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Autore: Naco    15/11/2018    2 recensioni
Un giorno, su consiglio di Miki, Kaori decide di provare a non usare più il martello contro Ryo. Ma cosa accadrebbe se, proprio in quel momento, dal passato di Umibozu spuntasse una donna bellissima intenzionata a chiedere la protezione dei nostri amici sweeper?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Miki, Nuovo personaggio, Ryo Saeba, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After the finale'
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L’amore non è bello se non è esplosivo
Ovvero
Regola n. 7: Scaricare lo stress è importante


«Voi restate qui» ordinò Falcon alle due ragazze sedute sul retro, preparandosi a scendere dalla jeep: Ryo era già a terra e guardava attentamente l’edificio, quasi che le pareti potessero parlargli e rivelargli i pericoli che nascondevano. Shizuka stava per replicare qualcosa, ma Miki fu più lesta e la bloccò. «Non ti preoccupare, penso io a lei».
Falcon annuì e si apprestò a raggiungere Ryo.
«Falcon?» lo chiamò ancora una volta Miki.
L’uomo si voltò impercettibilmente.
«Noi due non abbiamo ancora finito di parlare. Vedi di tornare presto», gli ordinò.
Falcon non la degnò neanche di una risposta, ma le rivolse un grugnito; Miki sorrise, recependo il messaggio.
«Dovresti parlare con Miki invece di venire a importunare me», lo prese in giro Ryo appena lo raggiunse.
«Tsè! Non lascerò che tu ti prenda tutta la gloria per aver fatto fuori quel bellimbusto! Kuroyuami è mio, ricordatelo!»
«Vuoi prenderti tutto il merito, così Shizuka sarà ancora più innamorata di te, confessa! Beh, meglio, così potrò avere Miki-chan tutta per me se ci lasci le penne!»
«Vorrei proprio vedere!»
Il loro battibeccare li portò proprio davanti all’entrata della struttura. Si guardarono intorno: a parte il suono delle onde non si udiva nessun rumore.
«Se entriamo, scatterà la trappola» constatò Umibozu.
«Se non entriamo, non metteremo mai fine a questa faccenda» replicò l’altro e mise una mano sulla maniglia.
La porta si aprì con un cigolio inquietante. Si ritrovarono in un ambiente grande e completamente spoglio - fatta eccezione per alcune casse buttate qua e là - da cui partivano diversi spazi più piccoli lungo le pareti: probabilmente, quella era stata una reception o la hall di un albergo, da cui era stato portato via tutto ed erano rimasti solo i muri perimetrali e qualche porta che penzolava sui cardini; in fondo, sulla destra e sulla sinistra, c’erano delle scale che portavano ai piani superiori. Di sicuro, Kaori era prigioniera lassù.
I due sweeper avanzarono con circospezione: chiunque li stesse attendendo, non aveva ancora dato segno della propria presenza.
«City Hunter e Falcon, è un onore per me ricevervi!» esclamò all’improvviso una voce dal nulla. I due si guardarono intorno, ma non riuscirono a comprendere da dove provenisse, perché l’eco era troppo forte e la voce rimbombava sulle pareti.
«Sappiamo chi sei, Kuroyami, quindi è inutile che ti nascondi. Dimmi subito dove si trova Kaori, sono stato chiaro?»
L’uomo, per nulla intimidito dal tono di Ryo, scoppiò a ridere. «Calma, calma, City Hunter. La tua amichetta è qui dentro, in uno dei vecchi uffici del piano superiore. Devo avvisarti, però, che è una costruzione piuttosto malandata e basterebbe davvero pochissimo per farla venire completamente giù. Ce la farai a trovarla prima?»
«Maledizione! Umibozu, io prendo la scala di destra, tu va’ a sinistra!»
«Tsè! Non ti permetto di decidere per me!»
I due uomini si guardarono un’ultima volta e iniziarono la loro corsa. Dopo qualche passo, però, Ryo sentì uno strano rumore sotto la propria scarpa e dall’alto qualcosa si staccò dal soffitto per piombare sopra la sua testa.


La prima esplosione raggiunse Kaori pochi minuti dopo che Anno, ignorando le sue parole, era uscito dalla stanza e l’aveva chiusa dentro. Lei aveva cercato di raggiungerlo prima che serrasse la porta alle proprie spalle, ma i suoi movimenti erano stati troppo lenti e non ce l’aveva fatta.
Guardò verso l’alto: il palazzo doveva essere molto malridotto, perché era bastato quel colpo a provocare la caduta di alcuni calcinacci. Cosa sarebbe successo se ce ne fossero state altre? Quasi di sicuro l’edificio sarebbe crollato e loro sarebbero morti sotto le macerie. Doveva cercare di uscire da lì e raggiungere Ryo prima che fosse troppo tardi per tutti loro. Ma come?
Come prima cosa doveva slegare le mani: quando l’avevano portata via dal loro rifugio, Kuroyami gliele aveva legate dietro le spalle e questo le rendeva i movimenti ancora più scomodi. Come aveva sospettato fin dall’inizio, non aveva più con sé il coltellino che portava per i casi d’emergenza. Anche la pistola ormai era andata e da quando aveva deciso di seguire la strategia di Miki non aveva neanche il martello con sé. Come accidenti poteva uscire da quella situazione?
Si guardò intorno sfiduciata: nella camera non era rimasto praticamente nulla che potesse esserle d’aiuto. Dalla finestra ormai senza vetri entravano solo l’aria fredda della notte e la flebile luce del porto in lontananza, unica fonte di illuminazione di quella stanza. Se il soffitto fosse crollato, avrebbe potuto provare a buttarsi da lì, però dubitava che sarebbe riuscita a uscirne viva integra. Ma era comunque l’unica via di uscita che aveva.
Il cuore iniziò a batterle all’impazzata. Forse aveva ancora un’alternativa. Si rimise in piedi e si avvicinò alla finestra: nonostante non vedesse quasi nulla, notò che, benché non ci fossero vetri che potesse adoperare per tagliare le corde, c’era ancora l’avvolgitore delle tapparelle, anch’esse ormai rotte. Avvicinò le mani legate all’oggetto e cominciò a sfregare. Non sapeva se la sua idea avrebbe funzionato, ma non aveva altra scelta. Un nuovo boato la fece sobbalzare e gettare un grido: a causa del movimento che aveva involontariamente effettuato si era tagliata e la ferita aveva iniziato a bruciarle. Strinse i denti e continuò quello che stava facendo: se si era fatta male, voleva dire che anche le corde alla fine avrebbero ceduto.
E finalmente, alla quinta esplosione, quando un nuovo calcinaccio più grande dei precedenti cadde proprio a pochi centimetri dai suoi piedi, avvertì che le sue mani erano libere dalle corde. Si tastò i polsi per recuperare l’uso degli arti addormentati a causa della posizione che avevano mantenuto per molto tempo e diede un’occhiata al taglio che si era procurata: non sembrava grave, anche se il sangue continuava a fuoriuscire. Ma non aveva importanza, in quel momento.
Corse verso la porta e strattonò con forza la maniglia, ma si accorse con suo sommo orrore che qualcosa la bloccava dall’esterno. Come avrebbe fatto ad uscire?
L’ennesima esplosione fece cadere una parte consistente del soffitto e con esso alcuni tubi che precipitarono al suolo con un tonfo. Kaori si strinse alla porta per non farsi colpire e cercò di non farsi prendere dal panico: se le esplosioni proseguivano, significava che Ryo era vivo, no? Doveva continuare anche lei a sperare e a lottare. Se solo avesse avuto il suo martello, avrebbe potuto buttare giù quella porta, e qualsiasi cosa la bloccasse, senza difficoltà.
"Un momento. Ma io il martello ce l’ho!” comprese alla fine.
I tubi che erano appena caduti dall’alto. Forse facevano parte delle tubature di qualche bagno, forse erano per il gas, non importava; ciò che contava è che erano lì ed erano di metallo.
Provò a prendere quello che le sembrò più adatto a quel compito e si rese conto che pesava più di quanto avesse pensato in un primo momento, e il taglio sul polso non le fu d’aiuto. Tuttavia, non si demoralizzò: del resto, era in grado di sollevare martelli molto più pesanti. Bastava solo trovare dentro di sé la rabbia necessaria per riuscirci. E lei, per fortuna, ce ne aveva tanta, verso una persona in particolare.
Perché, se non fosse stato per Ryo, non si sarebbero mai trovati in quella situazione. Se non fosse stato così fissato con il mokkori, se dopo il matrimonio di Miki e Falcon avesse iniziato a comportarsi più come una persona innamorata di lei e meno da depravato, Miki non avrebbe avuto bisogno di darle quei maledetti consigli che si erano rivelati più pericolosi di mille martelli. Era colpa sua se aveva quasi causato il rapimento di Shizuka, quella mattina. Era colpa sua se poi, sconvolta, se ne era andata a zonzo per la città ed era stata presa in ostaggio. Ed era quindi colpa sua se si trovavano in quel palazzo che rischiava di crollare da un momento all’altro.
«Maledetto cretino, è tutta colpa tua!» urlò contro la porta prendendo il tubo con ambedue le mani e colpendola con violenza. Si avvertì un tonfo fortissimo, però i cardini non cedettero di un millimetro.
Ma neanche lei aveva intenzione di tirarsi indietro. Ripensò a quante volte in quei giorni avrebbe voluto appendere il proprio socio fuori dalla finestra avvolto nel futon o spiaccicarlo al suolo con il martello e a quanto si era dovuta trattenere per seguire i consigli di Miki.
«Brutto deficiente!» urlò mollando un altro corpo. «Ma non potevo innamorarmi di una persona normale?» Ancora una volta, il metallo si abbatté sulla porta. «E invece no, proprio di un cretino fissato con il mokkori!» I cardini avevano finalmente iniziato a cedere, ma Kaori era troppo concentrata sul proprio sfogo e non se ne accorse nemmeno. «Come diavolo faceva mio fratello a lavorare con te, maledetto? Come faceva a considerarti una persona speciale?»
Ormai la porta era quasi completamente divelta e Kaori era ben intenzionata a proseguire nella propria opera di distruzione, così si preparò a lanciare un nuovo colpo.
«Kaori, sei lì?»
«Ryo?» Il sollievo che provò sentendo la voce dell’uomo dall’altra parte fu così forte che quasi scoppiò in lacrime. Era vivo ed era lì per lei. «Sì, sono qui!» rispose trattenendo un singhiozzo.
«Fatti indietro».
Grazie a un paio di colpi di pistola, i cardini collassarono definitivamente e Ryo la raggiunse affannato.
«Stai bene? Ho sentito…» ma le parole gli morirono in gola, quando notò cosa stringeva ancora in mano. Kaori lasciò andare la propria arma di fortuna e si toccò la testa, imbarazzata. «Beh, non avevo molto a disposizione, e così…»
«Se non altro sei riuscita ad attirare la mia attenzione: in questo posto ci sono un sacco di stanze e corridoi!» le sorrise; poi, notando il sangue che le colava lungo il braccio, la sua espressione si fece preoccupata.
«Che hai fatto al polso?» le domandò avvicinandosi per vedere cosa le fosse successo.
«Nulla», Kaori si allontanò cercando di nascondere la ferita. «un semplice graffio, non è niente».
Ma Ryo non volle sentire ragioni e con delicatezza, ma con fermezza, la prese per un braccio per controllare di persona.
«Sei sempre la solita» commentò, constatando con sollievo che non era un taglio molto profondo, ed estrasse dalla tasca un fazzoletto per legarlo stretto intorno alla parte lesa. Kaori lo lasciò fare, il cuore che le batteva a mille. Per un attimo, quasi dimenticò dove si trovavano e i pericoli che stavano correndo; tuttavia, l’eco di un colpo di pistola la riportò bruscamente alla realtà.
«Andiamo adesso, Umibozu sta ancora combattendo» le disse infatti Ryo.
«Aspetta! Dov’è Shizuka? Kuroyami non è da solo!»
«Lo so, ma sta’ tranquilla, è con Miki: se qualcuno vorrà farle del male, ci penserà lei a difenderla».
«No, le cose non stanno così!»
Ryo sgranò gli occhi. «Come?»
Un nuovo, fortissimo boato attirò nuovamente la loro attenzione. «Non ha importanza, ne parliamo dopo!» ordinò e la trascinò fuori di lì.


Il terzo piano era già pieno di macerie quando Falcon riuscì ad arrivarci.
«Accidenti a quel cretino, ma vuole far morire anche me?» commentò all’indirizzo del collega.
Si guardò intorno imbracciando il suo bazooka: l’edificio era composto da quattro piani, ma dubitava che l’uomo li avrebbe aspettati all’ultimo: le trappole che aveva posizionato lungo il percorso stavano lesionando la costruzione fin nelle fondamenta, perciò era logico che decidesse di appostarsi in un punto che gli permettesse un’agile via di fuga e al contempo di tenere in qualche modo sotto controllo i loro movimenti; dedusse quindi che potesse trovarsi proprio lì.
E aveva ragione.
Fece solo pochi passi quando avvertì una presenza nemica pochi metri più avanti.
«Esci fuori, Kuroyami. So che sei qui».
L’uomo scoppiò a ridere, ma fece quel che gli era stato chiesto. «Proprio quel che mi aspettavo dal grande Falcon. Gira voce che hai perso la vista, ma le tue capacità sono sempre eccellenti, per fortuna. Non ci sarebbe stato gusto a far fuori uno che non ci vede!»
«Staremo a vedere!»
«Davvero?» lo schermì e con un balzo si nascose alla vista dell’ex-mercenario. «Allora, prova a prendermi!» Umibozu non se lo fece ripetere due volte e si lanciò al suo inseguimento.
I corridoi sembravano tutti dannatamente uguali, tanto che, dopo un paio di giri a vuoto, perse la cognizione dello spazio; del suo avversario, poi, non c’era traccia, ma l’istinto gli diceva che era lì da qualche parte. Solo che aveva nascosto la propria presenza.
Si fermò un attimo in una delle stanze vuote a riordinare le idee: a differenza dei piani sottostanti non c’erano trappole, o almeno non ne aveva ancora trovate. Per quale motivo? Aveva paura di caderci dentro anche lui e per questo non le aveva piazzate? Oppure c’era dell’altro? Provò ad arrischiarsi lungo un altro corridoio, ma anche qui non c’era nessuno. Dove diavolo era finito? Era tutto troppo tranquillo.
Svoltò ancora un altro angolo e questa volta si ritrovò in un vicolo cieco.
Fu allora che comprese.
«Finalmente ci sei arrivato Falcon. Ma ormai è troppo tardi!»
Kuroyami sparò. La sua intenzione, però, non era quella di colpire Umibozu, ma un punto imprecisato alle sue spalle. Tuttavia, il suo orecchio ben allenato sentì qualcosa scattare appena il proiettile colpì l’oggetto che si trovava dietro di lui e capì subito che non avrebbe fatto in tempo ad evitare il colpo.
C’era solo un modo per cavarsela, ma non era certo che ce l’avrebbe fatta.
«Tsè! Col cavolo che lascio Miki vedova così presto!» si disse, prima di voltarsi verso l’esplosione imminente e far partire il colpo del bazooka.


Erano passati solo pochi minuti dacché Ryo e Falcon erano entrati nella costruzione e un boato assordante attirò immediatamente l’attenzione di Miki e Shizuka. L’attrice gettò un urlo e si precipitò fuori dall’abitacolo in preda al panico. «Saeba! Hayato-san!»
Miki la raggiunse al volo prima che la donna si precipitasse a rotta di collo nella struttura, mettendo in pericolo anche la propria vita.
«Sta’ ferma! Se entri lì sarai solo d’intralcio!»
Ma la ragazza non ne voleva sapere e si divincolava con violenza: «Lasciami andare, Miki-san! Non posso lasciare che succeda loro qualcosa per colpa mia!»
«Te l’ho già detto prima: sono professionisti, ce la faranno». Una nuova esplosione squarciò l’aria e l’onda d’urto fu così forte che i vetri delle poche finestre ancora integre andarono in mille pezzi. «Senti questi boati? Significa che stanno ancora combattendo. Abbi fiducia in loro!»
Shizuka finalmente smise di fare resistenza e si accasciò sulle ginocchia, in lacrime. «Non capisco. Come fai?»
Miki la guardò senza capire. «A cosa ti riferisci?»
«A stare qui, sapendo che l’uomo che ami è lì dentro e rischia la vita. Non hai paura che non torni più? Come fai a resistere?»
Miki chiuse gli occhi e strinse i pugni. Certo che aveva paura. Costantemente paura. Era talmente abituata a provare quel sentimento ogni giorno, dacché lo conosceva, che ormai non ci faceva quasi più caso. Per lei era una sensazione costante, che non l’abbandonava mai. E ogni volta che l’avvertiva era grata che fosse sempre lì, a farle compagnia. Perché, se un giorno non l’avesse più provata, avrebbe voluto dire che i suoi peggiori incubi si erano avverati e che Falcon non sarebbe più tornato da lei. E la paura di perderlo era nulla al confronto a quanto avrebbe sofferto se una simile eventualità si fosse verificata. Ma per quanto potesse far male, non le importava: nel momento in cui l’aveva cercato e gli aveva chiesto di rimanere al suo fianco, aveva messo in conto anche quello. E le andava bene così.
«No. Perché ho completa fiducia in Falcon e so che tornerà sempre da me» rispose sicura.
Shizuka si voltò verso di lei. Dove trovava tutta quella forza? Lei non ce l’avrebbero mai fatta.
Le due donne rimasero una accanto all’altra, mentre le esplosioni si susseguivano una dietro l’altra a ritmi serratissimi. Miki mise la mano destra sulla spalla di Shizuka, più per fare coraggio a se stessa che alla ragazza. Andava tutto bene, si disse. Saeba e Falcon avevano vissuto un sacco di quelle esperienze ed erano tornai sempre indietro sani e salvi, e quel giorno non avrebbe fatto eccezione.
Ad un certo punto l’aria intorno a loro cambiò e Miki si voltò di scatto; Shizuka la fissò, spaventata da quella reazione improvvisa. «Che succede?»
La donna non le rispose, mentre si guardava attorno con circospezione. Anche i suoi movimenti erano cambiati: era tesa, mentre si parava di fronte a lei ed estraeva la pistola per proteggerla. Shizuka non vedeva nulla ma avvertiva l’atmosfera farsi sempre più elettrica. Poi, mentre una nuova deflagrazione faceva cadere una parte della costruzione alle loro spalle, un’ombra si fece avanti e si parò di fronte a loro.



Note dell’autrice
Oddio. Penso che sia la prima volta che descrivo una sottospecie di scena d’azione, e mi auguro di non aver fatto troppo pena: nella mia testa era molto chiara e spero di averla resa comprensibile anche sulla carta. La parte che vede protagonista Kaori, invece, non l’avevo pianificata così, ma lei riesce sempre a cavarsela egregiamente. E io la adoro per questo! <3
   
 
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