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Autore: Jules_Kennedy    16/09/2018    0 recensioni
-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, fissandola intensamente. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.-
.
.
-Non ci posso credere.- asserì sconvolto.
-Era l'unica soluzione- disse semplicemente Law.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente Kid dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione!?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Allora, è tutto chiaro?-
-Law, non c’è bisogno di..-
-Ho detto.. è tutto chiaro?-

Pen sbuffò roteando gli occhi al cielo, incredulo. Non era concepibile che dopo secoli Law gli imponesse ancora quelle stupide regole sulla riduzione di effusioni con, okay forse era un dettaglio non trascurabile, sua sorella. Ma non era mica come se Pen le avesse mai trasgredite quelle imposizioni, attenendosi al rigido protocollo che l’amico gli propinava per ogni singola occasione di famiglia!

Certo, fatta eccezione per quella volta in cui le aveva chiesto di passarle un po’ di tacchino ripieno e Lamy l’aveva imboccato con la sua forchetta senza dargli tempo di porre rimedio. Non avrebbe mai dimenticato il terrore che aveva provato nell’incrociare lo sguardo di Law di fronte a se.

Mai.

Si mosse sul sedile, ansioso di uscire dalla Submarine gialla e terminare in fretta la discussione. –Niente contatto fisico se non strettamente necessario, divieto assoluto di tenersi per mano e mai, mai per nessun motivo espletare “pulsioni sessuali” indesiderate in tua presenza.- calcò l’accento sul “pulsioni sessuali” giusto per il gusto di evidenziare quanto fosse assurdo che l’amico si sentisse ancora in dovere di irretirlo con quella stronzata.

Forchetta esclusa.

Alzò un sopracciglio in attesa che Law annuisse di rito, congedandolo dai suoi doveri fraterni. Con un sospiro aprì la portiera avviandosi insieme a lui lungo il vialetto di terra battuta che portava alla fastosa residenza di campagna dei Donquixote, la famiglia adottiva del chirurgo.

Quando lo aveva conosciuto agli esordi della loro carriera universitaria, farlo aprire sull’argomento parenti era sempre stato uno dei suoi tarli. E non perché Pen fosse chissà che ficcanaso, semplicemente riteneva che l’ammirazione che lui aveva per l’amico fosse anche merito di chi lo aveva cresciuto.

E dopo aver conosciuto Cora, seppe di non essersi sbagliato.

Tuttavia a chiarirgli ogni dubbio sul perché Law avesse speso gran parte della sua infanzia insieme si ad una delle più potenti famiglie di Dressrosa, ma che con lui avevano sempre avuto ben poco a che fare, era stata Lamy, la sua dolce e pura sorellina che per qualche strano caso, Pen si era ritrovato ad amare alla follia.  E per quanto gliene fosse stato grato ai tempi, capì una volta per tutte perché Law era sempre stato così reticente ad aprirsi sull’argomento.

Senza rendersene conto, immerso com’era nei suoi pensieri, si ritrovò affiancato dai pini secolari che costeggiavano il sentiero d’ingresso alla villa, maestosa ed imponente come al solito. –Odio questo posto.- commentò Law sovrappensiero, osservando con occhi freddi le complicate architetture barocche che si arrampicavano tortuose lungo le colonne del portone d’ingresso. Pen sapeva che non mentiva, ma si limitò dal commentare. Fece per dire qualcosa, salendo i tre scalini che conducevano all’immenso portone ancora chiuso, quando le pesanti ante di legno si spalancarono rivelando un fulmine biondo che gli si riversò tra le braccia saltellante. –Pen!- esclamò la ragazza minuta che si era lanciata fuori come un razzo, facendo ondeggiare le corte ciocche bionde mentre lo stringeva a se con forza. –Lamy!- la chiamò, incapace di non ricambiare la stretta nonostante le saette che quasi sicuramente Law gli stava lanciando alle sue spalle. Lamy alzò gli occhi ad incrociarli con i suoi, luminosi come non mai. –Ciao.- soffiò facendo scendere una mano per sfiorare la sua, nascosta agli occhi dardeggianti del moro che ancora aspettava di poter abbracciare sua sorella senza che Pen facesse parte del quadretto familiare. –Fratellone, non sta bene fissare la gente!- lo schernì infatti Lamy quasi intuendo il pensiero del fratello, correndogli incontro per abbracciarlo se possibile con ancora più forza. –Come stai?- le chiese Law senza dare il minimo segno di volerla allontanare da se, lanciando di tanto in tanto un’occhiataccia a Pen che rispondeva prontamente con un bel sorriso da schiaffi.

-Bene! Il reportage è stato grandioso, le foreste nascoste di Skypiea sono immense! Sto scaricando tutte le foto nel pc, ma voi due avrete il diritto di vederle prima dell’editing e della pubblicazione.- annuì soddisfatta, facendoli sorridere entrambi. Quella testolina bionda aveva la capacità di conquistare anche i muri, figuriamoci due tra le persone che più stravedevano per lei in assoluto. –Hai incontrato qualche South Bird mentre eravate li?- fantasticò Pen cingendo le mani sotto al mento. Aveva sempre adorato gli animali esotici, e quel particolare tipo di pennuto era quanto di più raro un ornitologo mancato come lui avrebbe potuto sperare di incontrare. Gli occhi di Lamy si illuminarono di una luce maliziosa, dandogli implicitamente la risposta. –E voi due? Tutto bene a lavoro?- si informò lei precedendoli nell’enorme atrio pieno di statue di dubbio gusto, camminando con passo aggraziato sul pavimento talmente luccicante da chiedersi quanti reni avrebbe dovuto vendersi Pen per potersene permettere anche solo una mattonella.

–Tutto regolare, Dadan ha nuovamente cercato di uccidere il tuo stupido fidanzato e ancora nessuno riesce a capire come faccia ad essere effettivamente un dottore. Nella norma.- si concesse di ironizzare Law camminando a passo svogliato diretto verso il piano di sopra.

Anche se vista la situazione, il rosso non era poi tanto sicuro che stesse scherzando.

–Dove pensi di andare?- lo richiamò la ragazza, mani sui fianchi ed espressione indecifrabile. –In camera mia.- spiegò senza mezzi termini il moro, incapace di comprendere cosa ci fosse di male nel volersi rinchiudere in camera propria durante una riunione di famiglia.

-Ti aspettano tutti di la, lo sai vero?- chiese lei incrociando le braccia sotto il seno, in attesa. Pen pregò con tutte le sue forze di scomparire in una voragine che lo inghiottisse, tutto pur di non trovarsi in mezzo ad una discussione tra la sua ragazza ed uno dei suoi più cari amici. –Sopravvivranno, come hanno sempre fatto. E poi..-

-C’è anche Cora – san.- soffiò appena Lamy, puntando lo sguardo luminoso in quello del fratello.
Bastarono quelle due parole a far perdere un battito al cuore del chirurgo, due parole che si ostinava a non pronunciare mai se non a se stesso, quando la sua mancanza era forte al punto da impedirgli di respirare.

Corazon era vivo.

Per davvero stavolta, non solo nei suoi sogni.

Ed era tornato.

-Datemi un minuto.- borbottò appena, avviandosi di corsa su per le scale. Lamy lo osservò finchè non sparì al di la del corridoio, gli occhi lucidi. Due mani si poggiarono lievi sui suoi fianchi, facendola sospirare rilassata. Poggiò la testa all’indietro, incontrando il petto di Pen che si alzava e si abbassava a ritmo con il suo. –Volevi fargli una sorpresa?- chiese lui cingendola da dietro ed inspirando profondamente il suo profumo, lasciandosi avvolgere. –E’ stata una sorpresa anche per me.. nessuno si aspettava di rivederlo più. Anche zio Dofla sembrava colpito.- mormorò Lamy stringendosi nelle spalle.

–Beh allora credo sia meglio non farci aspettare.- la invitò il rosso baciandola appena sulla tempia, osservandola avviarsi verso l’arcata che portava alla sala da pranzo con un sorriso ancora più ampio e la mano tesa ad aspettare la sua.

Lanciò un’occhiata di striscio al piano di sopra assicurandosi di trovarsi in territorio sicuro e libero da occhiate omicide, sospirando di sollievo. La risata cristallina di lei gli si insinuò nelle orecchie come le note di un carillon perso ormai da
tempo, facendolo ridere a sua volta per il “pericolo Law” che ancora li teneva strettamente sotto osservazione.

Afferrò le dita rivolte verso di se tirandosi Lamy accanto, inspirando appena in suo profumo. Kami, come avrebbe fatto a vivere un altro secondo di più senza rivederla?
–Ti fa ancora ripetere il giuramento in macchina prima di venire qui?- chiese lei ancora scossa dai singulti, contagiandolo suo malgrado mentre camminavano stretti l’uno all’altra. –Mi stupisco che non abbia ancora trovato il modo di infilarmi qualche chip in gola e controllare il mio cervello quando siamo qui!- si lamentò ironicamente Pen, facendola ridere ancora di più.

–Piuttosto prima che ritorni..- sussurrò lei dopo essersi calmata lanciando a sua volta un’occhiata alle scale per poi rivolgersi a lui con aria cospiratrice. Pen alzò un sopracciglio, interrogativo.
-Devi raccontarmi cosa diamine sta combinando mio fratello con quella ragazza.- chiarì Lamy, il tono di chi non ammette repliche.

Per qualche secondo Pen rimase spiazzato, per niente pronto ad affrontare l’inevitabile quesito. Un nodo gli si formò in gola al pensiero di raccontare all’ultima persona che Law avrebbe voluto partecipe di quella storia, dell’incredibile porcata che si era inventato quello scellerato di un sociopatico per scongiurare altri rapporti con la sua paziente, Koala Surebo. Deglutì a vuoto, incapace di distogliere lo sguardo ed evitare ulteriormente di lasciarsi trapassare dagli occhi brucianti di Lamy, così simili a quelli di Law a volte da far paura.
–Come puoi dire che ci sia una ragazza di mezzo?- tentò disperatamente di distoglierla, provando l’approccio della bugia sfrontata e palesemente traballante.
Se non fosse già evidente dall’umore ancora più nero di Law rispetto al solito, Pen sapeva perfettamente quanto Lamy potesse essere testarda e dannatamente brava a scoprire quello che voleva senza mezzi termini, per cui non ci sperò nemmeno più di tanto.

-Eustass – ya.- alzò le spalle lei, fintamente innocente e tremendamente sexy con quello sguardo da angioletto, ali comprese. Un sorriso lasciò le labbra di Pen ormai rassegnato a doversi inventare qualcosa per coprire almeno in parte lo sfacelo di quella situazione, procrastinando il momento della disfatta spalmandosi improvvisamente Lamy addosso ed avvolgendola in un bacio che sperava l’avrebbe distratta momentaneamente.

Nel momento in cui le sue labbra lambirono quelle morbide e delicate di lei, annullò tutto quello che di superfluo gli gironzolava ancora in testa per godersi il momento in cui finalmente potè riprendersi quello che era suo, che era stato così lontano da lui al punto da non poter nemmeno più respirare. Si allontanò appena per lasciarle fiato senza alcuna intenzione di sganciarsi dall’abbraccio in cui l’aveva cinta, osservandola a qualche centimetro di distanza.

Le scostò i capelli biondi dal viso, accarezzandole una guancia con il dorso della mano.

Gli fu impossibile distogliere lo sguardo da quella vista così bella, e non era nemmeno detto che ne avesse voglia. Aveva totalmente dimenticato qualsiasi cosa non c’entrasse o non fosse lei, lei ed ancora lei. Era impossibile spiegare a parole quanto il suono apparentemente comune come la sua voce, il profumo della sua pelle chiara, poter leggere nei suoi occhi tutto ciò che solo lui sapeva trovare, la sensazione di trovarsi a casa ogni secondo di più, gli era mancato in quei mesi.

Perché del resto Penguin adorava tante cose nella vita.

Il sole, la luce, il freddo. I suoi amici sopra ogni cosa e perfino le stupide paranoie del suo migliore amico.

Ma se si parlava di amore, poteva essere ben certo di amare una ed una sola persona, e che in quel momento si trovava esattamente dove fosse giusto che stesse: tra le sue braccia, con gli occhi illuminati dal sole del primo pomeriggio e le labbra increspate all’insù.

Si, Pen adorava decisamente tante cose.

Ma avrebbe amato sempre e solo una persona: Trafalgar Lamy.
 
                                                             


***
 

-Posso chiederti una cosa?-

Ace si risollevò dal cuscino su cui era stravaccato, lasciando che Perona si sistemasse meglio nell’incavo del suo braccio. Si voltò a fissarla, inclinando involontariamente le labbra all’insù. –Che c’è? Ho qualcosa di strano in faccia?- fece lei sfiorandosi una guancia con le dita alla vista della sua espressione divertita, sgranando gli occhi neri.

-Sei bellissima.- sussurrò Ace senza smettere di perdersi nei suoi occhi, facendola arrossire violentemente. Senza guardarlo Perona si passò una mano sul collo, sorridendo suo malgrado nonostante le risultasse ancora difficile accettare quando Ace fosse diretto a volte, forse troppo per i suoi gusti.

O per le sue abitudini.

Perché Ace era così, e lei se n’era già accorta in quei primi cinque folli minuti passati insieme a lui, rischiando di rompersi l’osso del collo cadendogli addosso e ritrovandosi catapultata in quel manicomio che Ace definiva la sua famiglia. Si era stupita, eccome.
Stupita per la facilità con cui quel ragazzo l’aveva trascinata da una quotidianità fatta di pappe per Nekozaemon e pianti interminabili a rivedere la luce del sole che aveva sempre odiato con un occhio totalmente diverso.

Non che le piacesse poi così tanto passeggiare in centro sotto gli occhi di tutti, ne tornare a sfiorare la sabbia con la punta dei piedi dopo anni. Eppure con Ace tutto assumeva una sfumatura talmente indefinita e irreale, che la Principessa dei Fantasmi di Kuragaina aveva quasi dimenticato come si facesse a respirare senza di lui al suo fianco. L’aria stessa sembrava in qualche modo più pulita, più calda. Il sole non pungeva più, ma la riscaldava piacevolmente insieme alle braccia poderose che da qualche tempo la stringev ano ogni volta che quel freddo buio sembrava tornare ad attanagliarla.

E le piaceva, quello le piaceva da morire.

Certo, niente di tutto ciò che era successo era previsto, men che meno finire in un letto a distanza di due settimane senza nemmeno più uno straccio di vestito addosso a cercare di scartavetrargli la faccia in un bacio che quel giorno era tutto tranne che dolce e posato come al solito.

E se Perona aveva capito subito tante cose di Ace, quanto fosse sbadato, narcolettico, svampito ma tanto, forse troppo innamorato dell’amore, una cosa le era stata chiara sin dal loro primo sguardo. Lui non l’avrebbe fatta soffrire. Non sapeva perché si fosse abbandonata a quella certezza, non era da lei.

Non lo era mai stato.

Ma non importava quanto tempo ci avesse messo a fidarsi di quella persona che poco tempo prima le aveva spezzato il cuore, non importavano le mille raccomandazioni fatte a se stessa e fattele da Izou. Nel momento in cui si era resa conto di stare correndo verso un burrone sotto al quale non sapeva cosa avrebbe trovato, per una volta nella vita aveva deciso di non rallentare, ma di buttarsi dritta giù in fondo alla gola.
E quello che aveva trovato valeva più di qualsiasi barriera avrebbe potuto ergere tra se stessa e lui, quello scemo che si addormentava costantemente sul piatto e a cui era costretta a levare i resti di pizza dalla faccia quando le andava bene, il porridge nelle giornate peggiori.

Ci aveva provato Perona ad allontanarlo, il Kami sapeva quanto ci aveva provato. L’aveva caricato di tutti i suoi malumori, scagliandogli contro ogni spina conficcata dentro di se nel tentativo di dimostrargli quanto effettivamente non ne valesse la pena.

Quanto non ne fosse mai valsa fino a quel momento.

Ma Ace non aveva mollato. Con quel sorriso che uccideva aveva bruciato tutte le sue insicurezze, le sue paure, liberandola inconsapevolmente di quel dolore che per tutta la vita era convinta di essersi inflitta per un motivo valido.  Per questo fare l’amore con lui era stato il punto più profondo della caduta, il passo oltre il quale sapeva di non poter più fare finta di nulla.

Il momento in cui aveva capito che Ace avrebbe continuato a guarirla nonostante tutto, tenendola stretta a se senza mai darle motivo di dubitare nonostante davvero, lo conoscesse da così poco tempo da chiedersi se il momento della pazzia non fosse finalmente giunto.
 

E se anche fosse stato? Diventare pazza per decidere di fidarsi di un ragazzo che aveva quasi rischiato di ucciderla e che l’aveva salvata tante volte di più, era una condizione tanto miserabile?
 

-Vodoo?- la richiamò lui distogliendola completamente dal loop in cui si era incastrata, facendole sbattere le lunghe ciglia, spaesata. –Eh?-
-Volevi chiedermi qualcosa?- chiese con tono tranquillo, infilandole una mano tra i capelli accarezzandoglieli. Perona sospirò piacevolmente per quel contatto, scacciando gli ultimi pensieri dalla mente per concentrarsi su quello che gli aveva effettivamente detto all’inizio.

Oh diamine, cos’era che voleva sapere?

-Ecco!- trillò quando le parole le riaffiorarono davanti agli occhi, accomodandosi meglio contro il suo petto. –Koala è tua amica da tanto, no?- iniziò, osservando un sopracciglio di Ace alzarsi. –Beh.. si. Ci conosciamo da una vita, come con..-
-Sabo.- completò lei assumendo un’espressione che Ace definiva “perturbantemente sexy”. –Quello che mi chiedo è perché nessuno sembra essersi accorto che tra lei ed il dottor.. Trafalgar?- alzò lo sguardo sforzandosi di non scoppiare a ridere per il cipiglio assassino che aveva assunto il moro al sentire il nome del chirurgo, sbuffando dalle narici come un toro. –Si.- dichiarò lapidario inchiodando gli occhi al muro,  suppose Perona, sperando di dare fuoco al suddetto dottore a chilometri di distanza.

-Ecco, per me c’è qualcosa tra di loro. E beh.. non guardarmi così!- si lamentò mettendo su il broncio all’occhiata sconvolta di Ace in risposta alle sue parole. –Perona, conosco Koala da anni, non potrebbe mai e poi mai..-
-Credo che tu e Sabo siate gli unici a non esservene accorti.- lo anticipò decisa. Si tirò su portandosi il lenzuolo a coprire il seno, dandogli una pacca sul braccio per riportare la sua attenzione in su, lontano da zone indiscrete. –Ace, dico sul serio. E poi non sembra una cattiva persona. Il dottor Trafalgar, intendo.- alzò le spalle stiracchiandosi, conscia di avere due occhi puntati addosso e per niente dispiaciuta da ciò.

-Per me Koala è troppo intelligente e spettacolare e.. troppo tutto per quell’idiota!- constatò il moro con tono disinvolto mentre le si avvicinava, pronto a tenderle un agguato in pieno stile Portguese.

Il suono del campanello fu più veloce di lui, anticipandolo.

Con un basso ringhio di delusione che scatenò l’ilarità di Perona ormai mezza vestita, Ace si decise a rotolare giù dal materasso per andare a terminare definitivamente la vita di chi l’aveva interrotto durante un agguato.

Nemmeno Michael Jordan in persona sarebbe valso come scusa, nossignore.

-Chi..-
-FRATELLO!-

Un lampo biondo lo scaraventò a terra, lasciandolo per un secondo senza fiato ed ancora più confuso.                    –Sabo?- borbottò cercando di levarsi il biondo di dosso, assestandogli un pugno sulla spalla che lui non si premurò di ricambiare, gli occhi spalancati e la pelle madida di sudore.
-Dove cazzo lo tieni il telefono?!- sbraitò quello rimettendosi in piedi alla febbrile ricerca di qualcosa, con disappunto di Ace a cui ancora non era chiara la dinamica che si stava svolgendo di fronte a se.

Non lo vedeva da almeno una settimana, tra il lavoro e Bibi che ultimamente sembrava essere sempre più stanca, motivo per cui era raro che il biondo la lasciasse da sola o la portasse da qualche parte, assecondando la sua ossessione per la sicurezza di quel bimbo non ancora nato oltre ogni limite non patologico.
E non che Ace non potesse capirlo, semplicemente sapeva distinguere la preoccupazione dalla paura pura e vera come quella che stava attanagliando suo fratello in quel momento, e che non gli aveva più visto addosso da quando aveva saputo del colpo in cui Koala era rimasta ferita. Scosse le spalle per allontanare quella sensazione di vuoto che aveva sentito in fondo alle viscere al solo ripensarci, concentrandosi esclusivamente sulla scheggia impazzita che ancora gli girava per la casa senza alcuna intenzione di fermarsi. –Sabo, che diamine succede? Che stai cercando?!- lo interruppe all’ennesimo tentativo del biondo di trovare qualcosa in casa sua che evidentemente non c’era o non c’era mai stato. –Niente, Ace maledizione non sto cercando niente, solo il tuo stramaledettissimo cellulare per insegnarti come si usa quando qualcuno ti chiama!- ribattè acido, beccandosi un’occhiataccia non del tutto convinta.
-Tu, voi..- riprese, le parole bloccate in gola. -Dovete venire, Bibi.. lei..- esclamò senza fiato, facendolo irrigidire. –Sta male?!- chiese d’un tratto una voce proveniente dal piano di sopra, e gli occhi di Sabo si illuminarono nel vedere Perona. –Lei sta.. sta..-
-Sabo parla maledizione!- sbottò Ace prendendo il fratello per le spalle e scuotendolo con forza nel tentativo di fargli sputare fuori le parole, voltandosi appena incrociando la chioma rosa alle sue spalle.  

Perona si portò ai piedi delle scale, un brillio negli occhi che Sabo sembrò aver interpretato nel senso giusto. –Ace, credo che Sabo stia cercando di dire che Bibi è appena entrata in travaglio.- asserì apparentemente senza alcun tono nella voce, concentrata a fare mente locale su tutto ciò di cui avrebbe potuto aver bisogno l’amica in quel momento. Lo sguardo di Ace prese la stessa forma di quello già sul viso di Sabo, e per chissà quale interconcessione divina Perona si impedì di sospirare esasperata.

Panico, autentico panico.

Sperò che nessuno dei due avesse notato la nota di velata preoccupazione che le animava la voce, sapendo bene che un’interruzione di gravidanza al quinto mese è qualcosa che non sempre si può aggiustare, non senza perdere qualcosa di molto importante in cambio.

Eccome se lo sapeva.

Ma Bibi era forte, e potevano contare su tanti medici eccezionali, forse anche il dottore dei miracoli, Trafalgar Law. Il suo pensiero volò a Bibi, un’amica che non avrebbe potuto sperare di avere neanche nei suoi più sfrenati e gioiosi sogni, un’anima talmente potente da lasciarla senza fiato al solo pensiero di poterla perdere.

Era fuori discussione, assolutamente e totalmente fuori discussione.

Non si chiese cosa stesse provando Sabo, bastava guardarlo in faccia per capirlo. E Nemmeno si rese conto di aver detto effettivamente le parole che le erano passate per la mente, blaterando qualcosa sul fatto che Bibi avrebbe superato qualsiasi cosa e che sarebbe andato tutto bene, ritrovandosi due paia di occhi fissi su di se in trepidante speranza. –Beh, e allora?! Andiamo all’ospedale no?- esclamò con quanto più entusiasmo possibile facendo ad entrambi segno con una mano di muoversi mentre si accingeva a mettere su un borsone di fortuna con quello che aveva a casa e che Ace non aveva manomesso o distrutto o messo sotto i denti.

Sabo dal canto suo scattò immediatamente verso la porta, correndo verso la Ryuusouken parcheggiata alla bell’e meglio per poi appoggiarvisi senza fiato. Non appena aveva realizzato quello che stava succedendo, totalmente in balia del terrore, aveva chiamato Ace complusivamente sperando che rispondesse. Alla fine si era deciso a lasciare Bibi in buone mani, tra suo fratello Pell e suo cugino Koza, per correre a prendere quell’imbecille di suo fratello che a quanto pare non aveva ancora idea di come si usasse un telefono.

Sapeva che non avrebbe dovuto allontanarsi da lei, era la cosa più logica. Ma Sabo aveva bisogno di Ace per superare qualsiasi cosa sarebbe successa.

Ace e la sua idiozia, Ace ed il suo sorriso contagioso.

Ace e la sua fiducia incrollabile.

Cercò di regolarizzare il respiro, autonvincendosi che Bibi era al sicuro e che lui sarebbe tornato a stringerla presto e non da solo, ma il pensiero di ciò che stava per accadere lo terrorizzava oltre ogni limite.

Non poteva perderla, non così, in nessun cazzo di modo. Non poteva.
Ne lui ne quella creatura che ancora per poco forse avrebbe potuto chiamare suo figlio.

Una mano si posò sulla sua spalla, facendolo sobbalzare. Ace si era cambiato in fretta e furia e Perona portava tra le braccia una sacca strapiena di roba sicuramente utile, ed entrambi gli sorridevano incoraggianti. Sentì le lacrime pizzicargli pericolosamente gli angoli degli occhi, prontamente ricacciate con un sorriso a sua volta tirato e pallido, ma sincero.
-Grazie.- sospirò infilandosi in macchina al posto del guidatore, prontamente scansato da Ace che lo lanciò praticamente sul sedile del passeggero. –Ma che fai? Lo sai che non puoi guidare!- si stranì ricordandogli quel piccolo problema di narcolessia che gli aveva anche fatto perdere la patente.
-Si, e tu sei nel pieno di un attacco di panico. Direi che vinco io!- ribattè per niente contrito Ace sfilandogli le chiavi di mano ed accingendosi ad immetterle nel quadrante di accensione.

-Infatti non guida lui! Ace, mettiti dietro.- esalò perentoria Perona, avvicinandosi alla portiera ancora aperta ed invitandolo con lo sguardo ad accomodarsi sul sedile posteriore.

–Vodoo, io posso guidare benissim..-
-Non andrò all’ospedale per un parto anticipato e per farmi curare un trauma cranico da incidente stradale! E se non ti fidi, come credi che faccia ad venire da Kuragaina a qui ogni volta? Una carrozza trainata da cavalli demoniaci?- sbuffò lanciando il borsone dal finestrino aperto dritto dietro il sedile del passeggero, una mano tesa a pronta a ricevere le chiavi della macchina.

Ace la guardò, gli occhi spalancati, se possibile ancora più luminosi di quelli di Sabo che la fissava esattamente allo stesso modo.

-Che c’è?!- strillò quasi lei al limite della sopportazione, pronta a sentire una stronzata colossale per cui si sarebbe pentita di aver dato retta al suo istinto e non aver mandato Ace a quel paese un mese prima.
-Beh non è esattamente così! Sulla carrozza ci hai azzeccato, ma credevo fossero pipistrelli quei cosi che ti trasportano in giro di notte a fare incantesimi!-
Si spiaccicò una mano in faccia, picchiandolo con la poca forza che gli era rimasta per convincerlo a levarsi dai piedi prima di farsi picchiare sul serio.
-E io che pensavo fossero babbuini alati.- asserì quasi serio Sabo dopo qualche secondo, sorridendo mestamente suo malgrado insieme ad Ace, sbragato come al solito dietro di loro.

Con un sospiro la rosa mise in moto, decisa a non ascoltare più una parola da quei due almeno fino a destinazione, sgommando nel vialetto per immettersi nella strada principale.

Alla malora, lei, le sue scelte sdolcinate e quello stupido sorriso maledettamente mozzafiato di Ace!
 
 


***
 
 
Si sciacquò la faccia per la quinta volta, osservandosi allo specchio con occhio più critico che mai. Si sentiva un idiota, un perfetto imbecille a preoccuparsi così tanto dell’aspetto che aveva in quel momento, considerando che lui l’aveva visto in uno stato sicuramente molto peggiore di quello.

L’accenno di occhiaie violacee che portava di solito con arrogante disinteresse era più scuro che mai, e si, gli pesava.

Gli pesava presentarsi alla persona che aveva eretto a suo mentore e modello con quella faccia stravolta, la barba leggermente incolta e la vitalità di uno dei cadaveri dell’obitorio ospedaliero.

Si scrutò per l’ultima volta, fulminandosi da solo con lo sguardo.
 

“Andiamo maledizione, non sembrava così difficile dieci anni fa! Perché dovrebbe esserlo ora?!”
 
Uscì dal bagno annesso alla camera da letto, allentandosi la cravatta che si era deciso ad indossare manco fosse una matricola spaesata al ballo scolastico, cercando di non pensare a quanto quella situazione lo facesse sentire ridicolo.  A passo lento si avviò verso il corridoio, finalmente deciso a scendere in sala da pranzo per raggiungere Cora, Lamy e Pen.

Oh, e tutti gli altri di cui gli importava più o meno quanto i chili persi nell’ultima dieta da Mama, l’infermiera di pediatria del quinto piano.

Si concentrò sul suono dei suoi passi per calmare i battiti che sembravano pronti a fracassargli la cassa toracica, quando sentì qualcosa vibrare nella tasca. Si interruppe a metà delle scale ed estrasse il cellulare che non la smetteva di squillare impazzito. Riconobbe il numero apparso sul display, stupendosi non poco di trovarvi campeggiato il nome del Maggiore Monkey D. Sabo.

Non era esattamente una novità.

L’aveva chiamato un paio di volte, certo, più per insultarlo ed avvisarlo a non farsi strani pensieri sulla sua amica più che per accertarsi delle sue condizioni, anche se ogni conversazione finiva sempre allo stesso modo.
Sabo che lo minacciava di morte e Law che lo sfotteva alla sua maniera, lasciandogli il dubbio se picchiarlo o meno al loro prossimo incontro. Sospirò staccando la suoneria e lasciando lo schermo a lampeggiare ormai muto, reinfilandosi in telefono nella tasca e scendendo gli ultimi scalini. Non aveva tempo per ocuparsi anche di quella questione, non in quel momento.

E poi non doveva preoccuparsi mica il Maggiore Sabo.

Ci aveva già pensato lui a boicottare qualsiasi cosa avrebbe potuto costruire con quella stramaledettissima ragazza. Si passò una mano sugli occhi ripensando solo per un momento alla sua geniale trovata, ormai a pochi metri dalla porta scorrevole della sala da pranzo, fermandosi di botto di fronte ad essa e percependo dentro di se l’improvviso e travolgente impulso di imboccare il corridoio alla sua sinistra e scappare da li senza voltarsi indietro.
Sentiva quasi la voce di Eustass – ya che gli dava del cacasotto rompipalle, trovando insperatamente un po’ di energia dalla rabbia che il solo pensiero di quell’imbecille del suo migliore amico gli causava.

Fissò per qualche secondo le decorazioni in vetro che tempestavano la superficie satinata dell’infisso, puntando lo sguardo poco oltre quella corte annebbiata che lo separava dall’unica persona che per qualche strano motivo era l’ultima che si era aspettata di trovarsi davanti, in quella stupida e deprimente domenica.

E casualmente l’unica che avrebbe davvero voluto vedere in quel momento.

Con un ghigno e le mani in tasca fece l’ultimo passo, abbandonando la stupida idea di fuggire alla sola prospettiva di poter rivedere Cora – San.
Appoggiò una mano alla maniglia, e senza pensarci due volte, entrò.
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Vi racconto una storiella.
Ho iniziato a giocare a nascondino un anno fa, e chissà per quale motivo mi sono nascosta e non mi sono più trovata.
Ahahahah divertente, vero?
Ma ehi, meglio tardi che mai.
Non ho idea di chi segua ancora questa storia, ma se per caso vi foste chiesti se fossi effettivamente morta, beh.. vi do ragione a metà.
Spero che questo capitolo frutto un po’ della sessione, un po’ della sfrenata voglia di riprendere in mano la tastiera e buttare giù tutto ciò che mi gira in testa.
Utilizzerò questo spazietto a me concesso inoltre per ringraziare una persona straordinaria senza la quale ne questa, ne tante altre cose belle che per fortuna ho fatto e ricevuto nell’ultimo anno, sarebbero mai successe.
Grazie _Page.
Grazie per non aver mai smesso di credere in me, per avermi spronata e per avermi dimostrato che in fondo, niente è impossibile con la persona giusta al proprio fianco. Grazie per essere un’autrice sublime ed uno spirito gentile, ma soprattutto.. grazie per essere un’amica vera.
Questa storia è per te, lo è sempre stata e lo sarà fino alla sua conclusione.
Detto ciò vi mando un bacio e spero a presto,
 
Jules
   
 
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