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Autore: Ginevra1988    23/07/2018    4 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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E ora tocca a voi battervi, gioventù del mondo;
siate intransigenti sul dovere di amare.
 
Ridete di coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza,
che vi consiglieranno di mantenere il giusto equilibrio.
 
La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno,
e che la vostra vita non serva a niente.
 
E ora tocca a voi battervi – Raoul Follereau
 
 
 
 
3 novembre 1998
 

 
2 novembre 1998 – Ministero della Magia
 
   Alle nove di sera il Ministero della Magia era deserto, ad eccezione di qualche sparuto gruppetto di Guardiani in divisa blu pavone dall’aria annoiata; i collegamenti della Metropolvere erano stati chiusi un paio di ore prima e le Reclute vennero spinte con malagrazia fuori dall’Atrium dall’uscita dei visitatori.
   “Credo che tutti abbiate superato l’esame di Smaterializzazione, no?” biascicò stancamente Leatherman mentre infilava a forza Kiky nella cabina telefonica insieme ad altri quattro suoi compagni. “Dovreste riuscire a ritrovare casa senza incidenti.”
   Harry, Ron e Theodore aspettarono con l’Istruttore che la cabina tornasse vuota al piano dell’Atrium e si stiparono a loro volta nello stretto cubicolo; Harry si chiese come avessero fatto a stare lì dentro in cinque, dato che in tre c’era a mala pena lo spazio per respirare.
   “Potter” abbaiò Leatherman poco prima che le porte della cabina si chiudessero. “Domani mattina presentati al San Mungo, alla Stregaccoglienza sapranno dove mandarti.”
   Harry non fece in tempo a chiedere il motivo, che tuttavia era facilmente intuibile: la Shacklebolt aveva detto che avrebbero dovuto fare altri accertamenti per capire se era stato colpito da una qualche terribile Maledizione quando si era infilato senza pensarci due volte in quella caverna magicamente sospetta, tanto per citare il regolamento. Spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro: sapeva di aver fatto una stupidaggine, ma nessuno si era fatto male e di certo Harry avrebbe preferito che Leatherman avesse evitato quella sfuriata davanti a tutti i suoi compagni il giorno prima.
   “Sono di nuovo in punizione” annunciò Nott rompendo il silenzio; Harry lo guardò sgranando gli occhi, mentre Ron alzava i suoi al cielo.
   “Ci avrei giurato” sospirò l’amico. “Quando ho visto i capelli della Fletcher che fumavano ho capito che vi aspettavano altre sere di piatti da lavare.”
   Theodore sbuffò appena, ma aveva un sorrisetto stampato sulle labbra.
   “Almeno questa volta ci sarai anche tu, Harry.”
   Il ragazzo sospirò: sì, decisamente si era beccato almeno una settimana in compagnia di Clobhair; anche se non era ancora arrivata nessuna comunicazione ufficiale da parte dei due Istruttori, era impensabile che gliel’avrebbero fatta passare liscia.
   La cabina arrivò finalmente al livello e i tre ragazzi si riversarono in strada con un sospiro di sollievo; il vicolo era sufficientemente riparato per Smaterializzarsi in tranquillità, quindi Harry e Ron salutarono Nott e si preparano ad eseguire l’Incantesimo. Theodore non fece altrettanto, ma tentennò prima di salutarli a sua volta ed incamminarsi verso la strada principale.
   “Non ti Smaterializzi?” chiese Ron alla schiena del ragazzo; lui si fermò e girò appena la testa.
   “La Struttura che il Ministero ha assegnato ai figli dei Mangiamorte è ad un paio di isolati. Faccio due passi a piedi.”
 
   L’aria di Londra era umida e carica di pioggia imminente, ma quella poteva essere considerata una mite sera primaverile se paragonata al clima del Devon: quando Harry e Ron si Materializzarono poco distanti dal cancello della Tana vennero investiti da raffiche di pioggia battente; si lanciarono in una corsa lungo il vialetto e Ron aprì la porta con una spallata. I due amici si ritrovarono nell’ingresso, grondanti acqua e tremanti; si guardarono e scoppiarono a ridere, ma le loro risate furono completamente assorbite da un suono che non si sentiva mai in casa Weasley: il pianto di Teddy. A Harry mancò il fiato, la mente che già immaginava tutte le peggiori catastrofi, mentre le gambe erano già scattate verso la cucina, da dove proveniva il pianto. Molly teneva sulla spalla Teddy, che, con i capelli di un brutto color grigio topo, urlava a pieni polmoni; la signora Weasley alzò lo sguardo su Harry e il viso si aprì in un’espressione di sollievo.
   “Oh Harry, siete tornati! Non so veramente come calmarlo!”
   Tenendo il bambino in bilico come solo una mamma esperta sa fare, Molly asciugò il ragazzo con un frettoloso colpo di bacchetta per poi piazzargli il fagotto urlante tra le braccia senza aggiungere una parola. Teddy aveva le guance rigate di lacrime e Harry prese a cullarlo, sperando che si accorgesse di chi lo teneva in braccio; Dio solo sapeva per quale motivo quel bambino si era fissato così tanto con lui: c’erano giorni in cui rifiutava di mangiare se non era Harry ad imboccarlo.
   Il ragazzo si incamminò nel corridoio lasciandosi alle spalle Molly e Ron, e raggiunse il salotto; prese posto con cautela sul divano che tante volte aveva condiviso con Ginny durante l’estate.
   L’ultima cosa di cui ho bisogno sono altri sensi di colpa, pensò disperatamente avvolgendo il bambino con un braccio e accarezzandogli la testa con l’altra mano; ti prego, Teddy, è davvero l’ultima cosa di cui ho bisogno.
   Ci vollero diversi minuti per convincere Teddy a calmarsi, molto di più ad addormentarlo: continuava a guardare Harry con gli occhi seri, grigi e severi, rifiutando anche solo di stringere il dito del ragazzo con una delle manine; alla fine però cedette al dondolio delle braccia di Harry, chiuse gli occhi e una ciocca di capelli assunse un brillante color rosa cicca. Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo sorriso e abbandonò la testa sulla seduta del divano; si chiese se anche lui era stato un bambino così nervoso e suscettibile, durante i primi mesi dai Dursley, i primi senza i suoi genitori, attorniato da facce sconosciute e odori di estranei. Di sicuro nessuno si era dato la pena di cullarlo fino a farlo addormentare; forse era stato proprio quello il momento in cui suo zio aveva deciso che il sottoscala poteva avere un ottimo uso.
   Harry si tolse gli occhiali e li appoggiò di fianco a sé, con gesti lenti e stanchi: era sfinito. Lottava da giorni con le emozioni che si agitavano ai lati della sua consapevolezza e non voleva cedere, non voleva essere costretto ad affrontare tutto da solo. Non era più solo – non lo sarebbe stato mai più.
   Scivolò senza quasi accorgersene in un sonno agitato dal quale lo svegliò Molly con una carezza sulla guancia; la donna prese in braccio Teddy con dolcezza, mentre Arthur allungò al ragazzo una tazza contenente un liquido caldo e denso. Harry la accettò con aria perplessa mentre si rimetteva gli occhiali sul naso.
   “Pozione Ricostituente” spiegò Arthur con un sorriso. “Bevila tutta poi fila a letto.”
   Harry prese la tazza con un sorriso stanco e ne sorseggiò il contenuto con gratitudine; i coniugi Weasley uscirono in silenzio dal salotto, sostituiti da Ron, anche lui con la sua dose di Pozione tra le mani.
   “Ci voleva proprio” sospirò il ragazzo abbandonandosi di peso di fianco ad Harry. “Questo dannato Ritiro mi ha lasciato più lividi che spirito di squadra.”
   I due ragazzi si concessero un goffo brindisi, facendo tintinnare le tazze sbeccate.
   “Ti ricordi quando i lividi peggiori ce li facevamo durante le partite di Quidditch?” biascicò Harry dopo un altro lungo sorso di Pozione.
   “Bei tempi” grugnì Ron. “Amico, sembriamo proprio due quarantenni” aggiunse poi con una smorfia.
   Un pensiero attraversò all’improvviso la mente di Harry, che si trattenne a mala pena dal colpirsi la fronte con il palmo della mano.
   “Porca miseria… mi sono completamente dimenticato della prima partita di Ginny!”
   Ron gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio, un sopracciglio alzato.
   “Davvero non ti ha detto nulla?”
   “Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
   Ron alzò una mano e si riempì la bocca di Pozione.
   “Cos’è successo?” incalzò Harry.
   “No! Non sarò io a dirtelo.”
   La risolutezza di Ron crollò con un solo sguardo di Harry.
   “Non è andata bene. E’ in punizione.”
   “Cosa?”
   “Basta. Il resto te lo dirà lei.”
   “Ron!”
   “Buona notte Harry.”
   Ron uscì dal salotto ad una tale velocità che sembrava quasi essersi Smaterializzato; qualcosa diceva a Harry che, una volta salito in camera, avrebbe trovato l’amico profondamente addormentato.
 
 
 

3 novembre – Ministero della Magia
 
   Non era certo la prima volta che Harry si cacciava nei guai, anzi, a pensarci bene il ragazzo era piuttosto convinto che il numero di punizioni e di espulsioni sfiorate negli anni di Hogwarts fosse di poco inferiore a quello di pesi massimi del settore come Fred e George. O come Sirius e suo padre.
   Harry si agitò sulla sedia, facendola scricchiolare rumorosamente nel silenzio dell’ufficio Reclute; Leatherman non si scompose, ma continuò a fissarlo in silenzio con aria torva come stava facendo ormai da diversi minuti, dopo avergli annunciato che avrebbero ricevuto la visita del Capo Prewett in persona – cosa che non prometteva nulla di buono.
   Quella mattina, come gli era stato ordinato, Harry si era presentato al San Mungo: in una stanzetta asettica, un Guaritore con una serie di Apprendisti al seguito aveva tenuto a spese di Harry una lezione sugli Incantesimi Indaganti e le principali Controfatture, lasciando che gli Apprendisti usassero il ragazzo come cavia. Tralasciando un paio di ustioni e qualche doloretto, la lezione era stata utile anche ad Harry, che aveva imparato una serie di cosette interessanti che gli sarebbero sicuramente tornate utili in futuro.
   Leatherman in persona lo aveva poi prelevato dal San Mungo e portato nel suo ufficio, senza però dire una parola ad eccezione del ringhio con cui si era ironicamente congratulato perché Harry non si era beccato nessuna Maledizione mortale.
   I minuti sembravano passare con la lentezza di una lumaca immersa nella gelatina e Harry cominciava a sentirsi veramente a disagio sotto lo sguardo accusatore di Leatherman; stava quasi per chiedergli quale diavolo fosse il problema, quando la porta si spalancò ed entrò con la consueta grazia di un pachiderma Frank Prewett. Harry scattò in piedi, mentre Leatherman appoggiò le mani ai braccioli della propria sedia e si alzò con tutta la calma di questo mondo.
   “Harry!” esclamò Prewett spalancando le braccia.
   “Signore” lo salutò con rispetto il ragazzo.
   “Sapevo che ci avresti riservato delle magnifiche sorprese!” ululò Frank trattenendo per poco il sigaro spento tra le labbra; prese la sedia di Leatherman e la trascinò rumorosamente sul pavimento per portarla di fronte a quella di Harry, poi si sedette pesantemente.
   “Non stare in piedi, ragazzo mio!”
   Harry obbedì, lanciando un’occhiata titubante a Leatherman; l’Istruttore aveva la faccia che sembrava scolpita nel marmo e con molta calma andò a recuperare la sedia dietro alla scrivania della Shacklebolt e la portò dietro alla propria, prendendo posto senza battere ciglio.
   “Signore, mi dispiace molto per…” cominciò Harry mangiandosi un paio di parole; Prewett lo interruppe subito con un gesto della mano, come se scacciasse una mosca che gli ronzava intorno.
   “Le scuse lasciale per quando avrai finito la punizione dei tuoi Istruttori” disse allegramente Frank. “Hai recuperato qualcosa di… incredibile!”
   Leatherman tossicchiò con noncuranza, ma nessuno si girò verso di lui. Per qualche motivo il sorriso ampio del Capo Auror inquietava Harry più che metterlo a suo agio; cambiò di nuovo posizione sulla sedia e lasciò che l’uomo proseguisse.
   “E’ un libro di inestimabile valore, qualcosa di sicuramente antico e perduto da secoli.”
   Prewett fece una brevissima pausa, poi riprese guardando Harry dritto negli occhi.
   “Peccato che nessuno riesca anche solo a toccarlo.”
   Harry deglutì.
   “E ho motivo di credere che tu sappia il perché.”
   Prewett estrasse la bacchetta da una tasca interna della veste e si accese il sigaro; il disagio di Harry aumentò ancora, mentre il ricordo di Narcissa Malfoy nel Pensatoio emergeva con forza nella mente del ragazzo.
   E’ un interrogatorio, pensò Harry con una nota di panico che gli pizzicava lo stomaco.
   “Nessuno dei nostri specialisti e Spezzaincantesimi è riuscito ad avvicinarsi” disse Leatherman con le mani incrociate davanti a sé. “Siamo ad un passo dal chiedere l’aiuto degli Indicibili – e credimi, vorrei tanto non farlo.”
   Prewett annuì con aria seria ed aspirò una boccata di fumo.
   “Roy mi diceva che tu sei uscito da una caverna tenendolo in mano, quindi mi è lecito supporre che tu riesca a toccarlo – e a sfogliarlo. Quindi, cosa ci puoi dire di utile?”
   Harry soppesò con cautela le parole prima di aprire bocca.
   “Ho un’ipotesi” disse alla fine guardando Prewett, che raddrizzò la schiena e socchiuse gli occhi con interesse. “Ma vorrei verificarla, prima di parlarne… con chiunque.”
   I due uomini annuirono riluttanti.
   “E cosa ti servirebbe per verificarla?” chiese Frank.
   “Vorrei andare ad Hogwarts. E mi serve Hermione Granger.”
   Un angolo delle labbra di Prewett si arricciò, mentre lui si lasciava scappare una mezza risata lugubre.
   “Ma certo, la nostra Granger!” Aspirò un’altra boccata di fumo e la soffiò con calma prima di proseguire. “Come poteva mancare?”
   “Potter, non credo tu sia nelle condizioni di trattare” cominciò Leatherman, ma Prewett lo interruppe con un brusco gesto delle dita tra le quali teneva il sigaro.
   “Roy, calmo. E’ una richiesta accettabile.”
   Leatherman guardò a lungo il suo capo, le labbra serrate in una smorfia rigida, ma Prewett mantenne sempre lo sguardo basso, grattandosi appena la fronte con il pollice sinistro, come se stesse riflettendo.
   “La professoressa McGranitt assisterà al colloquio tra te e la Granger” disse infine Frank, gesticolando distrattamente con il sigaro. “E anche Williams, che tu già conosci, no?”
   Leatherman tossì di nuovo, più forte, in modo quasi plateale.
   “E verrà anche il tuo Istruttore, visto che sembra essere particolarmente interessato alla faccenda” concluse Prewett indicandolo senza guardarlo; Harry vide il volto di Leatherman diventare letteralmente grigio.
   “Voglio un rapporto dettagliato entro stasera, firmato da te e Williams” ordinò Prewett alzandosi e spegnendo il sigaro sulla scrivania di Leatherman, senza preoccuparsi di Evocare un posacenere. “Potter” disse poi con un sorriso. “Te l’ho già detto, mi aspetto grandi cose da te. Grandi. Cose. Non mi deludere.”
   Uscì dalla stanza sbattendo la porta. Leatherman sembrava prontò a Cruciare Harry, ma dopo un profondo respiro usò la bacchetta solo per sistemare la bruciatura sul legno e sui fogli.
 
 
 

3 novembre – Hogwarts
 
   Hermione sorrideva. In quell’umida sera autunnale, seduta nello studio della professoressa McGranitt, di fianco alla Preside e di fronte a Harry, si sorprese a pensare che era da un po’ che non le capitava di sentirsi così, con la bocca dello stomaco che pizzicava di curiosità, nell’attesa di scoprire qualcosa di… nuovo. Era esattamente quello che la deliziava: la prospettiva di scoprire qualcosa che già non sapesse.
   Tallonato dal suo Istruttore Leatherman e da – piacevole sorpresa – Greg Williams, Harry si era presentato nell’ufficio della McGranitt con un volume dall’aria molto antica e una storia rocambolesca su come quel libro gli fosse capitato per le mani; aveva una mezza idea sul suo contenuto ma aveva richiesto esplicitamente l’aiuto di Hermione per, citando letteralmente, verificare la sua ipotesi.
   Un libro, un guaio… Harry non cambiava mai, ma Hermione doveva ammettere che tutti i guai in cui lui si era cacciato negli anni erano stati sempre estremamente interessanti. E se c’era una cosa di cui lei aveva bisogno in quel momento era proprio un elemento che stuzzicasse la sua attenzione: ne aveva fin sopra i capelli di tradurre frivoli testi di poetesse celtiche o di agitare la bacchetta per Trasfigurare sedie nelle pretenziose, complicate, inutili statue di pietra che piacevano tanto alla Marchbanks.
   Harry posò il volume davanti a sé e con le dita sfiorò il simbolo sulla copertina, poi guardò a lungo Hermione finché lei non gli fece un cenno di intesa: sì, aveva riconosciuto l’emblema dei Doni della Morte. Harry aprì con cautela solo la copertina per poi allontanare la mano e lasciare che le pagine scivolassero le une sulle altre, fino a fermarsi ad una ben precisa che riportava il nome completo del ragazzo.
   Un Incantesimo di Riconoscimento, prese nota Hermione mentalmente. Harry girò il libro verso di lei e sfogliò a ritroso le pagine, senza staccare mai gli occhi dalla sua amica, attento alle sue reazioni; Hermione inarcò le sopracciglia perplessa quando lesse il nome di Draco Malfoy, ma quando riconobbe la scrittura del professor Silente inspirò rumorosamente.
   “Harry, questi sono…” cominciò, ma si interruppe incrociando lo sguardo di ammonimento dell’amico: solo loro due e Ron sapevano della Bacchetta di Sambuco e c’erano già abbastanza tizi in giro che desideravano la morte di Harry senza che sapessero che era anche il proprietario di una leggendaria bacchetta invincibile.
   “Ti prego, continua” sibilò risentito Leatherman. “Vorremmo sapere anche noi il motivo per cui siamo dovuti venire fino a Hogwarts.”
   Hermione lanciò una veloce occhiata all’Istruttore, poi tanto per prendere tempo afferrò il libro e lo trasse più vicino a sé, sfogliando le pagine e studiando la calligrafia obliqua di Silente: ad una prima occhiata sembravano appunti su Incantesimi, studiati, provati e riprovati, corretti e perfezionati. Hermione sentiva praticamente le farfalle nello stomaco, non vedeva l’ora di impugnare la propria bacchetta e provare qualcuna di quelle formule. Si accorse solo con qualche momento di ritardo che Harry e i due Auror stavano mormorando sorpresi, Leatherman sussurrò addirittura un’imprecazione; Hermione sollevò di nuovo lo sguardo stupita.
   “Che c’è?”
   “Heriomione, tu… riesci a toccare il libro” disse Harry incredulo.
   La ragazza guardò le pagine senza capire cosa ci fosse di speciale in un gesto così semplice, poi alzò lo sguardo dubbioso su Harry, alzando le sopracciglia.
   “Nessuno a parte Harry è riuscito a toccarlo fino ad ora” spiegò Greg; Hermione notò con una punta di fastidio che aveva estratto di qualche centimetro la bacchetta dalla divisa blu pavone. La professoressa McGranitt allungò una mano verso la pagina più vicina a lei e vi posò un indice, che prese ad emettere piccole spire di fumo come se fosse stato buttato su una griglia rovente; la Preside ritirò immediatamente la mano trattenendo un gemito di dolore: sul polpastrello si era formata una vescica gonfia di liquido, la pelle circostante era rossa come il fuoco. Hermione stava ancora guardando sbalordita l’ustione quando la professoressa la guarì con un colpo deciso della bacchetta.
   “Come diavolo è possibile?” chiese la ragazza più a sé stessa che a qualcuno dei presenti.
   “Mi hai Disarmato” rispose Harry.
   “Cosa?! Quando?”
   “Il giorno dopo la battaglia… quando eravamo nella Sala Comune, io mi stavo accanendo contro un cuscino e tu…”
   “E io ti ho Disarmato per farti smettere” ricordò Hermione in un soffio.
   “Questo vuol dire che adesso tu…”
   Hermione guardò per un lungo momento Harry; si scambiarono un nuovo cenno di intesa, non avevano molte possibilità di uscire da quella stanza senza aver rivelato il loro segreto alle persone presenti. Si voltò verso Leatherman e Greg.
   “Significa che io sono attualmente la legittima proprietaria della Bacchetta di Sambuco.”
   Sfogliò di nuovo le pagine, superando quella di Malfoy, poi quella di Harry, trovando infine una nuova pagina completamente bianca intestata con il suo nome: Hermione Jane Granger.
   Scoppiò un piccolo putiferio: gli Auror non facevano che sbraitare che quella della Bacchetta non era altro che una leggenda e ci volle del bello e del buono per convincerli anche solo a stare a sentire un breve riassunto della loro storia. La McGranitt ascoltò in silenzio finché non si alzò in piedi con il volto inespressivo.
   “Credo che dovreste tornare dal Capo Prewett con le informazioni che vi sono state date e ricevere istruzioni su come procedere con questo libro” disse con voce ferma. “Inutile aggiungere che le informazioni in questione sono strettamente riservate.”
   Attese qualche secondo prima di proseguire, come per essere certa che l’ordine fosse passato chiaramente.
   “Il libro rimarrà qui, nel mio studio, finché il Capo Prewett in persona non verrà a concordare con me come gestire la situazione.”
   “Minerva, non credo che…” cominciò Leatherman, ma la Preside lo interruppe bruscamente.
   “Io credo che questo libro possa mettere in pericolo una delle mie studentesse ed è mio preciso compito proteggerla. La Bacchetta di Sambuco a quanto ci è stato detto è un artefatto magico potente e pericoloso, meno persone sono a conoscenza della sua esistenza e soprattutto di chi ne è il proprietario, meglio sarà per tutti. Abbiamo assistito ad omicidi per molto, molto meno.”
   I due Auror annuirono in silenzio, anche se Leatherman avrebbe chiaramente preferito controbattere; si alzarono e Greg prese una manciata di Polvere Volante da un piccolo contenitore in legno sulla mensola del camino.
   “Professoressa, posso…” chiese Harry esitando un attimo. “Posso salutare Ginny? Con il permesso del mio Istruttore” aggiunse lanciando un’occhiata a Leatheman.
   “Sei fuori orario di lezione” grugnì l’Istruttore. “Per me puoi fare tutto quello che ti pare.”
   La McGranitt guardò il ragazzo per un lungo momento, poi sospirò ed annuì.
   “Vai nell’aula di Pozioni, Potter, troverai la signorina Weasley a pulire l’armadio delle scorte senza bacchetta. E’ l’ultimo favore che ti faccio, sia ben chiaro.”
   Harry non se lo fece ripetere due volte ed infilò la porta alla massima velocità consentita senza correre. Greg salutò la Preside e si infilò nel camino, mentre Leatherman venne trattenuto per un momento dalla McGranitt che gli sussurrò qualcosa che Hermione non riuscì a sentire; l’Istruttore annuì contrariato, poi entrò nelle fiamme smeraldine senza aggiungere una parola.
   Hermione nel frattempo era rimasta in piedi vicino alla scrivania dove era ancora appoggiato il libro aperto sul suo nome; lo fissava ipnotizzata, mordicchiandosi un labbro, incapace di pensare ad altro che non fossero gli Incantesimi contenuti in quelle pagine; con ogni probabilità i precedenti proprietari della Bacchetta di Sambuco avevano raccolto come Silente gli Incantesimi che negli anni, nei secoli avevano sperimentato e perfezionato e…
   “Chiudi quel libro per favore” il tono deciso della McGranitt riscosse Hermione, che obbedì e richiuse a malincuore il volume. La Preside la guardò a lungo, troppo a lungo, finché la ragazza non capì che c’erano guai in vista anche per lei.
   “Mi dispiace doverti dire che più di un insegnante mi è venuto a riferire cose preoccupanti su di te, signorina Granger.”
   “Preoccupanti?”
   Era dall’inizio dell’anno scolastico che se ne stava buona nel suo angolo, non disturbava, i suoi voti non erano calati di una virgola; Hermione non capiva davvero che cosa potessero aver riferito i professori di così grave sul suo conto. Era la prima volta che veniva ripresa per il suo comportamento a scuola e con una fitta di dolore pensò a che cosa avrebbe detto sua madre se lo avesse saputo… e se si fosse ancora ricordata di avere una figlia, certo.
   “Sei svogliata, silenziosa, non ti impegni; eri sempre la prima ad alzare la mano in classe e adesso il professor Lumacorno mi dice che ti deve quasi pregare per farti rispondere anche alla più semplice delle domande.”
   “Ma i miei voti…” provò a ribattere Hermione.
   “Non posso dire che la tua media sia calata, ma di certo non mi sarei aspettata di venire a sapere che sgattaioli in cucina durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure!”
   “Oh” mormorò Hermione.
   “Sì, oh, signorina Granger. Non sono disposta a tollerare questo atteggiamento ancora per molto. Tuttavia” la professoressa McGranitt riprese fiato e il suo viso parve decongestionarsi lentamente, il rossore che scivolava via insieme alla rabbia. “Tuttavia penso di capire cosa ti sta succedendo.”
   Distolse per qualche momento lo sguardo da Hermione e lo fece scivolare sul libro richiuso sulla sua scrivania.
   “Se il Capo Prewett riterrà opportuno studiare il contenuto del libro e lo farà rimanere a Hogwarts… chiederò al professor Vitious di considerarti come sua aiutante.”
   Il che mi sembra l’unica scelta possibile, visto che oltre ad Harry l’unica che riesce a sfogliarlo sono io. Ma Hermione evitò di formulare ad alta voce il proprio pensiero, scegliendo invece di sorridere e ringraziare la professoressa.
   “Mi impegnerò” promise con calore. Le farfalle si agitarono nuovamente nello stomaco di Hermione: con un po’ di fortuna avrebbe potuto lavorare agli Incantesimi nascosti tra la polvere di quelle pagine.
 
 
 

3 novembre – Londra
 
   Fanculo.
   La testa di Roy Leatherman pulsava come se un dannato Troll lo avesse centrato con un destro ben assestato; una volta gli era capitato, all’ultimo anno di addestramento Auror, durante un ritiro in un paesino dal nome impronunciabile a picco sui fiordi norvegesi, quindi sapeva esattamente di cosa stava parlando: la sensazione era più o meno quella.
   Infilò le mani nelle tasche della divisa del Ministero e fissò il camino dal quale era appena uscito con aria assente, finché le fiamme non diventarono verdi e Roy capì che presto gli sarebbe atterrato sui piedi un qualche mago, quindi si affrettò a raggiungere gli spogliatoi al secondo livello; non desiderava altro che cambiarsi e fare due passi, tanto per schiarirsi un po’ le idee. Buttò la divisa nell’armadietto senza appenderla a un bel niente – Isolt lo avrebbe di nuovo rimproverato – e si infilò il completo scuro che utilizzava tra i Babbani; di solito usava la Metropolvere per tornare a casa, ma oggi aveva bisogno di farsi passare quel fottuto mal di testa prima di rientrare o sarebbe partita l’ennesima lite con Isolt per motivi inesistenti: l’asse del water alzata, il letto non rifatto, hai un’espressione strana…
   Roy chiuse l’armadietto e tirò un pugno all’anta di metallo. Le nocche presero a sanguinare, ma lui le guarì con un colpo distratto della bacchetta; lo faceva almeno un paio di volte a settimana, ormai quasi senza più accorgersene. Percorse velocemente gli spogliatoi e prese l’uscita di servizio riservata agli Auror; percepì il consueto brivido passando attraverso la cortina di Incantesimi, salutò con un cenno del capo i due disgraziati a guardia dell’ingresso dei quali non ricordava minimamente il nome e si ritrovò lungo un vicolo angusto e buio, pervaso dal tanfo di spazzatura proveniente dal cassonetto poco lontano. Percorse qualche metro, poi si fermò e decise di accendersi una sigaretta; ormai era diventato piuttosto bravo anche con l’Incantesimo Profumante, piccolo e sciocco, ma decisamente utile per evitare che Isolt si incazzasse anche per una stupida sigaretta – il ché poteva essere strettamente correlato al fatto che sua moglie era convinta che lui avesse smesso di fumare da diversi anni. Cazzo, per una sigaretta non sarebbe morto nessuno, santo Dio, ma quella donna aveva una vera passione per le sfuriate.
   Aspirò con calma una boccata di fumo, la trattenne per qualche momento in bocca e la soffiò dalle labbra socchiuse, godendosi la sensazione dei nervi che si rilassavano un poco. Che giornata assurda. Che cazzo di giornata assurda. Essere Istruttore era tutt’altro che una passeggiata, ma se l’era scelto lui e stringeva i denti ogni giorno per fare al meglio il suo lavoro; quello che davvero non poteva compatire era l’atteggiamento di Prewett, che fino al giorno prima si nascondeva sotto la sottana di Kingsley e adesso si atteggiava a Grande Pezzo Grosso. Le dita di Roy formicolarono, pervase nuovamente dal bisogno di colpire qualcosa, ma l’uomo le tenne occupate con un’altra boccata di fumo.
   Poi c’era Minerva. Come se la gitarella a Hogwarts non fosse stata abbastanza assurda con quella storia della Bacchetta di Sambuco, la Preside gli aveva ricordato con molta insistenza la lettera che gli aveva consegnato appena qualche giorno prima, pregandolo di andare al più presto da questo studente, Thompson, o Therence, non ricordava bene.
   In un gesto automatico di curiosità, la mano di Roy scivolò nella tasca interna del completo ed estrasse la lettera della McGranitt.
 
Ai genitori di Dean Thomas
 
   Thomas, ecco com’era il cognome, Thomas. Sul retro della busta Minerva aveva scritto anche l’indirizzo: era un quartiere residenziale di Londra che Roy conosceva vagamente, ma poteva sempre Materializzarsi a qualche isolato di distanza dove c’era un vicoletto ben riparato.
   Roy aspirò un’altra boccata di fumo, rigirandosi tra le dita la pergamena spessa. Entrando nel camino a Hogwarts si era detto che quella sera era ormai troppo tardi, che era stanco e voleva solo tornare a casa, quindi quel dannato studente avrebbe dovuto aspettare un altro giorno. Ma ora, con la lettera in mano, sentiva di nuovo Minerva sussurrargli all’orecchio: il mio studente, Roy. Sbrigati o si perderà.
   Si perderà. Dio, Minerva sapeva essere così tragica quando si trattava dei suoi studenti, faceva sembrare sempre tutto questione di vita o di morte.
   Sbrigati o si perderà!
   “Che cazzo” sbraitò a voce più alta del dovuto; lanciò la sigaretta per terra e la pestò con forza. “Va bene, ci vado.”
 
   Roy trovò la casa dei Thomas con facilità, nonostante fosse una casetta come tutte la altre lungo la via di quel tranquillo quartiere residenziale; la cosa più rumorosa erano le macchine che di quando in quando passavano borbottando sotto la pioggerella autunnale. Roy si sistemò a disagio la giacca, non amava particolarmente avere a che fare con i Babbani, più che altro perché gli ricordavano i suoi terribili suoceri; allungò la mano e suonò il campanello. Il ragazzo nero dai capelli rasati corti che aprì la porta dopo pochi secondi aveva l’età giusta per essere uno studente di Hogwarts all’ultimo anno; non disse nulla, si limitò a fissare il nuovo arrivato con sospetto.
   “Buonasera” lo salutò Roy con tutta la gentilezza che era riuscito a mettere insieme. “Io sono...”
   Con una velocità inaspettata, il ragazzo estrasse la bacchetta e la puntò sulla gola di Roy, spingendo fino a fargli male.
   “Mago” ringhiò il ragazzo. “Mani dove possa vederle e niente scherzi.”
   “D’accordo” disse incredulo Roy, alzando mani e sopracciglia.
   “Chi sei?”
   “C’è una lettera nella mia tasca interna. E’ della professoressa McGranitt, mi manda lei. E’ per i tuoi genitori, ma viste le circostanze” disse Roy accennando appena alla bacchetta del ragazzo. “Credo sia meglio la legga tu.”
   Il ragazzo rimase visibilmente indeciso sul da farsi per qualche momento, poi allungò con cautela la mano libera ed estrasse la lettera; riconobbe il sigillo di Hogwarts e la scrittura della Preside, per cui con molta riluttanza fece entrare Roy e chiuse la porta. Mentre il ragazzo era alle prese con la lettera di Minerva, l’uomo si guardò intorno con attenzione: si trovava in una sala modesta ma ben curata, con un lungo divano azzurro che campeggiava al centro della stanza; al di sopra di un tavolo di legno chiaro una mensola correva sulla parete opposta a quella di ingresso, mettendo in bella mostra una serie di foto di famiglia, tra le quali Roy notò un matrimonio e una laurea. Una vetrinetta e un televisore molto simile a quello da cui sua suocera sembrava dipendere completavano l’arredamento.
   Senza allontanare la bacchetta dalla gola di Roy, il ragazzo strappò un lato della busta con i denti e ne estrasse la lettera; la lesse con attenzione, per poi appallottolare il foglio e gettarlo in un angolo, ghignando malignamente.
   “E’ preoccupata per me?!” chiese ridendo. “Che dici, Roy” calcò sul nome come se fosse una battuta divertente. “E’ forse perché è preoccupata per me che mi ha sospeso per un intero mese?”
   “Mi è arrivata voce che tu abbia esagerato un po’, Dean” Roy calcò sul nome del ragazzo con lo stesso tono ridicolizzante che aveva usato lui.
   “Esagerato?!” nella foga della risposta indignata Dean scordò completamente di minacciare Roy, alzando entrambe le braccia al cielo e liberando l’uomo dalla pressione della bacchetta; l’Istruttore si passò una mano sulla gola e decise di sedersi senza aspettare un invito, mentre Dean misurava a grandi passi la stanza gesticolando forsennatamente.
   “Vediamo, ricapitoliamo in breve gli eventi: i Mangiamorte hanno terrorizzato la comunità magica per più di un anno, dando la caccia a quelli come me come se fossimo animali. Sono stato braccato, catturato, torturato e come se questo non bastasse quando finalmente torno ad Hogwarts mi ritrovo i loro figli a scorrazzare per la scuola belli come il sole e non ho nemmeno il diritto di essere incazzato! Che dici, Roy, non ho il sacrosanto diritto di essere incazzato?”
   Dean tirò un pugno al muro vicino alla mensola delle foto e una cornice laccata di bianco cadde a faccia in giù; il ragazzo la prese al volo e la fissò con astio. Roy si lasciò guidare dall’istinto da Auror e cercò una breccia.
   “E i tuoi genitori cosa ne pensano?”
   “I miei genitori” sillabò Dean senza distogliere lo sguardo dalla foto. “Sono troppo occupati ad idolatrare mio fratello per occuparsi di me. E’ un medico, sai? Uno dei loro Guaritori.”
   Loro. Dean aveva fatto il salto e non si sentiva più parte del mondo Babbano. Succedeva a tutti i Nati Babbani prima o poi e non era mai un passaggio semplice: era come sradicare una pianta, come Isolt aveva ripetuto a Roy un’infinità di volte.
   “Ha preso una brillante laurea due anni fa e adesso è proprio un medico capace” proseguì Dean quasi ringhiando. “Mentre io finirò gli studi in ritardo e mi sono anche fatto sospendere!”
   Il ragazzo lanciò la cornice in terra con rabbia; Roy si limitò a cambiare posizione sul divano, incrociando le gambe e attendendo paziente il resto della sfuriata: probabilmente Dean stava aspettando di dire quelle cose a qualcuno già da un pezzo, ma nessuno gli aveva mai dato il tempo o l’occasione per tirarle fuori. O forse lui non era mai arrivato al punto di rottura.
   “Si è anche sposato, sai?” il ragazzo prese in mano un’altra cornice e la fissò con lo stesso odio riservato alla prima. “L’anno scorso, mentre io ero da qualche parte nei boschi a cercare di salvarmi la pelle, loro hanno trovato opportuno fare una bella festa tutti insieme! E non mi potevano aspettare, no! Lui si è scusato dicendo che non sapevano se sarei tornato vivo o meno, e quindi perché aspettare?”
   Come da previsioni, anche la foto di famiglia scattata il giorno del matrimonio si schiantò a terra con un gran fracasso di vetri infranti.
   “Lui si è sposato e io non ho altro che stupide fantasie sul mio Capitano di Quidditch.”
   La voce di Dean finalmente si ruppe, facendo supporre a Roy che lo sfogo stesse giungendo al termine; insieme alla voce tuttavia si ruppe anche la vetrinetta alle spalle del ragazzo, esplodendo in una pioggia di schegge di vetro. L’uomo sussultò, non si aspettava della magia involontaria, non a quel punto e non in un ragazzo così grande; si alzò dal divano e raggiunse Dean, attento a non fare mosse brusche e a non toccarlo.
   “D’accordo, sei incazzato e hai ragione” disse conciliante. “E la rabbia può essere una gran bella spinta, sai? Ti aiuta a sopravvivere. Ti fa sentire potente, come se tu potessi dire e fare qualunque cosa ti passi per la testa. Però ha qualche… effetto collaterale, diciamo così.”
   Dean lo guardava come se stesse straparlando – e forse aveva ragione, visto che Roy stava improvvisando e non aveva la minima idea di dove sarebbe andato a parare.
   “Se ti lasci trasportare succede questo” Roy indicò con una mano aperta i vetri sparsi dappertutto. “Distruggi quello che ti circonda. La rabbia ti fa sentire il centro unico di tutto l’universo e non riesce a farti vedere al di là del tuo ombelico. Tutto quello che non ti riguarda diventa all’improvviso poco importante, o ingiusto, o cattivo.”
   Dean aveva cambiato espressione, forse riconoscendosi in quello che Roy gli stava dicendo. L’uomo si azzardò con movimenti lenti ad estrarre la bacchetta dalla giacca e la puntò contro la foto del matrimonio; la riparò e la fece Levitare di nuovo al suo posto.
   “Tu avresti potuto davvero non tornare mai e forse tuo fratello aveva solo paura di non riuscire ad accettarlo, di non riuscire ad andare avanti con la sua vita se tu fossi effettivamente morto.”
   Roy puntò la bacchetta sulla foto di famiglia e riparò anche quella.
   “I tuoi genitori sono Babbani e sono spaventati da morire dal nostro mondo; una laurea in medicina la possono capire, essere braccati da Mangiamorte è una cosa un po’ più complessa da accettare.”
   Roy riparò anche la vetrinetta e sospirò.
   “Sul tuo Capitano non posso proprio promettere nulla, ma… credo fortemente che se la pianterai di piangerti addosso e parlerai con le persone che ti stanno attorno riuscirai a vedere cosa c’è di buono. E la pianterai di distruggere tutto quello che hai costruito. Anche gli altri sono spaventati, arrabbiati e confusi, forse… dico forse potreste provare ad andare avanti tutti insieme.”
   Dio, quel discorso non stava in piedi nemmeno a puntellarlo.
   “Andrà meglio, vedrai” buttò lì alla fine.
   “Come lo sai?” chiese Dean. “Come sai che andrà meglio?”
   Lo so perché io ero come te. E forse lo sono ancora.
   Roy sapeva che Minerva lo aveva scelto per quel motivo, sapeva che avrebbe dovuto raccontare un pezzettino di sé quella sera. Ed era sempre quello il motivo per cui aveva temporeggiato fino all’ultimo prima di andare alla casa dei Thomas. Al diavolo, tanto valeva buttarsi.
   “Sono diventato un Auror per essere utile, per difendere la Comunità Magica dai Maghi Oscuri, per costruire qualcosa di buono. Ma le regole che mi venivano imposte non mi andavano mai bene, raramente rispettavo gli ordini che mi venivano dati, avevo un concetto tutto mio del fare giustizia che ritenevo assolutamente brillante. Chiaramente ho ricevuto una quantità di richiami e sanzioni sufficiente a riempire diversi faldoni dell’Ufficio Personale del Ministero della Magia. Più il mio capo mi rimproverava, più io mi incazzavo perché ero assolutamente convinto di essere nel giusto. Finché…” Roy sospirò di nuovo e si costrinse a continuare. “Avevamo avuto una soffiata su un covo di Mangiamorte a Edimburgo; venimmo spediti in cinque a verificare le informazioni, con il preciso ordine di non intervenire, qualsiasi cosa avessimo visto. Dovevamo solo controllare che il covo fosse effettivamente nel luogo che ci era stato indicato e tornare alla base scozzese per ricevere nuove istruzioni.”
   “Ma tu non ti sei limitato a quello” disse atono Dean; Roy increspò le labbra e annuì.
   “Stavano torturando una coppia di Babbani. Maledizione Cruciatus. La donna svenne e io non ci vidi più: feci irruzione e i miei compagni mi seguirono.”
   Faceva ancora molto male raccontarlo, non riusciva a perdonarsi in nessun modo quello che aveva fatto, per quello che aveva distrutto perché non aveva saputo guardare oltre sé stesso.
   “Tre di loro morirono, un terzo ebbe abbastanza buon senso da tornare alla base e chiamare rinforzi – il ché per inciso è l’unico motivo per cui sono qui a raccontarti questa bella storiella. Al ritorno volevo dare le dimissioni, ma fu Kingsley ad opporsi con forza e a convincermi a rimanere; chiesi di non essere più agente operativo e scelsi di fare l’Istruttore di Reclute.”
   Roy deglutì e cercò di mettere insieme una conclusione.
   “Mi dedico agli altri, solo alle mie Reclute, e spero che loro diventino Auror migliori di me.”
 
   Anni dopo, quando Roy Leatherman avrebbe ripensato a quella sera, avrebbe stentato a ricordare come si era congedato da Dean Thomas e si era ritrovato di nuovo sotto la pioggerella insistente dall’autunno londinese. Sapeva solo che il mal di testa martellante era stato sostituito da un brutto mal di stomaco, come se le sue budella fossero state rivoltate come un guanto; era certo che Dean stesse anche peggio, ma in qualche modo aveva letto in fondo agli occhi di quel ragazzo una scintilla nuova, come se quel ragazzo avesse intravisto in mezzo a tutto lo sproloquio di Roy un sentiero percorribile.
   Minerva McGranitt era la professoressa più terribilmente insistente che Roy avesse mai incrociato e probabilmente la donna più testarda sulla faccia della terra: sapeva, per sua stessa ammissione, di non poter salvare tutti i suoi studenti, ma questo non l’avrebbe fermata dal provarci sempre. Ed era brava, accidenti, era dannatamente brava.
 
 
 
 
 
 
 
 




 
Angolo di Gin
Soffocata dai fiori d’arancio, but still standing here!
Cinque matrimoni – che sono appena diventati sei – stanno letteralmente soffocando il tempo che riesco a dedicare alla scrittura e alla lettura, e vi chiedo scusa, ma eccomiiiii con un capitolo che spero faccia perdonare l’attesa.
Dunque, procediamo con ordine, cercando anche di riprendere alcune cose che forse si sono perse per strada (nomino personaggi di cui avete letto tipo un anno fa…):
  • Harry chiede ed ottiene una gitarella a Hogwarts, rispettando il canon per cui a lui tutti gli strappi alla regola vengono puntualmente concessi – e adesso se lo merita anche, visto che ha salvato il mondo magico etc etc, ma i bonus si stanno per esaurire. Quelli con la McGranitt sono sicuramente finiti;
  • Greg Williams era uno degli Auror assegnati alla scorta di Harry al San Mungo; giovane ed affascinante, aveva fatto ingelosire Ron più di una volta perché Hermione ha dato segno di apprezzare i sorrisi del nostro ricciolino, che oltre che belloccio è pure sveglio;
  • Hermione disarma Harry nel capitolo 2; in pieno stile Rowling (stasera me la tiro) ho ripreso una roba che nessuno si ricordava e che invece diventa fondamentale a questo punto;
  • Del libro parleremo e riparleremo, ma se avete le idee poco chiare ditemelo, nella mia testa è tutto chiaro, ma non so se lo è anche per gli altri…! Menzione speciale a Blackjessamine che ha beccato subitissimo il riferimento alla Bacchetta di Sambuco
  • Vi ho risparmiato la scena in cui Ginny deve ammettere di essere punizione – inutile e ripetitiva, quindi ho saltato a piè pari;
  • Finalmente dopo tre capitoli che dico che rivedremo Dean, abbiamo rivisto Dean! E abbiamo anche scoperto il motivo del pessimo carattere di Leatherman. Storia secondaria, ma sapete che io ho una vera passione per le story line minori <3
  • Penso sia intuibile, ma lo dico lo stesso, Isolt è la moglie di Leatherman, nominata velocemente nei capitoli di Villa Conchiglia
 
Grazi di cuore a chi è ancora con me dopo un anno e mezzo, a chi legge anche solo ogni tanto e soprattutto a chi dedica un po’ del suo tempo a recensire!
 
Smack
Gin
   
 
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