Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    29/04/2018    14 recensioni
Seconda Guerra del Golfo. Clement Boyle e Andrej Vaughan sono due marines e si trovano in Iraq. Vaughan decide di approfittare della libera uscita per andare a comprare dei regali per i suoi, ma preso dall'entusiasmo si infila per sbaglio in un posto che non avrebbe dovuto vedere. Lui e Boyle, il suo inseparabile amico, finiscono per trovarsi prigionieri dei terroristi, con davanti una prospettiva tutt'altro che rosea. Riusciranno a evitare ciò che li aspetta?
Avviso il potenziale lettore che la storia contiene linguaggio volgare.
Prima classificata al contest "Sette colori per sette peccati" indetto da missredlights sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Carissimi,
eccoci alla seconda parte delle (dis)avventure dei nostri due marines, Clem e Orange. Ringrazio sentitamente chi mi ha seguito fin qui, e in particolare ringrazio chi si è fermato a lasciarmi il suo parere, ovvero mystery_koopa, Saelde_und_Ehre, John Spangler, Syila, fiore di girasole, innominetuo, Nina Ninetta ed Enchalott.





Parte seconda

Gli uomini che li tenevano sotto la minaccia delle armi legarono loro i polsi dietro la schiena con manette autobloccanti in nylon, stringendo così forte che Orange non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
E state attenti, stronzi!” ringhiò Clem all’udire il lamento dell’amico, poi colpì con una testata uno degli uomini che lo stavano scortando. Si udì un sonoro crack, e l’uomo venne sbalzato all’indietro con il sangue che gli zampillava dal naso.
Vociando nella loro lingua, gli altri cominciarono a colpirlo tutti insieme con i calci dei fucili, cercando di raggiungere la faccia o altre parti dolorose. Uno provò a dargli una botta nelle palle, ma si prese un calcio nello stomaco, e finì a terra rantolando di dolore.
Al secondo uomo a terra, gli altri raddoppiarono il loro sforzi. “Stronzi!” urlò di nuovo Clem, ma fu comunque costretto a raggomitolarsi per evitare almeno che gli colpissero il volto. Una botta sul sopracciglio gli fece vedere tutto nero per qualche secondo, e quando tornò in grado di capire cosa stava succedendo si trovò accasciato alla base di un muro, con i tizi che si accanivano su di lui a calci nelle costole.
Uno gli sputò addirittura addosso.
Pezzo di merda!” esclamò il marine. Fece per alzarsi, ma un ennesimo calcio nello stomaco lo costrinse a raggomitolarsi per terra con un rantolo di dolore. “Mi ricorderò di te,” promise comunque.
Dopo un po’, gli iracheni spinsero Orange e trascinarono lui in una stanza vuota, con due piccole finestre munite di sbarre vicino al soffitto e il pavimento di cemento.
Clem si accasciò ansimando sulla dura superficie. “Stronzi,” ringhiò con voce roca. Un altro calcio nelle costole lo fece gemere, poi la porta si chiuse con un tonfo, e si udì lo scatto di numerosi chiavistelli.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Orange, col tono di una banale constatazione, osservò: “Proprio non ci riesci a star zitto, eh?”
Figli di puttana,” fu la risposta.
Ah, Clement, Clement. Eppure li hai fatti anche tu i corsi di sopravvivenza: in caso di prigionia, quello che si salva è il gray man, ovvero quello che non si fa notare, che scompare nello sfondo.”
Affanculo tu e il gray man. Questi stronzi devono morire.” Piegò la testa verso la spalla per cercare di asciugarsi sulla maglietta il rivolo di sangue che gli colava dal sopracciglio.
Beh, adesso siamo noi che rischiamo di morire, comunque.”
Li ammazzo prima io, quei pezzi di merda.”
Orange emise un sospiro, poi disse: “Lo sai, alle volte vorrei che tu fossi un po’ più ragionevole.”
E io invece vorrei che tu la smettessi di prendere sempre tutto come Bob Marley che si è fatto troppe canne.”
L’altro alzò le spalle. “Il più delle volte, incazzarsi non serve a niente.”
Clem non rispose, e rimasero in silenzio per un po’. Fuori ormai faceva buio, non si sentivano rumori se non quelli lontani della città. Da qualche parte, una voce di donna stava chiamando qualcuno.
Passò un tempo imprecisato, sembrava che il mondo al di fuori di quella stanza avesse semplicemente cessato di esistere. Con una certa fatica, Boyle si alzò in piedi e andò ad appoggiare l’orecchio alla porta. Rimase in ascolto per un po’, poi disse: “Io non sento niente.”
Orange, che stava sonnecchiando appoggiato alla parete, sollevò lo sguardo e chiese: “E quindi?”
Possiamo provare a scappare.”
L’altro scosse la testa. “E come, di grazia? Siamo legati, disarmati e chiusi a chiave in una cella con la porta di ferro.”
Intanto possiamo provare a liberarci dalle manette.”
Come pensi di fare?”
Coi denti. Io mordo le tue, e poi tu fai lo stesso con me.”
Orange emise un sospiro, poi rispose: “Guarda, accetto solo perché se no cominci a rompere le palle e non finisci più.” Si mise in ginocchio e protese i polsi all’indietro. “Va bene così?”
L’altro scrutò un po’ le manette del compagno, piegando la testa da una parte e dall’altra come per saggiare quale fosse la posizione più comoda per provare a tagliarle coi denti, poi avvicinò la bocca ai suoi polsi.
Non azzannarmi un braccio,” gli raccomandò Orange.
Clem riuscì a stringere fra gli incisivi un angolo della fascetta. Cercò di mordicchiarlo in vari modi, ma la plastica si rivelò più dura del previsto. Si raddrizzò ansante.
Fatto?” gli chiese Vaughan. Fece una breve risata.
Io farei meno lo spiritoso, se fossi in te, mentre sono messo a pecora e con le mani legate.”
E perché? Anche tu hai le mani legate. Non puoi mica sfoderare il minareto.”
Ma i piedi sono liberi. Posso sempre darti un calcio nel culo.”
Certo che tu sei uno con cui si parla bene, eh, Clem?”
Boyle si sedette ed emise un sospiro, poi disse: “Sono troppo dure.”
Te l’avevo detto.”
Un marine motivato fa qualsiasi cosa. Proviamo a strofinarle sul pavimento o contro il muro.”
L’altro emise un sospiro. “E se invece aspettassimo di vedere come si mettono le cose?”
Del tipo? Oh, perbacco, non ci eravamo accorti che foste due marines americani, andate pure e scusate tanto, vi avevamo scambiati per ladri di polli?”
Detto questo, Clem si avvicinò al muro e ne saggiò la ruvidezza, poi cominciò a strofinarci contro i polsi legati. Avendo le mani dietro la schiena e ormai gonfie per il ristagno del sangue, l’impresa si rivelò ben presto impossibile. “Porca troia,” imprecò sedendosi. Sulla pittura biancastra della parete erano rimaste tracce rosse. “Mi serve uno spigolo,” ringhiò torvo, “non c’è un cazzo di spigolo in questo posto?”
Orange si limitò a scuotere la testa.

Dopo un po’ si udirono dei passi e delle voci dall’altra parte della porta. Clem si raddrizzò come un cane che vede il padrone prendere il guinzaglio, e cominciò a osservare l’uscio serrato con uno sguardo che sembrava volerlo bucare. “Appena entrano io li carico,” disse sottovoce. “Tu sta pronto.”
Alle sue spalle, Orange chiese: “Scusa, pronto a cosa?”
Approfitti del casino e passi oltre.”
E poi? Una volta che sono passato mi sparano nella schiena. Chi pensi che ci sia di là, il circolo del bridge?”
Clem grugnì qualcosa di indistinto.
Subito dopo si udì il rumore dei chiavistelli che scattavano. Il marine si alzò in piedi e si molleggiò sulle gambe come per prepararsi a balzare.
Non fare l’idiota,” gli ricordò Orange.
Questi pezzi di merda mi hanno sputato addosso!”
Vaughan emise un lungo sospiro, poi replicò: “Dammi retta, fa il gray man. Non far capire agli stronzi quanto sei forte o cosa sai fare.” Voleva aggiungere altro, ma la porta si aprì e nel riquadro comparvero due uomini armati di mitra. Uno di essi disse: “Faccia al muro.”
Mentre i due erano voltati, entrarono nella cella altri uomini. Clem si sentì afferrare, di nuovo la canna di un’arma gli si piantò nella schiena. Il marine si obbligò a non reagire, e si lasciò spingere lungo un corridoio scarsamente illuminato.
Da lì arrivarono a una stanza che era una via di mezzo tra un’officina e un laboratorio, nella quale vari uomini lavoravano intorno a ordigni esplosivi perlopiù di provenienza americana. Una parte del locale era chiusa da teli di nylon, dietro i quali si vedevano sagome in movimento.
Nell’aria c’era uno strano odore, che mescolava reagenti, fumo di sigaretta e qualcosa che ricordava il tanfo acre delle interiora. Da qualche parte, qualcuno stava canticchiando.
Merda,” mormorò Clem, e chi lo stava spingendo avanti gli piantò la canna dell’arma nella schiena. “Sta zitto!” disse una voce dal tono aspro.
Fanculo!”
La canna dell’arma scomparve, per venire sostituita un attimo dopo dal suo calcio, contro la nuca. Clem grugnì di dolore.
Gray man,” gli ricordò Orange alle sue spalle, poi anche lui fu costretto a tacere nello stesso modo.

Li fecero salire su un furgone chiuso, che poi si mise in movimento.
Immediatamente, Clem cominciò a osservare ogni anfratto del cassone in cui li stavano trasportando.
Che fai?” gli chiese Orange.
L’altro lo fissò torvo, poi rispose: “Se hanno lasciato che vedessimo quella roba, è chiaro che l’intenzione è quella di farci secchi.”
Questa volta nemmeno Vaughan trovò nulla da eccepire.
Clem non aggiunse altro, e ricominciò a ispezionare l’ambiente. Alla fine annunciò: “Eccola qui.”
Cosa?”
C’è una vite sporgente, aiutami.”
Cosa vuoi fare?”
Segare le manette. Comunque, d’ora in poi il filo di kevlar me lo lego alle palle.”
Orange assunse un tono stupito. “Cosa ti vuoi legare dove?”
Il filo di kevlar serve per tagliare le cose. Ho visto un video nel quale un tizio lo usava proprio per tagliare le manette di nylon.”
Io avrei paura di castrarmi da solo, se lo tenessi dove dici tu.”
Perché sei un imbranato. Comunque adesso aiutami, dai.”

Orange aiutò il compagno per quanto poteva, e nel frattempo si poneva una serie di domande: certo, teoricamente sarebbe stata una buona idea cercare di liberarsi, ma poi? Non sapeva dove li stavano portando, né per fare cosa, ma era ben sicuro che non avrebbero aperto il portello del furgone disarmati.
Il rumore della plastica che si spaccava lo sollevò da ulteriori meditazioni. “Ecco fatto!” esclamò Clem. Si massaggiò i polsi con aria trionfante, e come Orange temeva disse: “Adesso aspetto quegli stronzi, e appena mettono dentro la testa sono cazzi loro.”
E se mettono dentro la canna di un kalashnikov?”
Clem lo fissò quasi con degnazione, poi disse: “Sai dove gliela infilo, la loro cazzo di canna di kalashnikov?”
La domanda rimase senza risposta: il furgone rallentò, si udirono rumore di metallo che sbatteva e voci, poi la consistenza del fondo stradale cambiò, divenendo notevolmente più irregolare.
Clem alzò di nuovo la testa e aggrottò le sopracciglia. “Stiamo rallentando,” disse.
Già.”
Vieni qui, ti libero le mani.”
Orange gli si avvicinò, ma in quel momento il veicolo si fermò e il motore tacque. All’esterno qualcuno disse qualcosa, e un’altra voce rispose.
La chiusura del portellone scattò.
Clem si tese, lo sguardo fisso sulla lama di luce che andava allargandosi. Poi si scatenò l’inferno.
Il marine balzò fuori, si udirono delle urla, una raffica di mitra, tramestio, imprecazioni.
Orange prese in considerazione l’idea di sporgersi per vedere cosa stava succedendo, ma valutò più prudente attendere all’interno del furgone lo svolgersi degli eventi.
Il trambusto frattanto continuava, di nuovo ci fu una salva di imprecazioni di Clem seguita da urla di dolore, questa volta non sue.
Poi cadde un silenzio sinistro.
Orange deglutì, e sogguardò il portello accostato, cercando di capire cosa stesse succedendo all’esterno. “Clem?” osò chiamare con voce sommessa.
Non gli giunse risposta.
Clem?”
Il portello venne aperto del tutto, e nel riquadro comparve un tizio ossuto, con i capelli neri e la jalabiya. Un vistoso livido gli si stava formando sullo zigomo.
Questi gli fece cenno di uscire.
Orange obbedì. Clem era sdraiato faccia a terra, immobile. Il fatto che avesse di nuovo i polsi legati faceva supporre che fosse solo svenuto. Un paio di iracheni erano in piedi e si stavano tamponando ferite, due o tre erano seduti alla base di un muro, chi tenendosi la pancia e chi con un braccio penzoloni. Uno giaceva a terra immobile, e l’angolo innaturale che la testa faceva col resto del corpo faceva capire che non era semplicemente svenuto.
Cammina!” disse un tizio, pungolandolo alla schiena con la canna del mitra. Di nuovo, Orange non oppose resistenza. A parte guardarlo da lontano, non poteva fare molto altro per Clem, inoltre voleva che tutta l’attenzione continuasse a rimanere su di lui e sulla sua tendenza a procurare lesioni traumatiche.
Diede un’occhiata in giro: erano in un edificio antico, fatto di grossi blocchi di arenaria chiara. Il vano in cui era parcheggiato il veicolo che li aveva trasportati, un furgoncino che aveva le insegne di una pasticceria, era una stanza a pianta quadrata, con il soffitto a cupola. Il pavimento era fatto di lastre di pietra consumate da secoli di utilizzo. La porta principale, di un verde sbiadito dal tempo, con punti di ruggine qua e là, era chiusa da una catena.
Qualcuno lo spinse avanti, Orange si limitò ad allungare il passo, senza reagire in alcun modo.
Lo portarono in un’altra stanza, e da lì gli fecero scendere una rampa di scale, anch’essa antica e consumata da secoli di uso.
Raggiunsero un locale quadrato e dal soffitto basso. L’aria era umida, e vi si mescolavano odore di muffa e di sostanze chimiche. Lungo le pareti si aprivano dei vani, alcuni pieni di casse e scatole, altri chiusi da porte metalliche di fattura moderna. Una delle porte fu aperta, poi lo spinsero dentro e la richiusero. Si udì lo scatto della serratura.
Orange emise un sospiro. Il posto era praticamente buio, e dentro non c’era nulla. “Nemmeno un cesso,” disse fra sé e sé. Non aveva più l’orologio, né peraltro con le mani legate avrebbe avuto modo di guardarlo, ma una cosa era certa: gli scappava disperatamente da pisciare.
Considerò l’opportunità di farsela addosso, ma stabilì di tenerla come ultima opzione. Stringendo i denti si piegò in avanti, e cercò di far scendere i polsi legati sotto il sedere. Quando, sudando e sbuffando, ebbe raggiunto il suo obiettivo, si lasciò cadere a terra. Lì si contorse e si agitò, imponendosi di ignorare le fascette che nel frattempo gli stavano tagliando i polsi e la vescica che gridava pietà, finché non riuscì a sfilare le gambe e a passarsi le mani da dietro la schiena a davanti all’addome. A quel punto, si concesse di riposarsi per qualche secondo, quindi si rialzò, raggiunse la porta e pisciò, avendo cura di dirigere il getto in modo che filtrasse all’esterno. Nonostante tutta la situazione, si trattò di un momento di puro piacere.
Una volta che si fu liberato, perlomeno dalle necessità fisiologiche, cominciò a studiare l’ambiente per trovare il modo di tagliare le manette e possibilmente anche la corda.

Clem riprese faticosamente i sensi. Era prono e con le mani legate dietro la schiena, aveva sete e male dappertutto. “Orange?” mormorò.
Non gli giunse risposta.
Orange!”
Di nuovo silenzio.
Il marine si rigirò su un fianco e cercò di capire dove si trovava: era tra mura di pietra, su un pavimento che aveva l’aspetto di terra battuta. Sembrava che accanto a lui non ci fosse nessuno, e non si sentiva alcun rumore. L’unica luce proveniva da fessure tra la porta e la parete.
Si alzò pesantemente in piedi e percorse tutto il perimetro della stanza, poi si avvicinò alla porta e cercò di guardare attraverso le fessure.
Fuori c’era un laboratorio più grande di quello che aveva visto in città. Mentre percorreva con lo sguardo le enormi quantità di materiale esplosivo ammucchiato sui tavoli, non poté fare a meno di ripensare alle parole di Miss Tette: l’Islam è amore.
“’Sto cazzo,” ringhiò a bassa voce.
Mosse le mani ormai intorpidite, reprimendo una smorfia di dolore. La porta era una semplice lastra di metallo, chiusa da una serratura. Se avesse dato un calcio nel posto giusto, con la necessaria forza, l’avrebbe fatta saltare dai cardini. Magari non al primo tentativo, ma al secondo o al terzo era sicuro che l’avrebbe sfondata.
La faccenda avrebbe creato un bel po’ di rumore, naturalmente, e quindi avrebbe richiamato parecchi fotticapre.
La prima cosa da fare, pensò, era liberarsi le mani. Arretrò verso la parete e cominciò a cercare il famoso spigolo su cui strofinare la fascetta di nylon.

§

Credevo che gli americani fossero un popolo civile.”
Orange, che stava freneticamente strofinando la fascetta di nylon su un’asperità del muro, si interruppe.
Si avvicinò alla porta e vide che vi era stato aperto uno spioncino. Al di là c’era un uomo alto e magro, di mezz’età, con la barba nera venata di grigio e una jalabiya scura. Questi, dritto in piedi e con le braccia conserte sul petto, osservava con fare critico la pozzanghera che si era allargata davanti alla cella.
È per non far avvicinare i malintenzionati,” rispose il marine. “Non avendo armi, mi sono arrangiato come potevo.”
L’altro annuì, poi rispose: “Immagino che questo sia un esempio del vostro tanto decantato umorismo.”
Penso proprio di sì, signor…?”
L’altro ignorò la domanda. “Sa perché si trova qui?” chiese poi.
Aspetto di apprenderlo da lei.”
Visto che tra un po’ morirà, perché non dirglielo?”
Vaughan si obbligò a mantenere un tono ironico. “Già, perché no?”
L’uomo rivolse lo sguardo verso lo spioncino, poi disse: “Cercavamo da tempo un modo per entrare nella base americana, e voi due stupidi soldati ce ne avete fornito uno perfetto.”
Orange aggrottò le sopracciglia. “Sarebbe?”
L’altro emise un sospiro, poi spiegò: “Vede, mi è capitato qualche volta di recarmi nel vostro decadente e amorale paese. In una di quelle occasioni sono stato a Washington, e ho visitato il Vietnam Memorial, dove celebrate i caduti di una delle vostre guerre imperialiste.” Fece una pausa, forse aspettandosi che Orange replicasse, ma il marine rimase in silenzio. “Una cosa mi ha colpito,” proseguì allora l’uomo, “ed è la pervicacia con cui raccogliete i corpi dei vostri caduti. Nessuno viene lasciato indietro, giusto?”
A quel punto rivolse lo sguardo all’interno della cella.
Giusto,” rispose Orange.
Molto bene. Quindi è plausibile che i corpi di due marines siano raccolti e portati all’interno del campo per essere poi inviati in Patria, non è vero?”
Non lo so,” rispose vago Orange.
Oh, non finga di non saperlo. Certo che è così.”
Beh, e quindi? Anche se fosse?”
Ha mai sentito parlare del Cavallo di Troia? Qualcuno trova una cosa interessante e se la porta all’interno delle fortificazioni, e poi...” Mimò il gesto di un’esplosione.
Vaughan non rispose. Cominciava a capire cosa stesse per succedere: aveva sentito parlare di corpi bomba, ovvero cadaveri che venivano svuotati degli organi interni e riempiti di esplosivo, ma non aveva mai pensato di essere a rischio di trasformarsi in uno di essi. Deglutì e involontariamente si toccò l’addome.
Guardò attraverso lo spioncino: l’uomo lo stava fissando, ne incontrò lo sguardo grifagno. Si ritrasse verso il fondo della cella, più che mai deciso a liberarsi delle manette e cercare un modo per uscire di lì il prima possibile.
Si chiese dove fosse Clem, se fosse ancora vivo. Certo doveva starcene un bel po’ di C4 in un corpo così grande.
Capiranno che siamo stati svuotati e ricuciti.”
L’altro scosse la testa. “Di nuovo chiederò aiuto alla vostra cosiddetta cultura per farle capire cosa intendo: lei ha presente cosa succede al tacchino il giorno del ringraziamento?”
Nonostante i suoi fermi proponimenti, a quelle parole Orange non riuscì più a fare il gray man, e inorridito replicò: “Ci vorreste svuotare e riempire di nuovo passando dal culo?”
Io mi sarei espresso in termini meno volgari, ma il concetto è quello.”
Dal culo? Ma siete fuori di testa?”
L’altro lo fissò con sussiego. “Curioso che di tutto quello che le ho detto, sia proprio questo particolare a colpirla maggiormente.”
Voi siete fuori di testa,” ripeté il marine. “Voi avete dei problemi.”
Sono d’accordo: il principale di essi è la presenza di soldati americani sul territorio iracheno.”

Rimasto solo, Orange per un po’ non fece altro che pensare con orrore ai talebani che prima lo svuotavano e poi gli infilavano dentro panetti di plastico attraverso il culo. Poi, quando riuscì a raggiungere uno stato di approssimativa calma, tornò a palpare la parete, alla ricerca di asperità particolarmente pronunciate, che gli consentissero di liberarsi finalmente delle manette.
Mentre era così impegnato, udì dei rumori all’esterno. Si affacciò allo spioncino, che era rimasto aperto, e vide che da uno dei vani che si affacciavano sulla stanza stava uscendo un uomo. Questi aveva in mano una torcia elettrica, che spense e appoggiò in una nicchia del muro con un gesto che aveva la naturalezza dell’abitudine, poi scomparve su per le scale.
La cosa incuriosì il marine, che ricordava di aver visto lampadine funzionanti ovunque.
Si trovò a rimuginare su quel particolare, così come sul fatto che la costruzione in cui si trovava aveva un aspetto molto antico. Rimpianse di non aver chiesto a quel tronfio farcitore di tacchini dove si trovassero: era certo che nella sua boria gli avrebbe anche risposto.

§

Le manette di nylon cedettero, Boyle dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non prorompere in un urlo di trionfo. Si massaggiò i polsi e poi aprì e chiuse le mani, compiacendosi di come i muscoli si tendevano sui suoi poderosi avambracci.
Si avvicinò di nuovo alle fessure tra porta e muro e guardò fuori: nel laboratorio non c’era nessuno.
Considerò che doveva essere ormai piena notte, il che significava essenzialmente che il numero di fotticapre presenti nella struttura doveva essere al minimo.
Fissò la porta e assunse l’espressione del toro che si prepara a caricare, poi arretrò di nuovo, prese tutta la rincorsa che l’angusta cella gli consentiva e si lanciò come un treno contro l’ostacolo.
La porta letteralmente esplose. La serratura venne strappata via assieme a tutto il blocco di malta con cui era stata cementata al muro, e finì nel bel mezzo della stanza. L’anta sbatté contro la parete con un rimbombo da fine del mondo.
Clem uscì di corsa, e mentre tendeva l’orecchio a eventuali rumori in avvicinamento, cercò di dare un’occhiata intorno. Lo colpì un tavolo d’acciaio come quelli degli obitori, accanto al quale era pronto un assortimento dei più comuni strumenti chirurgici.
Aggrottò le sopracciglia perplesso, poi afferrò tutti i bisturi e se li ficcò nella tasca che aveva sulla coscia. Continuò a scrutare in giro.
Dei passi in avvicinamento lo richiamarono alla realtà: abbandonò l’osservazione e si nascose dietro una colonna.
Arrivò di corsa un uomo armato di AK-47, che subito si accorse che la porta della cella era aperta. Si affacciò all’interno e constatò che era vuota. Clem si fece avanti, e appena l’uomo si girò per dare l’allarme, provvide a spedirlo nel paradiso di Allah tagliandogli la gola con uno dei bisturi. Poi raccolse il suo Kalashnikov, richiuse la cella meglio che poté, con il fotticapre dentro, e si allontanò rapido.

Un poderoso rimbombo metallico costrinse Orange a interrompere il suo frenetico lavoro di limatura delle manette. Il marine alzò la testa e rimase in ascolto, ma non giunsero altri rumori. Si avvicinò cauto allo spioncino, cercando di capire cosa stesse succedendo, ma fuori c'era solo il silenzio corposo della piena notte. La lampadina fioca che illuminava le scale non mostrava nulla di diverso dal solito.
Pensò a Clem: l'unico che poteva aver fatto un casino del genere era lui. Si chiese cosa gli stesse succedendo, e a quel pensiero le sue dita involontariamente si strinsero sulle due sbarre che chiudevano lo spioncino.
Non che fosse molto religioso, sua nonna aveva provato a portarlo con sé in chiesa un paio di volte, ma lui si era invariabilmente addormentato, e l'avevano mandato fuori perché russava, ma in quel momento gli sorse spontanea una preghiera vagamente modellata sulla celebre invocazione di Conan il Barbaro: “Senti, Dio, non ti ho mai pregato fino ad ora, non saprei come farlo. Però so che questi qua ti vogliono pisciare in testa, e l'unico in grado di impedirlo è il marine Clement Boyle. Per cui, ascolta la mia unica preghiera: fa' che rimanga sano e salvo. E se non lo aiuti, allora vuol dire che non te ne frega niente di essere più grosso di Allah.”
Al piano di sopra si udirono il crepitare di una raffica di mitra, alcune parole inintelligibili, un forte e chiaro “Bastardi!”, altre raffiche e tramestio confuso.
Di nuovo, Orange si aggrappò alle sbarre dello spioncino tentando di guardare fuori, poi riprese a strofinare le fascette di nylon contro una pietra ruvida. Nel movimento si graffiava spesso anche la pelle sottile dei polsi, ma si accorse di non sentire alcun dolore. Intensificò anzi gli sforzi, fregandosene se ad ogni passaggio lasciava sul muro tracce rosse.
Poi sentì un grido belluino: “Orange!”
Il marine interruppe il suo lavoro e rimase in ascolto.
Il grido si ripeté: “Orange, amico, dimmi qualcosa!”
Sono qui!” gridò Vaughan a pieni polmoni. “Qui sotto!”
Dove?”
Le scale!”
Un attimo dopo sentì un tramestio concitato, e sui gradini comparve la poderosa figura di Clem. Il marine imbracciava un Kalashnikov, aveva una Beretta di provenienza americana infilata nella cintura e un grappolo di granate a mano M67 appeso al collo. “Avrò un milione di fotticammelli dietro al culo!” esclamò.
Si girò e sparò un paio di raffiche, poi fece cadere il caricatore vuoto, ne infilò nell'AK-47 uno pieno e raggiunse la porta della cella. “Tutto bene?” s'informò.
Fammi uscire, Clem.”
L'altro si guardò intorno. “E poi dove cazzo andiamo?”
Dall'alto provenivano rochi richiami e tramestio.
Tu intanto fammi uscire.”
L'altro si guardò intorno alla ricerca di ispirazione, poi propose: “Sdraiati a terra faccia in giù in fondo alla cella, io butto una granata contro la porta.”
Sei scemo? Non ci tengo a ritornare a Camp Courage in una scatola da scarpe.”
Sentiamo la tua idea, allora.”
Prova a sparare alla serratura.”
Clem si tolse il mitra dalla spalla. “Poi non ti lamentare se ti arriva qualche pallottola.”
Meglio una pallottola che finire spalmato sulle pareti della cella.”
Esagerato,” disse l'altro, ma la risposta si perse, coperta dalla raffica del Kalashnikov. Alcune pallottole fischiarono minacciose e rimbalzarono contro le pareti, ma la serratura dopo un po' cedette, e Boyle fece il resto a mani nude. Prese uno dei bisturi e tagliò quello che rimaneva delle manette del compagno, poi i due si guardarono intorno desolati. “Non ci sono uscite,” grugnì Clem.
Torniamo su?”
Stai scherzando? Ci sono più fotticammelli che alla Mecca di venerdì.”
Qualcosa di rotondo scese rimbalzando sui gradini.
Cazzo!” urlò Clem, quindi afferrò il compagno e si buttò dentro la cella.
L'esplosione fu così forte che i due si sentirono letteralmente risucchiare l'aria dai polmoni. Il mondo si fece dapprima completamente buio, poi ricomparve una debole luce caliginosa. Sassi e calcinacci rotolarono dappertutto.
Seguirono lunghi secondi di silenzio.
Il primo ad alzarsi fu Clem, che si scrollò di dosso il pietrisco con le orecchie che gli fischiavano, si spolverò alla meglio l'uniforme sollevando dense nuvole grigiastre e disse: “Che cazzo di botto.” Poi si voltò verso il compagno e premurosamente lo estrasse da sotto le macerie. “Orange?” chiamò, dandogli qualche schiaffetto per rianimarlo. “Orange, sei a posto?”
Secondo te?” biascicò l'altro.
Dobbiamo andarcene.”
Ancora intontito, Vaughan mormorò: “Dove?”
Da qualsiasi parte che non sia qui. Tra un po' verranno a vedere se siamo morti.”
L'esplosione aveva fatto crollare una parte del soffitto, e fiochi raggi di luce cadevano dall'alto, delineando i contorni delle cose. Il vano da cui era uscito l'uomo con la torcia era stato sventrato dall'esplosione, e il fondo di esso si allungava in un antro buio. “Qui dentro,” propose Clem.

Camminarono per un po' tentoni lungo il muro, poi Clem disse: “La stanza non finisce.”
In che senso, non finisce?”
Non c'è il fondo. Ma quanto cazzo è grande?”
Tenendo una mano saldamente contro la parete, Orange allungò l’altro braccio. Per un po' brancolò nel buio pesto, poi le sue dita sfiorarono una superficie ruvida. “Mi sa che l'ho trovato,” disse.
Cosa?”
L’altro muro, è davanti a noi. Penso che sia un tunnel, sto toccando le due pareti.”
Stava per aggiungere altro, ma in quel momento alle loro spalle cominciarono a farsi udire delle voci. Erano vari uomini, e parlavano in arabo. Egli si irrigidì e nel buio cercò di afferrare qualsiasi parte di Clem si trovasse a portata di mano, per evitare che partisse a testa bassa contro gli iracheni in arrivo. Un pennello di luce spazzò l'imboccatura del cunicolo, si udirono dei passi cauti sulle pietre.
Al pur minimo riverbero della torcia sulle pareti, Orange si voltò verso il compagno e gli fece cenno di tacere, poi si appiattì ulteriormente. Un sassolino però gli scivolò da sotto il piede rotolando via con un lieve rumore.
Il pennello di luce, che sembrava già diretto altrove, immediatamente tornò indietro, e ricominciò a percorrere attento il vano.
Andò su e giù due o tre volte, sempre più lento e indagatore, poi si udirono dei passi in avvicinamento. Orange sentì che Clem si svincolava adagio ma inesorabilmente dalla sua presa, e sperò che almeno facesse ciò che aveva intenzione di fare in modo rapido, pulito ma soprattutto silenzioso. Gli rivolse un'occhiata implorante, ma nel buio quasi completo l'altro non la colse. Lo vide frugarsi nella tasca sulla coscia e tirare fuori qualcosa.
Poi si udirono un lieve tramestio, un rumore vagamente liquido e un mugolio un po’ gorgogliante. Qualcosa sussultò un paio di volte sul pavimento, poi si afflosciò e giacque inerte. “Raccogli la torcia,” suggerì Clem sottovoce.
Orange prese l'oggetto e fece scorrere la luce lungo il muro, che a quel punto era schizzato di rosso peggio che in un horror sui cannibali: il fascio si perse nel buio e vi scomparve. “È una galleria,” sussurrò il marine.
Beh, entriamoci,” disse l'altro.
Non sappiamo dove va a finire.”
A quel punto, si fece udire un richiamo. I due si irrigidirono, Orange spense la torcia.
Il richiamo si ripeté più forte, e all'unisono i due soldati abbassarono lo sguardo sul cadavere ai loro piedi. Clem staccò silenziosamente una granata dal grappolo che portava al collo.
L'altro gli fece un inorridito cenno negativo, ma il primo tolse la sicura, mantenendo poi la leva abbassata con la mano.
Dei passi cominciarono ad avvicinarsi, altre torce fendettero le tenebre. Infine, delle figure si affacciarono all'imboccatura della galleria.
Orange si immobilizzò. Clem a quel punto lo afferrò per la collottola, e trascinandolo di peso arretrò nel buio. Si udì il rumore di un oggetto metallico che rimbalzava, poi sembrò che fosse arrivata la fine del mondo: dapprima ci fu un accecante lampo arancione, poi un’esplosione che li scaraventò a parecchi metri di distanza, lasciandoli rintronati e pesti. Con un rombo cupo, la volta della galleria alle loro spalle crollò.
Quando la polvere si fu dissipata, i due si voltarono e si accorsero che il lume del tunnel era completamente ostruito da tonnellate e tonnellate di pietre.


   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned