Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    24/09/2018    1 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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31. Risveglio


Per la prima volta nella sua vita, Hanji Zoe aveva provato quel terribile sentimento di rimpianto e di pentimento causato dal cosiddetto senso di colpa.

Dalla notte dell’incidente nella città sotterranea fino al mio risveglio, avvenuto tre giorni più tardi, l’unica attività della Caposquadra era stata quella di tormentarsi disperatamente nel tentativo di constatare quanto il ritardo del suo arrivo avesse potuto, quella notte, contribuire alla morte di Lexander Hares, deceduto quella sera dopo che tre colpi di arma da fuoco lo avevano privato brutalmente della sua giovane esistenza.

Per tre giorni, Hanji non si concesse alcuna tregua; era stata sollecitata da Erwin ad adempiere ai suoi incarichi tralasciando quello sgradevole episodio capitatomi, malgrado fosse il motivo del suo costante malessere. Il Comandante le spiegò che si sarebbe occupato personalmente delle faccende legali che avrebbero atteso stessa me dopo la mia ripresa e che era stato già assolto il capitano Levi dalle sue mansioni affinché fosse rimasto nei paraggi dell’ospedale militare di Stohess per conoscere ogni aggiornamento da parte dei medici che riguardassero la mia precaria situazione fisica.

Per tre giorni, Hanji non riuscì a chiudere occhio di notte, faticando persino a raggiungere il letto a causa dei continui spostamenti tra la caserma e il distretto in cui mi trovavo priva di coscienza; in quest’ultima sede, difficilmente riusciva ad ottenere notizie riguardanti la sottoscritta e raramente discuteva con Levi, sempre apparentemente silenzioso e impassibile – un atteggiamento a cui stessa lei era abituata già da anni – ma che in realtà, lei lo sapeva bene, non sperava in altro se non in una mia immediata guarigione.

Fu proprio a causa di questa eccessiva sensazione di colpevolezza provata dalla veterana la ragione per cui, in un momento di smisurata angoscia, ella aveva perso la lucidità nel mezzo di uno dei suoi esperimenti sui due campioni di gigante, impartendo ordini poco chiari e perspicaci, provocando il decesso di Albert, uno dei suoi “figlioli” dalle dimensioni discutibilmente proporzionate.

A quel punto, al termine del secondo giorno, a seguito di quell’ennesimo sfortunato accaduto, Hanji ordinò ai suoi sottoposti di interrompere provvisoriamente ogni attività sull’unico esemplare rimasto. Trasgredì il divieto del Comandante di partire per Stohess, giungendo all’ospedale militare subito dopo il raggiungimento del distretto.

Quella sera, trovò il capitano nella mia stanza, seduto accanto al mio capezzale, intento a sorseggiare il suo solito tè.

Il corvino nemmeno le degnò di uno sguardo quando entrò, rimanendo a fissare il mio volto cagionevole e i miei occhi serrati.

Hanji sospirò stremata, chiudendo la porta alle sue spalle. Incamminandosi verso il lato situato di fronte a quello in cui aveva preso posto Levi, si sfilò gli occhiali da vista, massaggiandosi le palpebre. Prese una sedia, prima di sedersi, turbata, mi osservò ancora, reputandosi per l’ennesima volta colpevole.

La Caposquadra carezzò affettuosamente una guancia alla povera sfortunata, guardando il corpicino indebolito, la maglietta a maniche corte pallida, da cui erano evidenti le bende che le fasciavano la vita e le gambe quasi completamente scoperte, il cui polpaccio sinistro era stato altrettanto bendato.

Con lungimiranza, Hanji afferrò la coperta ripiegata ai bordi del letto, distendendola nuovamente.

-Ferma, non la coprire – proruppe la voce rauca del corvino. –Qualche ora fa ha sudato, gliel’abbiamo tolta per questo.

Hanji ripiegò il telo, sedendosi silenziosamente con lo sguardo triste.

Certamente, non era la prima volta che Hanji aveva procurato del male a qualcuno: non molto tempo prima, il lettore senz’altro se ne ricorderà, aveva rischiato di lasciar morire uno dei miei compagni per mano di un gigante. Episodi del genere, tuttavia, in cui suoi compagni d’armi morivano contro i nostri nemici biologici, lei non era autorizzata ad averli così a cuore: il suo dovere da ricognitore le imponeva di giustificarli come sacrifici per il bene dell’umanità.

Contrariamente, la situazione attuale era assai unica nel suo genere, il fatto di non essere stata capace di offrire più aiuto del necessario, che avrebbe non solo risparmiato me dalla brutta circostanza in cui ero, ma anche la morte di mio fratello, la stava distruggendo psicologicamente. Era convinta che tutti i soldati del Corpo, non esclusivamente Erwin e Levi, sarebbero venuti a conoscenza del suo esaurimento, e ciò avrebbe compromesso il suo impiego con le ricerche sui giganti.

-Dovresti smetterla di fare questo andirivieni ogni maledetto giorno – proferì Levi, incrociando le braccia, senza distogliere lo sguardo dalla paziente.

Hanji abbozzò un mezzo sorriso. –Quanto sei apprensivo – lo canzonò, prima di inforcare gli occhiali. –Oggi un esperimento è andato male – spiegò lei. Un sorrisetto inquietante e perverso comparve sul suo viso. –Ho ammazzato Albert.

Levi la guardò. La Caposquadra osservò le profonde occhiaie che sembravano infossare ancor di più i suoi occhi blu. – Secondo te quanto può fregarmene, in una situazione come questa? – rispose in maniera burbera.

Hanji certamente sapeva già che non avrebbe potuto aspettarsi risposta più gratificante. Perché mai desiderava il minimo conforto, specialmente da lui? D’altronde, non era stata lei a sbagliare le previsioni, decapitando il povero gigante? Non era stata lei a gestire in maniera troppo superficiale gli ordini di Erwin, la sera dell’incidente?

Sei colpevole, Hanji Zoe, iniziò a ripetere a se stessa.

Levi, per quanto non riuscisse a distogliere la sua mente dai ricordi di quella sventurata notte e dai brutti presagi che, nonostante si sforzasse, non riusciva a evitare di concepire nella sua testa, aveva probabilmente notato la profonda frustrazione che la sua collega nutriva nel suo animo.

- Non capisco perché ti ostini a venire qui – riprese lui. - Non c’entri niente con quello che è successo. La colpa non è tua.

Hanji, che aveva incrociato le braccia sul materasso, infilando in mezzo la testa, mosse il proprio sguardo su di lui.

Iniziò a porsi qualche domanda. E se quegli odiosi sensi di colpa non fossero l’unica motivazione che la spingeva a percorrere i territori del Wall Rose ogni sera? Infatti non era così: le premeva che quella ragazzina ingenua, quella che assecondava ogni sua insalubre idea e la seguiva in ogni sua avventura, che aveva reso un po’ più allegra la vita del suo piccolo collega, che dimostrava doti sbalorditive, che, come lei, aveva trascorso buona parte della sua giovinezza senza l’affetto di un genitore biologico, si ritrovasse su quel letto spoglio in una camera altrettanto triste perché mal voluta da qualche figura autorevole a lei ostile.

Levi strinse dolcemente la mano attorno alla mia caviglia destra, carezzandola col pollice.

- Non sei stata tu a causare tutto questo casino – la sua voce divenne più delicata. - Riprendi le tue mansioni e impegnati come hai sempre fatto. E lavati, soprattutto. La merda dei cavalli ha un odore di gran lunga più gradevole del tuo.

Alla Caposquadra scappò un sorriso, ma non tardò tanto a incupirsi di nuovo. – Mi dispiace per quello che è successo. Per lei, per suo fratello, anche per te.

Levi non rispose, i suoi occhi mossero sul mio volto. Chiuse gli occhi, sospirando.

- Farò come hai detto – continuò la veterana, prendendomi una mano. – Dobbiamo andare avanti. Purtroppo, anche lei dovrà fare lo stesso – si rannuvolò un’altra volta.

Hanji, sempre più decisa a riacquistare la lucidità e la concentrazione che l’avevano sempre contraddistinta, oltre che ad averle concesso il posto di Caposquadra tanto ambito a seguito della promozione di Erwin, scambiò un’altra occhiata al compagno vigile. Stringendo ancora la mia mano, si addormentò pochi istanti più tardi, priva di energie.


 


 

Gli occhi li aprii per la prima volta dopo tanto tempo solo la mattina successiva. La testa mi scoppiava, il mio corpo mi parve improvvisamente più pesante.

Ricordo quella maledetta sensazione di smarrimento appena iniziai a muovere lo sguardo sull’ambiente circostante. Ricordo il momento in cui mi domandai il perché mi trovassi su quel letto di quella stanza sconosciuta, e il motivo per cui la Caposquadra Hanji Zoe, dormiente, era l’unica che momentaneamente fosse nei paraggi. Ricordo che il mio cuore iniziò ad accelerare non appena, ancora incapace di muovere un solo muscolo, iniziai a revocare le memorie degli ultimi attimi precedenti il mio stato di assopimento.

Balbettai, tentando disperatamente di chiamare l’attenzione della donna, la cui mano era stretta alla mia. Non appena fui in grado di liberarla, ella si destò di colpo.

-Claire, sei sveglia! – esclamò, sgranando gli occhi. -Va tutto bene, ci sono dei medici che possono aiutarti.

Per quanto mi sentissi almeno in parte sollevata di aver ritrovato una persona conosciuta in un luogo a me del tutto ignoto, l’angoscia mi stava divorando. Dovevo disperatamente ottenere informazioni riguardanti l’accaduto, riguardanti Lex, e la tensione aumentava man mano che mi rendevo conto di non essere ancora in grado di esprimere un concetto.

-Hang… - riuscivo a stento a chiamarla.

-Non preoccuparti, ora ti sentirai subito meglio – ella, nonostante fosse visivamente agitata, cercò di tranquillizzarmi carezzandomi la testa; proprio quando ebbe compiuto uno scatto per raggiungere la porta, dal corridoio esterno comparve Levi.

-Levi, si è risvegliata! – esclamò nuovamente la soldatessa, invitando il compagno a raggiungerla.

Notai la disperazione dipinta sul volto del corvino. Non avevo ancora compreso che in parte era dovuta al mio lungo periodo di ricovero, il cui motivo in quel momento era a me ancora sconosciuto.

-Lev…Levi – mormorai, sempre più ansiosa. Mossi tremolante un braccio nella sua direzione, pregandolo con gli occhi di spiegarmi.

-Calma, Claire – rispose lui. -Sei in un ospedale di Stohess, hai dormito per tre giorni dopo l’incidente nella città sotterranea – mi spiegò. -Non hai dato segni di vita per tutto questo tempo.

-Levi, dov’è Lex? – domandai impaziente.

Egli smise di parlare, il suo sguardo, incupito, mosse altrove.

-Levi, – gli strattonai la giacca, -dimmi dove si trova mio fratello – le lacrime iniziarono a solcarmi il viso. -DIMMELO! – urlai, ripetendo lo stesso gesto.

Il cuore iniziò a scoppiarmi nel petto, la vista mi si offuscò, dovuta in parte anche alla mia totale assenza di forze. Mi chiesi invano se tutto quello che stavo vivendo fosse solo una visione onirica e che presto mi sarei effettivamente risvegliata in un letto d’ospedale a pochi passi da mio fratello.

-Claire, adesso fermati – si interpose la Caposquadra, bloccandomi i polsi. Provai un’ulteriore sensazione di dolore appena notai il luccichio dei suoi occhi. -Claire, io… mi dispiace, il nostro arrivo non è servito a salvare tutti – si bloccò, tirando su col naso. -Non siamo giunti in tempo per salvare la vita di Lex. È stata colpa mia.

La osservai smarrita, confusa. Di colpo mi accorsi che tutto quello che percepivo era vero, comprese le parole di Hanji. Revocai nella mente gli ultimi istanti in cui avevo visto la figura sofferente di Lex, dopo che tre colpi avevano fatto fuoco su di lui prima che potessi cadere priva di sensi per terra. Capii che quindi il destino mi aveva appena giocato un brutto scherzo, strappando la vita ad una persona buona, ingenua, preferendo risparmiare quella di un’incapace assassina il cui unico talento era quello di affettare le carni dei giganti.

Rivissi l’incubo di tredici anni prima, e provai la stessa sensazione di vuoto sperimentata a seguito della morte brutale di mia madre, accaduta sotto i miei occhi; mi reputai nuovamente responsabile della morte di un mio caro, anche quella volta deceduto a pochi passi da me, senza che io avessi mosso un dito per evitare la fine della sua esistenza. Provai il dolore dell’impotenza, l’angoscia di non poter tornare indietro per impedire una morte inutile, quella maledetta sensazione avvilente di dover vivere con un rimpianto che mi avrebbe accompagnata per il resto della mia ridicola esistenza.

Hanji mi lasciò debolmente, la mia testa tornò sul cuscino su cui avevo riposato.

-La colpa non è tua, Hanji – parlai, infischiandomene del modo indecoroso con cui le avevo rivolto la parola. - La colpa non è di nessuno, se non mia. Io ho lasciato morire disumanamente mia madre, per una questione di interesse personale ho lasciato che accadesse lo stesso con mio fratello.

Le lacrime solcarono sempre più copiose il mio viso. - Io non so fare nulla. Io lascio morire le persone come facciamo sempre anche in missione – risi nervosamente.

Ripensai al volto dello scellerato a cui avevo tolto la vita, a quelli che si erano occupati di seviziare Lex poco prima e a quel gruppo di spietati che avevano sgozzato mia madre in un giorno di pioggia, in una strada deserta. – Questo mondo è il peggiore in cui avessimo potuto mai esistere – conclusi, la voce sgozzata dal pianto.

Mi coprii il volto con un braccio, sfogando la mia frustrazione battendo un pugno sul materasso. – E io dovrei cambiare qualcosa? Ma figuriamoci!

Hanji sedette silenziosamente, col viso rabbuiato. Levi non mostrò alcun sentimento, avvertendomi di dover chiamare un dottore perché mi controllasse.

-E Dovremmo avvertire anche Erwin del tuo risveglio – disse, prima di lasciare la stanza. -Quelli dell’udienza si fanno altamente desiderare.

Mi scappò l’ennesima risata nervosa. -E certo. Come se non bastasse, dovrò finire pure la mia insulsa vita condannata al rogo.

-Non sei tu l’imputata – mi interruppe. - I delinquenti responsabili del decesso di Conrad e di Lexander Hares sono stati arrestati dopo averti causato una commozione cerebrale. Per tua grazia, anche le accuse della morte del gendarme “che tu conosci” sono ricadute su di loro – spiegò lui. Mi osservò per qualche istante, in cui mi parve di notare anche il suo viso decisamente rannuvolato. – Direi che sia risultata una trovata comoda per tutti, non solo per te. Conrad aveva ragione, alla fine – concluse, prima di congedarsi definitivamente. -Quei bastardi sono bravi a nascondere la verità.

Con la morte nel cuore e senza un briciolo di energia, rimasi su quel letto fino all’arrivo del medico, quando questo poté constatare la mia guarigione per farmi partecipare ad un’udienza banale e che certamente non sarebbe servita a fare giustizia sul trapasso di una persona innocente e che meritava tutt’altro che la morte.


 


 

Durante la seconda mattinata del giorno seguente, prese luogo a Mitras l’incontro giudiziario più indegno e fasullo di sempre.

Presenziai in quanto unica parente di una delle vittime dei processati. Malgrado avessi obiettato decisa di non necessitare alcuna compagnia in aula, Erwin si ostinò a rimanere al mio fianco per tutta la durata del processo.

Una moltitudine di gendarmi mi circondavano. Non annoierò il lettore con eccessive descrizioni di quell’incontro – io stessa, dato il trauma psicologico che ancora stavo faticando a superare, non sono in grado di riportare il ricordo di un momento tanto avvilente e per niente utile al corso degli eventi – ma tengo a ricordare come nessuna di quelle tante parole spese, incluse quelle riguardanti il personaggio malavitoso ritrovato impiccato in una delle stanze della casa incriminata, avessero fatto riferimento a Lex.

Un particolare sarebbe rimasto nitido nella mia mente fino ad oggi, benché fossi adirata per non poter manifestare apertamente il mio disappunto riguardante la completa assenza di considerazione nei confronti di mio fratello: riguarda il soldato incaricato a relazionare la morte del gendarme deceduto, Villid Petrov, prima dell’inizio del processo. La voce del tale, Djel Sannes, risultò alle mie orecchie sorprendentemente familiare. Di colpo, la mia testa vagò nei ricordi relativi alla sera di quattro giorni prima; tuttavia, non seppi trovare il nesso logico tra l’incidente di Lex e la voce del gendarme. Non fui ancora in grado di comprendere che essa appartenesse al “capo” che aveva guidato i malviventi ad agire in quella determinata maniera.

Mancai di ragionare in questo modo, allora. Avrei dovuto accorgermene dalla sentenza toccata al gruppo di sciagurati, mandati al carcere della capitale anziché scontare la propria pena sulla forca.

Sconfortata e depressa, lasciai la capitale qualche ora dopo. Non disponevo del mio destriero e avrei dovuto accontentarmi di un baio maleducato che non voleva saperne di farsi cavalcare dalla sottoscritta. Quella malevolenza da parte dell’animale, non lo nascondo, aumentò il mio stato di negatività.

-Prendi il mio, Claire – mi suggerì generosamente il comandante, abbozzando un sorriso.

-Non c’è bisogno, signore – lo rassicurai, stropicciandomi gli occhi sconvolti.

-Me la cavo bene con i cavalli, e reputo il mio il più buono che ci sia – la sua espressione solitamente austera e autorevole si era addolcita. Mi impartì l’ordine di montare sul suo puledro bianco prima di ripartire per i territori più esterni, dove sarei nuovamente approdata in caserma.

Cosa pensava Erwin Smith di quanto accaduto? Probabilmente doveva comprendere il genere di dolore che mi struggeva più di chiunque altro, e pensai che questa ragione l’avesse spinto ad assistermi durante il processo ai malcapitati. Durante il tragitto, dopo essere montata sul suo bel cavallo bianco, mi capitava di incrociare il suo sguardo grave posato su di me. Avrei potuto provare a esprimere finalmente la mia opinione proprio in sua presenza, con quell’uomo a cui sicuramente la verità che si celava dietro quella commedia fasulla era a cuore più di qualunque altra cosa.

Non vi riuscii. Il male di vivere mi tormentava già da due giorni, posso dire che mi risultava difficile persino comprendere quello che succedeva intorno a me, a contestualizzare eventi e a capire i messaggi che arrivavano al mio cervello. Come se non bastasse, le pene peggiori non mi erano state certamente inferte dalle menzogne riguardanti le cause del decesso di Lex – le stesse che avevano camuffato il mio reato – bensì dalla vista del cadavere esangue, pallido, irriconoscibile di mio fratello nell’obitorio dell’ospedale in cui ero stata ricoverata.

Assistere ad uno spettacolo tanto riprovevole prova chiunque, senza tener conto di quante altre volte la scena si ripeta nella vita: avevo già visto i corpi ridotti a brandelli di alcuni tra i miei compagni, avrei continuato a vederne altri successivamente, a soffrire per le morti di altrettanti miei cari. Tuttavia, avevo sperato ardentemente di morire valorosamente in battaglia, mio fratello al sicuro nella casa dei Ral a lavorare la legna col padre di Petra. Ciò non era accaduto, il suo corpo era stato trasportato in un misero obitorio, destinato a essere gettato in una fossa comune in qualche terra deserta e sperduta non troppo lontana dalle cinta murarie del Wall Rose.

Ripensai a quell’atrocità durante la strada di ritorno. La stanchezza e debolezza certamente non mi aiutarono a farmi sentire meno peggio, tant’è che fui costretta a reprimere la camminata del destriero, da cui scesi frettolosamente, dando le spalle al Comandante già in apprensione perché potessi rimettere risparmiandogli una scena altrettanto raccapricciante e disgustosa.

Mi piegai su me stessa a pochi centimetri dal mio scarto, piangendo a dirotto. Percepii il biondo avvicinarsi a me, quindi mi asciugai velocemente il volto come meglio potessi usando l’orlo della camicia che indossavo.

-Claire, siamo quasi arrivati – mi rassicurò Erwin. -Resisti ancora un po’, vuoi che ti aiuti a montare di nuovo?

Feci no con la testa. -Le domando scusa, signore. Posso riprendere la marcia subito.

Mi alzai, dirigendomi verso il cavallo da lui affidatomi. Il suo sguardo era più preoccupato di quanto avessi potuto sforzarmi di immaginare in quel momento.

Salii sulla sella senza a fatica, Erwin non si accontentò di offrirmi il suo sostegno: bagnò un fazzoletto con l’acqua di una borraccia, chiedendomi di rinfrescarmi il volto.

Fui costretta ad accettare la pezzuola, dopodiché riprendemmo il cammino.

Erwin aveva ragione, eravamo vicinissimi alla caserma.

Il nostro arrivo parve una marcetta funebre agli occhi dei soldati ricognitori nei pressi del campo di addestramento. Non avevo idea di cosa avessero potuto pensare per la mia assenza, certamente ero convinta che almeno i miei quattro amici fossero stati già informati dal capitano Levi di quanto fosse successo, in particolar maniera la mia compagna di avventure. Fu un sollievo non averli visti nei paraggi: pensai che essere tornata già in caserma, luogo in cui mi ero impegnata duramente per diversi mesi dando il mio contributo alla causa per cui si batteva il Corpo di Ricerca, per quanto non avessi le energie necessarie per riprendere tutte le mie occupazioni, mi avrebbe sicuramente permesso di dimenticare per qualche istante quella brutta vicenda che mi perseguitava.

Erwin volle assicurarsi che raggiungessi i dormitori per riposarmi almeno quel dì, rimandando qualsiasi impiego mi attendesse.

Percorsi quei familiari corridoi in silenzio, accompagnata dal mio superiore.

-Sono… davvero dispiaciuto per quanto sia successo – proferì a metà strada.

-Come se non bastasse, l’efficienza della nostra ultima operazione rischia tremendamente – risposi, la voce quasi afona. – Ho avuto modo di apprendere che una delle due cavie catturate è deceduta.

- Claire.

-Dovremo procedere con cautela per non rischiare di perdere anche la seconda, di rivedere i progetti per gli esperimenti in programma.

Egli ripeté il mio nome, con un tono di rimprovero.

Incontrai i suoi occhi cerulei e irremovibili. Cosa volevi da me, Comandante? Rendermi ancora più vulnerabile, quando cercavo in tutti i modi di fingere che l’accaduto non avesse più valenza dal momento in cui ero tornata alla mia occupazione? Erwin Smith, dovrò riconoscerlo anche in queste memorie, sei sempre stato bravo a distruggere psicologicamente i tuoi simili.

-Cosa devo fare, signore? Me lo dica lei? – scoppiai nuovamente in un pianto, per quanto cercassi di trattenermi. -Li ha visti, in tribunale? Questo mondo non ha speranze! – alterai il volume della mia voce. – Cosa possiamo fare noi, gli ultimi considerati nell’esercito? Non abbiamo speranze! Mi dica lei un'alternativa.

La mia vista sfocata a stento mi permetteva di percepire la sua figura davanti a me. Mi maledissi per aver proferito tante fandonie, quando fino a pochi giorni prima avevo creduto fermamente all’importanza della nostra lotta perenne. Dopo la morte di mio fratello, mi pareva che tutta la realtà mi fosse ritorta contro, non ero in grado di trovare alcuno scopo per vivere.

-La predo di perdonarmi per aver parlato così – mormorai con un filo di voce. -Mi scusi, Comandante, io…

La mano di Erwin si posò sulla mia spalla. -Claire, posso ancora contare su di te? Il Corpo di Ricerca ha bisogno delle tue capacità.

Mi limitai ad asciugarmi di nuovo il volto, cercando la risposta alla sua domanda.

-Facciamo un patto – continuò lui. -Ti prometto che nell’avvenire accadrà una rivoluzione: faremo giustizia a tuo fratello, a mio padre, dovesse costarmi la vita. Tu però promettimi in cambio una cosa: offrirai il tuo cuore e il tuo talento al Corpo di Ricerca. Tu possiedi le ali della libertà, il destino del Regime Esplorativo e del tuo sono indivisibili e hai contribuito tanto in soli pochi mesi. Allora, me lo prometti, Claire?

Distrutta psicologicamente, ferita fisicamente e nell'orgoglio, constai di non voler desiderare altro che la verità. Anche io, come aveva promesso lui, avrei messo a repentaglio la mia stessa esistenza in futuro per raggiungere un traguardo che al tempo pareva quasi illusionistico.

Portai debolmente una mano al cuore. Col viso abbassato, proferii: -Sissignore, lo prometto.

Erwin Smith si congedò da me pochi attimi seguenti, dopo avermi profondamente ringraziato, promettendomi ulteriormente che sì, prima o poi il momento atteso da entrambi sarebbe arrivato. E il corso degli eventi ha voluto che, diversi anni dopo, il suo sforzo fosse miracolosamente premiato.

Giurai nuovamente fedeltà, ma sapevo già che tenere l'umore alto e riprendere tutte le normali attività sarebbe stato esageratamente difficile in quelle condizioni.

Altrettanto complicato fu parlare con Petra dell'accaduto quello stesso giorno, quando anche la sua collera e la sua tristezza erano sul punto di degenerare al mio stesso livello. Petra aveva finto di non sentirsi bene anche quel giorno per rimanere sola nei dormitori a riflettere sulla dolorosa tragedia capitata a Lex, a quel bel giovane di Karanes, adorato dalla sua sorella minore e sempre disposto ad aiutare in casa Ral dopo l'accoglienza dei due coniugi a seguito del decesso della loro povera madre.

Petra sapeva bene quanto stessi soffrendo, ragion per cui, quando mi vide arrivare, rimase in silenzio, senza chiedermi troppe spiegazioni sull'avvenimento. Gliene fui grata, talmente tanto che sfogai altrettanta frustrazione sulla sua spalla, finché non giungesse la notte.

Dormii con gli scomodi abiti che avevo costretto a indossare per prendere parte a quell'inutile quanto insulso processo del giorno prima.

Un terribile temporale si abbatté sulle campagne circostanti all'alba della mattina dopo. Il lettore si sorprenderà di quanto un simile clima potesse perfettamente rispecchiare il mio stato d'animo funebre e inquieto.

In caserma regnava la stessa atmosfera smorta e deprimente. Ciò non poté che aumentare la mia profonda tristezza.

Rimasi a fissare in maniera distratta la grandine battere il vetro della finestra, ignorando le suppliche di Petra di riposare, soprattutto di mangiare verso metà della giornata, cosa che chiaramente non avevo intenzione di fare.

A fine mattinata pensai che frequentare la mensa potesse essere un punto di partenza per riprendere tutte le precedenti attività a cui ero abituata. Inoltre, mi avrebbe sicuramente fatto bene mettere un pezzo di pane sotto i denti.

Diversi soldati erano già intenti a consumare il loro pasto, quando entrai in refettorio. Seguendo Petra, iniziai a percorrere la grande sala con gli occhi di metà presenti addosso. incrociai anche Levi; mi osservò con leggera apprensione, ma non appena constatò che, escludendo le bende che mi fasciavano ancora la testa, ero in ottima forma fisica, si comportà come era di consuetudine, in maniera sempre fortemente distaccata.

Presi posto silenziosamente accanto ai miei tre compagni. La devastazione era dipinta sui loro volti.

-Ciao, ragazzi – mormorai a bassa voce, aspettando che Petra, dopo aver insistito a lungo, mi portasse da mangiare come aveva promesso.

-Ciao, Claire – prese la parola Erd. -Ci spiace tanto, davvero – farfugliò, imbarazzato.

-Faremo di tutto per farti sentire meglio, te lo prometto – continuò Gunther, come sempre seduto al mio fianco.

-Conta pure su di noi, ragazza – mi strizzò l'occhio Oruo.

Non avevo voglia alcuna di sorridere, ma una minuscola smorfia tentò di ricambiare la loro gigantesca, per quanto imperfetta, dimostrazione di affetto. Nonostante l'anima in pena fossi io, provai un po' di compassione per i miei quattro amici, che avevano appreso dal capitano la versione dichiarata dai responsabili del processo e non l'amara verità.

Dopo che Petra fu tornata con del cibo, iniziai a sorseggiare del brodo. Di colpo, mi tornò alla mente l'agonizzante istante in cui, nella stessa stanza, qualche giorno prima, avevo letto l'ultima lettera scritta da Lex.

Al contempo, un rumore banale risuonò più volte nella mia testa scombussolata. Gunther aveva distrattamente emesso un risucchio mentre ingoiava la minestra calda dal suo cucchiaio, e fu proprio quel suono ridicolo a provocarmi altro dolore. La mia mente vagò nei ricordi, esitando su quello raffigurante me e Lex a cena nella casa dei Ral: il ragazzo, per quanto solitamente educato e diligente, aveva il brutto difetto di consumare le bevande calde alla stessa buffa, tenera maniera.

Quell'ennesima memoria fu per me fatale. Non potei far altro che fingere di ingoiare un altro paio di cucchiaiate, dopodiché, dichiarando di avere un forte dolore allo stomaco, uscii di corsa dal refettorio prima che le lacrime potessero nuovamente bagnarmi il volto, iniziando a girovagare senza meta per i corridoi.

Per qualche strana coincidenza, raggiunsi i seminterrati, dove si trovava anche il magazzino in cui ero entrata per la prima volta la sera di quel tragico giorno. Avevo voglia di poter far girare al contrario le lancette dell'orologio, di poter cambiare il corso degli eventi prima che Lex potesse morire in modo tanto sciocco e disonesto.

Eppure, non scelsi di aprire la porta del magazzino: mi infilai in mezzo a quella di una stanza altrettanto grande, sgombera e adibita ad una sala di addestramento individuale, dotata di pesi, sacchi e altri oggetti da allenamento.

Fu proprio un sacco di grandi dimensioni ad attirare la mia attenzione. Dopo aver pianto ulteriori lacrime, mi liberai con ira della camicia bianca, correndo verso di esso, prima di prenderlo a pugni e a calci con foga.

Non bastavano i giganti, pensai. Non bastavano le minuscole terre che ci rimanevano e che avrebbero sfamato solo ed esclusivamente i figli dei ragazzi che tempo prima si erano lamentanti con me dello studio della musica durante una mia visita a Stohess. Non bastavano la morte di mia madre e l'allontanamento di mio padre a rovinarmi la vita. Soffrire: era davvero l'unica ragione per cui ero venuta al mondo?

Le nocche delle mie mani iniziarono a sanguinare, mentre grugnivo dal dolore per una storta al piede che mi ero appena procurata.

Tuttavia, non mi fermai: anzi, i colpi al sacco aumentarono, così come la loro velocità.

Perché alcuni erano più privilegiati di altri? Perché alcuni dovevano conoscere la verità che ad altri era proibito apprendere? Perché prima o poi anche questa situazione sarebbe degenerata, e della razza umana non sarebbe rimasto nemmeno il ricordo? Perché io, oppure Erwin, o Levi, o chi altro si impegnava assiduamente nel ribaltare una situazione così critica, nel restituire la dignità agli uomini, non otteneva altro che sconfitte?

Qualcuno mi afferrò per le spalle, spingendomi in direzione opposta del sacco. Pochi secondi dopo, lo sguardo confuso, triste e sdegnato di Levi iniziò a fissarmi.

-Perché mi segui sempre? - domandai esasperata. -Dimmelo, Levi. Perché ti diverti a perseguire una persona inutile e incapace?

-Ti prego, finiscila con queste stronzate.

-NON LO SONO! - gli urlai contro di nuovo, sentendomi in colpa per come lo stavo trattando. Ma che senso aveva essere garbati, dopotutto? Come poteva un essere spregevole come me meritarsi il suo sostegno? -Io non sono niente, Levi!

Rammaricata, mi accasciai per terra, piangendo fino alla nausea, distrutta dal senso di colpa per averlo ulteriormente ferito con la mia negatività.

Levi non voleva saperne di allontanarsi da me, per quanto, per un istante, mi convinsi che l'avrebbe fatto da lì a poco. Il rumore dei suoi passi distanti mi avevano tradita: non aveva lasciato la stanza, ma si era procurato altre fasce per coprirmi in silenzio le nuove ferite che mi ero procurata alle mani, con un'indulgenza infinita, della quale io ero troppo sciocca accorgermi. Sempre senza proferire parola, iniziò a infilarmi la camicia che avevo lasciato per terra e io, ormai svuotata e ulteriormente stanca dall'ennesimo pianto, non opposi resistenza.

Levi rimase a osservarmi ancora. Tentò di asciugarmi il volto, fu allora che gli pregai di andarsene.

Levi non se ne andò. Mi prese per mano, aiutandomi ad alzarmi da terra per sedermi ad un tavolo accanto alla finestra, dalla quale penetrava una luce assai fioca e priva di conforto.

Il viso abbassato, la mente vagante nel vuoto totale e nella tristezza, a stento mi accorsi che lui aveva deciso di contrastare il mio desiderio di stargli lontano, sedendosi al mio fianco con gli occhi puntati su di me.

Mi odiavo perché, seppur involontariamente, ero consapevole di stargli procurando comunque dolore, perché non ero più capace di riacquistare lucidità e affrontare la situazione.

-Perché non te ne stai andando? Che vantaggio trai dal rimanere qui? - chiesi irritata.

Prese del tempo per rispondere alle mie domande. - Pensi che non me ne importi? Pensi che me ne freghi di te? Mi reputi davvero una persona così orribile?

Mi scoraggiai ulteriormente, sempre più convinta che non avessi altra scelta se non rinunciare a tutto quel che avessi, alla mia vita, ora che ero certa che la mia presenza ostile a chiunque – soprattutto a chi aveva tolto la vita a Lex. Avrebbero gioito nel sapere che la seconda figlia di Hares, quella che era più difficile da uccidere perché protetta all'interno di quel maledetto Corpo di Ricerca, si era tolta di mezzo – non avrebbe cambiato le circostanze in cui si trovava il nostro mondo.

Il corvino spirò, imprecando. -In effetti lo sono. A chi voglio prendere per il culo?

-Levi, - lo interruppi, - ho visto uno dei miei incubi peggiori divenire realtà. Ho visto quanto pessima e ingiusta sia la realtà in cui viviamo – strinsi i pugni. -Io penso di non essere più in grado di essere la persona di prima, perché è come se fosse scomparso ogni obiettivo che mi ero prefissata – confessai. -Non perdere il tuo tempo con me. Io sono solo causa di sofferenza, credo di essere alquanto instabile e talvolta sfocio nella negatività più profonda. Non voglio vedere soffrire anche te, allontanati.

-Da chi? - chiese lui. -Dall'unica persona che sia riuscita a farmi disprezzare di meno quel mondo che non attende altro che la fine della mia esistenza? Quella che mi ha indotto a convincermi di non essere il mostro di cui tutti parlano? - susseguirono alcuni attimi di silenzio. -Ah, “il capitano Levi, il più forte dell'umanità”... come se da me dipendesse la sconfitta di quei colossi merdosi.

Per un istante, riuscii a distogliere la mia attenzione da tutti i pensieri negativi che mi turbavano. Le parole di Levi non furono a me totalmente indifferenti: era possibile che il suo amore fosse così grande da fargli ignorare addirittura quel limite che io avevo appena imposto tra noi due?

-Forse davvero non varrei nulla, se non avessi questa dannata forza di cui tutti parlano – continuò.

Con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi: - Ascolta, probabilmente mi reputerai soltanto un ridicolo egoista per quel che sto per dirti, e magari in questo momento sarai tanto scossa che non crederai che anche io abbia provato la tua stessa frustrazione e debolezza, qualche tempo fa.

Alzai lo sguardo, notando che aveva stretto i pugni, gli occhi persi un po’ nel vuoto, socchiusi e tristi. Esitò qualche secondo prima di continuare.

-Non penso che tu stia considerando la mia presenza alquanto utile per te. Io alla fine sono solo un essere brutale che ha ammazzato uomini e uccide i giganti perché in un certo senso glielo hanno imposto, difficilmente provo interesse nel mostrare le mie emozioni e fatico a farlo addirittura con te. Come se non bastasse ho un orrido modo di parlare e rappresento l’esatto contrario di quello che è l’uomo ideale che dovrebbe rimanere al fianco di una donna. Però, posso prendermi la briga di rivelarti una cosa?

Vidi i suoi occhi brillare non appena incontrarono i miei. Di colpo, tutta la mia attenzione si concentrò su di lui; in quel momento, tutto ciò che desiderai era continuare a sentire la sua voce, che alle mie orecchie parve essere quanto di più dolce esistesse nel mondo. Chi mi parlava non era più Levi, il soldato più forte dell’umanità, ma un uomo dall’indole buona e giusta, consapevole dei propri limiti.

-Posso confessarti una cosa, Claire? – domandò di nuovo. –Io sono solo felice che tu sia ancora qui con me.

In un attimo, mi sembrò che tutto si fosse misteriosamente interrotto. In un istante, ebbi l’impressione che in quella realtà esistessimo soltanto io e lui, e inevitabilmente iniziai a sentirmi meglio.

Le lacrime mi scesero abbondanti e copiose dalle iridi grigie, mentre ripetevo a me stessa quanto amassi quel ragazzo dolce e bisognoso d’affetto.

A causa della mia negatività, avevo procurato del male a quella persona che, ormai ne avevo avuto l’ennesima dimostrazione, non avrebbe mai smesso di cercarmi e di essermi devoto, oltre ad aver infangato la memoria di colui che aveva mostrato più onore di me, morendo valorosamente nel tentativo di avvicinarsi alla verità di quel mondo scarno.

La figura di Lex parve misteriosamente comparire accanto a me. Immaginai il suo sguardo sempre sincero e sorridente che mi invitava a sorridergli a sua volta. La dolcezza che contraddistingueva il suo volto era la stessa di mia madre, per un attimo mi sembrò di rivederli veramente entrambi. E mi resi conto che, non avrei potuto negarlo, tutti e due non avrebbero mai voluto vedermi in uno stato tanto malinconico, a cui sarei potuta sfuggire solamente grazie all'amore. Quello che ancora nutrivo per loro, quello che avevo sempre nutrito per i miei compagni più fidati. Quello puro ed eterno che provavo per Levi.

Levi, proprio colui che aveva deciso ininterrottamente di seguirmi in ogni direzione e circostanza, che avevo involontariamente ferito dimenticandomi della sua tragica infanzia, segnata dalla morte della sua povera madre e dall'allevamento di un essere tutt'altro che umano, della sua vita malinconica, resa meno difficile fino ad un certo punto da due giovani leali, tristemente uccisi da un brutale gigante, fu capace di risvegliarmi da quello stato melodrammatico, di ricondurmi alla realtà.

Mi sentii al contempo amata profondamente, e mi accorsi di quanto io stessa tenessi ancora a lui. Come avevo potuto ferirlo ancora dopo tutto quello che gli era capitato?

Gli occhi di Levi guardavano ostinati i miei; le sue mani si accostarono lentamente alle mie, stringendole con dolcezza non appena sul suo volto apparve un tenero sorriso. Il viso di Levi finalmente divenne raggiante, ciò che più di rassicurante potesse esserci.

-Anche se tu… - mormorai, la mia voce, seppur rotta dal pianto, non era più disperata e triste, ma confortata e rianimata. –Anche se tu fossi l’essere brutale che dici di essere, io ti amerei comunque, come sto facendo adesso.

Vidi la sua bocca schiudersi. Il sorriso precedente scomparve per una manciata di secondi, lo vidi sorgere nuovamente mentre asciugavo il viso bagnato.

Levi trasse una delle sue mani, avvicinandola a sé; cercò sotto la sua maglia l’oggetto che teneva sempre al suo collo, sfilandosi il pendente. Pochi secondi dopo, la sua collana dalla pietra rossa giaceva sul mio petto. Il fuoco delle torce presto la illuminò, rendendo la pietra ancora più accesa e particolare.

-Ho una richiesta da farti – riprese. -Non ho idea di quanto possa cambiare la situazione, probabilmente non servirà concretamente a niente – lo vidi deglutire appena cercò di avvicinarsi a me. -Vorresti far parte della mia famiglia, Claire?

La melodia più dolce di sempre riecheggiò alle mie orecchie. Il mondo parve improvvisamente interrompere il suo corso; ancora una volta, sembrò che tutto fosse concentrato su di me. Su di lui.

I suoi occhi emanavano una luce particolare; i tratti del suo viso erano i più addolciti di sempre. Lo reputai bellissimo, come quando non molto tempo prima avevamo fatto l'amore senza che nessun pensiero ci tormentasse. Non era un caso, dunque, che in quelle circostanze ci fosse sempre lui, con me.

-Io... Dici sul serio? - balbettai. -Alla fine io non sono niente di...

-Non ti esaltare troppo, mocciosa – arrossì. - Non ti ho chiesto di sposarmi o cose simili – si imbronciò di nuovo, malgrado lo tradissero le gote rosse. -Sai già che non accadrà mai, ver...?

-Quanto ti amo, brutto bastardo! - scoppiai a ridere, al contempo piansi quando lo abbracciai. Lo strinsi forte, perché sapevo che non avevo bisogno d'altro se non lui in quell'istante. Sentire il suo profumo così da vicino, sentire lui su di me mi faceva stare bene. Non fui in grado di trattenere altre lacrime di gioia quando sentii avvinghiarmi dalle sue stesse braccia.

Gli scappò un piccolo ghigno. -Mocciosa che non sei altro... - commentò, carezzandomi la testa. -Promettimi che rimarrai ancora la stessa cretina di prima.

Chiusi gli occhi, incontrando nuovamente il sorriso di mio fratello, quello che sarebbe rimasto stampato nel mio cuore fino alla fine dei miei giorni. Quello che, come accadeva già quando ero bambina, mi avrebbe sempre spronato ad andare avanti in ogni occasione.

-Te lo prometto, Levi – conclusi, scostandomi un po'. I nostri visi furono ulteriormente vicini. Mi imbattei nelle sue iridi, blu e intense e, senza che potessi far altro, avvertii subito dopo le sue labbra incontrare le mie; fu lui a regalarmi un bacio tenerissimo, perfetto e speciale proprio perché suo.

Proprio allora, malgrado le disgrazie che avessero segnato la mia e la sua vita, reputai entrambi fortunati perché i nostri destini avevano deciso di intrecciarsi. Perché, nonostante le sofferenze e gli orrori che continuavamo ad affrontare ogni giorno, avevamo trovato entrambi, in una maniera o in un'altra, la forza di andare avanti.

-Oi, ehm... - una voce proruppe in prossimità della porta d'ingresso e ci costrinse a interrompere quel contatto che io quanto il corvino avevamo bramato da tanto.

-Merda, Quattr'occhi – sospirò Levi. -Non hai mai niente da fare, eh?

La Caposquadra arrossì. -No, ehm... - si grattò la testa. -Volevo essere certa che avessi trovato Claire! Sai, ero preoccupata...

-Quando imparerai a farti i cazzi tuoi, stupida Quattr'occhi?

Ridacchiai, un po' imbarazzata. -Perché la tratti sempre così male? - domandai, alzandomi.

-Ah, non farci caso, Claire – mi sorrise lei. -Ci sono abituata, ormai.

Un po' titubante, mi avvicinai a lei, ricurva, con le braccia in avanti, mi strinsi il polso. -Caposquadra, la prego di perdonare il mio atteggiamento indegno di ieri mattina. Ero visibilmente scossa, spero possa capire – mi scusai.

-Ma certo che posso, Claire – mi guardò compassionevole. -Anzi, ignora completamente l'accaduto. Non mi dispiace mica essere chiamata semplicemente Hanji. Non avremo lo stesso grado, ma a te non mancano mica tanti requisiti per poter diventare comandante di squadra, o mi sbaglio? - mi strizzò l'occhio.

Arrossii anche io. -Io non lo so! - esclamai. -Comunque, la ringrazio per essersi preoccupata incessantemente per me.

Il volto della veterana si fece serio per un istante, prima di ritornare ad essere raggiante quando la sua mano finì sul mio capo. -Al suo servizio, tenente Claire! - terminò, dichiarando poi di aver preferito lasciare soli me e Levi, che ribatté con l'ennesimo insulto alla donna.

Io e il corvino ci allontanammo mano nella mano. Egli mi fece promettere che sarei rimasta nella sua stanza per concedermi un bagno caldo prima di coricarmi accanto a lui in un letto decisamente più comodo di quello che mi attendeva nei dormitori, seppur reso più accogliente dalla presenza della mia amica sulla brandina sopraelevata. Non impiegai un secondo di più ad accettare quell'invito, impaziente di trascorre quanto più tempo potessi accanto a lui.

Percorsi la caserma con la consapevolezza che la speranza, la stessa che fino a quel momento mi aveva spronato a dare il massimo per raggiungere un obiettivo ben definito, la liberazione dell'umanità, non era morta, né mai lo sarebbe stato. Era appena stata nuovamente risvegliata. Dall'amore incondizionato che nutrivo per Levi, dalla assidua presenza del ricordo di mia madre, adesso anche di Lex, nel mio cuore. Nulla avrebbe potuto fermarmi.


 


 


 

Spazio Autore: rieccomi dopo un altro “piccolo” periodo di assenza. La scuola è iniziata, nonostante ciò cerco sempre di continuare a scrivere e di concludere questo racconto ad ogni costo. Devo dirlo, non sono particolarmente insoddisfatta di come sta proseguendo, e sono lieta di annunciare che molto probabilmente questo racconto avrà quello che potremmo definire un seguito. Nuovo narratore, nuovo arco temporale, nuovi personaggi... aria di novità in generale. Per il momento mi sono limitata a scrivere qualche idea per il prologo e del racconto che ho in mente in generale, ma spero vivamente di riuscire a concretizzare il mio nuovo progetto di scrittura.

Vi saluto con una magnifica immagine tratta dalla scorsa puntata della terza stagione di AOT... ALLERTA SPOILER per chi segue il manga e non ha ancora iniziato a vedere la terza serie (Lady_Snape, per una ragione o per un'altra ti penso sempre :) ).


 






                                 

Ho aspettato (im)pazientemente questo momento dall'inizio della nuova stagione. Concedetemi di fangirlare in pace... è la pura tenerezza e bellezza quando sorride, questo ragazzo ha già sofferto parecchio e il suo gesto di gratitudine nei confronti della sua squadra è stata una delle migliori trovate uscite dalla matita di Isayama. Solo io piango appena vedo il suo sorriso triste???


 


 

  
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