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Autore: Sakurina    10/08/2018    6 recensioni
Dopo la devastante battaglia finale contro Papillon, Ladybug scompare nel nulla, lasciando Adrien nella disperazione.
Affranto, pentito e sconsolato, Adrien si trascina di giorno in giorno, finché un giorno Marinette torna a scuola.
Ma la situazione non è quella che Adrien si aspetta...
[Basically Adrinette]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPITRE 5.
 
La pioggia non aveva smesso di scrosciare un solo minuto da quando erano entrati nella residenza Agreste. Marinette stava seduta appoggiata al tavolo della cucina, masticando lentamente la sua fetta di pizza, mentre i suoi occhi erano inchiodati su Adrien che, con espressione corrucciata, era intento a leggere il fogliettino volato fuori dal libro ritrovato nella cassaforte del padre.
 
Ciò che è sepolto, possa vivere per sempre. Ciò che vive per sempre, non conosca sepoltura.
 
Adrien leggeva e rileggeva quel bigliettino, senza darsi un attimo di tregua. Lo leggeva, lo abbassava, fissava il soffitto sbuffando, faceva un giro della cucina, si infilava il bigliettino in tasca; dava un morso alla sua fetta di pizza, prendeva un sorso di coca-cola. Tirava fuori il bigliettino, lo leggeva e lo rileggeva. Lo abbassava. E ricominciava la sua routine. Marinette lo fissava come incantata, era quasi ipnotico il ritmo cadenzato con cui il ragazzo seguiva gli stessi identici passaggi. Inoltre, era il modo più comodo che aveva per distrarre la sua mente da quello che era successo poco prima in camera di Adrien: si erano baciati. Lei. E Adrien. Si erano baciati. E la cosa più assurda era che era stato tutto così naturale, e lei non si era agitata, e non aveva combinato danni. Si era immaginata quella situazione in mille modi diversi durante gli anni delle superiori, e in ogni simulazione la sua mente era già impostata per calcolare cosa sarebbe potuto andare storto e quante stupidaggine avrebbe potuto commettere. Invece era andata: così, dolcemente, tranquillamente, seduti sul suo letto. Dopo averci dormito insieme la notte prima. Beh, le cose non erano andate esattamente nell’ordine più ottimale, però non poteva nascondere una profonda felicità che le scaldava il cuore. Oltretutto, qualcosa le diceva che si stavano avvicinando alla Fonte: non poteva esserne sicura, ma quegli indizi trovati insieme, come avrebbero fatto da Ladybug e Chat Noir, le avevano acceso una speranza nel cuore. Sentiva i pezzi della sua anima ricomporsi lentamente, pezzo per pezzo.
“Adrien... forse dovresti fermarti a mangiare con calma” gli suggerì dolcemente lei, raggiungendolo e appoggiandogli la mano sulla spalla.
Lui le sorrise di rimando, mettendo il biglietto in tasca mestamente, e dirigendosi verso la pizza gigante che avevano ordinato poco prima.
“È che... ho un tarlo in testa che non mi dà tregua... ma non riesco a capire cosa sia” sbuffò il ragazzo, appoggiando i gomiti all’isola posta al centro dell’enorme cucina.
“Forse con un po’ di riposo lo capirai meglio. Dovremmo dormirci su. Sono sicura che domattina ci ragioneremo più lucidamente” lo incoraggiò Marinette, sorridendo. “Magari potremmo vederci a scuola e...”
“No!” la interruppe Adrien, d’istinto.
“No cosa?”
“No... non andiamo a scuola...” sorrise nervosamente Adrien, afferrando una fetta di pizza. “Potremmo stare qui a cercare una soluzione per Tikki. È vicina, me lo sento”.
“Okay, allora... ti raggiungo qui a casa tua domattina?”
“...meglio ancora, perché non ti fermi qui stanotte?” le chiese lui, regalandole uno speranzoso sorrisino alla Chat Noir.
All’udire quelle parole, il cervello di Marinette smise di funzionare. Una vampata di caldo le infuocò le guance e la bocca si spalancò, senza emettere alcun suono.
“N-non prenderla come una richiesta ambigua, è solo che... mi sento più tranquillo se resti qui con me... non so... avrei l’ansia di vederti sparire ancora e non riuscirei a chiudere occhio tutta la notte” le spiegò Adrien, stringendola la mano nella propria “So che non ho il diritto di chiederti nulla, Marinette. Ma ti prego, resta con me stanotte. Troveremo una soluzione. Faremo riprendere Tikki e dopo che sarà tutto sistemato... spero che mi darai la possibilità di farmi perdonare per il male che ti ho fatto”.
“Adrien, io... in verità... ti ho già perdonato... sono stata molto egoista a vomitarti addosso tutta la mia rabbia. C’era in gioco la tua famiglia, tuo padre, tua madre... forse nemmeno io sarei riuscita a ragionare lucidamente se mi fossi trovata nella tua situazione. Solo, ero troppo ferita per rendermene conto”.
“No, Marinette. Sono stato debole e non mi sono comportato come avrei dovuto. Mi sono fatto corrompere dall’oscurità, ma non succederà mai più. Farò ammenda per tutto, te lo prometto. Solo che ora, ho bisogno della tua forza. E non parlo della forza di Ladybug, parlo di quella di Marinette” le sorrise lui, stringendole con più forza la mano.
“Va bene, Adrien” sorrise lei di rimando, allacciando le sue braccia intorno al collo del ragazzo.
Adrien la abbracciò dolcemente, portando le sue labbra sul collo di Marinette per stamparci un dolce bacio che la fece rabbrividire. La ragazza tirò indietro la testa per incontrare lo sguardo di Adrien, ma lui si era già piegato per rubarle un altro bacio. Nonostante anche questa volta fosse giunto all’improvviso, questo sembrava un bacio completamente diverso dal primo: erano entrambi un po’ più consapevoli delle labbra dell’altro, sapevano già come gestire il flusso di emozioni che il gesto risvegliava in loro; era più controllato, più dolce, più assaporato. Durò finché il cellulare di Marinette non iniziò a suonare all’impazzata, il che accadde giusto poco prima che la porta d’ingresso si aprisse per annunciare il ritorno di Nathalie.
“Fiu, pericolo scampato per un pelo” le sorrise Adrien, regalandole un occhiolino malizioso, prima di correre dalla segretaria per trovare una spiegazione plausibile alla permanenza notturna di Marinette.
La ragazza sorrise di rimando, fissando poi lo schermo terrorizzata quando si rese conto dei mille messaggi senza risposta da parte dei genitori e della chiamata di suo padre che, vista la tarda ora e la cena saltata, probabilmente era in procinto di morire di crepacuore. Marinette prese un bel respiro, prima di rispondere e sorbirsi la (meritata) ramanzina.
 
Qualche ora più tardi, Alya, che era al telefono con Nino, ricevette un messaggio di Marinette che lesse ad alta voce al fidanzato: «Ciao Alya, ufficialmente sono a casa tua per stanotte. Reggimi il gioco. In realtà sono a casa di Adrien. Domani non veniamo a scuola. Ti racconterò tutto con calma! Baci baci».
“...sta scherzando, vero?” commentò poi l’amica, rileggendo il messaggio a bocca aperta.
Adrien scoppiò a ridere, divertito.
“Non posso credere che tu abbia davvero mandato un messaggio del genere ad Alya!”
“In realtà, a rileggerlo bene è venuto fuori più ambiguo di quanto non intendessi...” commentò fra sè e sè Marinette, rispondendo perplessa alla sfilza di messaggi con cui l’amica la stava tempestando. Decise di smettere di rispondere quando lesse «È successo qualcosa di interessante?! Vi siete baciati?!». Per quello avrebbe dovuto aspettare il racconto dal vivo.
“Dunque... ricapitoliamo la situazione” disse Adrien, sedendosi sul suo letto a fianco della ragazza e avvolgendole le spalle con un braccio “Abbiamo tempo solo fino a mezzanotte per finire la nostra ricerca per scuola prima che Nathalie venga qui per portarti nella camera degli ospiti. Dopodiché, domattina cercheremo un modo per bigiare scuola senza essere scoperti. Spero di convincere il mio autista a concederci una fuga d’amore senza spifferare tutto a Nathalie” sorrise infine, sornione.
“D’accordo, Adrien. Hai idee?”
“Uff... per ora continuerei le ricerche su internet. Se non troviamo nulla, domani potremmo andare a fare un tour per le biblioteche di Parigi. Che ne dici, my lady?”
“È un buon piano, gattino” sorrise lei, toccando le labbra sorridenti di Adrien con un dito.
 
Lui lo sapeva che quel tempo era prezioso e che avrebbe dovuto focalizzare l’attenzione sulla sua ricerca. Lo sapevano entrambi, ma visto che le informazioni su internet sembravano scarseggiare e la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire, si erano ritrovati abbracciati a letto per riposare, e il riposo era diventato un piccolo bacio, e il piccolo bacio era diventato un bacio lungo e profondo, che era diventato sempre lungo; e ora erano avvinghiati a letto, preda di un raptus di passione che non sembrava avere fine, a scambiarsi una sfilza di baci intensi e infiniti, interrotti solo per prendere respiro. Con un braccio, Adrien teneva Marinette stretta al suo petto; l’altra mano, invece, era ben arpionata al letto per ordine del suo cervello. Autocontrollo, Adrien, autocontrollo. Eppure era così difficile mantenere la mente lucida, mentre i loro corpi erano completamente vittima dell’istinto, della passione, dei sentimenti; un’ondata di emozioni intense e fuori controllo che finalmente, dopo tanti anni, trovava finalmente un modo per essere espressa.
A mezzanotte precisa, Nathalie bussò alla porta, interrompendo le effusioni tra i due con un gemito infastidito di Adrien.
“Sì, tra un minuto apro...” si lamentò lui, tirandosi su a sedere sul letto insieme a Marinette, che si sistemava alla bell’e meglio capelli e camicetta, scombinati per quelle effusioni movimentate.
“Subito!” replicò secca Nathalie, che mal tollerava quella situazione.
“Allora, io vado di là...” esordì Marinette con voce tremante, le guance in fiamme. Era così imbarazzata e confusa da tutto quello che era appena successo, che si sentiva quasi stordita.
“Sì, my lady... per stanotte mi sa che è meglio così” la salutò Adrien, regalandole un bacio in fronte. “Vengo a svegliarti domattina”.
“Oh no! Potrei essere in uno stato inconcepibile...!” protestò lei, preoccupata.
“Adrien!” lo richiamò la segretaria.
“Arriviamo, arriviamo...” si lamentò il ragazzo, con un sospiro.
Di nuovo quel sogno.
Marinette era sicura di averlo già fatto in precedenza e ricordava nitidamente dove e quando.
Ma certo, quella volta, durante la battaglia contro Papillon.
Mentre era svenuta, era andata in un luogo lontano da lì.
In un campo di fiori inondanto di una luce calda, bianca e abbagliante.
La madre di Adrien era intenta a raccogliere un mazzo di margherite colorate, i lunghi capelli dorati accarezzavano le piante ogni qualvolta si piegava per raccogliere un bocciolo. Il lungo vestito bianco che quasi svaniva avvolto dalla luce candida.
Le aveva detto qualcosa, anche quella volta. Con una voce dolce, flebile, elegante. Quasi una eco lontana.
Portami Adrien.
No, le aveva risposto lei. Portarle Adrien significava portarlo alla morte e l’idea la terrorizzava.
Portami Adrien.
Cosa vuoi dire? Le aveva chiesto Marinette. Forse c’era un significato che le sfuggiva. Non poteva credere che sua madre lo volesse morto. Doveva esserci dell’altro, per forza.
Svegliati, Marinette, le aveva sussurrato la signora Agreste.
 
Marinette si svegliò di colpo, un fremito lungo la schiena. Si guardò intorno per capire dove fosse, e poi accese la luce dell’abat-jour.
Saltò giù dal letto – aveva un pigiamino molto carino, una specie di vestaglia rosa di raso che le aveva dato Nathalie e che le andava anche un po’ grande. Con passo felpato, aprì la porta e guardò il corridoio, per assicurarsi che fosse vuoto. Percorse quei corridoi infiniti col batticuore, spaventata dal più piccolo scricchiolio e da qualsiasi ombra ambigua. Raggiunse la camera di Adrien col fiatone, nonostante non avesse mai corso – la paura di incontrare Nathalie e di beccarsi una ramanzina inferocita le aveva fatto compagnia per tutto il tragitto. Decise di non bussare per non essere scoperta e si intrufolò molto lentamente nella stanza, richiudendo con cura la porta alle sue spalle. Raggiunse il letto matrimoniale dove il ragazzo riposava, saltandoci sopra e scuotendo lievemente le spalle del biondino, che dormiva con un sorrisino compiaciuto stampato in faccia.
“Adrien...!” lo richiamò lei un paio di volte, per poi vederlo destarsi con fare intontito.
“Mari...nette...” la chiamò lui, sbadigliando leggermente “...che piacevole sorpresa notturna” affermò poi, regalandole un sorrisino più che malizioso e afferrandola per la vita.
“NO, non hai capito!” ribatté la ragazza, arrossendo nella penombra. Le finestre di Adrien non erano coperte e la luce della luna, finalmente visibile dopo una giornata di tempesta, filtrava attraverso i vetri.  Il ragazzo l’aveva bloccata sopra di lui e ora si guardavano negli occhi. “Ho fatto un sogno strano”.
“Definisci ‘strano’...” le chiese Adrien, restando sdraiato e fissandola con sguardo perplesso.
“Vedi, non è la prima volta che lo faccio...” spiegò sottovoce Marinette “...ho sognato tua madre”.
“Mia madre?” la risposta della ragazza attirò l’attenzione del biondino, che le liberò la vita e si sedette immediatamente per poter guardare meglio il volto di Marinette.
“Sì... lei mi dice per due volte portami Adrien. E poi mi dice di svegliarmi, e ogni volta io mi sveglio. All’inizio le sue parole mi hanno spaventata, pensavo che intendesse dire che dovevi morire; ma comincio a credere che forse le sto interpretando male”.
Adrien fissò Marinette con sguardo serio e cercando di capirci qualcosa. Tutta quella faccenda stava assumendo delle pieghe assurde, ma non poteva fare a meno di pensare che ci fosse un collegamento logico, che per ora gli sfuggiva.
“Cerchiamo di ragionare... dove potrei vedere mia madre, a parte nei quadri e nelle fotografie che ho a casa?” sospirò lui, fissando la luna fuori dalle vetrate.
“So che è lugubre, ma... al cimitero? Alla fine è lì che fisicamente riposa...” si azzardò a proporre Marinette, con voce incerta.
“Sì, certo... sono stato solo il giorno del suo funerale alla sua tomba. Mio padre mi ha impedito l’accesso da allora. Da che ricordo, riposa in un grosso mausoleo che mio padre aveva fatto costruire per lei” Adrien sospirò. “È comunque un posto che vorrei visitare da tempo. Potremmo andarci domattina prima delle biblioteche. Che ne dici?” le propose Adrien.
“No, Adrien, andiamoci subito”.
 
Per fortuna, negli ultimi anni Adrien era diventato un esperto di fughe da casa sua. Dopo essersi trasformato in Chat Noir – non senza provocare una serie di sentimenti contrastanti nel cuore di Marinette – il ragazzo l’aveva presa in braccio e insieme erano volati fuori dalla finestra, diretti al cimitero nel quale riposava la signora Agreste.
“Di certo non è proprio il primo appuntamento che mi sarei aspettato per noi” sospirò Chat Noir, dopo essere atterrato all’interno del cimitero, ancora chiuso alle 3 di notte.
“E-effettivamente è un po’ lugubre, l’atmosfera...” asserì Marinette con voce tremante, riluttante all’idea di dover scendere dalle braccia del ragazzo e di dover camminare in mezzo a tutte quelle tombe immerse nell’oscurità.
“Eccolo, è laggiù” affermò Chat Noir con un sospiro, intravvedendo in lontananza l’enorme monumento funebre realizzato in marmi chiari che parevano risplendere illuminati dalla luna piena di quella notte – unica fonte di luce insieme ai lumini appoggiati alle lapidi.
I due ragazzi si avvicinarono con passo lento e con un contegno reverenziale al monumento funebre: si trattava di una specie di tempietto greco, con al centro una grande cancellata nera incastonata tra due alte colonne bianche in stile classico. Al di sopra dell’architrave, sorgeva una scritta illuminata dai raggi lunari:
 
Ciò che è sepolto, possa vivere per sempre. Ciò che vive per sempre, non conosca sepoltura.
 
Entrambi sussultarono nel leggere quella scritta e si fissarono senza proferire parola.
“È proprio ora che io vada da mia madre. Credo di essermi appena ricordato qualcosa di importante” affermò Chat Noir con espressione seria, avvicinandosi alla grande cancellata chiusa. Il ragazzo fece per aprirla, ma com’era prevedibile, era chiusa a chiave.
Marinette stava per chiedergli cos’avesse intenzione di fare, quando senza preavviso Chat Noir attivò il suo Cataclisma e distrusse la serratura della cancellata, forzando così l’apertura del cancello.
“Ma... Adrien!” trasalì Marinette, raggiungendolo. Stavano profanando una tomba in un cimitero di notte. La cosa stava cominciando a prendere una piega da film horror.
“La sistemerò più avanti, Marinette. Coraggio, ora tira fuori la torcia.” La incoraggiò il ragazzo con fare determinato, aprendole il cancello per farla entrare per prima.
La ragazza si armò di coraggio, accese la torcia che si erano intelligentemente portati da casa e varcò il cancello scuro, per entrare nel mausoleo. A differenza dell’esterno, gli interni erano stati fatti in marmo nero, creando un effetto di oscurità totale che sembrava inghiottirli. In fondo a questo tunnel scuro, sul pavimento apparve qualcosa di splendente. Una lapide in marmo bianco, rettangolare, con sopra una ricca iscrizione in oro, il nome della madre di Adrien, la sua data di nascita e di morte, una bellissima fotografia della defunta e una lunghissima poesia di William Wordsworth, She was a Phantom of Delight, scritta in corsivo e in oro. Tutto intorno, una corolla di pietre poco lavorate del colore dell’ametista incorniciavano il luogo del riposo di Emilie Agreste.
“Eccole Marinette... le pietre del trono di Nüwa. Le avevo viste solo una volta molti anni fa, non potevo ricordarmele. Ma per fortuna... sembra che ci abbia pensato mia madre ad aiutarci” sorrise il ragazzo, inginocchiandosi e accarezzando con un gesto amorevole la foto di Emilie. “Grazie, mamma”.
Gli occhi di Marinette si riempirono di lacrime e la ragazza si accovacciò dietro a Chat Noir, abbracciandolo da dietro e affondando il volto nella sua schiena. Forse sarebbero riusciti a salvare Tikki. Forse sarebbero riusciti a riportare tutto com’era prima. Forse sarebbero potuti tornare a salvare Parigi insieme. Quell’incubo era finito.
 
EPILOGUE.
Chloé strappo un fazzoletto a morsi mentre li vedeva uscire da scuola mano nella mano, sorridendosi a vicenda e chiacchierando amorevolmente. Era la scena più disgustosa che avesse mai visto prima di allora. In compenso, tutti i loro compagni li salutavano e li guardavano con aria soddisfatta. Una in particolare.
“AHHHH!” urlò Alya, saltando in mezzo a Marinette e Adrien, afferrandoli entrambi a braccetto con espressione adorante. “Questo è uno dei mesi più belli della mia vita! Prima voi due che finalmente decidete di darvi una svegliata e vi mettete insieme, poi Ladybug e Chat Noir che tornano alla ribalta... ah! È un sogno! Finalmente posso riaprire il mio Ladyblog!”
“Sono felice per te, Alya!” sorrise Marinette, che era tornata a sfoggiare i suoi orecchini.
“Ehi, non è che voi due abbiate fatto molto per aiutarci a metterci insieme!” la riprese Adrien, scherzosamente.
“COSA?! Starai scherzando, vero? Lasci che ti racconti esattamente tutto quello che ho fatto per voi da quando hai messo piede in questa scuola, caro Adrien Agreste...” iniziò Alya, con tono divertito.
“Ehm, Alya, forse è meglio lasciar perdere... del resto il passato è passato, no?” ridacchiò nervosamente Marinette, guardando Adrien con occhi innocenti.
“Sì, il passato è passato” sorrise il ragazzo, stringendo nuovamente la mano di Marinette, pronto a non lasciarla andare mai più: del resto l’aveva capito fin troppo bene, stare senza di lei era come smettere di respirare.
 
The End.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sicuramente non un finale stupendo, ma quello di cui avevamo bisogno (?). Onestamente non mi ero accorta che fosse passato così tanto dall’ultima volta che avevo aggiornato. Avevo in mente quest’ultimo capitolo da così tanto tempo che continuavo a dirmi “ma sì, lo scriverò, lo scriverò” e puff. Sono passati due anni. Ah, il maggggico mondo delle fanfiction. A mio discolpa posso dirvi che sono stati due anni molto movimentati che non mi hanno permesso di dedicarmi molto alla scrittura... so che non ve ne fregherà nulla, ma va beh, cerco sempre di giustificarmi *occhi dolci*.
Un grandissimo grazie a tutti coloro che hanno letto e commentato e soprattutto a tutti quelli che hanno pazientato (ciao Marcy!). Quasi quanto pazientiamo ogni volta che deve uscire un nuovo episodio di questa meravigliosa serie. Si vede che il buon Astruc mi ha un po’ influenzata. <3
  
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