! Anche loro hanno dei figli, li ho visti!”

“Non solo,” Aggiunse Usopp. “Hanno addirittura minacciato di chiamare la m-marina se avessimo continuato a impicciarci.” Disse, lasciandosi scappare un tremolio.
“Secondo la mia modesta opinione, tutto ciò è assurdo. Chiamare la marina solo per aver fatto delle domande e rispondere sgarbatamente in quel modo è un’esagerazione!” Commentò Brook. “Dev’esserci qualcosa sotto. Probabilmente quest’isola ha dei segreti e i suoi abitanti non gradiscono che vengano portati alla luce.” Ci furono dei cenni d’assenso.

“Purtroppo,” Intervenne Robin abbassando la voce. “Credo che ci stiano già tenendo d’occhio. Io e Nami oggi abbiamo girato per le varie strutture dell’isola con i volantini che ci ha dato Tashigi. Non appena li abbiamo mostrati alla gente del posto ci hanno guardate in un modo… che dire astioso è dire poco.” Disse, con una nota di divertimento nella sua voce. Sanji sembrava come se lo avessero personalmente insultato. Come si permettevano di guardare male le sue muse?!
“Quando ci siamo allontanate,” continuò Robin, “ho usato i miei poteri per vedere cosa avrebbero fatto e li ho visti parlare con altri abitanti dell’isola, tra cui il signore che ci ha accolti al porto. Ho visto distintamente pronunciare le parole denunciare. Non penso che ci potremo trattenere in questo posto ancora a lungo.”

Nami sbatté un pugno sul tavolo. “Maledizione!” Ringhiò. “Non possiamo andarcene a mani vuote! Non abbiamo scoperto nulla di utile oltre il fatto che tutta la maledetta isola sia complice in qualche modo! Sanno qualcosa che noi non sappiamo e vogliono assicurarsi che rimanga così!”
“Nah, non tutta l’isola.”
Nami sbatté le palpebre, imitata dal resto della ciurma, e si girò verso Luffy. “Come?”

“Non tutti su quest’isola sono cattivi.” Disse la supernova, scaccolandosi allegramente. Sanji lo guardò con disgusto, imitato da Nami. “Oggi sono andato al mare-“
Sei andato al mare?!” Berciò la navigatrice. C’erano così tanto di sbagliato in quella frase che non sapeva nemmeno da dove cominciare.
“Sì, c’era anche Zoro!” Varie occhiate disapprovanti furono lanciate verso lo spadaccino che stava ronfando beatamente qualche metro più in là. Non si era nemmeno seduto a tavola, l’incivile! “Volevo esplorare l’isola e in qualche modo siamo capitati in una spiaggia. C’erano tantissimi sdraio e un sacco di famiglie! E c’erano anche dei mocciosetti simpaticissimi e abbiamo giocato con loro. Uno di loro aveva le lentiggini, mi ha ricordato Ace da piccolo! Una peste tale e quale!” Luffy rise. “Comunque, non so per chi ci abbiano scambiati, perché ci si sono radunate intorno un sacco di persone! Abbiamo anche ballato insieme, è stato divertente! Un’altra signora ci ha anche offerto dei gelati, veniva dal Nord Blue e-“
“Taglia corto!” Esclamò Nami, spazientita.
“Ah, giusto. Insomma, ad un certo punto mi sono detto che visto che avevamo intorno così tante persone potevo chiedere a loro!” La ciurma trattenne il fiato. “Ma loro non sapevano nulla! Anzi, sembravano preoccupatissimi dopo che gli avevo detto dei bambini scomparsi. C’erano molte mamme e sembravano sinceramente dispiaciute. Mi hanno fatto un sacco di domande ma io non sapevo cosa rispondere…. E poi, dopo che Zoro ha detto che molti rapimenti erano accaduti proprio qui, tutti hanno chiamato i propri bambini e se ne sono andati. Sembravano spaventatissimi! Avrò fatto bene a chiedere a loro?” Chiese, inclinando la testa.
Sul tavolo era calato il silenzio.

“Beh,” esordì Nami, “Questo potrebbe voler dire che i turisti non sono complici, ma possibili vittime. Sempre che non siano degli ottimi attori, non ci vuole molto per far fesso il capitano.” Disse, bussandogli sulla fronte. Risuonò vuota. “Ma se invece lo fossero davvero, beh… Ora sono stati avvisati. Ora che terranno più d’occhio i loro figli sarà più difficile per chiunque stia tramando nell’ombra portarglieli via.” Sorrise.

“A proposito,” Disse Franky, intascandosi di nuovo il fazzoletto. “a parte gli isolani io non ho visto nessuno di losco sull’isola. Visto il grande numero di rapimenti e il fatto che la popolazione sembra sapere benissimo cosa stia succedendo credevo che saremmo stati subito attaccati quando abbiamo fatto domande… o comunque che il nostro “nemico” si palesasse. Invece ancora adesso non abbiamo idea di chi ci sia dietro a tutto questo.”

Nami accavallò le gambe. Era vero. Nonostante si fossero guadagnati le antipatie degli isolani – senza nemmeno aver distrutto qualcosa, oltretutto! – non sembrava fossero loro gli artefici dei rapimenti. Ne erano a conoscenza… Probabilmente sono dei complici, rifletté la navigatrice con un moto di rabbia che le fece sbiancare le nocche da quanto le aveva strette. Ma nonostante questo, le erano sembrati spaventati quando avevano iniziato a fare domande. Come se avessero paura di qualcosa. 
Nami alzò gli occhi dal tavolo, facendoli vagare mentre pensava. Sussultò quando incrociò lo sguardo con la vecchina dietro il bancone dell’hotel. La simpatica signora che giusto il giorno prima li aveva accolti con dolcezza consigliandogli i posti migliori dove andare a fare shopping e che li aveva bloccati per più di un’ora con storie sui propri adorati nipotini ora la stava guardando come una leonessa guarda una iena che si avvicina ai propri cuccioli. Se non fosse stato per la facciata delle buone maniere Nami era sicura che li avrebbe cacciati dall’hotel tutti quanti. Siamo venuti su quest’isola per una ragione. Nami indurì lo sguardo. La vecchietta sembrò avere un momento d’esitazione ma poi il ghiaccio ricoprì di nuovo i suoi occhi.

“Prendete le vostre cose e portatevele appresso.” Mormorò senza staccare lo sguardo dalla donna. “Continueremo le ricerche. Ma muoviamoci in gruppo e state pronti a scappare alla Sunny in ogni momento.” Il resto della ciurma seguì la direzione del suo sguardo e l’aria si fece improvvisamente ancora più tesa. “Non siamo più i benvenuti a Namea.”
 
 
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Il primo pomeriggio fu totalmente infruttuoso.
Le voci su di loro sembravano essersi sparse per tutta Alakai: gli abitanti che incrociavano per il loro cammino li evitavano come se fossero dei malati contagiosi e questo impediva ai Mugiwara di investigare. Anche se fossero riusciti a prendere uno di loro in disparte, era improbabile che gli rispondesse.
Incrociando per l’ennesima volta lo sguardo di un isolano, Nami non fece in tempo ad aprire la bocca che l’altro si era praticamente lanciato dentro casa, trascinando con sé la figlia come se pensasse che gliela stessero per portare via. La navigatrice pestò i piedi con frustrazione. Non sarebbero arrivati da nessuna parte così. Avevano bisogno di una pista.
Usopp le posò una mano sulla spalla, tentando di confortarla. Nami sentì un po’ della tensione che le induriva la schiena sciogliersi e esalò un sospiro.

“Oi, Luffy. Vedi qualcosa?” Urlò Zoro, fregandosene di mantenere un basso profilo.
“Mmm…” Luffy assottigliò gli occhi, cercando di far arrivare lo sguardo più lontano possibile. Era avviluppato in cima ad una torre con le sue membra gommose, una mano sulla fronte per provare a vedere meglio. “Beh, vedo case. Tante case. Oh e in lontananza c’è il porto!” Sanji alzò gli occhi al cielo. “Oh?” Esclamò Luffy. “C’è una nave della marina! Ieri non c’era, giusto?”
“Una nave della marina?” Ripeté Zoro, poggiandosi le mani sui fianchi. “Potrebbe essere un problema?” Chiese, girandosi verso gli altri.
Sanji si prese il mento tra le dita. “Beh, in teoria non abbiamo ancora fatto nulla per meritarci un inseguimento. Forse ci credono pericolosi e vogliono più pattuglie per le strade? Oh!” Esclamò, colto da un’illuminazione. “La cosa potrebbe addirittura giocare in nostro favore!”

Robin sorrise, seguendo il suo ragionamento. “Più marines sull’isola significa più controllo a Namea. Sarà ancora più difficile per i rapitori avvicinarsi ai bambini o rapirli. Ma, anche se succedesse… Dal momento che c’è solo un porto in tutta l’isola e che nel mare intorno non c’è nulla che possa coprire una nave, tutto il traffico deve passare per forza per Alakai. Che sia un traffico di merci o… umano.” Disse, macabra.
“Questo significa che al porto ci dev’essere una nave che nasconde qualcosa!” Concluse estasiata Nami. Finalmente avevano una pista!

Bang!

Uno sparo risuonò nell’aria, distante, seguito dagli echi di molte voci che urlavano. Il gruppo di pirati si mise in guardia, presi alla sprovvista dal repentino cambio di atmosfera. In lontananza, un gruppetto di isolani scappò nelle proprie case, terrorizzato.
Nami estrasse il proprio Clima Tact, brandendolo con urgenza. “Luffy! Cosa succede?!”
“Non lo so! Un sacco di marines stanno venendo da questa parte, sono armati fino ai denti e stanno sparando a qualcosa ma io non vedo nulla!” Rispose confuso Luffy.
“U-u-u-un n-nemico i-in-invisibile???” Chiese terrorizzato Usopp, impicciandosi per acchiappare Kabuto che continuava a scivolare tra le sue mani sudate. Chopper si era riparato dietro a Franky. Non aveva mai sopportato i rumori forti.

Luffy si lasciò cadere davanti a loro, stringendo i pugni e mettendosi in posizione d’attacco. Lo scalpiccio e il clangore si faceva sempre più vicino. Poi, all’improvviso, lo sferragliamento si interruppe, lasciando il posto solo agli spari e alle urla.
Finalmente, videro a chi stavano dando la caccia.

Davanti all’orda di marines, due figure correvano a rotta di collo. Una persona incappucciata, gobba e con un mantello sdrucito che arrivava fino a terra e… un bambino. Luffy lo riconobbe: era il moccioso che assomigliava ad Ace, quello con cui aveva giocato! Abbassando i pugni, sorrise e lo salutò col braccio. Il bambino, notandolo, sembrò riconoscerlo e rallentò.
La figura se ne accorse e accelerò di colpo, piombando sul ragazzino e passandogli un braccio intorno alla vita continuando a correre. Il movimento fece gonfiare e alzare il mantello rivelando un altro bambino, anche lui che piangeva, stretto contro il petto della figura con una mano piantata sulla schiena.

“È lui! È il rapitore!” Gridò Usopp, vedendolo per primo. Non fece in tempo ad alzare il braccio a indicare la figura che una pioggia di proiettili cadde dove un istante prima la figura stava correndo. Chopper soffocò un grido. Nami si portò una mano alla bocca, sconvolta.
“Lassù!” Gridò Brook. Tutti alzarono lo sguardo.
La figura incappucciata aveva compiuto un enorme salto atterrando in cima al tetto di una casa con un grugnito. Si dovette accucciare per riprendere l’equilibrio, sistemando la presa sui bambini che si portava addosso. Il bambino che era appena stato preso fece capolino dal mantello, scostandoselo dal viso con dei movimenti della testa.

“Onii-san!” Chiamò piangendo. Il rapitore parve essere preso alla sprovvista da quell’urlo e abbassò la testa per guardare il bambino. Quella distrazione stava per costargli caro: i marines non esitarono a sparare. Riuscì a schivare la maggior parte dei proiettili ma venne colpito alla gamba. Il rapitore emise un lamento di dolore prima di saltare di nuovo, volando sopra le teste di Luffy e degli altri. In quella posizione furono in grado di scorgere le gambe del fuggitivo: lunghe, longilinee e completamente avvolte con delle bende che un tempo dovevano essere state bianche ma in quel momento erano sporche e impolverate. Quelle che avvolgevano la gamba sinistra si stavano tingendo velocemente di rosso all’altezza della coscia. Non portava scarpe.
Aveva appena spiccato il balzo quando una scarica di proiettili sventagliò il punto dove un istante prima era accovacciato, spaccando alcune tegole e bucherellando una banderuola a forma di gallo che ornava il tetto.

“Stavano per colpire i bambini!” Esclamò Nami, scuotendosi dal torpore in cui era caduta. “Ehi, voi! Ci sono dei bambini! Degli ostaggi! NON SPARATE!” Urlò gesticolando.
I marines li notarono. “Sono i pirati di Cappello di Paglia!” Un gruppo di soldati si staccò, venendo verso di loro. I marines rimanenti lasciarono cadere le pistole e passarono ai fucili, prendendo la mira sul rapitore – e, di conseguenza, sui bambini.
“E io che per una volta li ritenevo utili!” Ringhiò Sanji, preparandosi ad attaccare.

“Nami!” La chiamò Luffy, facendole cenno di avvicinarsi con la mano. Nami lo guardò negli occhi e annuì.
“Non possiamo lasciare fare a loro! Sparano indiscriminatamente su bambini e rapitore!” Esclamò Chopper tremando dalla testa ai piedi.
Nami smembrò il proprio Clima Tact, infilandoselo nei supporti della cintura. “Sanji, Zoro, Brook, tratteneteli qui! Potete farci quello che mi pare per quanto mi interessa ma non fateli arrivare ai bambini!” Urlò. “Robin, Franky, Usopp: per favore preparate la Sunny. Non sappiamo cosa sta per succedere, probabilmente dovremo andarcene.”
“Preparo un Coup de Burst?” Chiese Franky mentre si caricava Robin su una spalla.
Nami si morse il labbro. “Non lo so… Siate pronti a tutto, dovremo essere veloci.” Li pregò con lo sguardo. Robin sorrise e le fece un cenno con la testa.

Luffy fece scattare le mani verso il campanile dal quale era sceso nemmeno un minuto prima, agganciandosi e lasciando le braccia in tensione. “Nami, dai!”
Nami si legò velocemente i capelli, poi corse verso il suo capitano. “Chopper, vieni anche tu!” Esclamò, prendendo la renna fra le braccia. “Quei bastardi potrebbero aver colpito uno dei bambini!” Chopper sembrò preso in contropiede per un secondo, poi annuì determinato e le si attaccò ad un braccio.
Nami abbracciò il proprio capitano da dietro, assicurandosi di avere una buona stretta sulla sua maglietta. “Andiamo, capitano!”
“Roger!” Rispose esaltato Luffy, preparandosi a lasciare la presa per terra. Esitò per un momento.
Nami sbatté le palpebre. “Co-“
Gold Roger.” Nami lo guardò scandalizzata. Chopper era basito.
“Ma ti pare il momen-“ Luffy lasciò la presa, sparandoli in aria. Entrambi si aggrapparono al ragazzo come se ne andasse della propria vita – il che non era molto distante dalla realtà.

Nami cercò di lottare per riportare la propria testa inclinata in avanti e socchiuse gli occhi nonostante gli stessero lacrimando a causa del vento che li sferzava. Il cappello di Luffy gli si levò, schiaffeggiandola in fronte. Se non fosse stato per il laccio che glielo assicurava al collo sarebbe sicuramente volato via. Si arrampicò meglio su Luffy, che stava ridendo e strillando come un beota, e si guardò attorno cercando di individuare il rapitore. Chopper le si era avvinghiato addosso, terrorizzato.
Un movimento catturò la sua attenzione. “Luffy, laggiù!” Urlò, puntando il braccio.
Luffy seguì il suo dito. La figura incappucciata si stava calando da un tetto, probabilmente con l’intenzione di scomparire nel dedalo di strade e seminarli. Nami notò che si stava calando con entrambe le braccia. Dov’erano i bambini? Che li avesse lasciati cadere da qualche parte? Strinse la presa su Luffy, lanciando occhiate preoccupate nelle strade sotto di loro, ma non vide nessuno.

Luffy caricò il braccio, poi lo fece scattare e afferrò la cima del tetto da dove si era appena calato il rapitore. Tutti sentirono lo strappo in avanti, l’aria che li sferzava nuovamente. La supernova tentò in qualche maniera di attutire l’atterraggio ma ruzzolarono comunque sul tetto, spaccando diverse tegole. Nami digrignò i denti. Ora qualsivoglia effetto sorpresa era andato a farsi benedire. Aiutò velocemente Chopper a rimettersi in piedi, poi entrambi seguirono Luffy e saltarono giù dal tetto.
Nami si rialzò, mettendo mano al suo Clima Tact. Erano in un vicolo e stavano bloccando l’uscita. Davanti a loro, finalmente, dopo settimane di ricerca e frustrazione, c’era il rapitore.

Ma la scena che si trovò davanti era molto diversa da come se l’era immaginata mille volte nella sua testa. Il loro avversario non emanava malvagità e cattiveria da ogni poro. Sembrava più che altro emanare stanchezza e disperazione. Era con le spalle al muro, curvo in avanti, un ginocchio posato a terra e l’altra gamba, quella ferita, lasciata mollemente tesa. Il sangue aveva ormai impregnato le bende, gocciolando e formando una piccola pozza a terra. Chopper sussultò a quella vista.

Il mantello era ormai aperto del tutto, lasciando a fare il suo lavoro solo il cappuccio. Al di sotto indossava una semplice T-shirt che Nami indovinò essere verde – difficile a dirsi sotto tutto quello sporco – e dei jeans corti. Nonostante non fosse dotata allo stesso modo di Nami o Robin, la navigatrice ebbe un sussulto quando capì che quella che avevano davanti era senza ombra di dubbio una ragazza. Aveva le braccia tese, ansimando pesantemente, e dietro di lei c’erano i bambini.

Tremavano come delle foglie, aggrappati a dei lembi del suo mantello e cercavano di nascondersi dietro la sua schiena. Nami sbatté le palpebre, confusa. Stavano cercando di nascondersi da loro? Dietro la loro – a questo punto non più così certa – rapitrice? C’era qualcosa che non andava. Chopper sembrava essere d’accordo con lei e rimase ad osservare la situazione indeciso sul da farsi.

“Ehi!” Si fece avanti Luffy. La ragazza si irrigidì notevolmente.
Uno dei bambini fece capolino da dietro il mantello. Aveva le guance lentigginose ancora bagnate dalle lacrime, ma era curioso. “Oh!” Fece, non appena vide Luffy. “Il pirata!”
A queste parole, la ragazza lasciò uscire quello che sembrava un ringhio di esasperazione e rabbia. Strinse i denti e si tirò di nuovo in piedi con un lamento. La gamba sinistra tremò visibilmente quando ci mise del peso e continuò a farlo mentre la ragazza si ergeva tra loro e i bambini. Incurante del sangue che le scorreva per la gamba, portò i pugni davanti a sé in posizione di combattimento, respirando pesantemente. Ai polsi brillarono fievolmente degli spessi bracciali.

Il bambino le si aggrappò alla gamba sana. “No, no! Lui è buono! È stato lui ad avvertire mamma che c’erano delle persone cattive che rapivano i bambini!” A quelle parole, anche l’altro ragazzino sbucò da dietro il mantello. “È vero, è lui!” Confermò, riconoscendo anche lui Luffy.
La ragazza, presa alla sprovvista, abbassò la testa per guardarli. Abbassò leggermente le spalle, incerta.
“Ehi.” La apostrofò Luffy con un sorriso. La ragazza portò di nuovo lo sguardo su di loro. “Li stavi proteggendo, vero?”
Anche Nami era ormai giunta alla stessa conclusione. Per la seconda volta in quella giornata, ripose la propria arma, sospirando. “Scusa. Credevamo che tu fossi il rapitore, per questo ti abbiamo inseguito.”

Anche l’altra ragazza sembrò rilassarsi. Tirò un evidente sospiro di sollievo, lasciando cadere la posa d’attacco e appoggiando una mano al muro per evitare di mettere peso sulla gamba ferita. “Meglio così.” Gracchiò. Nami strinse gli occhi. Quella era la voce di chi non beveva da molto – e non parlava da ancora più tempo.
“Se non ci sei tu dietro tutto questo, allora chi-“ Non fece in tempo a formulare la domanda che l’altra ragazza ebbe come uno spasmo e cadde a terra.

“Oi!” Esclamò Luffy. Si precipitò da lei sollevandola per le spalle. Il cappuccio le cadde, rivelando un viso giovane ma che aveva conosciuto sicuramente la fame e dei capelli chiari e sporchi raccolti alla bell’e meglio. “Oi, cos’hai?” Luffy la scosse, preoccupato.
I bambini le si attaccarono alle braccia, scuotendola anche loro. “Onee-chan!”
Chopper si riscosse ed entrò in modalità medico. “Luffy, falla stendere!” Disse mentre si affrettava al capezzale della ragazza. “È denutrita.” Luffy lo guardò come se gli avesse appena detto che stava arrivando un Buster Call. “Stanca… e anche disidratata.” Chopper le passò una mano sulla fronte. “Sembra che abbia anche della febbre… e quella ferita sicuramente non aiuta.” Disse, guardandole la gamba. Stava per allungare una zampa verso di essa quando la ragazza tossì, riprendendo conoscenza.

Incrociò lo sguardo di Luffy, fissandolo con occhi lucidi. La supernova sorrise, incoraggiante. “Non ti preoccupare, Chopper è il nostro medico!” La guardò con occhi pieni di pietà. “Da quant’è che non mangi?”
Alla ragazza sfuggì un sorriso. “Da un po’…” Esalò. Luffy sembrava essere sull’orlo delle lacrime. Si voltò verso Nami con uno sguardo determinato.
“No.”
“Ma Nami! Guardala, ha detto che non mangia da un mese!”
“Non lo ha detto!”
“Sei un essere senza cuore!” La accusò. “Cosa direbbe Sanji se lo sapesse?!”
“Non sappiamo nemmeno chi sia!”
“Non è ve- Ah. No, è vero. Ehi tu!” Apostrofò la ragazza. “Come ti chiami?”
La ragazza non rispose. Aveva gli occhi aperti ma sembrava in dormiveglia, non era presente con la mente.
Nami si rivolse ai bambini. “Sapete qual è il suo nome?”
I due scossero la testa. “Ci eravamo allontanati un attimo per fare la pipì e ci hanno portati via… Eravamo arrivati al porto quando dal nulla è arrivata e ci ha salvati. Ci ha chiesto solo dov’erano i nostri genitori, poi ci siamo messi a correre.”
“E dove sono i vostri genitori?” Chiese Nami. Chopper si decise a sfilare le bende intorno alla gamba ferita.
Il bambino con le lentiggini guardò Luffy. “Sono al resort dove ci siamo conosciuti ieri… Era lì che stavamo andando. Lui è mio fratello, Nird.” Disse, avvicinandosi all’altro bambino. “Quando stavamo correndo è caduto e si è fatto male… Lei lo ha subito preso in braccio.” Si mise a piangere, guardando Luffy. “Ci ha salvati- Ci hanno sparato e ed è stata colpita per averci aiutato e non sappiamo neanche come si chiama… Nemmeno lei sa i nostri nomi!” Singhiozzò.
Nami si inginocchiò, abbracciandolo. “Su, su. Come ti chiami?” Chiese dolcemente.
“N-Nafar.”
“Bene Nafar, sei stato molto coraggioso. Tranquillo, ti riporteremo dai tuoi genitori. Ora però dimmi una cosa… Chi è stato?” Gli chiese, prendendolo per le spalle e guardandolo negli occhi. “Chi è stato a rapirvi?”

Nafar la guardò con occhi pieni di lacrime. “Le stesse persone che ci stavano sparando, credo… Non ho visto chi fossero perché quando ci hanno presi ci hanno messo dei sacchi in testa… E quando Onee-san ci ha liberato non ci ha fatto voltare, ci ha detto di correre e non guardare indietro.”
Nami boccheggiò. Le stesse persone che li stavano inseguendo erano quelle che li avevano rapiti?! Questo significava… Si coprì la bocca con la mano.

“Ragazzi.” Richiamò la loro attenzione Chopper. “Questa ragazza ha bisogno di cure mediche, subito. Il proiettile deve essere estratto e qui non ho gli strumenti per farlo.” Disse, preoccupato.
“M-mo-morirà?” Singhiozzò Nird.
Chopper si morse il labbro. “Non lo so. Il proiettile è in una zona parecchio delicata… e oltretutto era già parecchio debole. È impressionante come sia riuscita a scappare via in queste condizioni.”

Il clamore del combattimento si fece più vicino. Riuscirono a sentire le voci dei loro compagni che li chiamavano. Il suono delle urla e degli spari squarciava l’aria.
La ragazza ebbe uno spasmo. Luffy abbassò la testa per guardarla, lei alzò un braccio tremolante e gli afferrò la blusa, guardandolo negli occhi. Sembrava avesse appena la forza per tenere su la testa.
“I ba-bambi…ni.” Rantolò. “N-non fateli… guar…dare.”
“Eh?” Chiesero in coro i due bambini, avvicinandosi. “Onee-chan, sei sveglia?” Chiese Nafar, tirando su col naso.
Luffy ricambiò lo sguardo, un’espressione seria in volto. Poi annuì.
La ragazza fece un mezzo sorriso, poi si rilassò, stendendosi di nuovo.
“Nami, Chopper, aiutatemi a portarli sul tetto.” Disse Luffy, alzandosi.
Chopper annuì, riavvolgendo frettolosamente la benda.

Nami chiamò a gran voce la ritirata per farsi sentire da Zoro e gli altri mentre Chopper, una volta sul tetto, si trasformò nella sua forma quadrupede, permettendo ai bambini – estasiati – di cavalcarlo.
Luffy prese tra le braccia la ragazza ormai incosciente e le levò il mantello, ormai solo un impiccio, lasciandolo cadere a terra. “Ciurma, torniamo alla Sunny!” Urlò, prima di mettersi a correre.

Correndo al suo fianco, Nami non poté impedirsi di lanciare svariate occhiate al suo carico. Chi era quella ragazza?
  
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