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Autore: Belarus    19/09/2018    2 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Manco da un’infinità di tempo e… dite la verità. Pensavate avessi troncato tutto con Aya e Kidd che si separano, n’è vero?! Sarebbe stato più semplice in effetti, mi avrebbe comportato meno fatica, avrebbe avuto anche un suo perché in fondo: Aya per la sua strada, Kidd per la sua e Law anche. Un cerchio perfetto. Ma avrei mai potuto mollare tutto di punto in bianco dopo quella marea di discorsi con i quali vi ho assillato per anni? Desolata, questa storia finirà, accadrà presto, ma non perché la lascerò incompleta. È una promessa che ho fatto e come ricorda un po’ a ciascuno di noi Diante in questo capitolo: “I giuramenti sono voti e vanno rispettati”. Ringrazio come sempre chiunque vorrà leggere, chi forse ci sarà ancora e chi è andato via. Mi state e avete accompagnata per molto tempo e ne sono onorata, lo sarò sempre.
Alla prossima, Bel.



CAPITOLO LXXXV






Lui e Kidd si conoscevano da molti anni, troppi a dirla tutta perché quell’espressione gli potesse sfuggire. Non c’era gesto, ringhio o pensiero che Killer non potesse prevedere nel proprio capitano, ma Kidd non era mai stato per lui solo il suo capitano. Era prima di ogni altra cosa il suo migliore amico, il fratello che in quell’esistenza di sudore e sangue aveva scelto di avere, l’unico cui avrebbe sentito di poter affidare la propria vita senza il minimo timore o a cui avrebbe osato rivelare le sue paure. E proprio per quelle ragioni, se solo fosse servito, gli avrebbe volentieri tirato uno, due, quindici o trenta cazzotti in piena faccia pur di farlo calmare perché la situazione gli stava sfuggendo di mano e il modo in cui serrava l’unico pugno rimastogli lo stava quasi spaventando.
«Levate l’ancora.» lo sentì ordinare brusco non appena ebbe messo gli stivali a bordo e gli uomini rimasti di guardia rivoltarono d’istinto gli sguardi su Killer cercando una tacita spiegazione ad un tale stato d’ira.
Da lui tuttavia non ottennero risposta, non aveva tempo per loro purtroppo e a sopperire ci avrebbe comunque pensato Heat o Wire, ammesso che fosse anche lui dell’umore per parlare – Killer non aveva ancora verificato –.
«Mollarla qui non è la soluzione e continuare a piantare i piedi neppure. Smetti di fare il caprone come tuo solito! Quando saremo lontani te ne pentirai, sai che è così, finirai per infuriarti il doppio e alle fine dovrai morderti la lingua e tornare indietro. Qualsiasi cosa sia successa dopo che sono andato via… prova, per una volta almeno, ad essere ragionevole Kidd.» lo inseguì, vedendolo marciare imperterrito per il ponte della nave con tutti gli occhi dell’equipaggio puntati in silenzio addosso.
Era uno zuccone dall’orgoglio sconfinato, lo era sempre stato. Parlare con lui richiedeva un’abilità da diplomatici che avrebbe messo i brividi o provocato esaurimenti nervosi a chiunque, si stava sempre in bilico sul filo del rasoio, a metà tra il rischiare una rissa o il farsi comunque pestare per essere stati dei cagasotto. Killer ci aveva fatto l’abitudine, aveva imparato la sua lingua, qualche volta ci era persino caduto in quella famigerata rissa, ma ne era sempre uscito a testa alta e Kidd gli aveva concesso il lusso di parlargli come meglio credeva quando voleva. Era l’unico a poterlo fare, l’unico cui fossero permesse simili confidenze e solo perché Kidd sapeva bene che era l’unico a parlare al posto della ragione che la natura spesso gli toglieva.
«È quello che sto facendo.» lo udì ribattere testardo.
«Vuoi lasciarla qui.» gli fece subito eco, secco e metallico, riuscendo finalmente a fermarlo dalla sua corsa.
«Vuole restare lei.» si sentì sbattere in faccia ed il tono con cui pronunciò quelle parole, sputandole come un macigno, lo lasciò per un lungo momento attonito.
Aya condivideva con loro la nave da tre anni ormai e calpestando i propri pregiudizi iniziali, Killer era passato dal non rivolgerle la parola al provare una tacita premura nei suoi confronti persino quando si trovava lì a bordo, lontana da ogni genere di reale pericolo. Lo aveva fatto per Kidd, perché sapeva che mai si sarebbe trascinato dietro una ragazza sconosciuta senza vederci qualcosa e per lei, perché qualcosa aveva davvero. L’aveva vista sorridere ogni giorno a Wire, salutare di controvoglia Heat, rammendare le vele, pulire dove gli uomini sporcavano per rendersi utile, borbottare messa alle strette qualche canzone da pirati arrossendo perché non era intonata… l’aveva vista raccogliere il braccio amputato di Kidd senza batter ciglio e cambiargli le bende ogni tre ore, sporca di sangue da capo a piedi, trattenendo i conati di vomito. Era stato il primo a rendersi conto di quanto, in quella strana accoppiata tra lei e Kidd, affetto ci fosse, di certo almeno se n’era reso conto prima di Kidd stesso. Li aveva osservati beccarsi, provocarsi, persino litigare nelle rarissime occasioni in cui anche lei perdeva la sua pazienza da monaco e aveva finto di non capire quando quel buzzurro le scaraventava la pelliccia addosso perché lei crollava sul tavolo della cambusa per la fatica e lui era troppo Eustass Kidd per farlo con accortezza o peggio, quando se la caricava in spalla di peso. Non aveva la certezza di ciò che provassero l’uno per l’altra, erano abbastanza adulti da sbrigarsela da soli a riguardo, ma era più che convinto ormai che Aya non avrebbe mai voltato loro le spalle di punto in bianco e senza una ragione più che valida.
Una ragione però poteva esserci e per Killer divenne una certezza, sentendo qualcosa di viscido ed ormai semi-ghiacciato colargli giù dal casco dentro il colletto del giaccone pesante.
«… so che non ti piacciono e so anche il perché, ma sono suoi amici. Dirle di lasciarli ai loro impicci non è fattibile, non con Aya. Lo ha già fatto e lo rifarà. Punirla per questo è esagerato, oltre che inutile dato che di mezzo c’è persino la sua famiglia. Senza contare poi che continuando così la molleremo da sola ad affrontare un problema che potrebbe distruggerla e sai sin dove è disposta a spingersi la Marina.» provò a fargli notare, serrando le braccia sul petto ampio a quel pensiero.
Quella combriccola venuta a cercarla era un’accozzaglia di casi umani e piantagrane da far invidia al loro di equipaggio, gente in cui per ragioni differenti dalle loro, ma pur sempre valide, era meglio non imbattersi per la propria salute fisica e mentale. Già quello, per una volta, avvalorava la scarsa tolleranza di Kidd nei loro confronti, se poi si teneva in considerazione che erano arrivati sin lì pretendendo di trascinarsi Aya dietro ed il nervosismo che era montato visibilmente addosso a Kidd all’idea che anche Trafalgar Law fosse a Wonky Hole per ragioni sconosciute era più che altro un miracolo che non fosse scoppiata l’apocalisse. Per Aya però non era così, per lei erano degli amici e avevano ormai appurato da un pezzo di non potere né tantomeno avere la speranza, di scegliere chi dovesse frequentare. Potevano tuttavia starle accanto, difenderla da quella caccia che la Marina e il Governo avevano indetto.
«È Aya, Kidd.» sospirò pesante, sentendo le tempie pulsare per l’esasperazione al solo pensiero.
Loro non avevano mai salvato nessuno, non erano quel genere d’uomini né si erano prefissati di diventarlo. Le buone azioni non erano nel loro sangue e non pretendevano di compierne nemmeno in futuro. Erano privi di scrupoli, non faticavano a sporcarsi le mani con le azioni peggiori e quasi si compiacevano ormai di vedere la gente scansarsi o addirittura rinchiudersi in casa quando incrociava la loro strada. Lì però non era in ballo l’incolumità di uno sconosciuto né si trattava di compiere una semplice buon’azione per rimettersi in pace con il mondo, era di qualcuno a cui tenevano che parlavano. Aya non faceva parte ufficialmente della ciurma, ma era comunque parte di loro, sacrificarla per orgoglio o abbandonarla a sé stessa non era ammissibile.
Vide Kidd voltarsi a guardarlo, dall’alto della sua smorfia furiosa squadrare il resto dell’equipaggio che per una volta, messe da parte le contestazioni e la volontaria avversione, pareva unanimemente d’accordo con lui e in attesa di sentirlo rinsavire da quel proposito ottuso.
«Tu nemmeno ce la volevi a bordo, come tutti gli altri, quindi piantatela di perder tempo e muovete il culo. Come o cosa le capiterà sono cazzi suoi.» gracchiò scontroso, facendo per tornare a voltarsi.
«Ce la volevi tu ed era quello l’importante. Non ti sbagliavi quel giorno e non ti sei mai sbagliato dopo, non farlo ora. Non adesso che non puoi permettertelo, è una faccenda troppo grande quella in cui si sta cacciando! Non ce la farà mai da sola se la troveranno.» lo riprese duro, vedendo Wire farsi avanti da chissà dove con l’espressione degna di un cadavere.
«… potremmo aiutarla… per una volta almeno.» lo sentì proporre con una speranza impercettibile nel tono piatto e Kidd parve ricevere un pugno in pieno stomaco.
Furioso, trattenendosi Killer non sapeva neppure come dall’esplodere, serrò i denti lanciando un’occhiata nervosa alla costa quasi come un animale ferito ed avanzò di un passo verso di loro, l’aria elettrica che vibrava attorno alla pelliccia screziata dalla neve.
«Non vuole il nostro cazzo di aiuto, non vuole più niente da noi. Vuole che ci togliamo dai coglioni una volta per tutte e che le lasciamo sbrigare i suoi affari da sola.» troncò roco, puntando Wire con una tale aria omicida da dare quasi l’impressione che volesse strozzarlo sul ponte.
Non lo avrebbe mai fatto, lo sapevano tutti lì a bordo e Wire stesso non si scompose più del necessario davanti a quella minaccia fisica, ma lo fece per qualcos’altro e Killer con lui.
Era dall’incidente a Serranilla che Aya non faceva che progettare di tenerli lontani dai suoi guai con il Governo e i Nobili mondiali o magari da molto prima, Killer non aveva mai indagato a riguardo e purtroppo ormai non aveva modo di scoprirlo. Ciò che sapeva con certezza però era che sarebbe stata disposta a tutto pur di non tirarli in mezzo, persino consegnarsi alla Marina ed era per quell’eventualità, per proteggerla, che lui e Kidd avevano deciso di limitarle la libertà al covo. Farlo aveva causato un muro rotto e la più epica delle litigate tra lei e Kidd che l’intero equipaggio avesse mai sentito, ma alla fine non era valso a nulla. Rinchiuderla non era stata la soluzione né lo sarebbe mai potuta diventare dopo quello che aveva passato da ragazzina, forse per lei era meglio perdersi nel Grande Blu. Anche scappare, per quanto poco glorioso venisse considerato, richiedeva una grande forza d’animo e abbandonare loro, che ormai volenti o no erano diventati la sua famiglia, lo era persino di più. Killer se ne rendeva conto solo adesso, riconoscendo finalmente quanto Kidd si stesse sforzando non di non dare di matto per l’offesa al suo orgoglio, ma piuttosto di non farsi convincere a tornare indietro. La stava accontentando. Malgrado la propria volontà e la consapevolezza di poterla perdere davvero, le stava dando fiducia.
«Wire, va a togliere l’ancora. Salpiamo.» ordinò al posto di Kidd una volta ancora.
Sentì lo sguardo abbattuto di Wire scrutarlo per un lungo momento, quasi avesse avuto il dubbio se ubbidire o meno a quel comando, ma alla fine anche l’ufficiale si mosse e con lui lo fece il resto dell’equipaggio affrettandosi come poteva per velocizzare la partenza.



Al centro del salone dal pavimento candido come latte sentì il silenzio rimbombargli nelle orecchie angosciante, mentre l’odore acre e pungente del sangue gli si insinuava nelle narici prepotente. La situazione era critica, richiedeva tempestività e prontezza nella gestione, ma da mezz’ora ormai, tra un tentativo d’approccio e un altro, Shizaru non faceva che domandarsi perché i nobili membri restanti della famiglia avessero sottoposto quell’anziana donna ad un simile trattamento. Dopo uno scomodo viaggio di ore, incatenata mani e piedi al pavimento, con il grosso collare a serrarle il collo e il resto del corpo gravato dalle percosse ricevute come prima punizione, era già un miracolo che fosse ancora viva. Non poteva permettersi di giudicare l’operato dei Draghi Celesti né tantomeno poteva biasimare completamente quei genitori dopo la perdita di una figlia, ma trovava quasi impossibile l’idea di poter carpire una confessione o qualche informazione da quella donna nello stato in cui si trovava. Eppure doveva, era necessario ed indispensabile.
«Se mi dice adesso dov’è… o cosa le è successo… forse potremmo fare qualcosa. Potrei parlare con i miei superiori o i Nobili signori, è anziana, glielo concederanno, ma deve aiutarmi. Parlarmi almeno.» insistette paziente, persistendo nel fissarle il capo reclinato sulle ginocchia.
Dalla schiava ancora una volta tuttavia non si liberò neppure un respiro e Shizaru abbassò spossato le spalle spioventi, poggiando la schiena alla seduta imbottita che gli era stata fornita per l’interrogatorio.
Era inutile continuare di quel passo e probabilmente qualsiasi altro approccio sarebbe stato altrettanto vano. Quella donna era fiaccata nel corpo dall’età e dai colpi, ma mostrava una tenacia ineguagliabile nel proprio silenzio e a lui non restavano più altre carte da giocare, se non quella voce bisbigliata dagli altri condannati.
«So che eravate molto legate, mi hanno raccontato che l’ha accudita sin da bambina e che non vi separavate mai… non vuole rivederla?» domandò cauto, piegando il capo nella speranza di vederle almeno un abbozzo di reazione e contro ogni sua più fervida aspettativa la donna non solo si mosse, persino parlò.
«Vorrei con tutto il cuore vederla adesso che è felice… ma nessuna madre vuole il male della propria figlia.» biascicò con voce lontana, mentre grosse lacrime le scivolavano lungo i solchi sul viso.
Shizaru rimase per un lungo momento a fissarla, tramortito dall’inaspettato scambio, ma dovette subito riprendersi per approfittare della breccia che gli era stata concessa.
«Capisco che l’affetto che la lega ormai alla Signorina possa essere quasi simile a quello di una madre ed è per questo che le chiedo-» provò a cogliere la palla al balzo, tuttavia le parole gli morirono in gola quando la vide sollevare definitivamente lo sguardo per puntarlo sul suo.
«Le ho curato la febbre e le ginocchia quando ruzzolava giù da muretti e scale, pettinato i capelli e rammendato i vestiti strappati, l’ho vegliata mentre dormiva e abbracciata se aveva gli incubi, le ho fatto scudo con il mio corpo quando la città è stata ridotta in cenere, l’ho vista stare alla finestra ogni giorno e pregare ogni notte. Non ha il mio sangue Capitano, ma cosa vuole importi del sangue se tutto il resto manca?» chiese retorica, con una tale serietà ed autocontrollo da dargli i brividi.
Ebbe l’impressione che con quell’ultima frase avesse voluto svelargli una verità incontrovertibile ed impietosa che i suoi occhi non erano riusciti a cogliere, ma non riuscì o meglio non poté carpirla. Si ritrovò d’istinto a lanciare uno sguardo confuso alle proprie spalle, dove incombeva la porta per il corridoio in fondo al quale si trovava riunita la famiglia Mononobe per riportarlo subito, senza neanche completare l’impresa, su quella donna.
«L’hanno mandata qui per ritrovare Aya e mi sembra un brav’uomo, quindi voglio che sappia: non c’è nulla che voi, la Marina, il Governo… o quella gente… possiate fare. Lasciate vivere in pace la mia bambina.» esalò greve, serrando in maniera impercettibile le mani sporche di sangue rappreso sul ventre.
«Là fuori è in pericolo, potrebbe capitarle qualcosa di brutto, rischiare la vita. Mi aiuti se le vuole tanto bene-» tentò ancora, spinto da quell’impeto di forza che gli era appena stato mostrato.
«Questo posto è pericoloso… la sua gente… ho fatto il possibile e comunque non abbastanza. Dicono che una vita salvata abbia bisogno di cure… ho aiutato Aya, non posso aiutare voi. Non posso più nulla, sono già morta, non lo vede Capitano?» troncò, rivolgendogli un sorriso amaro che lo raggelò del tutto.
Non aveva idea del perché quella donna gli avesse detto quelle cose, del perché avesse scelto proprio quelle parole o persino del perché avesse l’impressione che quell’ultimo sguardo fosse in realtà una promessa che gli veniva imposta e supplicata al contempo, ma ebbe l’assoluta ed improvvisa certezza che continuare a star dentro quella stanza non sarebbe valso ad altro. Così si sollevò, sgranchiendo di nuovo in silenzio le gambe addormentate e si avviò verso l’uscita. Il contatto con il pomello freddo della porta gli diede l’ultima scossa per riprendere vigore.
«Quando la troverò, la terrò al sicuro. Glielo prometto.» sbottò di colpo, girandosi a guardarla con la medesima fermezza che aveva avuto nell’osservare suo padre andare volontario al patibolo.
La donna abbozzò un assenso nel silenzio della stanza, o magari fu una sua impressione, il secondo seguente i suoi occhi stanchi erano già puntati oltre la finestra, le labbra che si muovevano impercettibili.
«Teru Teru-bouzu, Teru Bouzu ashita tenki ni shite o-kure…» credette di sentirle bisbigliare ai kami.


Bloccato alla paratia gelata della Kumonryu fissò la nave di Eustass Capitano Kidd scivolare in lontananza sulle acque del mare fumante sino a sparire, inghiottita dalla nebbia e dal bianco della neve incessante.
Aveva sognato quel momento centinaia, forse addirittura migliaia, di volte da quando aveva scoperto che Aya si trovava in sua compagnia. Si era augurato di liberarsene e aveva fatto di tutto, in quelle rare occasioni in cui si erano incrociati, per convincerla ad allontanarsene per il suo bene. Perché purtroppo per quanto la presenza accanto a lei di Eustass Kidd le avesse fatto da scudo dai pericoli in quegli anni, era troppo opprimente, troppo tangibile per mantenerla ancora al sicuro dalle mire del Governo mondiale. Una vita di lotte e scontri non le avrebbe giovato, Shizaru continuava a ripeterselo da altrettanti anni, ma solo ora che Aya era a pochi metri da lui, finalmente sola, si trovava a chiedersi se fosse la cosa giusta. Se fosse ciò che quella ragazza davvero meritava: sparire nel nulla senza nessuno degli uomini che si erano presi cura di lei.
«Sono andati via.» appurò Yoshi lì accanto e nel suo tono c’era qualcosa d’incredulo.
Tutti su quella nave la conoscevano meglio di lui, tutti le erano stati più o meno vicini nei momenti in cui la sua vita cambiava e a tutti pareva di colpo d’aver assistito a qualcosa di profondamente innaturale.
«… se non le avessi detto quelle cose...» mormorò Ide Boreo, accasciandosi sul basamento del timone, il naso e le guance arrossate dal freddo inclemente.
Celya le passò materna una mano tra i capelli, togliendole alcuni fiocchi bianchi dalla bandana nel confortarla.
«Non sei stata tu a mandarli via. Uomini come quelli non mollano per una parola di troppo… è stata Aya.» esalò con un sorriso amaro, esimendosi incredibilmente da qualsiasi insulto in quell’occasione.
E Shizaru ne era certo. Negli ultimi anni da quanto ne sapeva, l’unica occasione in cui si erano separati si era verificata a causa del piano che lui e i suoi fratelli avevano ideato. Kikazaru l’aveva praticamente rapita quel giorno. Eustass Capitano Kidd non l’avrebbe mai mollata lì a Wonky Hole senza che fosse lei stessa a volerlo, non lo avrebbe accettato e Shizaru non dubitava che altrimenti sarebbe stato capace di radere al suolo l’intera isola pur di riprendersela, ma così non era. Aya lo aveva mandato via, se n’era staccata di propria volontà benché in lui stesse montando il senso di colpa e l’unica cosa da chiedersi ormai era il perché.
«Ma io le ho raccontato quelle storie su Myramera e mio padre e la sua famiglia, nonostante sapessi che al Capitano Kidd non sarebbe importato più dell’ultima volta… non ho pensato neppure un secondo che si sarebbe sentita in obbligo di aiutarmi e che per questo avrebbe potuto dividersi da loro. Ho sbagliato tutto… Oto-san mi aveva raccomandato di starle vicino perché era in pericolo e io invece ho fatto in modo che rimanesse sola. Ho pensato prima a quello che importava a me, piuttosto che a lei.» sbottò testarda tutto d’un fiato Ide, trattenendosi a fatica dal singhiozzare, mentre Shizaru si chiedeva se davvero quella potesse esser stata la ragione di quella separazione tanto brusca.
Non sapeva se Aya volesse o meno prendere in mano la situazione riguardante Myramera, ma forse un simile caos andava comunque oltre il livello di tolleranza sopportato dal Capitano Kidd. Magari le implicazioni erano troppe, i pericoli da correre nel trascinarsela dietro ingestibili per lui e le sue mire nello Shinsekai. Forse non aveva alcuna intenzione di rischiare di rimetterci la pelle contro il Governo mondiale e la Marina, eppure…
«Non è sola, ci siamo noi. Siamo qui per starle vicino e finché sarà così non le accadrà nulla.» sentì intervenire Diante e mentre Ide annuiva tremula alla sua rassicurazione, anche Amaro si sbilanciò d’improvviso ottimista.
«Diante ha ragione. L’abbiamo promesso anche a quel Wire, non possiamo rimangiarci la parola.» gli diede man forte, accovacciato sul ponte all’ombra della grande vela centrale della nave.
Lo aveva promesso, già… lo aveva promesso a Wire, ufficiale di Eustass Kidd, prima ancora tacitamente a Trafalgar Law nelle gallerie di Down Under e ancor prima a quella vecchia schiava… no, non l’avrebbe lasciata sola e se lo aveva promesso lui, non era difficile avere la certezza che non lo avrebbero mai fatto neppure loro avendone la possibilità. Nemmeno davanti alle minacce del Governo, della Marina o dei Nobili mondiali.
«Ma ci vorrà più della buona volontà purtroppo…» rifletté a voce alta senza rendersene neppure conto, con lo sguardo ancora puntato là dov’era sparita la nave del Capitano Kidd.
«Perché tuo fratello c’è l’ha tanto con Aya?» sentì di colpo domandare ad Amaro e solo allora tornò a voltarsi, rimanendo per un lungo momento senza sapere esattamente cosa dire davanti alle occhiate di tutti i presenti.
Kikazaru era sempre stato orgoglioso sin da bambino. Dividere le attenzioni con altri due fratelli della medesima età in lui aveva aumentato il senso di competizione e fallire contro una ragazza che non avrebbe dovuto sapere nemmeno come difendersi era stato un colpo comprensibile. Tuttavia Shizaru sospettava ormai da troppo tempo che quella sua ossessione nel distruggere Aya e ciò che rappresentava dipendesse da ben altro…
Abbandonandosi ad un respiro pesante d’aria salmastra, poggiò la schiena alla paratia e si convinse a parlare.
«Mio padre era a capo del presidio marines del villaggio in cui vivevamo… quando Kikazaru e i miei fratelli erano poco più che bambini dei pirati naufragarono sull’isola e invece di arrestarli, lui decise di aiutarli a rimettersi prima di rinchiuderli… non trovava giusto che soffrissero febbre e ferite in una cella… loro però recuperarono più in fretta del previsto e prima di fuggire, derubarono e uccisero un’intera famiglia del nostro villaggio… mio padre fu processato e io rimasi da solo a badare ai miei fratelli. Mi arruolai in Marina e quando ebbero l’età lo fecero anche loro. Finimmo a prestare servizio per i Draghi Celesti e così ci facemmo un nome… si sente in debito verso i Nobili mondiali e non nutre la minima comprensione per i pirati o per chi decide di scenderci a patti.» rivelò greve, sentendo la neve accumularsi sulle spalle spioventi come macigni.
Aveva promesso a suo padre che si sarebbe preso cura dei propri fratelli quel lontano giorno, che li avrebbe cresciuti con coscienza malgrado l’età e senso della giustizia anche quando farlo andava contro i principi del senso comune. Si era impegnato, aveva dato sempre loro il buon esempio, si era persino arruolato pur di tener alta quella promessa, ma la verità era che aveva fallito miseramente con Kikazaru.
«Per cui Aya è tutto quello che non sopporta.» dedusse Celya, puntandolo a braccia incrociate con le guance arrossate per il freddo cui non era abituata.
«Il fatto che rinneghi le sue origini per questo genere di vita lo manda in bestia… me ne sarei dovuto accorgere per tempo invece di trascinarlo con me nelle ricerche…» ammise suo malgrado, sospirando pesantemente.
«È inutile farsene una colpa ormai.» provò a confortarlo Amaro, rivolgendogli una smorfia di sincera comprensione che gli fece solo scuotere il capo.
Era tardi per tornare indietro, per riparare agli errori compiuti e dare a quella storia una piega differente, lo sapeva. Adesso non gli restava da fare che salvare ciò che ancora poteva esser salvato, sebbene dovesse costare ogni cosa a lui e ad Aya purtroppo.
«Forse è così, ma se adesso ha anche l’appoggio totale dei Nobili mondiali per continuarle ci sarà poco o nulla che potremo fare per fermarlo. È in pericolo, deve sparire, è l’unica soluzione per lei.» rimuginò serio, cercando di far capire ai suoi nuovi compagni di viaggio quanto fosse indispensabile quella scelta.
Con Eustass Kidd e Trafalgar Law fuori dai giochi, per Kikazaru ed il Governo sarebbe stato molto più semplice mettere finalmente fine alla fuga di Aya per il Grande Blu. Avrebbero faticato certo, combattuto persino, ma alla fine con il giusto dispiegamento di forze lei sola non avrebbe potuto molto. La sola possibilità che avevano loro per batterli era giocare d’anticipo, far leva su ciò che alla Marina ancora non riusciva a pieno: intercettarla. Se fosse sparita prima che loro la trovassero, se si fosse riparata in un luogo sicuro, lontana da pericoli ed occhi indiscreti allora avrebbe avuto una possibilità. Bisognava solo convincerla, il ché era più facile a dirsi che a farsi.
«Non conosco tuo fratello né le tattiche del Governo mondiale, ma dubito possa essere davvero una soluzione. Per Aya e per quello che sta succedendo nel nostro paese.» deliberò schietto Diante, spingendo Shizaru ad aggrottare la fronte gelata.
Non era il primo a pensarla a quel modo, glielo aveva più volte detto lei stessa e persino lui aveva dei dubbi a riguardo, ma non poteva abbandonare quella misera speranza. Senza quella non avrebbe saputo che fare e allora tutto sarebbe diventato il suo fallimento personale, oltre che la rovina di quella ragazza.
«… non sono esperto di questioni diplomatiche purtroppo, ma so ciò che mi è stato ordinato tre anni fa quando accadde l’incidente di Sabaody in cui non la trovarono più… la rivolevano solo indietro, poi-» provò a chiarire, ma si bloccò davanti al ricordo degli eventi che accaddero dopo.
Era stato un connubio di malintesi, sospetti e pericoli di cui non conosceva la ragione a far precipitare la situazione e alla fine qualcosa di terribile si era scatenato di comune accordo tra Marijoa e il Governo. Qualcosa che a lui sfuggiva e che gli dava gli incubi, ma contro cui si trovava a dover combattere a mani vuote.
«Poi hanno capito che avrei preferito morire annegata come è successo a Momoe piuttosto che ritornare a Marijoa a recitare il ruolo che l’Ordine stabilito mi aveva assegnato e hanno deciso di accontentarmi. Un gesto di carità ed affetto degno di loro di cui non faranno a meno.» completò per lui Aya, sbucata chissà quando dall’interno della nave dov’era rimasta anche dopo l’addio ad Eustass Kidd.
Sorpreso e tramortito dalle sue parole e dal rivederla non seppe cosa ribattere, mentre gli altri parevano di colpo riprendere vigore e rimase in silenzio, con un nodo alla gola e la fronte aggrottata.
Era distrutta, glielo leggeva negli occhi lucidi e nel labbro martoriato dai denti, eppure era lì. In piedi e senza neppure un tremito nella voce o delle spalle a tradire l’angoscia per quella verità scomoda che Shizaru non era stato in grado di pronunciare a parole.
«Aya!» trillarono Yoshi ed Ide quasi in contemporanea, sotto lo sguardo sollevato di Amaro che si abbandonò ad un sospiro liberatorio.
«Stai bene?» sentì domandare a Celya ed il tono con cui lo fece, sebbene Aya le avesse annuito d’istinto, spinse Ide a staccarsi dall’abbraccio in cui la stava stringendo per abbassare il capo colpevole.
«Aya io… sono stata egoista, mi dispiace, non volevo che tu-» cominciò con voce tremula, ma lei la bloccò prima ancora che potesse terminare la propria ammissione di colpa.
«Andrà tutto bene Ide. Ora calmati e mettiamoci in contatto con tuo padre, ci sono delle faccende importanti da sistemare.» stabilì convinta.



Tra il fumo proveniente dalle tazze di cioccolata calda, tè e caffè posate sull’enorme tavolo da pranzo a forma di crisantemo posto accanto all’ombra delle lunghe finestre della cambusa, studiò l’espressione indecifrabile del lumacofono di bordo che doveva ricalcare in pieno quella che, a centinaia di leghe di distanza da lei, doveva star esibendo l’ormai non più re di Myramera.
«Non dobbiamo fare nulla quindi?» lo sentì chiedere conferma dopo quel lungo momento di silenzio, quasi i conti non gli tornassero o peggio, temesse di non aver capito affatto la ragione della sua chiamata.
Sembrava impossibile in effetti, Aya non poteva dargliene torto, specie dopo tutto ciò che era accaduto dalla sua partenza in quel paese, ma era così. La loro prima ed unica reazione al colpo inflittogli dai Mononobe era anche la mossa vincente e la sola carta fattibile da giocare contro le astuzie dei Gorosei.
«Senza saperlo avete già fatto tutto ciò che era necessario per tenergli testa, Re Boro. La forza e la ricchezza di Myramera stanno nella sua gente, non nell’isola e con voi lontani non ci sarà nessuno che porterà avanti gli scambi commerciali, curerà i campi o manterrà buoni rapporti con le altre Nazioni. Il paese perderà di valore, non circoleranno berry o oro e i tributi non potranno comunque essere versati a Marijoa.» chiarì, anticipando il quadro degli eventi futuri ora che l’intera popolazione del paese era lontana dalle proprie vite lì.
Secondo quanto le aveva raccontato in fretta Ide, tutti gli abitanti avevano dovuto subire i controlli poco gentili della Marina e le angherie della sua famiglia per settimane prima che la situazione precipitasse oltre. Alle dimissioni forzate di Re Boro dalla propria carica, tutti avevano deciso con rammarico di seguirlo e l’intera Myramera aveva trovato rifugio all’ombra di Moundhill, là dove sino a qualche mese prima non avrebbero mai giurato di potersi recare. Il paese così era rimasto disabitato, occupato solo dai marines che erano stati inviati ad indagare, da quelli che scortavano la sua nobile famiglia e dalle macerie ancora abbandonate nelle strade. Ci sarebbero voluti mesi di lavoro affinché Myramera tornasse a brillare come la Nazione più florida dell’intero Governo mondiale, ma senza nessuno dei suoi abitanti a prendersene cura sarebbe appasita in fretta. Era la tragedia di quel mondo, Aya lo aveva imparato ormai, lontano dai fasti e dai sopprusi della sacra terra ci voleva molto per costruire, eppure pochissimo per distruggere.
«E se provassero a costringerci? O decidessero di portare altra gente nel regno? Mi duole ammetterlo, ma anche nelle Nazioni vicine sono molte le persone sotto la protezione del Governo mondiale bisognose di lavoro o semplicemente di un’opportunità…» ipotizzò pensieroso Re Boro ed Aya si ritrovò ad abbozzare un sorriso amaro prima ancora che avesse terminato.
Il Governo mondiale e i Draghi Celesti le avrebbero provate tutte per risolvere a loro modo il danno che stavano subendo e una deportazione in massa di disperati e criminali disagiati non sarebbe stata certo chissà cosa. Da qualche parte nel Grande Blu esisteva persino una Nazione con quelle speciali e particolari caratteristiche, le sembrava di ricordare la chiamassero Tequila Wolf.
«Lo faranno infatti e sceglieranno chiunque sia disposto a farsi sfruttare per averne una, ma non sarà lo stesso e non vi attaccheranno mai senza un pretesto valido. È pur sempre del Governo mondiale che parliamo. Alla fine verranno loro a cercarvi per invitarvi a ritornare ed a quel punto potrete trattare… da pari.» concluse, sentendo lo sguardo di Shizaru pesarle addosso a quell’ultima precisazione.
Da Re Boro giunse invece un verso di lieta comprensione, mentre Ide e Diante, lontani dai suoi occhi, abbozzavano l’un l’altra dei sorrisi di timido sollievo cui Aya non poté purtroppo dar peso, tramortita come tutti i presenti e non, probabilmente, dall’urlo di Eto al lumacofono.
«Per l’amor del cielo, è una pazza! Perché le diamo retta, sire?! Trattare con i Nobili mondiali da pari!» berciò sconvolto, rifilandole come consueto un insulto gratuito dei propri anche a distanza.
«Fa silenzio vecchio idiota! È un Drago Celeste anche lei, ubbidiscile e tappati la bocca!» lo zittì Perifante e un colpo di chissà cosa contro Eto risolvette la questione quel tanto che bastava.
Anche quella sembrava una follia alla stregua del rimanersene con le mani in mano e d’altro canto nessuno avrebbe mai sognato neppure da ubriaco di poter patteggiare da pari con i Draghi Celesti, semplicemente perché per loro stessa defizione erano Draghi Celesti. Si doveva nascere tra le famiglie fondatrici per godere di quel livello d’importanza, erano privilegi che si tramandavano e purtroppo non si ricevavano per merito. Ma anche i Nobili mondiali avevano bisogno della gente comune, dei miserabili per cui tanto provavano disgusto. Marijoa esisteva perché il mondo intero contribuiva, più o meno volentieri, e le sue ricchezze si moltiplicavano tramite donazioni, a quello non pensava quasi nessuno benché proprio quello fosse la soluzione.
«Ne discuterò con la nostra gente, ma sono certo che ne saranno felici. Attenderemo volentieri tutto il tempo che sarà necessario pur di non fare precipitare ulteriormente le cose. A nessuno di noi su quest’isola è mai piaciuto far guerra, lo sai...» acconsentì alla fine Re Boro, accettando finalmente e di buon grado la sua proposta, ma la pausa cui si abbandonò alla fine le accartocciò lo stomaco ancor prima che la batosta potesse arrivare «… sfortunatamente però temo mi chiederanno di nuovo notizie su di te. Ho già detto loro che non sapevo nulla, ma non ne sono stati felici né tantomeno m’è parso volessero credermi.» sospirò rammaricato ed Aya serrò la presa sulla propria tazza, sforzandosi d’ignorare le occhiate dei suoi occasionali compagni di viaggio.
Se anche avessero avuto modo di assistere a ciò che era accaduto sull’isola mesi addietro e la sua presenza fosse stata per magia oscurata non avrebbe comunque creduto alle parole di Re Boro. Sebbene una parte di colpa l’avesse avuta nel caos in cui era caduta Myramera, per la sua famiglia ed il Governo era molto più semplice accusarla di tradimento e rivolta piuttosto che discolparla. Giunti a quel punto ormai, sarebbero stati disposti a qualsiasi cosa pur di liberarsi dal suo fardello ed Aya ci si era tristemente rassegnata.
In silenzio, tra le occhiate dei presenti e quella lontana del lumacofono, inspirò una boccata di tè e si fece forza una volta ancora in quella giornata già troppo lunga per lei.
Sino a quel giorno e a qualche ora addietro, la sua unica e sola priorità era stata quella di trovare il modo per allontanarsi da Kidd e gli altri. Le ci era voluta più forza di volontà di quanta avesse immaginato e per un terribile momento nella camera che le era stata donata, in preda a quello che doveva senz’altro essere stato un attacco di panico, era stata tentata di correre a chiedergli scusa, a supplicarlo di riportarla con sé o peggio di andare a cercare Law e gli Heart per sopperire alle sue mancanze. Si era morsa il labbro tanto forte da sentirlo sanguinare pur di trattenersi lì e alla fine, per chissà quale bontà dimostratale dai kami, era riuscita a ritornare in sé. Sebbene non fosse andata come sperava, aveva pianificato quello, ma solo adesso si rendeva conto di non avere la benché minima idea di cosa fare dopo con la Marina e la sua famiglia.
«Sono mortificata per quello che sta succedendo… la questione tra me e la mia famiglia non riguarda nessuno di voi. Se dovessero chiedervelo ancora, ripetete quello che gli avete già detto, io… presto troverò il modo per risolvere tutto. È una promessa Re Boro, non sarà coinvolto nessuno di voi.» giurò, annuendo a qualcuno d’indistinto dinnanzi a sé nella cambusa dalle pareti color crema.
Pensarci lì, sul momento, non era fattibile né poteva mentire tanto spudoratamente a Re Boro, ma avrebbe trovato davvero una soluzione ed era più che intenzionata a non sacrificare altri per metterla in atto.
«Non c’è alcun bisogno che tu faccia simile promesse, Aya. A riguardo siamo già tutti d’accordo e la presenza di mia figlia e Diante lì con te lo prova. Nessuno di Myramera ti lascerà sola ad affrontare questa situazione, non ripeteremo l’errore che fu commesso in passato.» replicò con inaspettata prontezza Re Boro, quasi avesse saputo sin dal primo istante di sentirglielo dire e avesse già giocato d’anticipo.
Sconvolta, lanciò uno sguardo incredulo ad Ide che le sorrise con altrettanto inaspettato coraggio dalla sedia accanto e quasi le venne si gelò il sangue quando persino Diante abbozzò un assenso convinto.
Non erano venuti sino a Wonky Hole per quello, non potevano essere arrivati sin lì per quello.
«Io sono in grado di gestirla da sola. Devo gestirla da sola.» troncò cupa, rigirandosi con i crampi allo stomaco verso il lumacofono con una tale veemenza da minacciare di trapassarlo solo con lo sguardo semmai fosse stato umanamente possibile compiere una simile prodezza.
Non aveva detto addio a Wire, Killer e agli Heart per quello, si era separata da Kidd per quello e aveva stroncato sul nascere qualsiasi cosa l’istinto le avesse suggerito su Law per quello, non poteva accadere di nuovo. Non poteva ritrovarsi una volta ancora ad un punto morto adesso che aveva trovato la forza per difenderli tutti da qualsiasi abominio la perseguitasse, non doveva accadere, non poteva legarsi ad altri per poi farli soffrire.
«Oto-san ha ragione invece. Noi resteremo con te finché non si risolverà ogni cosa! E poi sarà un buon modo per me di esercitarmi nell’essere responsabile, non potrei mai governare altrimenti!» insistette Ide, tirando su il viso in uno slancio di fierezza di cui non la si sarebbe mai detta capace vedendola qualche ora prima.
«Riconoscere le proprie carenze e porvi rimedio è sempre un buon punto di partenza. Le sta già facendo effetto Hime-sama!» ridacchiò orgoglioso attraverso il lumacofono Perifante e Aya rimase ammutolita a guardarli, incredula su quanto le stesse capitando attorno.
Loro non avevano idea di quanto male le avesse fatto obbligarsi a quelle separazioni, lo ignoravano. Non sapevano quanto le fosse costato, cosa avesse significato per lei staccarsi dalle sole persone che dopo Ko a quel mondo avevano dimostrato di tenere davvero a lei, abbandonare gli unici a cui sarebbe importato di saperla di nuovo prigioniera a Marijoa o peggio morta. La sua vera famiglia…
«Bene, vi terremo informati sugli eventi, ma nel frattempo vi raccomando prudenza e fate un buon viaggio. Pregheremo tutti qui affinché il Grande Blu sia clemente con voi.» la riscosse con le lacrime che premevano per venir fuori la voce di Re Boro e la tazza le sfuggì di mano, mentre arraffava il lumacofono nel tentativo di arrestare quel saluto indesiderato.
«No, per favore! No! Re Boro! Re Boro! Che avete fatto?!» ringhiò disperata, voltandosi di scatto in direzione di Ide e Diante per dare le spalle al povero Yoshi che dallo sgabello accanto al banco da cucina era scattato per impedire che il liquido intonso che aveva preparato per lei riempisse l’intero tavolo.
«Abbiamo già deciso, non pensarci più.» la liquidò Ide con un sorriso e nel momento in cui le sue dita le accarezzarono la mano ad Aya parve d’impazzire.
Il sangue le andò alla testa e con il respiro di colpo accelerato scattò in piedi, ribaltando sul pavimento la sedia con un tonfo e scagliando il lumacofono dalla parte opposta della sala, mancando Celya per un soffio. Per la sorpresa, la tazza in mano a Yoshi cadde nuovamente sul tavolo ed Amaro si dovette esibire in un numero da equilibrista pur di acciuffare il povero animale prima che si schiantasse contro padelle e sportelli. Shizaru sgranò sconvolto gli occhi nel vederla reagire a quel modo ed Ide finì per cozzare sul petto di Diante terrorizzata, la mano con cui l’aveva accarezzata al petto come sé se la fosse scottata.
«Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Furiosa rimase a puntarli e la sua voce parve riecheggiare nella cambusa simile ad un disco rotto e terrificante per più tempo di quanto fosse possibile. Sconcertati da una reazione che mai avrebbero immaginato poter venire da lei, tutti i membri di quello strano ed improbabile gruppetto ricambiarono la sua occhiata, immobili e raggelati in mezzo a quella quiete improvvisa. Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti. Concentrato e fermo come solo lui sapeva essere.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò piatto ed inaspettatamente a dargli manforte fu Amaro, dalla parte opposta della stanza.
«Siamo tutti sulla stessa barca… letteralmente!» scherzò con un sorriso paterno e ad Aya bastò vederselo rivolgere per affondare i denti nel labbro già martoriato.
Le pizzicarono gli occhi e finì per abbassare d’istinto lo sguardo sui propri piedi, quasi non vederli fosse la sua sola via di fuga da quella situazione.
Li aveva conosciuti nelle occasioni più disparate, per lo più quando era impelagata in qualche guaio cui far fronte ed insieme a loro li aveva superati o sopportati. Teneva a loro e aveva mentito spudoratamente, oltre che con cattiveria gratuita, nel dire di non volerli con sé, ma quella storia… quella orrenda storia in cui si ritrovava proprio malgrado da tre anni senza aver fatto davvero nulla per meritarlo, andava oltre ciò che lei desiderava. Sarebbe rimasta con Kidd e avrebbe trattenuto Law se solo fosse dipeso tutto dai suoi desideri, ma non era così né mai lo sarebbe stato… doveva fare ciò che era giusto per quanto dolore e tristezza le provocasse. Non poteva permettere che fossero “tutti sulla stessa barca”, se proprio doveva accedere era lei a dover naufragare. Loro non avevano colpe, loro non c’entravano nulla con i suoi errori.
«No… no… vi prego, voi non capite-» farfugliò cercando di spiegarsi, ma Celya le bloccò qualunque ulteriore discorso sollevandolesi accanto.
Incurante della reazione che aveva avuto appena poco prima con Ide, le passò una mano tra i riccioli rossicci per confortarla ed Aya si ritrovò a guardarsi nei suoi occhi chiari con un groppo alla gola impossibile da mandar giù.
Loro non volevano andar via e non lo avrebbero mai fatto per quanto potesse urlare… avevano già scelto…
«Ciò che c’è da capire davvero in questo momento…» cominciò piano, mettendo fine a quella coccola «... è quale sarà il ruolo di chi. Tu, tu, tu e tu, non siete utili a niente, scendete dalla nave.» ordinò fuoriluogo e autoritaria, facendole sollevare di slancio un sopracciglio per la confusione.
C’era una buona possibilità che l’avesse detto per distrarla e farle voltare pagina in uno slancio d’amicizia, ma lo aveva detto. Con il tatto di un elefante striato e la gentilezza d’un re del mare se n’era sul serio venuta fuori con quello. Non le era venuto in mente nient’altro. Non una parola di conforto, una frase di circostanza, un incoraggiamento. Quello. E ciò che per Aya era peggio era la certezza che per quanto volontariamente avesse deciso di cambiar discorso per trarla dagli impicci, Celya lo pensava davvero.
Richiamati dal dito che gli era stato puntato contro, Diante, Amaro, Shizaru e Yoshi la fissarono ammutoliti e per un secondo sui volti di ciascuno di loro passò di tutto: dallo sbigottimento all’offesa, sino al dubbio di non aver capito se fosse seria o no. Alla fine Yoshi parve intuire che non ne sarebbero comunque venuti a capo con una discussione ragionevole e da persone normali e preda di chissà quale spirito decise di darle corda.
«Beh io avrei cucinato fino ad ora, volevo farlo da tempo... non sono un vero cuoco, ma i piatti non sono male, Ide e Diante li hanno mangiati.» rifletté, mentre Aya li fissava boccheggiante ed incredula.
Com’erano arrivati a parlare di cibo da una sua sfuriata?! Non soffriva manie di protagonismo e non voleva in alcun modo che rimanessero concentrati su di lei, ma come diamine era possibile?! Perché certe cose capitavano solo a lei e mai agli altri? Nessuno si sarebbe sognato di parlare di pranzi e cene dopo una scenata di Kidd o Law, nessuno avrebbe più mangiato piuttosto! Con lei sì! Yoshi le aveva detto di non voler andare per mare, kami! Perché adesso patteggiava sul ruolo che avrebbe avuto a bordo della Kumonryu?!
«Erano ottimi invece!» approvò Ide, apparentemente ripresasi e Celya roteò gli occhi con un’alzata di spalle che assegnò per il momento la vittoria a Yoshi.
«Io posso darti una mano a prendere il pesce se vuoi, in quello sono bravo e potrei adattarmi a medico di bordo. Non ho nozioni di medicina pratica certo, ma posso rimediare studiando un po’ e per il resto posso curare di tutto con le giuste dosi di medicinali.» s’intromise Amaro, mentre Aya ruotava la testa da un lato all’altro per lanciare occhiatacce a tutti.
Avevano bevuto, si erano imbottiti di ahen o stavano subendo il controllo di una Jorogumo invasata. Non c’era altra spiegazione a quella follia dilagante che li stava colpendo.
«Io farò la vedetta.» sbottò piatto Diante e lei abbassò le spalle definitivamente sconfitta.
«Allora se nessun altro si offre delle eventuali riparazioni della nave me ne occuperò io. Avrei voluto far quello se non fossi diventato un marine.» ammise con un piccolo sforzo persino Shizaru, beccandosi una pacca da Amaro con cui pareva andare particolarmente d’accordo e che a quel punto non c’era più modo d’arginarli.
«È perfetto, no?! Abbiamo cuoco, medico, vedetta e carpentiere! Ovviamente io farò il navigatore, la Kumonryu è una mia responsabilità personale, l’ho vista costruire asse dopo asse e a Myramera ho imparato tutto sulla navigazione! Sono un’esperta di rotte modestamente!» stabilì Ide, posando i pugni sui fianchi con aria trionfante e Aya quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
Il chè a dirla tutta le sembrava un buon modo per chiudere la giornata e in generale la sua esistenza perché quello che le stava montando attorno era davvero troppo da reggere. Yoshi che decideva di avventurarsi per mare, Amaro che metteva da parte la paura di dover affrontare il Governo e i Draghi Celesti, Diante che accantonava il proprio ruolo di scudo del regno di Myramera, Shizaru che provava a fare ciò che non aveva potuto in Marina e Ide che si autoproclamava navigatore con una bandana in testa… non poteva farcela. Lo aveva saputo dall’inizio, persino quando le avevano fatto capire che l’avrebbero seguita nella sua disfatta, ma adesso… adesso sperava con tutto il cuore che la Jorogumo che li aveva invasati li uccidesse. Era meglio così, avrebbero sofferto meno.
«Sei fantastica pralina al limone. Non come quei quattro… con le loro occupazioni mediocri.» continuava a ciarlare imperterrita Celya, lanciando occhiatacce minacciose agli uomini di bordo con insistente crudeltà.
«Perché il tuo compito sarebbe?» s’informò stufo Diante, le braccia incrociate al petto e l’espressione di uno cui hanno pestato entrambi i piedi. Ripetutamente.
«Io sarò il vicecapitano e Aya ovviamente il capitano. Hai qualcosa da ridire per caso?!» minacciò, mentre Yoshi già si faceva avanti per sedare gli animi nel terrore che si azzannassero a vicenda.
Inorridita da ciò che le era appena uscito di bocca si girò a guardarla a rilento, quasi le si fossero intorpiditi i muscoli e dovette letteralmente farsi violenza mentale per non cacciar fuori l’ennesimo urlo della giornata. Celya ovviamente non vi badò, ignara dell’occhiata che le stava trapassando il cranio da parte a parte, persistette nella propria posa e con lei tutti gli altri. Sconvolta dal loro livello di noncuranza si sbloccò quel tanto che bastava da osservarli uno per uno ed indietreggiare in direzione della porta.
Non solo avevano deciso di fregarsene dei sacrifici che lei aveva compiuto quel giorno e avevano stabilito all’unanimità d’imbarcarsi in quello che era un suicidio di massa contro il Governo, la Marina e i Draghi Celesti, avevano anche stabilito di comune accordo i ruoli e adesso la nominavano addirittura capitano. Capitano. Lei!
«Voi siete pazzi. Tutti.» esalò inquietata, riuscendo non si sa come ad attirare finalmente la loro attenzione prima di richiudersi la porta alle spalle con angoscia e allontanarsi sul ponte innevato.
«Non ti stanno bene loro quattro vero? Buttiamoli a mollo, li scioglierà l’acqua. Non se ne accorgerà nessuno!» le strepitò dall’interno Celya, mancando totalmente il problema, ma pur avendola sentita perfettamente Aya si rifiutò di ribattere.
Aveva ragione Kidd a dire che si sarebbe fatta ammazzare con quelle stronzate. Aveva sempre avuto ragione Kidd.



L’aria puzzava d’alcool bruciato e salsedine, qua e là qualche rivolo di fumo nerastro fluttuava incerto ed uno o due pesci galleggiavano stecchiti a pelo d’acqua. Seccato, lanciò un’occhiataccia di rimprovero al gruppetto che stava affacciato alla paratia, ma nessuno di loro se la vide rivolgere ed imperterriti insistettero nel dar fuoco alle bottiglie di birra, rhum, saké e qualsiasi altro alcolico reperibile sull’ammiraglia nel tentativo infantile di arrecare un danno qualsiasi al sottomarino di Trafalgar Law. Peccato che di quel bastardo non ci fosse ancora traccia e quel modo di dargli fastidio dunque del tutto inutile. Spostò allora la propria attenzione sulla distesa d’acqua che gli stava di fronte, immobile e d’un blu cupo, cercando con lo sguardo una qualsiasi traccia.
Avrebbe dovuto essere da loro da un pezzo, non c’era alcun motivo valido per tardare tanto alla convocazione, specie perché dalle informazioni raccolte nessuna delle Supernova già presenti nello Shinsekai era avanzata tanto da distarziarsi di così tante leghe da giustificare una simile attesa.
Una strana rabbia, mista ad ansia, lo colse di colpo all’idea che invece una ragione potesse esserci, che quello sporco pirata avesse disertato ancor prima di mettersi il giogo sulle spalle, ma non ebbe il tempo di concentrarvisi quando una voce lo distrasse fastidiosa e petulante.
«Ancora niente?» s’informò teso Mizaru per la centesima volta in quell’ora, ma come per tutte le altre Kikazaru non lo degnò del minimo sussurro «puoi degnarti almeno di considerarci?!» berciò alla fine offeso senza tuttavia ricevere una qualsiasi risposta.
Si preoccupava di quando sarebbe arrivato quell’infido scarto umano solo per paura, perché gli bruciava come il primo istante l’essere ridotto ormai ad un mostro e temeva di ritrovarselo di fronte di nuovo con la spada sguainata. Non meritava una risposta né comprensione, nessuno ne meritava se anteponeva i propri interessi a quelli dell’Ordine prestabilito, alla sola priorità che avrebbero dovuto avere tutti: distruggere chiunque tentasse di rivoltare il loro mondo, di ridurlo in cenere ed affidarlo nelle mani di sovversivi, anarchici e rivoluzionari.
«E pensare che con quella cicatrice in mezzo alla faccia hai un’aria così simpatica, fratello.» lo insultò alla fine, ma Iwa lo richiamò al proprio posto con un colpo di tosse ben studiato «Tu non dici niente, giusto?! Certo che no, ammuffire volontariamente è la cosa che ti riesce meglio!» insultò allora anche lui e a quel suo ennesimo eccesso di nervosismo persino il gruppetto raccolto accanto alla paratia si voltò.
«Voi tre siete proprio strani cazzo.» giudicò uno di loro, grattandosi il cavallo dei pantaloni lerci.
«Tu ti sei guardato allo specchio di recente?!» gli sbottò contro Mizaru, punto sul vivo e chissà per quanto avrebbe potuto continuare se allo scroscio di vetri rotti volontariamente per minaccia non fosse intervenuto il vice-ammiraglio.
«Finitela di chiacchierare e concentratevi, siamo qui per una ragione precisa.» li zittì roco, sbuffando una nuvola di fumo di fronte a sé dalla cassa di munizioni su cui si era seduto.
«Aye Smoker-san!» obbedirono celeri gli uomini del G-5, mettendosi sull’attenti alla meglio.
Dalla prua dell’ammiraglia Kikazaru lo ammirò in silenzio ed accennò un ringraziamento col capo cui Smoker si prese la briga di replicare solo con l’ennesimo sbuffo dal suo sigaro.
Non aveva chiesto d’essere affiancato e non amava certo che adesso si sorvegliasse il suo operato a causa della diserzione di suo fratello, ma aveva grande stima di quell’uomo ed in generale di tutti i membri d’alto rango della Marina e del Governo. Erano uomini capaci d’incutere rispetto ad una sola occhiata, in grado di farsi ubbidire dal più sordo e spocchioso dei soldati, eroi disposti a sacrificare loro stessi per la vera giustizia. Era felice d’averlo lì in fondo, quando avrebbe dato il colpo di grazia a quel verme voltagabbana la soddisfazione sarebbe stata doppia. Perché a differenza di Mizaru e Shi, lui aveva intenzione di vendicarsi per ciò che aveva subito e reagire a pugni stretti ai continui attentati contro la gente perbene che contava su ciò che la loro divisa rappresentava.
Preso dai propri pensieri non si curò del mozzo che per primo si affacciò alla paratia per uno sciabordio di troppo della nave né al secondo o al terzo, solo quando la vedetta lanciò l’allarme si precipitò a vedere il sottomarino giallo di quel resto umano, mentre riemergeva dalle profondità del Grande Blu dove stava rintanato di solito. Con un ghigno di sfida a squarciargli il volto attese paziente, tra il frastuono dei cannoni che venivano armati di corsa e quello dei caricatori dei fucili, finché il portellone non si aprì e la testa di un orso fece capolino. Lo vide studiare con muso corrucciato il ponte della nave per un po’ e alla fine farsi da parte, permettendo al resto degli Heart Pirates di controllare da sé. Li osservò uscire uno per uno e fermarsi chi a braccia serrate, chi con una mano già pronta sulla propria arma, ma di Trafalgar Law non c’era traccia.
«E il bastardo?» domandò uno dei marines ai cannoni, intenzionato forse a prendere meglio la mira infischiandosene del patto di non belligeranza che implicava il titolo di Shicibukai e gli Heart si drizzarono all’unisono nelle divise con fare offeso appena prima che il cannone si sbriciolasse in minuscoli pezzi.
Fu in quel preciso istante che Smoker-san mise mano alla propria arma e nel vederlo rigirarsi, Kikazaru si rese conto del perché quel branco di miserabili paresse tanto intenzionato nello studiare la nave: lo cercavano.
«… da quanto tempo sei qui, Trafalgar Law?» ringhiò Smoker-san, spingendo anche gli altri a voltarsi.
Poggiato allo stipite della porta interna dell’ammiraglia, con la spada per metà sguainata sulla spalla e il giaccone sbottonato, Trafalgar gli regalò un ghigno assonnato quasi quella domanda gli apparisse inutile ed il sentirsela rivolgere persino di più. Se ne stava là fermo come se vi avesse messo radici, a rimarcare una superiorità che non aveva sulla Marina e quella viscida prova di forza fece serrare i pugni a Kikazaru.
«Più del necessario e comunque più di quanto ve ne sarebbe dovuto servire per accorgervene, Vice-ammiraglio Smoker. Cominciavo ad annoiarmi.» ammise, curvando impercettibilmente il capo scuro con un respiro pesante.
Si credeva furbo, pensava di manipolarli e sfruttarli a suo vantaggio, era convinto di avere la situazione in pugno e glielo sbatteva persino in faccia, ma non aveva idea di quanto si sbagliasse. Poteva aver vinto qualche battaglia contro la giustizia cui avrebbe dovuto sottostare ed era stato abbastanza lungimirante da capire quando fermarsi, tuttavia neanche lui, “la mente del Rocky Port”, il “Chirurgo della morte”, poteva sperare di scampare alle proprie pene. Avrebbe avuto ciò che meritava prima o poi e quel giorno Kikazaru gliene avrebbe dato un assaggio. Soltanto quella consapevolezza lo tratteneva dal metter mano alle proprie armi.
«Come sei salito a bordo?» lo interrogò duro Smoker-san, evitando d’abbassare la guardia.
«Mettiamola così… non ho bisogno d’usare una passerella per farlo.» ribatté evasivo, facendo sbuffare una nuvola di fumo di troppo al vice-ammiraglio.
Sapeva che la sola candidatura al titolo di Shicibukai lo aveva già messo al riparo da eventuali attacchi diretti e con quella sua boria da arrogante si permetteva di approfittarne, provocando e minacciando in silenzio, ma quelli erano i suoi ultimi sprazzi di libertà e stava per scoprirlo.
«Avresti dovuto invece. I tempi cambiano, quelli come te però restano comunque feccia.» s’intromise con un sorriso compiaciuto, attirando finalmente la sua attenzione.
Lo vide fissarlo in silenzio, il volto imperscrutabile e lo sguardo gelido in cui Kikazaru tuttavia leggeva l’offesa per l’epiteto che gli era stato appena rivolto. Per un lungo momento rimase immobile a studiarlo, forse nel tentativo vano di incutergli un qualche genere di timore e farlo pentire di ciò che aveva detto, poi come se nulla fosse accaduto sollevò di scatto un sopracciglio perplesso.
«Ci conosciamo?» sbottò disinteressato, strappando a Kikazaru una smorfia furiosa.
… se si conoscevano?! Certo che si conoscevano! Si erano scontrati a Fancy Town in quella schifosa isoletta della prima tratta di Rotta Maggiore, avevano combattuto, gli aveva aperto la faccia a metà quel giorno e in quelli successivi, malgrado il dolore per l’offesa, Kikazaru gli aveva dato la caccia per sbatterlo in una cella ad Impel Down e giustiziare quella maledetta rivoluzionaria che lui ed Eustass Kidd non facevano che passarsi. Si conoscevano benissimo e lui lo sapeva, se ne ricordava. Poteva fingere quanto voleva, ma se ne ricordava!
Vedendolo sul punto di perdere il senno per quella misera provocazione, il vice-ammiraglio Smoker ed Iwa aggrottarono all’unisono la fronte, mentre il resto degli uomini lo fissava sconcertato. Dal canto suo Trafalgar si abbandonò ad un ghigno per quella sua reazione offesa, ma decise presto di non infierire oltre e tornò a rivolgere la propria attenzione sul vice-ammiraglio.
«Ad ogni modo, mi piacerebbe tanto continuare questa proficua conversazione, ma ho di meglio da fare per cui ditemi perché mi avete chiamato.» troncò stufo, staccandosi con un colpo di reni dalla porta.
«Il Governo mondiale ha accettato di nominarti ufficialmente membro degli Shicibukai, Law.» comunicò Smoker-san a nome dell’intera Marina e il ghigno sulla faccia del maledetto si allargò ulteriormente.
«E se com’è evidente non avete organizzato una festa per darmi il benvenuto il motivo è un altro, Smoker-ya.» lo spronò con tono strascicato, dondolando le nappine della nodachi sulla spalla.
Lo era meno di quanto credesse in verità, perché qualcosa avevano davvero organizzato per dargli il benvenuto al servizio del Governo ed era ben chiusa nella tasca interna del suo giaccone, con le sigle ufficiali dei Gorosei a farvi bella mostra. Il pensiero lo riscosse dallo stato d’irritazione nel quale aveva rischiato di sprofondare e lo convinse a farsi nuovamente avanti, questa volta andandogli persino in contro a dimostrazione di quanto poco valessero le sue provocazioni ed i suoi giochetti se a tenerlo per il collo erano comunque loro.
«Titoli simili non si concedono senza una garanzia o una prova della fedeltà che richiedono.» gli fece presente, spingendolo questa volta a voltarsi del tutto verso di lui.
«Avete già avuto abbastanza prove da parte mia. Sono tutte e cento chiuse in una cassa.» sibilò cupo, cominciando ad irritarsi.
E benchè Smoker-san si fosse fatto avanti al suo seguito, con una presa più salda sulla propria arma ed il cipiglio greve nel sentirgli quel tono, Kikazaru insistette nell’avanzare finché non gli si parò davanti.
Aveva avuto un’opinione differente su di lui sino a qualche tempo prima, ma dopo che quella voce lo aveva raggiunto al G-5 e aveva avuto modo di parlare al concilio di Marijoa gli era stato tutto più chiaro. Era solo uno sbruffone, uno sbruffone voltagabbana che credeva di poter muovere a proprio piacimento pedine che non gli appartenevano e di cui lui stesso faceva parte. Dissimulava, ringhiava, ma si era messo da solo il collare al collo e adesso avrebbe dovuto obbedire da cane addomesticato o la punizione gli avrebbe portato via ogni cosa.
Fermo al proprio posto e con i suoi occhi grigi puntati addosso, estrasse compiaciuto la busta dal proprio giaccone di capitano per porgergliela con velenosa lentezza.
«Quelli servivano a dimostrare che eri all’altezza di poter far parte di un gruppo come quello degli Shicibukai, la prova che il Governo mondiale ti richiede adesso è un’altra. Qual’ora non fossi in grado di fornircela… o ti rifiutassi… il posto tornerà vacante e tu ad essere nelle mire della Marina da questo momento.» specificò, osservandolo, mentre leggeva ciò che gli era stato consegnato.
Aveva perso tre anni della propria carriera dietro quella storia, erano morti uomini innocenti e rispettabili, paesi erano stati distrutti, vite stroncate ed incenerite al passaggio di quell’abominio, suo fratello si era addirittura fatto avvelenare la coscienza e Marijoa, la loro sacra terra da proteggere, per la prima volta dopo decenni aveva vacillato. Nelle ultime notti aveva brancolato nel buio, disperato, alla ricerca di una soluzione che potesse fargli mantenere quell’incarico, che potesse dimostrare che lui era la persona giusta a difenderli. Era stato sul punto d’essere allontanato… ma alla fine, la sua perseveranza era stata ripagata con un passo falso e poco importava se a compierlo non era stato quel mostro che minacciava l’Ordine stabilito. Ormai i giochi erano fatti e non c’era più modo di tornare indietro: se Kikazaru non era stato in grado di catturarla personalmente lo avrebbe fatto Trafalgar Law al posto suo e gliel’avrebbe consegnata in silenzio, a capo chino, da vile cane qual’era.
Soddisfatto lo vide sgranare d’istinto lo sguardo in un moto di rabbia confusa quando si rese conto di ciò che gli veniva richiesto e si abbandonò ad ghigno di scherno.
Nessuno poteva competere davvero con il Governo mondiale né tantomeno con i Draghi Celesti. Non ne era stato in grado anni addietro Gold Roger, il leggendario Re dei Pirati e certo, non ce la avrebbero fatta loro.
«Puoi mettere anche questa prova in una cassa se vuoi.» lo provocò irriverente, aspettandosi di vederlo scattare da un momento all’altro.
Tuttavia quando dopo un interminabile momento di stallo, Trafalgar lo fece, la sua espressione era nuovamente gelida e priva di qualsiasi accenno di cedimento, benché avesse accartocciato l’ordine nel pugno.
«Potrebbero volermici anni. Il mare è grande.» provò a far presente con tono piatto, ma Kikazaru si rifiutò di concedergli quella via d’uscita tanto semplice.
Non potevano permettersi d’attendere ancora, i Gorosei erano stati chiari nell’accettare la sua proposta e non potevano lasciare che quel verme li battesse d’astuzia con una trovata tanto banale. Gliel’avrebbe consegnata subito o il titolo gli sarebbe stato strappato via come la testa quel giorno stesso.
«Contiamo tutti tu abbia i mezzi necessari per fare più in fretta.» chiarì autoritario.
«E meglio di voi.» completò per lui Trafalgar, riservandogli quell’ultimo affondo prima di superarlo e dirigersi verso il proprio sottomarino con la lettera ancora in pugno.


























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Note dell’autrice:
Solo due, mi sembrava giusto concedervi delle piccole pillole piuttosto che lei infinite liste dopo la pausa che mi sono presa… mi faccio perdonare almeno un pochino.


- Ahen: in Giappone rientrano sotto questa particolare categoria tutte le sostanze artificiali o naturali in grado di falsare o annebbiare del tutto la lucidità di una persona. Da noi si chiamerebbero oppiacei, ma per i giapponesi la cosa è un pelino più complicata per via dell’accettazione della soglia personale di dolore che è ancora qualcosa con cui lottano per motivi culturali dato che esprimere palesemente i propri sentimenti, piacevoli o dolorosi che siano, è non visto di buon occhio.
- Jorogumo: è una donna ragno della tradizione giapponese. Sempre malvagia e con predisposizione al cannibalismo, costruisce reti sui soffitti interni delle abitazioni e se vi si rimane per troppo tempo sotto, si finisce per deprimersi o impazzire a tal punto da consegnarsi volontariamente nelle sue fauci.


  
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