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Autore: Naco    02/11/2018    3 recensioni
Un giorno, su consiglio di Miki, Kaori decide di provare a non usare più il martello contro Ryo. Ma cosa accadrebbe se, proprio in quel momento, dal passato di Umibozu spuntasse una donna bellissima intenzionata a chiedere la protezione dei nostri amici sweeper?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Miki, Nuovo personaggio, Ryo Saeba, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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- Questa storia fa parte della serie 'After the finale'
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Il vero volto dell'amore
Ovvero
Regola n. 5: Ogni tanto prenditi una pausa

«Cosa?! Qualcuno ha cercato di rapire Shizuka e tu non eri lì? E dove accidenti ti trovavi?» tuonò Umibozu appena Ryo lo aggiornò su quello che era successo.
La giornata lavorativa di Shizuka era durata meno del previsto: visto l’attacco che aveva subito e i danni al sistema elettrico nello studio, lo staff aveva deciso di rimandare tutti a casa e proseguire le riprese il giorno dopo. Shizuka era ancora provata dall’avventura vissuta, così aveva detto ai due sweeper che era stanca e preferiva riposarsi, perciò l’avevano riportata a casa; Kaori, invece, aveva spiegato che sarebbe andata a trovare Miki al Cat’s Eye per aggiornarla sugli ultimi sviluppi.
«Mi sono dovuto allontanare per questioni urgenti» biascicò a mezza voce. Come diavolo aveva potuto fare una figura talmente cretina, soprattutto davanti a Shizuka? Se l’avesse scoperto qualcuno, di sicuro sarebbe stato preso in giro a vita, altro che le frecciatine perché odiava volare!
«Comunque, questo tizio è più incosciente di quanto avessi immaginato», ammise «non si è fatto problemi ad entrare in un palazzo controllato e pieno di persone. O è molto sicuro di sé o è un folle».
«O forse tutte e due».
«Sei sicuro di non avere idea di chi possa essere il colpevole? Non è che potrebbe essere stata la persona da cui l’hai salvata anni fa?» buttò lì Ryo, lanciandogli una lunga occhiata penetrante.
Ci fu un lungo attimo di silenzio prima che Umibozu avesse una qualsiasi reazione. «Te l’ha detto lei?»
«Diciamo che l’ho intuito quando mi ha raccontato la trama del film che sta girando. Scommetto che ha accettato quel ruolo nella speranza che tu ti accorgessi di lei».
Umibozu fissò un punto di fronte a sé assorto nei propri ricordi.
«Ho conosciuto Shizuka quando sono arrivato in Giappone» iniziò finalmente a raccontare dopo un po’, senza distogliere la propria attenzione dalla parete di fronte a lui. «Ero appena sceso dalla nave che mi aveva portato in questo Paese e stavo cercando di non farmi sorprendere dai controlli portuali, quando me la ritrovai accanto: aveva i capelli raccolti sotto un cappello e indossava abiti da uomo, ma mi accorsi subito che era una donna. Mi disse che stava scappando dagli uomini della yakuza che ce l’avevano con lei e mi chiese se poteva rimanere con me. Io non avevo nessuna voglia di farmi scoprire per colpa di una ragazzina che probabilmente era solo scappata di casa, perciò le dissi che se lo poteva scordare. A quel punto, si mise a piangere e mi disse che se non l’avessi aiutata, probabilmente quell’uomo l’avrebbe uccisa. La sua paura era così reale che capii subito che non stava scherzando, che davvero qualcuno – che fosse la mafia giapponese o meno - ce l’aveva con lei e così mi offrii di aiutarla e le dissi che sarebbe potuta restare con me finché il pericolo non fosse scampato».
«Davvero la yakuza l’aveva presa di mira?»
«No. O meglio, si trattava solo di una mezza calzetta che voleva assolutamente entrare nella yakuza e per questo aveva provato a convincere i vari capi mostrando il proprio valore taglieggiando alcuni commercianti. Uno di questi era il padre di Shizuka. L’uomo, però, non si era arreso ai suoi ricatti e lui voleva rapire la figlia per costringerlo a pagare».
«Certo che quel criminale ha avuto proprio una bella sfiga a trovare te sulla propria strada» commentò Ryo, incrociando le braccia dietro alla testa.
«Quello era un idiota: gli è bastata una pistola puntata in fronte per farsela nei pantaloni».
«Perciò non potrebbe essere davvero lui l’uomo che le dà di nuovo la caccia?»
«Quell’imbecille morì dopo poco: la mafia non aveva gradito il suo tentativo di cercare di entrare nei loro affari e se ne era liberata in fretta».
«Anche loro hanno un codice d’onore, in fondo» mormorò Ryo più a se stesso che all’amico. «E quindi, poi cos’è successo?» chiese poi dandogli una gomitata di apprezzamento: «lei ha voluto ringraziarti donandoti tutta se stessa e tu non hai resistito a una bella ragazza?»
Umibozu lo scaraventò contro il pavimento con una sola manata. «Non l’ho mai toccata con un dito, razza di deficiente! Aveva a mala pena diciotto anni!»
«Scusa, ma tu hai detto che avete avuto una storia!» si giustificò.
La grande testa pelata dell’uomo diventò di un bel rosso acceso. «Questo perché… mi disse che voleva ringraziarmi per il mio aiuto offrendomi una cena…»
«E…?» Le orecchie di Ryo erano adesso a pochi centimetri dal viso dell’altro.
«E io accettai. E poi…»
«Poi?» lo incalzò, ma Umibozu era ormai al limite, perciò spiaccicò Ryo contro il muro per sfogarsi.
«Poi mi baciò!» Adesso non era solo il suo cranio ad essere color cremisi.
«Tutto qui?» se ne uscì Ryo liberandosi in fretta «Mi avevi fatto credere chissà cosa!»
«Sei tu che sei un maiale e pensi subito ad altro!»
«Tsè! Un bacio non è avere una storia! Non significa nulla!» Ryo si aggiustò la giacca che si era spiegazzata «Perché non spieghi a Miki le cose come stanno e non fate pace?»
Falcon gli diede le spalle: «Perché io non sono come te, Ryo! Baciare una donna per me ha un significato importante. Quel giorno io accettai quel bacio e lo ricambiai perché lo volevo. Quella ragazzina mi piaceva: era così pulita, così normale, mentre io avevo appena lasciato i mercenari e una vita che lei non poteva neanche immaginare. Era così pura che, per un attimo, è stato bello sognare di poter far parte di quel mondo così diverso dal nostro. Quel bacio per me ha rappresentato molto più che una notte di passione. E tu dovresti capire molto bene cosa voglio dire, no?»
Stavolta Ryo non rispose.
«Per questo non posso raccontare a Miki cosa è successo allora: come posso dirle che ho cercato in un’altra donna quello che a lei avevo precluso educandola e facendola vivere con dei mercenari? ».
«Secondo me la stai di nuovo sottovalutando. Miki non è una sciocca, capirà sicuramente cosa hai provato in quel momento. Però, se non ti sbrighi a chiarirti, il muro che si è creato tra voi potrebbe diventare ancora più invalicabile e sarà sempre più difficile superarlo. Fidati».
Il tono di Ryo era così diverso dal solito che per un attimo Umibozu ne rimase sorpreso.
«Se poi vuoi che sia io ad occuparmi di lei…» aggiunse dopo poco, lasciando ben intendere cosa avrebbe fatto con Miki se Umibozu non si fosse messo in mezzo.
«Cosa vuoi fare a mia moglie tu?» tuonò l’omone e lo scaraventò di nuovo nella parete del soggiorno, solo un po’ più a fondo rispetto alla prima volta. «Pensa alla tua, di donna!»
«Non ci posso credere, state ancora litigando voi due?» domandò proprio in quel momento Miki appena entrata nella stanza.
Umibozu guardò dall’altra parte, ancora imbarazzato per quel mia moglie che gli era venuto fuori così spontaneo. «Sei già qui? E il negozio?» s’informò più burbero di quanto volesse.
«Kasumi si è liberata e mi ha dato il cambio, così sono passata dagli studi, ma mi è stato detto che c’era stato un incidente e che le riprese per oggi erano state interrotte» tagliò corto. Non le andava di dirgli che aveva preferito prendersi la mattinata per sé per poter ragionare meglio su quello che aveva ascoltato la sera precedente, ma che poi la preoccupazione e il bisogno di sapere che cosa stessero facendo erano stati troppo forti e aveva deciso di tornare indietro. «Che cosa è successo?».
«Ma come, non te l’ha detto Kaori?» chiese Ryo, sorpreso, ma Miki lo guardò come se fosse impazzito. «Eh? Non l’ho vista proprio oggi».
«Strano, aveva detto che sarebbe passata da te…»
«Ah sì? Forse ha cambiato idea o è andata a fare la spesa» inventò sul momento. Magari la ragazza aveva finalmente seguito il suo consiglio di mollare Saeba per qualche ora e pensare un po’ a se stessa: del resto, essendoci anche Falcon, Shizuka era più che al sicuro. «Perché? Sei preoccupato per lei?»
«Ma figuriamoci» minimizzò subito lui. «È solo che in questi giorni mi è parsa un po’ strana, e mi chiedevo se tu ne sapessi qualcosa».
Miki decise che per un attimo poteva non pensare ai propri problemi e divertirsi un po’ alle spalle dello sweeper: «Strana, dici? No, a me è parsa sempre la solita. In cosa ti sembra diversa?»
Ryo si passò una mano sotto al mento, pensieroso. «Beh, per esempio, ieri non ha fatto storie quando ho deciso di accettare il caso di Shizuka, anzi mi ha detto lei stessa di farlo, mentre di solito si arrabbia se lavoro con clienti donne. E poi è da un paio di giorni che non vedo in giro il suo martello».
«E non sei contento? Non pensavo che ti piacesse essere martellato!»
«Certo che non mi piace!» quasi urlò, stranamente nervoso. «Uffa, vado a farmi una dormita anche io!» decise e si avviò lungo le scale lasciando i due sposi da soli. Miki sogghignò soddisfatta.
«Sei davvero sicura di non sapere dov’è Kaori?» indagò invece Falcon.
«Certo. Perché?» Miki assunse l’espressione più angelica che potesse, ma lui non parve convinto.
«Qualsiasi cosa tu abbia in mente, lascia perdere: rischi solo di fare casini» le intimò infatti, andandosene anche lui.
«Aspetta Falcon! Dove stai andando? Non mi hai ancora detto cos’è successo agli studi cinematografici!» Non aveva intenzione di lasciarlo scappar via: dovevano ancora chiarire un sacco di cose, tra cui cos’era Shizuka per lui e cosa significava la conversazione che aveva sentito la sera precedente.
«Fattelo spiegare da Ryo. Io vado a controllare la zona» spiegò senza neanche voltarsi a guardarla.
La porta si chiuse dietro le sue spalle e Miki sospirò: dubitava che Kaori se la sarebbe presa se avesse preparato la cena; almeno avrebbe avuto qualcosa da fare anche lei.

**

Quando Kaori aveva detto agli altri che aveva intenzione di andare a trovare Miki non aveva mentito: i suoi piedi si erano davvero incamminati in quella direzione con la precisa intenzione di portarla al Cat’s Eye; tuttavia, invece di fermarsi davanti all’uscio del bar, avevano proseguito e l’avevano condotta al parco, dove l’avevano costretta a fermarsi e a sedersi su una panchina libera. La sua mente, invece, come in un film, continuava a tornare a quello che era successo poche ore prima e non riusciva a staccarsi da quel ricordo.
Shizuka aveva rischiato di essere rapita. Per colpa sua.
Come diavolo le era venuto in mente di dare a Ryo quel lassativo?
Si era comportata come una dilettante. Ancora una volta.
No, anche peggio, perché aveva lasciato che la gelosia guidasse le sue decisioni. Certo, in sua discolpa poteva dire che non avrebbe mai immaginato, neanche in un milione di anni, che quel pazzo avrebbe tentato di catturare Shizuka proprio negli studi, un luogo frequentato da centinaia di persone. Eppure, era avvenuto. E, se non fosse intervenuto Ryo, ci sarebbe riuscito. Il solo pensiero di cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in quel momento, se ci avesse messo anche solo un paio di minuti in più, le mozzò il respiro.
Kaori si chiese se fosse stata sempre una persona così incosciente. Da quando Ryo le aveva detto che l’amava, la sua gelosia, invece di placarsi, si era acuita. Questo perché, a conti fatti, tra di loro non era cambiato nulla. Perché? Perché non voleva impegnarsi davvero con lei? Se fosse stato così, non poteva certo biasimarlo: cosa poteva offrirgli lei? Cosa sapeva fare lei? Nulla, e quel giorno ne aveva avuto ampiamente prova.
Avrebbe dovuto spendere le proprie energie ad allenarsi con la pistola, e magari a prendere lezioni di arti marziali, per cercare di diventare una compagna adatta a lui – una persona su cui potesse fare affidamento, come Umi faceva con Miki, non un peso, incapace di badare a se stessa e metteva se stessa e gli altri nei guai – e invece lei stava perdendo tempo dietro a quelle sciocchezze.
Sapeva che Miki le aveva dato quei consigli perché era preoccupata per lei e sperava che in questo modo le cose tra lei e Ryo migliorassero, ma mai come in quel momento si rendeva conto di aver sbagliato tutto.
Era per questo che aveva deciso di andare al Cat’s Eye: voleva parlarle e dirle che, benché la ringraziasse dal profondo del cuore per il suo aiuto, non voleva più continuare con quella storia. Sarebbe ritornata ad essere la solita Kaori e si sarebbe impegnata con tutte le forze per essere degna dell’amore di Ryo in un modo diverso.
Un pallone da calcio si arrestò a pochi passi da lei e un bambino le chiese a gran voce di passarglielo, riscuotendola dai suoi pensieri. Come ci era finita al parco? Da quanto tempo era seduta su quella panchina? Non poteva dirlo con precisione, ma le parve di essere lì da tanto, tantissimo tempo.
«Sarà meglio che mi avvii. Devo ancora preparare la cena» si disse recuperando la palla e restituendola al suo proprietario; il bambino le sorrise felice e lei si sentì in pace con il mondo, almeno per un attimo.
Aveva ormai raggiunto l’uscita del parco, quando si accorse che c’era qualcosa che non andava. Qualcuno la stava seguendo. Da quando era iniziata? Kaori non poteva dirlo: era stata così preoccupata per il tentato rapimento di Shizuka e depressa per la propria sconsideratezza che aveva abbassato la guardia e non aveva quasi fatto caso al mondo intorno a lei.
Facendo finta di nulla, uscì dal parco; da lì, proseguì come se stesse semplicemente passeggiando. Si fermò con calma di fronte alla vetrina di un negozio di vestiti per ammirare uno degli abiti in vetrina e si guardò alle spalle attraverso il vetro: non si era sbagliata, qualcuno la stava pedinando. Chi poteva essere? Il rapitore? Si guardò intorno con circospezione: le strade erano gremite di gente e voleva assolutamente evitare che chiunque le fosse alle calcagna se la prendesse con qualche passante innocente.
Continuò a girare in tondo ancora un po’: l’ombra che le stava dietro non sembrava volersi arrendere, segno inequivocabile che ce l’avesse proprio con lei. Cosa poteva fare?
D’improvviso, con uno scatto veloce, tagliò per una stradina laterale e si nascose in una piccola rientranza. Come aveva preventivato, il suo inseguitore, preso alla sprovvista, abbandonò ogni reticenza e la seguì. Quando fu proprio davanti a lei, Kaori uscì allo scoperto puntandogli la pistola contro.
«Altolà! Dimmi chi sei e cosa vuoi!» gli intimò, ma l’uomo doveva aver immaginato un simile piano da parte della ragazza, perché si voltò di scatto nella sua direzione e rivolse qualcosa verso il suo volto. Non ebbe neanche il tempo di vedere la faccia dell’uomo e di rendersi conto di cosa avesse in mano, perché venne investita da una strana sostanza gassosa e, nel giro di pochi secondi, perse del tutto conoscenza.

**

Quando raggiunse il suo punto d’osservazione preferito su in terrazza, si rese conto che Shizuka l’aveva preceduto e se ne stava a fissare lo skyline della città, persa nei propri pensieri
Ryo sapeva che l’avrebbe trovata lì. Passando accanto alla sua stanza, non aveva sentito alcun rumore provenire dall’interno e, visto che non poteva essere uscita, l’unico luogo in cui avrebbe potuto rifugiarsi era quello.
«Dovresti rientrare, è pericoloso stare qui per te» le consigliò, posizionandosi accanto a lei, appoggiandosi alla balaustra.
Ryo adorava quel posto: guardare le luci della città, da quella posizione, lo rilassava come quando scendeva giù al poligono a sparare. Gli faceva capire che là fuori, per le strade di Shinjuku, non c’era solo odio e criminalità, ma anche un mondo brulicante di vita, deciso a non arrendersi e ad andare avanti nonostante tutto.
«Fa niente» ribatté lei triste, appoggiando le braccia sulla ringhiera e posandovi il mento sopra. «Tanto non interesserebbe a nessuno».
«Credi davvero che non gli importerebbe se ti accadesse qualcosa?» replicò, capendo benissimo di chi stesse parlando.
Shizuka non rispose e rimasero in silenzio ad osservare la vista mozzafiato che si poteva ammirare da lassù; dalla loro posizione privilegiata videro Falcon che era appena uscito dal palazzo, probabilmente per fare un giro e controllare se qualche altro cecchino non si fosse appostato lì intorno.
«Umibozu è un uomo serio, a dispetto del suo aspetto. Se in quel momento ti ha baciato, non l’ha fatto certo per prenderti in giro».
«Lo so. Per questo, quando poi è sparito, non volevo credere che mi avesse abbandonato in quel mondo. Ho temuto che l’avessero catturato e che gli fosse successo qualcosa. Ho continuato a cercarlo e ho assoldato alcuni detective privati perché lo trovassero, ma nessuno di loro mi ha mai portato sue notizie. Pensavo che fossero semplicemente degli incompetenti, invece ora capisco che è stato lui a convincerli a non dirmi nulla. È per questo che sono diventata attrice: magari, vedendomi sullo schermo, si sarebbe ricordato di quello che avevamo vissuto insieme e sarebbe tornato da me».
«Quindi è per questo che hai accettato quel ruolo?»
«Sì. Più o meno nello stesso periodo in cui me l’hanno proposto, sono passata davanti al Cat’s Eye per caso e l’ho visto con quella donna, ma pensavo che stesse semplicemente lavorando lì. La mia idea era presentarmi da lui dopo l’uscita del film e rivelargli che i miei sentimenti da allora erano rimasti immutati, che era stato il mio primo, grande e unico amore e che avevo girato quel film pensando a lui. E invece adesso scopro che quella donna è sua moglie e che è stato del tutto inutile».
«Amare non mai è inutile», ribatté lui «ti dà la forza per compiere azioni che non avresti mai pensato di poter fare. Come continuare a cercare un uomo che non voleva farsi trovare».
«Ma alla fine non è servito a nulla» controbatté lei, voltandosi nella sua direzione. «Perché ha sposato Miki-san? Cos’ha lei che io non ho? L’ha fatto perché vive nel vostro mondo e io no? Se l’avessi ritrovato prima di lei, forse…»
Ryo la guardò: aveva uno sguardo risoluto che gli piaceva. Poteva comprendere come mai Umibozu si fosse preso una cotta per lei.
«Queste domande devi farle a Falcon, non a me. Però», si girò completamente verso di lei e le posò una mano sulla spalla «ormai lui si è costruito una vita qui in Giappone, non è più il cane randagio che hai conosciuto tanti anni fa. Ed è giunto anche per te il momento di lasciarti alle spalle il passato e andare avanti. Sei una ragazza bella, intelligente e caparbia: troverai sicuramente qualcuno che ti ami e ti apprezzi. Anzi, magari questo qualcuno è più vicino di quello che pensi».
«Saeba-san…»
Gli occhi di lei tremarono un attimo mentre lo fissavano. Erano soli: Falcon era uscito, Kaori era via e non c’era rischio che Miki li disturbasse. Se avesse voluto, avrebbe potuto davvero provarci con lei e, forse, questa volta Shizuka non l’avrebbe rifiutato e si sarebbe lasciata andare. E lui avrebbe ottenuto il famigerato mokkori che tanto agognava.
No, si disse subito dopo averlo pensato, non lo avrebbe mai fatto.
Perché non era così che funzionava.
Dov’era Kaori? Perché non interveniva? Dov’era la sua ombra minacciosa che incombeva su di lui, pronta a scaraventargli un martello di svariate tonnellate sulla testa se solo si fosse avvicinato troppo alla cliente? Perché non gli aveva ancora urlato quanto fosse depravato e quanto facesse schifo a provarci con una donna innamorata del suo amico? Senza di lei, senza le sue reazioni esagerate, non c’era gusto.
Era già da un paio di giorni che si comportava in modo strano. La solita Kaori non l’avrebbe mai lasciato solo con una cliente, nonostante la presenza di Umibozu, né gli avrebbe mai permesso di accettare quel caso. Per non parlare delle martellate che gli avrebbe inflitto per averci provato con Shizuka. Perché non lo aveva fatto?
«Non pensavo che ti piacesse essere martellato!» lo aveva preso in giro MIki.
E invece sì, a quanto pareva. Quelle martellate gli mancavano da morire.
Evidentemente tutte quelle botte in testa dovevano avergli rovinato parecchi neuroni, se era arrivato ad una simile conclusione. Eppure, era davvero così. Desiderava che Kaori fosse lì, in agguato, pronta a colpirlo. Voleva prenderla in giro, commentare quanto i suoi fianchi e il suo seno non sarebbero mai stati al livello di quelli della loro cliente, anche se poi non era vero. Voleva vedere la sua aura assassina crescere sempre di più, fino a che avrebbe estratto il solito martello per spiaccicarlo contro il muro o nel pavimento.
Da quando era diventato così masochista?
Probabilmente, da quando si era convinto che trattarla male e stuzzicarla fosse l’unico modo per tenerla lontana dai suoi nemici e far credere a tutti, compresa alla diretta interessata, che non provasse niente per lei – anche se, a ben vedere, non gli aveva mai creduto nessuno; del resto, era ovvio che lui potesse scansare i suoi martelli senza un attimo di esitazione, ma che non lo facesse con cognizione di causa. Ci aveva messo poco a capire che quelle erano tutte scuse e che, semplicemente, era l’unico modo che conosceva per dimostrarle il suo affetto. Non era mai stato bravo a esprimere i propri sentimenti a parole, e quello era il modo più semplice che conosceva. “So che ti sto facendo del male, ed è giusto che tu possa sfogarti su di me” voleva dirle lasciandola fare. E a furia di vederla in questo modo, non solo si era abitato a quelle martellate, ma adesso le cercava come il pane. Perché ogni botta in testa era il simbolo del loro rapporto, di ciò che erano insieme e di ciò che provavano l’uno per l’altra. Anche adesso che si era dichiarato, in fondo, non aveva lasciato le cose così com’erano proprio perché gli piaceva quel modo tutto loro di volersi bene?
Avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto farglielo capire.
«Saeba-san?» provò di nuovo Shizuka, stavolta guardandolo con preoccupazione.
Accidenti, doveva stare veramente male se aveva perso la cognizione del tempo pensando a un’altra proprio mentre si trovava a pochi centimetri da una donna affascinante come Shizuka!
«Meglio rientrare: se Falcon scoprisse che ti ho permesso di salire fin qui, di sicuro si arrabbierebbe», le disse infine e la precedette all’interno.
Il telefono squillò quando era ancora a metà della rampa, ma lo sentì lo stesso. Non si preoccupò più di tanto: avrebbe risposto Miki per lui. Sicuramente, era Saeko con qualche informazione sul coltello che le aveva dato da analizzare. Non che pensasse davvero che avrebbero potuto ricavarci qualcosa di utile, quell’uomo era un vero professionista e dubitava che avesse lasciato degli indizi che permettessero alla polizia di risalire a lui, ma alla fine non si poteva mai dire.
«Che cosa?!» La paura che avvertì nella voce di Miki gli fece subito capire che c’era qualcosa che non andava. Un’ansia crescente si impadronì di lui e scese gli ultimi gradini quasi correndo.
Miki lo raggiunse a metà strada, il cordless in una mano e gli occhi sbarrati.
Non ebbe neanche bisogno di prendere la chiamata per capire chi fosse e cosa volesse dirgli.


Note dell’autrice
Ma come, è davvero tutto qui? Potrebbe chiedermi qualcuno dopo aver letto la storia di Falcon e Shizuka. Ebbene sì, è davvero tutto qui. A parte che non riesco ad immaginare Umibozu a letto neanche con Miki, figuriamoci con un’altra donna, non mi è mai passato per la testa di far accadere altro tra loro. Questo perché sono sempre stata del parere che, come partner, Umi sia esattamente come è con tutte le altre donne, se non anche peggio: attento, gentile, timido e rispettoso. Un romanticone d’altri tempi, insomma. Per quanto una donna possa piacergli, lui non si spingerebbe mai oltre se non dopo un’attenta, attentissima riflessione. E poi, io sono convinta che nel suo cuore ci sia sempre stata solo Miki. <3
   
 
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