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Autore: Nereisi    22/06/2018    3 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note autrice: Indovinate chi ha due pollici e non ha ancora scritto 10 capitoli ma posta lo stesso? *Indica sé stessa* Nereisi! Come va? 
Cavolate a parte, oggi è un giorno speciale. Oggi è il giorno in cui torno in possesso della mia libertà. OGGI è IL GIORNO IN CUI HO FINITO LA MIA SESSIONE D'ESAMI! Ancora non ci credo e mi viene da piangere, ma è finalmente giunto. Ancora non so gli esiti degli ultimi tre che ho fatto ma arrivata a questo punto nemmeno mi importa. Volevo coccolarmi (e coccolarvi) con un altro capitolo, vedere la mia creatura crescere e - se tutto va bene - ottenere un po' di feedback. Prossimamente dovrò destreggiarmi con 2 lavori, lo studio per la prossima sessione (altrimenti vado fuori corso HALP) e le traduzioni per i miei profili secondari su EFP, ma per i primi di luglio mi trasferisco nella casa nuova con una camera *SINGOLA* (grazie al cielo) quindi avrò molto più tempo per scrivere. E fidatevi che la voglia non mi manca, specialmente dopo aver letto gli ultimi capitoli di One Piece.

Ringrazio chi mi ha aspettato e chi mi aspetterà in futuro, mi impegnerò al massimo per non farvi attendere millenni per il prossimo aggiornamento (a cui metterò mano appena finito di pubblicare questo!). Spero che il capitolo vi piaccia, buona lettura!

P.S. Sì, avevo sbagliato a inserire i titoli dei capitoli! Perdonatemi, ora li ho sistemati.
 
 
 Barefoot
- Tiptoeing -


L’atterraggio sulla Sunny fu turbolento.
Chopper, sfruttando la sua forma quadrupede, riuscì a mantenere l’equilibrio, atterrando senza problemi con Nird e Nafar sulla schiena. Nami si dovette aggrappare a Luffy all’ultimo momento, dimenticandosi del poco amor proprio del ragazzo e finendo a ruzzolare sul legno. Il capitano si ricordò solo all’ultimo secondo della ragazza ferita tra le proprie braccia e cercò di attutire la caduta come meglio poté, senza troppo successo, rotolando malamente sul ponte.

Franky e gli altri erano riusciti ad arrivare alla Sunny, ma difenderla dai marines si era rivelato faticoso dal momento che nello stesso porto era ancorata una nave della Marina che continuava a rigurgitare soldati. Erano riusciti a far salire Zoro, Brook e Sanji prima di salpare in tutta fretta, preferendo difendersi a distanza con i cannoni e gli attacchi di Usopp. I restanti membri della ciurma erano scappati di tetto in tetto, con gli inseguitori che sparavano verso di loro dalle strade. Quando erano riusciti a raggiungere la costa la Sunny era ormai troppo lontana. Luffy stava per far scattare il proprio braccio verso la nave, ma Chopper lo aveva fermato, facendogli notare le condizioni della ragazza fra le sue braccia: era troppo debole e malconcia per poter sopportare un urto del genere. Fu solo grazie all’intervento di Nami, che usò il suo Clima Tact per creare una Milky Road, che riuscirono a coprire la maggior parte della distanza tra loro e la nave, dovendo poi comunque arrivarci con un salto.

“Nami-swan!” Sanji corse al suo fianco, aiutandola a rialzarsi. “Maledetta testa vuota! Non potevi fare più attenzione?! Nami-swan si è ferita!” Berciò contro Luffy, indicando i tagli e le escoriazioni che ricoprivano gambe e braccia della navigatrice.
“Chopper, come sta?” Fece Luffy, ignorandolo. Aveva disteso la ragazza svenuta sul ponte più gentilmente che poteva, lanciando delle occhiate colpevoli alla gamba ferita. La renna, tornata nella sua forma normale, si avvicinò per ispezionarla. “Potevi essere più attento nell’atterrare, ma per il resto sembra che le sue condizioni siano uguali a prima. La devo operare al più presto però, sta perdendo troppo sangue.” Disse, arricciando il naso blu con fare preoccupato.
“Ma… questi bambini?” Chiese Usopp, adocchiando i nuovi arrivati smontati dalla schiena di Chopper. “Non sono quelli di prima? Li avete salvati!”
“Chi è quel bocciolo di neve?!” Ululò Sanji quando vide l’oggetto delle attenzioni di Luffy. “Perché è ferita?! Sarà meglio per te che non sia stato tu a farlo del male, brutto-!”

“Cosa ci fanno dei mocciosi sulla nave? Non potevate rispedirli ai loro genitori?” Ringhiò Zoro, per nulla contento della situazione.
“E come avremmo potuto?! Ce li avevamo alle calcagna!” Lo zittì Nami con fare irritato, avvicinandosi al parapetto della nave. Si lasciò scappare un urletto quando delle palle di cannone fischiarono, schiantandosi nell’acqua vicino alla Sunny e mancandoli di poco. “Chopper, dovrai operarla più tardi. Stanno uscendo anche loro dal porto, dobbiamo seminarli con un Coup De Burst! Franky?”
“Ah?” Fece Franky, smettendo di pavoneggiarsi davanti a due estatici Nird e Nafar. “A-Aw! Certo, è tutto superrr-pronto, vado subito!” Disse correndo via.
“Luffy, portala sotto coperta… meglio se in infermeria. I letti sono inchiodati al pavimento, se la mettiamo lì non si farà del male quando partiremo.” Disse Chopper. Luffy annuì con uno sguardo serio. Si chinò a prenderla di nuovo fra le braccia – questa volta facendo più attenzione che poteva – e si affrettò verso la porta. Chopper gliela aprì, girandosi verso i fratellini e facendo cenno anche a loro di seguirli.

Quando la porta si chiuse, Zoro si girò verso la navigatrice, scocciato. “Allora, cos’è questa storia? Chi è quella tizia? Perché ci sono dei mocciosi sulla dannata nave?”
“Era lei il rapitore, vero?” Fece Usopp. Robin e gli altri si girarono a guardarlo, sorpresi, e lui si rimpicciolì, stringendosi nelle spalle. “V-voglio dire… giusto? Erano i suoi vestiti, no? E quelle gambe bendate… la ferita…” Balbettò.
“Come ho fatto a non notarlo?! Quelle gambe così perfette e affusolate, bellissime e riconoscibili nonostante fossero coperte… Perché non ci ho pensato subito?!” Esclamò Sanji, prendendosi la testa fra le mani. Zoro girò gli occhi.

“Ora non è proprio il momento di sedersi a tavolino!” Berciò Nami. “Ora pensiamo a scappare, a dopo le spiegazioni!” Disse, aggrappandosi all’albero maestro con tutte le sue forze.
“Sistema di fuga di emergenza, in funzione! Tre…” Si sentì Franky urlare.
“Tenetevi!” Gridò Nami.
“Due…”
Robin fece fiorire delle mani per ulteriore sicurezza. Zoro per buona misura piantò Wado nel legno.
“Uno…”
Nami strinse gli occhi.
“Coup De Burst!” Urlò Franky.
La Thousand Sunny si impennò, scattando bruscamente in avanti con una potenza inaudita.
In pochi, insignificanti istanti Namea non fu più visibile nemmeno come puntino all’orizzonte.
 
 
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Quando la Sunny impattò di nuovo con l’acqua, l’intera nave fu scossa da cima a fondo con violenza.
All’interno dell’infermeria, Chopper mantenne il suo Guard Point finché la Sunny non smise di tremare, premendo i due bambini contro il muro con il suo corpo morbido per evitare che andassero a sbattere da qualche parte. Grazie alla previdenza di Franky mentre stava progettando la Thousand Sunny, in quella stanza quasi tutto era assicurato al pavimento; persino alcuni scompartimenti all’interno dei mobili erano avvitati all’interno in modo che fiale e altri oggetti fragili non si spaccassero. Anche i letti erano inchiodati, ma Luffy aveva fatto in tempo solo ad adagiare la ragazza su uno di essi prima che Franky urlasse l’avviso all’interfono. Per evitare che venisse catapultata per terra o contro una parete, Luffy si era dovuto praticamente lanciare su di lei, tenendola ferma sul letto maldestramente con il proprio corpo; Chopper invece aveva pensato ai bambini.

“È tutto a posto, siamo atterrati.” Li rassicurò mentre si sgonfiava.
“Atterrati?” Chiese Nafar, confuso. “Abbiamo volato?”
 “Ehm… diciamo di sì.” Rispose sbrigativamente il medico. Non aveva voglia di spiegare che avevano percorso una distanza gigantesca usando una propulsione che era, in fin dei conti, una grandissima scorreggia.
“Wow, forte!” Esclamò estasiato il più piccolo. Chopper gli sorrise nervosamente. Avendo usato il Coup De Burst, Namea era sicuramente scomparsa all’orizzonte, ma i genitori di Nird e Nafar erano rimasti su quell’isola. Chopper strinse le labbra, scuotendo la testa. Ci avrebbero pensato più tardi, ora c’erano problemi più urgenti che necessitavano la sua attenzione.
Il dottore corse ad affiancare Luffy, salendo sulla sedia di fianco al letto per vedere meglio.
“Come sta, Chopper?”

La renna corrucciò lo sguardo. “Deve essere operata subito. Era già debole prima e sta perdendo troppo sangue. Devo levare il proiettile, prima di tutto.” Si girò verso Luffy. “Porta via i bambini, per favore. E ricordati di lavarti e cambiarti i vestiti, sei sporco di sangue.”
Luffy annuì, seguendo le indicazioni senza fiatare.

Chopper non lo aveva mai detto ad alta voce ma lo commuoveva il modo in cui Luffy si fidava ciecamente di lui, specialmente nell’ambito medico. Saltando giù dalla sedia per andare a lavarsi le mani ed indossare il camice, Chopper si meravigliò per l’ennesima volta della particolarità del loro capitano. Un rapporto paritario di questo tipo non l’aveva mai sentito prima. Erano pochissime le ciurme che vantavano un rapporto simile con il loro capitano, dove lo chiamavano per nome, ci dormivano insieme e gli davano direttive. Forse loro erano addirittura gli unici. Chopper sorrise. Non avrebbe scambiato la sua ciurma per niente al mondo.

Chopper afferrò la valigetta che conteneva gli strumenti per le operazioni chirurgiche, arrampicandosi di nuovo sulla sedia. Studiò il viso della ragazza stesa sul lettino. Si vedeva che era magra già di suo, ma l’evidente digiuno le aveva teso la pelle sopra gli zigomi. Le labbra piene erano secche. I capelli – che Chopper scoprì essere bianchi – erano arruffati e sporchi. In generale, sia lei che i suoi vestiti erano ricoperti da uno strado di polvere e sporco che faceva pensare che non si lavasse da un po’. Arricciò il naso. Una volta finito, avrebbe dovuto chiedere a Nami e Robin di lavarla. Si sarebbe sentita meglio e le sue ferite si sarebbero infettate con minore probabilità. Gettò velocemente uno sguardo alle braccia e ai fianchi della ragazza. Sì, aveva un assoluto bisogno di mangiare. Sanji sarebbe stato informato al più presto.

Saltò direttamente sul letto, appoggiando la valigetta sulla sedia e aprendola. Si girò, adocchiando la gamba ferita. Corrugò la fronte. Stava perdendo fin troppo sangue, imbrattando il lettino e le lenzuola. Chopper si chiese quanto il proiettile fosse andato vicino all’arteria femorale. Forse troppo.
Cercando di ignorare l’odore ferroso che gli assaltava le narici, la piccola renna si rimboccò le maniche con un’espressione decisa. Aveva del lavoro da fare.
 
 
 
 
 
Chopper si lasciò cadere sul sedere, distrutto. L’operazione non era durata a lungo, ma era stata stancante. Il proiettile aveva sfiorato il femore, fortunatamente senza toccarlo, e si era fermato pochissimi millimetri prima dell’arteria femorale. Se l’avesse raggiunta, probabilmente si sarebbe dissanguata senza che Chopper potesse fare nulla: l’arteria femorale era importante quanto quella carotidea, sarebbe stato come avere una lama puntata alla gola.
Ora che era tutto finito e aveva terminato la sutura, poteva riprendere fiato. La ragazza, nonostante fosse ancora debolissima, era fuori dall’immediato pericolo. Sembrava essere molto resistente visto come era riuscita a scappare, correndo e saltando sui tetti in quelle condizioni e persino trasportando altre due persone. Con un grosso sospiro, la piccola renna si rimise in piedi e zampettò di nuovo al fianco della ragazza.

Sebbene fosse svenuta, Chopper l’aveva comunque anestetizzata – se si fosse svegliata nel bel mezzo dell’operazione chirurgica sarebbe stata una catastrofe – e per poter lavorare aveva dovuto togliere parte delle bende che avvolgevano la gamba ferita. Prima non ci aveva fatto granché caso, era concentrato sul proprio lavoro, ma aveva visto qualcosa. Allungò lo zoccolo verso un lembo della benda, scoprendo la parte alta della coscia. Lì, sul fianco esterno della gamba, un intricato tatuaggio in inchiostro nero spiccava sulla pelle.

Preso dalla curiosità, Chopper continuò a liberare la gamba dalle bende. Erano sporche e sgualcite, più che per medicare sembravano essere lì per celare e basta. Mano a mano che svolgeva il tessuto il tatuaggio continuava a percorrere la gamba, unico marchio sulla pelle abbronzata. Una volta svelata tutta la gamba, Chopper controllò l’arto da cima a fondo. Non c’era nessun tipo di ferita, escoriazione, taglio o cicatrice. L’unica cosa che adornava tutto il lato esterno della gamba della ragazza, dalla coscia fino alla caviglia, era quel tatuaggio. Il dottore piegò la testa di lato, confuso. Era contento che non ci fossero ferite - quelle bende sozze l’avrebbero sicuramente peggiorate - ma… Allora a cosa servivano?

Gettò uno sguardo verso l’altra gamba e provò a sciogliere le bende strette al piede destro. Un ricciolo di inchiostro fece capolino da sotto il tessuto. Chopper andò ad affiancare la gamba destra, liberando anche quella dalle bende, e lo stesso identico tatuaggio si palesò sulla pelle della ragazza, gemello e specchio di quello sulla gamba sinistra. Ancora, nessuna ferita.

Chopper raccolse alla bell’e meglio le bende sporche, saltando giù dal letto e andando a buttarle via. Non sapeva quale fosse stato il loro scopo, ma se proprio ne aveva bisogno poteva benissimo procurarle delle bende pulite dal suo mobile. Sicuramente, sporche e danneggiate com’erano, non l’avrebbero aiutata molto. La renna si girò, adocchiando il lettino sporco di sangue, le lenzuola macchiate e l’aspetto malconcio della ragazza. Chiunque fosse, aveva bisogno di un bagno e di vestiti puliti.

Zampettò verso la porta, ma appena la aprì si trovò davanti un piccolo siparietto: Luffy addormentato e steso per terra, Nami seduta a fianco a lui e Sanji che marciava avanti e indietro per il corridoio, la disperazione negli occhi.
Appena notarono la porta aprirsi, le due donne gli diedero subito tutta la loro attenzione. “Come sta?” Chiese Nami. Luffy si svegliò a causa del baccano e portò subito gli occhi onice a fissarlo. Sanji si materializzò immediatamente di fianco alla porta, cercando di sbirciare all’interno dell’infermeria ma non osando interrompere la sua musa.

“L’operazione è andata a buon fine e non ci sono state complicanze, quindi… vivrà.” A questo, Sanji e Luffy tirarono un sospiro di sollievo. “È stata molto fortunata, però. Il proiettile ha mancato di pochissimo l’arteria femorale e ha perso moltissimo sangue. In aggiunta a questo, sembra che non abbia mangiato per giorni, ha bisogno di cibo e riposo.”
Un’ombra passò sul volto di Sanji. “Vado a preparar-“
“No, Sanji, aspetta.” Lo interruppe Chopper. “In questo momento è incosciente a causa dell’anestesia. Rimarrà addormentata come minimo un giorno a causa dei farmaci. Fino a che non si sveglierà le somministrerò fluidi e nutrienti per endovena.” Sospirò.
“Ora cosa si fa?” Chiese Luffy, lanciando un’occhiata verso il lettino.
“Possiamo solo aspettare che si svegli per conto proprio.”
Un breve silenzio seguì le parole del piccolo dottore.

“Direi che sia ora di riunirci e discutere di quello che abbiamo scoperto.” Disse Nami, decisiva.
Chopper annuì. “Dammi solo un minuto, voglio spostarla e metterla in un altro letto.” Disse, passando nella sua forma umanoide. “Non voglio farla dormire nel proprio sangue, ne ha perso davvero molto. Le attacco una borsa di fluidi e vi raggiungo.”
“Va bene, ci vediamo in mensa allora!” Esclamò Luffy. “I bambini hanno già mangiato e sono andati a letto, ma io ho una fame che non ci vedo!” Disse, ammiccando in direzione di Sanji.
Il povero cuoco alzò gli occhi al cielo. “Parli come se non mangiassi da tre giorni.”
Luffy gli fece il broncio. “Non mangio da tre ore, è comunque terribile!”
 
 
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“Bene, eccoci qui.” Esordì Nami, sedendosi al tavolo. Un piatto fumante le si materializzò immediatamente sotto il naso, accompagnato da un leggero profumo di acqua di colonia e sigaretta. La navigatrice sorrise, osservando Sanji servire tutti gli altri – Robin immediatamente dopo di lei – prima di servire sé stesso.
“Già, eccoci qui!” Le fece eco Luffy, lanciandosi sul proprio piatto con veemenza.
“Che giornata, eh?” Sospirò Franky, rilassando la schiena contro la sedia.
“Già…” Esalò Usopp, imitandolo.

“Allora, si può sapere cosa è successo?” Esordì impaziente Zoro. “Vi lasciamo che state inseguendo il rapitore e ci ritroviamo a bordo i bambini rapiti e il rapitore stesso-“
“Che a quanto pare è una ragazza!” Cinguettò Sanji interrompendolo.
Zoro ringhiò, facendo appello alla propria pazienza per non affettare il cuoco di bordo. “… Il punto è: che diavolo è successo? Perché l’avete portata qui? E perché ci sono dei dannati mocciosi sulla nave?!” Berciò sbattendo il proprio boccale di birra sul tavolo.
“Calma i bollenti spiriti.” Gli sibilò Nami. “Tanto per cominciare, quella ragazza non è il rapitore che stavamo cercando.”
“Già!” Esclamò allegro Luffy addentando una coscia di pollo. “Lei stava proteggendo i bambini! E pensava che noi volessimo far loro del male. Avreste dovuto vederla, era pronta anche a battersi con noi tre!” Disse, gesticolando con l’osso in mano. “Ed era pure ferita! Mi piace! Non vedo l’ora che si svegli!” Rise.
“Mh.” Fece Zoro. “Battersi con tre persone ferita e indebolita com’era? Ce la vedo proprio.” Disse, sarcastico.
“Infatti, ad onor del vero, è svenuta pochi secondi dopo.” Intervenne Chopper, tenendo fra gli zoccoli il suo bicchiere di succo. Zoro si strinse nelle spalle come a dire Appunto.
“Era ferita e non mangiava da giorni.” Ringhiò Sanji. “E le hanno sparato. Ha perso un sacco di sangue.”
“Io me la sarei cavata in situazioni peggiori.” Sbuffò Zoro, per niente impressionato.

“Oltre alla ragazza, abbiamo scoperto un’altra cosa. E non è una cosa bella.” Fece Nami, grave. Tutti gli altri si fecero attenti. “Sappiamo chi ha tentato di rapire Nird e Nafar. E chi ha rapito tutti gli altri bambini.”
“Chi è stato?” Domandò Brook, poggiando la sua tazza di tè.
Nami prese un grosso respiro. “La Marina.”
Sul tavolo calò un silenzio glaciale.

“C-come?” Balbettò Usopp, incredulo.
“Questo spiega perché hanno sparato sulla ragazza non curandosi dei bambini che aveva con sé.” Osservò Robin, prendendosi il mento fra le dita. “Anzi, forse lo hanno fatto apposta, per zittirli. Per far sì che non raccontassero quello che gli era successo…”
“Nird e Nafar non sanno chi ha tentato di rapirli. Non sanno che erano marines.” Disse Nami.

“Gambelunghe non voleva che lo sapessero. Mi ha detto di non farli guardare.” Bofonchiò Luffy.
Usopp inclinò la testa. “Gambelunghe?”
“Beh, non sappiamo il suo nome. Finché non si sveglia la chiameremo così!” Nami alzò gli occhi al cielo.

“Non so perché ci abbia chiesto questa cosa, ma finché non si sveglierà penso che sia meglio rispettare la sua richiesta.” Disse Chopper.
“Sono d’accordo.” Svariate teste si girarono nella sua direzione, delle espressioni stupite ad adornarne i volti. Nami sospirò. “Sentite, non va nemmeno a me a genio l’idea di avere una perfetta sconosciuta a bordo ma anche se non sappiamo chi sia, sappiamo due cose:” Spiegò. Alzò l’indice. “La prima, la più ovvia ed apparente, è che ha difeso i bambini. Quindi, in teoria, non fa parte dei nostri nemici. Li ha liberati e stavano fuggendo insieme dalla marina. Inoltre, come ha sottolineato Luffy,” Il diretto interessato alzò la testa dal piatto, curioso. “era pronta a combattere per difenderli.”
Chopper abbassò gli occhi. “E questo nonostante le condizioni in cui era.”

Nami annuì. “Questo rafforza l’ipotesi che non sia un nemico. Anzi, potrebbe diventare un alleato. E questo mi porta alla seconda cosa.” Aggiunse, alzando un altro dito. “Credo che lei sappia qualcosa riguardo ai rapimenti. A chi c’è dietro, al loro obiettivo e chissà cos’altro.”
Franky incrociò le ingombranti braccia meccaniche, soppesando l’idea. “Beh. Sì, potrebbe essere.”

“Da quello che ci avete riferito, potrebbe essere più di una semplice possibilità.” Disse Robin accavallando le gambe. “Prima ho parlato con i piccoli. Mi hanno assicurato di non conoscere la... Miss Gambelunghe” Cedette, sorridendo al suo capitano. Luffy le sparò un sorriso smagliante. “nemmeno dopo averla vista senza mantello e cappuccio. Come faceva a sapere del rapimento se non li conosceva?” Ragionò ad alta voce. “Sapeva già da prima che stava succedendo qualcosa. Sapeva dove e quando colpire, conosceva le tempistiche dei propri nemici.”

“E non sembrava nemmeno sorpresa di chi fossero i suoi nemici.” Osservò Chopper. “Voglio dire, persino noi siamo rimasti sorpresi dallo scoprire che c’erano i marines dietro ai rapimenti. Lei invece sembrava saperlo già da prima...”
“E ha detto di non dirlo a Nird e Nafar!” Ripeté Luffy, corrucciato. “E non glielo diremo!”
“Sì, sì, d’accordo.” Lo accontentò Nami. “Comunque, penso che sia chiaro perché non sono del tutto contraria a farla rimanere. Dobbiamo farci dire quello che sa.”

“Beh, finché non si riprenderà non andrà da nessuna parte. Non si regge in piedi e siamo nel bel mezzo dell’oceano!” Borbottò Chopper, un po’ sulla difensiva. Anche se Nami non la voleva a bordo, la sua coscienza di medico non gli consentiva di abbandonare una persona ferita e in difficoltà. E poi, a lui stava simpatica. Non gli era sembrata una persona cattiva.
“Mh.” Mugugnò Zoro. “Effettivamente lei potrebbe rivelarsi utile ai fini della nostra ricerca. Ma i mocciosi? Cosa ne facciamo?”
Nami lo guardò alzando un sopracciglio. “In che senso cosa ne facciamo? Cosa vuoi fare? Mangiarteli?”
“Nah, quello è il tuo passatempo, stregaccia.”
Sanji saltò sulla sedia come se lo avessero punto nel sedere. “Brutt-“ Venne interrotto dalle risate sguaiate di Luffy e Nami. “Me lo ero scordato!” Esalò Luffy tra le lacrime. Nami non riusciva a parlare, si teneva la pancia e batteva il palmo sul tavolo, ridendo come una pazza. Zoro ghignò.
“R-ragazzi… tutto bene?” Disse Usopp, titubante. I tre si girarono a guardarlo, momentaneamente in silenzio. Usopp li guardò stranito. “Mi sono perso qualcos-“ “BUHAUHAUAHUAUHAUA” Esplosero di nuovo i due, questa volta accompagnati anche da Zoro che si sbatté un palmo in fronte. “I traumi! I traumi quelli veri!” Rise, senza riuscire a fermarsi. “Provo pena per quei mocciosi!”
“Ma se sei stato tu a terrorizzarli!” Lo accusò Nami.

Il resto della ciurma si scambiò degli sguardi vagamente preoccupati. Che la sanità mentale avesse abbandonato definitivamente la Thousand Sunny?
“Ha… Ha…” Nami tentò di riprendersi, respirando profondamente. “Cielo, ne avevo bisogno.” Disse con la voce che le tremava ancora, asciugandosi le lacrime con l’indice.

“Parlando seriamente: quei bambini non possono restare qui.” Disse Zoro, afferrando il collo bottiglia.
“Non li scaricheremo nella prima isola disponibile, poverini! Sono state vittime di un tentato rapimento, non sanno dove siano i loro genitori!” Esclamò scandalizzato Chopper. Franky sfoderò di nuovo il fazzoletto.
“Detesto essere d’accordo con il marimo,” intervenne Sanji “ma una nave pirata non è sicuramente posto per dei marmocchi che con noi non hanno niente a che fare.”

Robin si schiarì la gola. “Quando li ho accompagnati nella loro stanza ho parlato un po’ con loro.” Disse dopo un momento di silenzio. “E mi sono fatta dire il nome della loro isola. Ho controllato sulle mappe, non è lontanissima da qui. Qualche giorno al massimo secondo le mie stime, ma con una navigatrice in gamba come la nostra, chissà… Potremmo metterci molto meno.” Concluse facendo un occhiolino in direzione di Nami.
Nami si illuminò, gettandole le braccia al collo. “Grazie Robin! Si può sempre contare su di te!” Esclamò adorante, strofinando la testa sulla sua spalla. “Appena finiamo qui vado a impostare la rotta!” L’archeologa sorrise, serafica.

“Direi che è deciso!” Disse Luffy, conclusivo. Ridacchiò, incrociando le braccia dietro la testa. “Spero che Gambelunghe si svegli presto, sono sicuro che Nird e Nafar vorranno ringraziarla prima di tornare a casa.”
Brook ingurgitò velocemente il suo bicchiere di latte, poi si chinò per afferrare il violino che aveva lasciato appoggiato alla sedia. “Lasciatemi dire questo: dopo una giornata simile, non c’è niente di meglio di una musica allegra per conciliare il pasto! Yohohohohohoho!” Esclamò, sfoderando l’archetto e venendo accolto da cori e incoraggiamenti.

La stanza venne invasa da musica e risate, intervallate dall’occasionale tonfo quando qualcuno beveva troppo e si addormentava sul tavolo. Per ora le vittime erano Usopp e Sanji. Nami osservò divertita Franky che – ubriaco spolpo – tentava di offrire a Robin un gambo di sedano. Probabilmente nella sua mente annebbiata dai fumi dell’alcol era un fiore. Lei non disse nulla e, con il solito sorriso sulle labbra e un pizzico del suo potere, si alzò ed accompagnò il carpentiere a letto. La pazienza di quella donna sembrava non avere limiti.

Nami riportò lo sguardo al proprio boccale di birra, per la maggior parte ancora pieno. Osservò come il liquido all’interno si muovesse e tremasse secondo le vibrazioni del tavolo, persa nei suoi pensieri.

Ora che aveva un momento di tranquillità a disposizione, il rimorso le attanagliava le viscere. Sì, avevano salvato due bambini e li stavano riportando a casa. Sì, avevano tra le mani qualcuno che con molta probabilità era in possesso di informazioni importanti per la riuscita del caso. Ma in fin dei conti, non erano riusciti a mettere fine a quello che stava succedendo a Namea. I marines sarebbero stati sulle loro per un po’ di tempo, quello era sicuro. La confusione che avevano causato e l’avvertimento che Luffy aveva dato alle famiglie facevano sì che i primi sarebbero stati sulle loro mentre i secondi avrebbero tenuto i propri figli ancora più sott’occhio. O almeno, lo sperava. In fin dei conti, Nird e Nafar erano stati rapiti proprio dopo l’avviso di Luffy alle loro famiglie.
Nami sospirò. Se non fosse stato per la colluttazione di quel pomeriggio, forse sarebbero riusciti a rimanere a Namea abbastanza a lungo da scoprire qualcosa di importante, magari sufficiente a mettere i bastoni tra le ruote alla mente dietro quella serie di rapimenti. Invece erano scappati e ora non c’era nulla che avrebbe impedito a dei nuovi rapimenti di prendere luogo in quella dannata isola.

“Non pensarci troppo.” Borbottò una voce burbera. Nami alzò lo sguardo per incrociare un unico occhio dall’altra parte della tavola. “Concentrati su quello che abbiamo per le mani adesso invece di pensare inutilmente a quello che è stato.” Nami tentò di aprire la bocca per obiettare, ma Zoro la precedette. “Avresti lasciato che quei due mocciosi fossero portati via?” Alzò un sopracciglio verde. “Ipoteticamente, feriti o uccisi?” La navigatrice chiuse la bocca, stirando le labbra in una linea sottile. “Appunto. Quindi non farti seghe mentali e bevi.” Disse, seguendo il proprio consiglio immediatamente dopo averlo pronunciato.
Nami fece un sorriso amaro. Non le piaceva ammetterlo, ma a volte quel gorilla senza cervello faceva dei ragionamenti giusti. Non potrebbero comunque tornare indietro ora, quindi tanto valeva guardare avanti.
La navigatrice sospirò e afferrò la propria birra, tuffandoci le labbra, ignara dei sorrisi sulle labbra dei presenti – almeno di quelli svegli.
 
 
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La luce del nuovo giorno vide la ciurma dormire fino a tarda mattina per smaltire gli effetti della sbornia della notte precedente. Tra i pochi svegli c’era Chopper, complice il fatto che aveva bevuto solo succo di frutta e quindi non avrebbe potuto ubriacarsi in ogni caso. La piccola renna si svegliò con calma, stiracchiandosi e mettendosi a sedere. Gettando un’occhiata ai letti vicini e vide una catasta di corpi e membra intricate fra loro in maniera tale che sembravano annodati. Un leggero russare gli giunse alle orecchie. Chopper sorrise, strofinandosi gli occhi con un braccio per togliersi le ultime tracce di sonno dal viso. Scese dal proprio letto e zampettò cautamente fino alla porta, chiudendosela alle spalle cercando di fare meno rumore possibile.
Dal momento che non aveva molta fame – era ancora sazio dalla sera prima – decise come prima cosa di andare a controllare la sua nuova paziente.

Quando l’aveva controllata la sera prima di andare a letto era stabile, ma controllare di nuovo non avrebbe guastato. Si diresse in infermeria e vi entrò, aprendo le spesse tende e facendo entrare la luce. Si avvicinò al letto della ragazza e la trovò ancora incosciente, stesa sul lettino vicino all’oblò dove l’aveva stesa il giorno prima dopo l’operazione. Chopper scostò subito il lenzuolo per controllarle la ferita. Aveva dovuto ricucirla con ben otto punti, se li avesse tirati muovendosi nel sonno sarebbe stato un bel guaio. Chopper allungò una zampa, sollevando cautamente le garze della medicazione. Fortunatamente era tutto a posto.

Chopper sospirò, sollevato. “Bene. Bene.” Ripeté fra sé e sé. Cambiò le garze della medicazione, stendendo di nuovo il lenzuolo sopra di lei. Mentre le controllava gli altri parametri vitali – che stranamente e fortunatamente erano più che ottimali, rimaneva solo da risolvere la questiona del mangiare – un odore particolare arrivò alle sue narici. Un deciso odore di… bosco, per così dire. Di selvaggio.

Chopper sbattè le palpebre, arricciando il naso blu per lo sconforto. Era un animale e i suoi compagni erano dei pirati che viaggiavano per mare. Era abituato agli eventuali… profumi che potevano provenire da un corpo. Non era schizzinoso sotto quel punto di vista. Però gli piaceva pensare che la sua ciurma fosse composta da persone relativamente pulite, lui compreso. E stando spesso vicino a Robin e Nami aveva una mezza idea sul fatto che delle ragazze non dovessero puzzare. A disagio per la situazione spiacevole, Chopper decise che appena avesse visto le due avrebbe chiesto loro di lavare la paziente. Le avrebbe giovato sotto ogni aspetto.
Prima uscire dalla stanza decise di aprire anche i vetri della finestra per far entrare un po’ d’aria fresca. Gettò un ultimo sguardo alla ragazza, prima di zampettare silenziosamente fuori dall’infermeria.
 
 
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Sanji si trascinò stancamente verso la cucina, la testa che gli scoppiava. Poteva giurare di sentire il proprio cervello pulsare contro le pareti del proprio cranio e i suoni che gli rimbombavano nelle orecchie sicuramente non aiutavano. Non si era nemmeno messo la giacca, accontentandosi della sola camicia e di una cravatta allacciata mollemente intorno al collo.

Non ricordava chi lo avesse accompagnato a letto – le memorie della sera prima erano chiare solo fino ad un certo punto. Dopo si era probabilmente addormentato. Sul tavolo. Come un beota. Il viso gli bruciò per l’imbarazzo e la frustrazione. Uno potrebbe pensare che essendo stato cresciuto da un ex pirata, aver passato la maggior parte della sua vita insieme ad un branco di canaglie ed essere il cuoco di bordo di una nave di pirati da più di tre anni lo avessero reso resistente all’alcol e alle sbronze, se non insensibile. Invece, a dispetto di tutto, era uno dei pesi piuma della ciurma. Beveva a cuor leggero i suoi boccali di birra, ma se cominciavano a diventare quattro o cinque, beh… Aveva dei problemi.

Si grattò la nuca, aprendo la porta della cambusa. Era da un bel po’ che non dormiva così tanto la mattina. Per gli altri non era tardi, ma per lui, il cuoco di bordo, abituato ad alzarsi alle prime luci dell’alba, era un po’ un tradimento del suo mestiere e della fiducia dei suoi compagni arrivare a mattina inoltrata senza nulla di pronto sul tavolo. Una cucina senza un cuoco al suo interno non aveva senso di esistere.

Si guardò intorno con fare sospetto prima di digitare la combinazione del frigorifero. Allungò il braccio e afferrò il grembiule, infilandoselo velocemente. Si mise a spadellare con foga, sperando che le sue muse non si fossero già svegliate. Se fossero entrate senza nulla di pronto per placare il loro appetito mattutino avrebbe disonorato la sua professione e passione. Si ficcò di fretta una sigaretta fra le labbra, senza accenderla, per calmare il vorticare dei pensieri.

Ricordandosi di avere anche dei bambini a bordo, iniziò a preparare dei pancake e qualcos’altro di dolce. Erano degli ospiti inaspettati, ma non li avrebbe sicuramente fatti digiunare.

Riuscì a preparare tutto in tempo da record. Sanji si congratulò con sé stesso, infilando la mano in tasca per afferrare l’accendino. Se l’era guadagnata quella sacrosanta sigaretta. Si girò per appoggiarsi al bancone, dando le spalle ai fornelli e fece per portarsi la fiamma alla paglia. La porta si aprì in quel preciso momento, facendo entrare Nami, Robin, i due bambini… e Chopper. Chopper che lo guardava come ogni volta che lo vedeva fumare: come un cucciolo bagnato, abbandonato e preso a calci. La mano di Sanji tremò, ma il suo desiderio era troppo ardente: aveva bisogno di quella dannata sigaretta! Ma quando Chopper vide l’avvicinarsi inesorabile della fiamma al cilindro cancerogeno, il suo viso cambiò, indossando la stessa espressione di quando Brook aveva per sbaglio fatto esplodere un palloncino che gli avevano comprato a Sabaody. Sconfitto, Sanji lasciò cadere la testa in avanti, lasciando che il coperchio dello zippo si abbassasse di nuovo, rinunciando ad una delle sue poche gioie mattutine.

La piccola renna lo ricompensò con un sorriso smagliante, trotterellandogli vicino per confiscargli la sigaretta e nascondergliela da qualche parte. Sanji lo lasciò fare, non notando i sorrisi delle due donne e gli sguardi curiosi dei bambini.
“Chopper, si è svegliata?” Chiese il cuoco, cercando di fare conversazione per dimenticare la sconfitta. Sorrise alle urla deliziate dei bambini quando videro i dolci.
La renna scosse la testa. “Mh-hm.” Il biondo sospirò, deluso. “Però è stabile, i suoi valori fanno ben sperare.  Adesso rimane soltanto da farla riposare e nutrirla come si deve. Sono sicuro che appena assaggerà i tuoi manicaretti si sentirà subito meglio!” Disse incoraggiante.
“Hm.” Mugugnò Sanji, porgendogli un bicchiere di succo. “E quando pensi sarà possibile?” Chiese.
Chopper accettò l’offerta, pensieroso. “Direi tra oggi e domani… Bisogna prendere in considerazione il fatto che era esausta già da prima. Ma i suoi segni vitali sono ottimi, si sta riprendendo in fretta! Probabilmente nel pieno delle sue forze è una persona molto resistente!” Concluse, sorridendo.
“Davvero?” Esclamò Nafar, smettendo di litigare con il fratello e cedendogli l’ultima fetta di pancake. “Onee-chan si sta per svegliare?” Chiese, fissandoli con i suoi occhi enormi.
Chopper arricciò il naso, imbarazzato. “Dovrebbe, se non ci sono complicazioni. Non so dirti quando però.”
“Nird, hai sentito? Onee-chan si sta per svegliare, sta bene!” Strillò il bambino, ignorandolo completamente. Chopper abbassò le orecchie, a disagio.

“Un superrr-buongiorno a tutti!” Cantò Franky entrando in cambusa, accompagnato dal resto della ciurma finalmente sveglia. Sanji si premette le mani sulle orecchie con un’espressione dolorante, imitato da Usopp. “Ma cosa urli!” Berciò.
“Non tutti sono delle mezze calzette come te, Spirale.” Disse Zoro, condendo la frase con uno sbadiglio che minacciava di slogargli la mascella. “Lascia vivere la gente.”
“Ha?!” Scoppiò Sanji, punto sul vivo. “Beh, non tutti sono dei gorilla come te! Alcuni hanno un cervello. Sai, cervello? Quella cosa che ti permette di pensare?”
Zoro lo guardò storto. “Bel modo di ringraziare chi ha riportato il tuo ossuto culo a letto, cervello.” Provocò. Sanji avvampò. Non se lo ricordava per nulla. “E poi sono andato a fare il mio turno di vedetta per tutta la dannata notte, mentre tu te la russavi dalla grossa. Sai, per durare qualcosa in mare serve avere i muscoli, non essere dei sofisticatini.”
Sanji esplose. “Vuoi che andiamo fuori e ti faccio assaggiare i miei calci?! Poi mi dirai quanto sono sofisticati, mente ti spacco le ossa!” Ululò, facendosi avanti con rabbia.
“Dammi un secondo che mangio e arrivo, peso piuma.” Lo liquidò lo spadaccino.

Robin continuò a sorseggiare il proprio tè, ignorando il siparietto dei due. Ogni mattina trovavano qualcosa di diverso per litigare. Lei e Nami tenevano una piccola agenda dove segnavano tutte le frasi che davano il via ad un nuovo litigio mattutino. Chissà se un giorno le avrebbero mai esaurite. Poggiò la tazza sul piattino, osservando divertita come il proprio capitano veniva depositato sul divano per poi accartocciarsi su sé stesso come se non avesse una spina dorsale.
Il chiacchiericcio riempiva l’aria, insieme alle urla dei due litiganti e ai rumori delle posate. Era una bella giornata.
 
 
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Nami si girò, accucciandosi per arrivare allo stesso livello di Chopper. Il piccolo dottore le porse un piccolo cesto. “La pellicola è la mettere intorno alla sutura mentre la lavate, in modo che non si bagni. Quando avete finito, nel cesto ci sono garza e disinfettante. Non è difficile, basta fare delicatamente e assicurarsi che i punti non vengano tirati. Nell’infermeria ho lasciato una vestaglia pulita.” Spiegò la renna.
“Capito. A dopo allora!” Nami salutò Chopper con la mano, rimettendosi in piedi.

“Tutto pronto?” Chiese gentilmente Robin, aprendo la porta del bagno. Nami abbassò lo sguardo. Sul pavimento, supportata da una ventina di mani sbocciate grazie al potere dell’archeologa, c’era la ragazza. Appena aveva finito di somministrarle le prime due borse di liquidi Chopper era corso da loro, chiedendole di lavarla. Ora che la guardava da vicino Nami pensò che non solo ne avesse bisogno, ma che se lo meritasse proprio. Nonostante la sua diffidenza nei confronti degli estranei, specialmente di quelli misteriosi, Nami doveva ammettere che da come si era comportata in quel vicolo il giorno prima aveva sicuramente guadagnato punti nella sua tabella. Si fece da parte, permettendo alle mani di trasportarla fin dentro il bagno. Gli occhi le si soffermarono sui tatuaggi che risaltavano netti sulla pelle. “Ehi Robin,” Disse, attirando l’attenzione dell’altra donna, “secondo te cosa significano?”
L’archeologa studiò le volute di inchiostro con un’espressione neutra. “Non saprei… non ho mai visto nulla di simile. Magari non significano niente e se li è fatti per sfizio.” Scherzò.

Nami si fece scappare una risata. “Se lo dici tu. Dai, aiutami a toglierle i vestiti.” Entrambe si adoperarono per denudare la giovane, con Robin che cercava di tenerla seduta mentre Nami le sfilava la maglietta. “Ugh. Questo obbrobbrio deve sparire.” Sentenziò sollevando il tessuto con due dita, tenendolo lontano da sé come se fosse radioattivo. Lo lanciò da qualche parte verso la porta. Si abbassò, infilando le dita nei passanti dei jeans. “Robin, alzala così glieli levo.” Disse, preparandosi ad eseguire quanto detto. Ma il sedere della ragazza rimase saldo per terra. “Robin?” Chiamò di nuovo.

Quando non ricevette risposta, Nami alzò lo sguardo. Robin aveva lo sguardo fisso sulla schiena della ragazza, la bocca dimenticata aperta, piegata in una smorfia incredula. “Cosa c’è?” Chiese, gattonando per affiancare la donna. Appena ebbe uno scorcio della schiena della ragazza Nami si dovette premere una mano sulla bocca per trattenere un urlo.

Cicatrici. Decine e decine di cicatrici solcavano la schiena della giovane addormentata tra le braccia di Robin. Ricoprivano quasi ogni centimetro di pelle della schiena, diradandosi sulle scapole. Sulle braccia ce n’erano un altro paio, più piccole. Un’altra le marchiava la spalla. Non sembravano proprio frutto di un’occasione unica, piuttosto il risultato di più ferite susseguite nel tempo. Non c’era pelle morbida su quella schiena, ma dune e colline, diramazioni in rilievo, carne ferita guarita col tempo. Al centro, nella parte bassa della schiena, spiccava una cicatrice fin troppo simile a quella che adornava il petto del loro capitano. In comune non avevano la forma ma la causa.
Le cicatrici non erano l’unica cosa presente su quella schiena.

Un altro tatuaggio, completamente diverso da quello che aveva sulle gambe, copriva la maggior parte della schiena, celando la carne martoriata ad una prima e disattenta occhiata; simmetrico, partiva dalle anche, coprendogliele del tutto, per poi salire lungo i fianchi, seguendo l’angolo delle scapole, accarezzandole e seguendole, terminando in un leggero ricciolo. In basso, due rami di inchiostro si estendevano da fianchi opposti per incontrarsi poco sotto la cicatrice, quella generata dal fuoco, sfiorando la linea dei glutei.

Una volta superato lo shock iniziale, Nami tolse la mano e si avvicinò con la testa. Il tatuaggio non era inchiostro nero compatto e basta, sembrava esserci un disegno, una fantasia di qualche tipo; purtroppo uno strato di sporco – un po’ imbarazzante da trovare sulla schiena di una ragazza – non lo rendeva sufficientemente chiaro da capirne la trama, complice anche la sua intricatezza.

Scambiandosi uno sguardo d’intesa con Robin, che sembrava ancora un po’ scossa, si adoperarono per levarle gli ultimi vestiti, per poi applicarle la pellicola fornita loro da Chopper. I bracciali che aveva ai polsi tintinnarono sul pavimento mentre veniva trasportata. Nami decise di sfilarli momentaneamente, decidendo che anche loro avrebbero giovato di una lavata. Si spogliarono velocemente anche loro.

Depositarono la ragazza nella vasca, facendola stendere e appoggiandole la testa sul bordo in ceramica. Seguirono a lavarla, in silenzio, più delicatamente possibile. Un veloce controllo aveva reso palese che non ci fossero altre ferite - al massimo un paio di ematomi – e le cicatrici sulla schiena erano tutte guarite. Nonostante questo, vederle aveva fatto un certo effetto alle due donne, che ora maneggiavano la giovane come qualcosa di infinitamente fragile.
Una volta levato via lo strato di sporco, la ragazza era piuttosto bella, sebbene i suoi tratti femminili non fossero pronunciati come quelli di Nami e Robin. Acqua e sapone rivelarono un viso sì giovane, ma non eccessivamente tale. Sarà stata al massimo un anno o due più piccola di Nami. Una passata di shampoo svelò finalmente dei capelli setosi, fluenti e bianchi. Non erano lunghi, ma sembravano abbastanza curati. Probabilmente ci teneva. Nami usò una dose extra di cautela mentre glieli pettinava – erano pieni di nodi e legati alla bell’e meglio con un laccio lurido che finì prontamente scaraventato dall’altra parte della stanza. Una pancia piatta e dei muscoli slanciati completavano il quadro.

La tirarono fuori, adagiandola su uno degli sgabelli di fianco alla vasca e procedendo a disinfettare la ferita e a cambiare la garza. Nami strinse le labbra mentre portava a termine l’operazione. “Un’altra cicatrice.” Sussurrò, appallottolando la garza vecchia e gettandosela alle spalle. Robin rimase in silenzio, un’espressione grave in volto. Si sbrigarono a tamponarle i capelli, asciugandola più che potevano cercando di non farle prendere freddo. Nami sciacquò e asciugò i bracciali, infilandoglieli di nuovo ai polsi. Decisero di lasciarle i capelli sciolti – nel sonno non le avrebbero dato fastidio.

Mentre Nami si adoperava per massaggiarle la pelle con creme e oli profumati, un’espressione determinata in volto, Robin le passò una mano sulla schiena, delicata come una piuma, sfiorandola quasi senza toccarla, lo sguardo rapito. Ora che poteva studiarlo chiaramente, il tatuaggio era pura arte. Era formato da una miriade di disegni più piccoli: ghirigori, punti, linee. Da entrambi i lati del tatuaggio era ricavato uno spazio circolare; in quello di destra era rappresentato un fiore, in quello si sinistra un qualche tipo di piccolo uccello. Robin corrugò la fronte. Era ovvio che quel tatuaggio fosse stato fatto principalmente per coprire le cicatrici, ma era sicura che ci fosse anche un significato più profondo. Doveva averlo per forza. Non aveva mai visto qualcosa di così bello e complesso.

“Che pensi?” Le chiese Nami, notando il suo silenzio e il suo sguardo.
Robin alzò la testa, guardandola negli occhi. “Non vedo l’ora che si svegli.”
La rossa annuì. “Nemmeno io.”
 
 
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Sbattè le palpebre, mettendo a fuoco con un po’ di sforzo il soffitto di legno. Era da un sacco di tempo che non si sentiva così comoda. Troppo tempo. Il sonno infestava ancora angoli remoti del suo cervello e il materasso era così morbido che decise che qualunque cosa volesse quella nuova giornata dalla sua vita poteva anche andare a farsi fottere. Non era pronta a svegliarsi.

Si accoccolò meglio sotto le coperte, chiudendo gli occhi e meravigliandosi del profumo di pulito e fresco che l’avvolgeva. Era proprio un bel sogno. Era anche senza quelle maledette bende, poteva sentire il lenzuolo che scorreva libero sulla pelle nuda delle gambe. Oh, e i suoi capelli erano sciolti. Meh.
Ignorò il minimo fastidio che le procuravano schiacciati contro il collo e fece per girarsi su un fianco, ma uno strattone le causò un dolore acuto al braccio, facendole scappare un’imprecazione colorita. I suoi occhi scattarono di nuovo aperti, i nervi in tensione, e cercò di tirarsi a sedere. Ora riconosceva che la nebbia che gli oscurava i sensi non era dovuta solo dal semplice sonno. Nonostante si sentisse ancora intontita e debilitata riusciva a percepire dei rumori vicino a lei. Si guardò intorno, guardinga. Sembrava essere in un qualche tipo di infermeria. Quello che si era strappata involontariamente dal braccio era un ago che le stava immettendo nelle vene qualche particolare liquido. Il pensiero di aver avuto quella cosa attaccata a sé fino a qualche secondo prima le fece rivoltare le budella, minacciando di farla vomitare.

Si dovette calmare immediatamente per focalizzare la sua attenzione sul nuovo arrivato entrato nel suo campo visivo. Un… essere peloso, dall’aspetto familiare, si arrampicò sulla sedia posta di fianco al suo letto e la fissò con i suoi occhietti, un grande sorriso stampato sul muso. “Ehi, ti sei svegliata! Come stai?”

Sgranando gli occhi e tentando di convincersi che, sì, era sveglia e quell’animale aveva appena parlato, strinse gli occhi cercando di distinguere nel vortice di immagini che le stavano esplodendo nella testa quale fosse sogno e quale fosse realtà. “… Chi sei?” Gracidò. Aveva una voce terribile, sembrava che non bevesse da secoli.
La piccola renna – o cervo, non riusciva a capire. Però aveva delle corna che spuntavano dal cappello. E degli zoccoli. – sorrise prima di presentarsi. “Mi chiamo Chopper, sono dottore. Non ti ricordi di me?”

Rilassò leggermente i muscoli, abbassando la guardia. Non sembrava essere ostile. Cercò di concentrarsi, guardandolo con attenzione. Poi, come se qualcuno gliele avesse schiaffate di fretta nel cervello all’ultimo momento, una miriade di immagini e suoni le turbinarono dietro gli occhi. Si prese la testa fra le mani e strinse i denti, aspettando pazientemente che scorressero via. Alzò di nuovo lo sguardo. “... I bambini?” Disse, infine.
Il suo interlocutore si aprì nel più luminoso dei sorrisi. “Allora ti ricordi! Aspetta, vado a dire agli altri che ti sei svegliata, Nird e Nafar saranno felicissimi!” Esclamò prima di lanciarsi giù dalla sedia e correre via.
Lei rimase basita e senza risposte. Nird? Nafar? Chi diavolo erano?

Si sistemò meglio su letto, stendendosi un po’ sul cuscino e tentando di fare mente locale. Ricordava più o meno tutto di quello che era successo il giorno prima. Quella renna faceva parte del trio che era piovuto dal cielo, era con quel ragazzo che il bambino aveva chiamato pirata. Probabilmente faceva parte della ciurma. Questo significava che si trovava nella loro nave. Una nave pirata. Sospirò, divertita. Se lui l’avesse saputo, come minimo gli sarebbe venuta una sincope. Poco male, non aveva intenzione di restare a bordo per molto.

Uno scalpiccio agitato interruppe i suoi pensieri. La porta si aprì di scatto, riversando una quantità indegna di persone nella stanza. In pole-position, i due bambini che era riuscita a sottrarre a quei delinquenti il giorno prima. “Onee-chan!” Urlarono, assalendo il letto e lanciandosi addosso a lei.
“Fate piano!” Li sgridò la creatura- Chopper - invitandoli alla prudenza. I due bambini sembrarono non averlo sentito per nulla, abbracciandole i fianchi da entrambi i lati. E allora, un pezzo del puzzle andò al suo posto. “Nird? Nafar?” Chiamò, esitante. I due fratelli alzarono le facce piene di lacrime verso di lei, annuendo con foga. Un sorriso le scivolò sulle labbra e se li premette addosso, intenerita.

“Stai meglio, vedo.” Una cauta voce femminile arrivò alle sue orecchie. Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di una bellissima ragazza dai lunghi capelli rossi. Annuì. “Vi ringrazio per le vostre cure mediche.” Disse, cercando di non guardare verso il laccio minuto di ago ormai abbandonato sul pavimento mentre lo diceva. “Dove sono?”
“Sulla nostra nave.” Ecco, appunto. “Stiamo accompagnando Nird e Nafar alla loro isola.” Disse la rossa, guardandola con uno sguardo inquisitorio, come aspettando la sua reazione.

Fu veloce a fare due più due. Avevano già capito che sapeva qualcosa, ma sembrava non volerne parlare esplicitamente. Tanto valeva giocare a carte scoperte, non le costava né cambiava nulla. “Quanto tempo è passato da…” Fece un cenno verso i bambini.
“Un giorno e mezzo.”
“Bene… I loro genitori verranno molto probabilmente rispediti nella loro isola in ogni caso.” I due bambini irruppero in urla eccitate. La rossa sorrise, annuendo con la testa. Sembrava sollevata.

Fece vagare di nuovo lo sguardo per la stanza. Aveva la mente ancora annebbiata, ma tutti quei volti le sembravano familiari. Un ragazzo dai capelli neri e un sorriso che prometteva guai e malditesta le si avvicinò baldanzoso. Quello era il ragazzo che Nafar aveva riconosciuto durante la fuga. “Ehi, Gambelunghe!” La apostrofò, appoggiando le mani sui fianchi. Gambelunghe?! Il ragazzo continuò imperterrito, senza curarsi dell’espressione scandalizzata che era sicura di avere in viso: “Sei stata fantastica ieri! Hai seminato quei tipacci nonostante fossi conciata malissimo! E volevi pure sfidarmi! Mi piaci!” Disse, lasciandosi andare ad una risata sguaiata.

C’era qualcosa in quel viso, in quelle morbide mezzelune che erano i suoi occhi quando sorrideva, in quel ghigno bambinesco e un po’ birichino che fece suonare mille campanelli d’allarme nella sua testa. Ma dal momento che aveva il cervello ancora in pappa, invece di fermarsi a pensare a quello, tutto quello che riuscì a replicare fu: “… Gambelunghe?”

Il ragazzo smise di ridere, come ricordandosi all’improvviso di una cosa importante. “Oh, giusto!” Esclamò, puntandole gli occhi onice addosso. Si sentì come se le stesse scrutando l’anima. “Come ti chiami, Gambelunghe? Non possiamo continuare a chiamarti Gambelunghe, ora che sei sveglia ci devi dire come ti chiami! Anche perché Sanji continua a rompere e dice che non è carino chiamare così una ragazza. Anche se hai davvero le gambe lunghe. Non ti potevo mica chiamare Gambecorte, quello sì che sarebbe stato brutto. E senza senso. ”

Il torrente di parole la investì e improvvisamente tornò con la mente a qualche minuto prima - quando stava per riaddormentarsi - e si pentì di non averlo fatto. Si sentì svuotata di ogni energia e si abbandonò sconfitta sul cuscino. Non sapeva perché ma qualcosa le diceva che sarebbe stato inutile divagare o mentire.

“Mana.” Disse, rispondendo al suo sguardo. “Il mio nome è Mana.”
  
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