He swore by grass, he swore by corn
(that his true love had never been born)
-SECONDO
CAPITOLO -
“Non abbiamo medicine qui,”
Proprio di questo, Dean avrebbe ancora un paio di dubbi.
Aggrotta le sopracciglia. Alle sue spalle, due vecchi redneck grassi quanto il gestore
di quel che credeva essere un autogrill, ridacchiano tra un bicchiere di
whiskey e una scala reale truccata in mano.
Schiocca la lingua, è il click che segna il passaggio da un Dean all’altro. “Ah, sì?” poggia i gomiti sul bancone, occhi fissi come una lince sulla preda. “Eppure avrei detto che uno come te di medicine ne prende tante.”
“Pensa che coincidenza,”incalza l’altro, un sorriso beffardo riaffiora sotto la barba nera, “avrei detto la stessa cosa di te, figliolo. Solo un pazzo arriverebbe fin quaggiù a chiedere a me delle medicine. Anzi, solo un pazzo arriverebbe fin quaggiù. Punto.”
Sarcastico, Dean si unisce al coro di risate che si leva
alla frase dell’uomo. Lo scruta con sufficienza, poi scuote la testa
“Divertente,” sorride ancora, “Sei proprio un bel tipo, Frank. Proprio un bel
volpone.”
Il nome lo ha sentito vociare a caso al suo ingresso; non è mai una cattiva
idea farne tesoro.
“Me lo dicono tutti.”
“Già, lo immagino...” continua, sorriso onnipresente sul volto “e immagino tu
sia pure molto bravo a cucinare, sento un certo odorino qui...”
Non che sia un esperto, ma sa riconoscere l’odore del
whiskey e del tabacco abbastanza da sapere che ciò che aleggia nell’aria non è solo whiskey e tabacco.
“Senti,” si morde il labbro inferiore, come stesse per rivelare un segreto
eccitante, “questo posto è in culo al mondo, quindi in caso saltasse in aria,
beh - salterebbe in aria solo il tuo di culo, il che sarebbe una grande cosa
per l’umanità, quindi non sarò io a farti smettere di giocare al piccolo
chimico, ma...se hai delle medicine, e intendo medicine vere, non le tue metanfetacose, allora sarebbe meglio per tutti se
tu me ne facessi avere un paio, giusto per gentilezza, non per altro...”
Se c’è una cosa che Dean ama intensamente del suo ‘lavoro’,
è osservare il mutare dei tratti facciali del suo interlocutore di fronte a uno
dei suoi distintivi farlocchi. Il trafficante di fronte a sé, ad esempio, è
appena impallidito al cospetto di un sedicente agente Robert Bonham dell’FBI,
ed il riuscire ad anticipare mentalmente le mosse che seguiranno dal modo
drammatico in cui quel pomo d’Adamo si abbassa, gli causa sempre un infimo,
ineguagliabile piacere.
Prima ancora che il ritornello di Stairways to Heaven possa risuonare nella sua
testa, Dean ha già tra le braccia qualcosa.
-
Quando ritorna in auto, Dean non ha altre parole se non
insulti e imprecazioni.
Non vuole neanche pensare a quanti gradi possa ribollire il cervello di suo
fratello, sa solo che sono
molti, forse troppi, perché quando il sua
palmo si piazza nuovamente sulla fronte di Sam, Dean ha come l’impressione che
la pelle possa staccarsi, fondersi sulla sua mano, e poi filare come formaggio
caldo.
Si dice che è certamente una esagerazione, una illusione tattile creata da
quella cosa che gli sta divorando lo stomaco e che distorce le sue percezioni,
ma la spiegazione razionale non gli provoca alcun sollievo, non lo aiuta a
sentirsi meglio. Sam sta male, e ad ogni suo respiro irregolare, sente la cosa piazzare un nuovo morso alle sue viscere,
triturandole con i suoi denti invisibili.
Guida per un paio di miglia, giusto il tempo di allontanarsi
da quella tana di lupi; si ferma ad una piazzola nascosta. Sulla mappa, uno
svincolo a destra a poca distanza sembrerebbe portare ad una contea mai sentita
prima nel giro di un paio d’ore. Gli basta dare un’occhiata a Sam però, per
capire che non ce le hanno ‘un paio
d’ore’
Con le guance in fiamme e il capo ciondolante all’indietro, Sam sembra adesso
chiuso in un incubo che lo tiene impegnato a bofonchiare qualcosa di sconnesso,
piccoli frammenti di parole sfilettate da denti serrati e labbra socchiuse,
echi di un universo lontano anni luce.
Dean lo cinge per le spalle, fa in modo che il suo corpo torni ad adagiarsi
contro il finestrino; lo sforzo è lo stesso del tentare di muovere un bisonte,
ma sembra una posizione più comoda, nonché una delle poche cose che sente di
poter ancora fare per lui.
I movimenti impostigli strappano al minore dei Winchester un gemito; non è difficile per Dean immaginare come
non ci sia un solo muscolo che non gli faccia male, in quel momento.
Ravviva l’acqua della bandana sulla fronte di Sam; il suo respiro cambia ritmo,
da affannoso si fanno più profondo, irregolare. Deve fare qualcosa.
La sua attenzione ricade sul grosso sacco nero gentilmente offerto dal tizio della ‘stazione di servizio’; al suo interno, un numero impressionante di
farmaci da banco.
“Dio benedica questi figli di puttana e i loro fottuti laboratori di
metanfetamine,” gongola tra sé con un sorriso compiaciuto, prima di cominciare
a rimestolare tra le varie confezioni, alla ricerca di qualcosa che faccia per
loro.
Fa scorrere tra le dita una ventina di confezioni di Advil Allergy Sinus, un’altra dozzina di Sudafed Congestion, ancora un paio di Respivent Plus.
L’entusiasmo non impiega molto a spegnersi, a tramutarsi in delusione man mano
che scarta via le scatole: quei farmaci sono tutti decongestionanti nasali.
“No, cazzo...” soffia tra i denti, sente il vile destino che ha sempre
contraddistinto i Winchesters tornare a picchettare sulla spalla e ricordargli
la sua presenza, quando d’improvviso, dal fondo del sacchetto, si palesa un
flacone: Benylin cold&flu.
Non è un antiemetico, ma il fatto che la scatola riporti ‘pain reliever & fever reducer’ è un
passo enorme.
Le battaglie vanno vinte una per volta, si dice.
“Sammy,” agita il flacone; non si interroga più di tanto sulla dose: quanto ne
servirà? Bah, quella che Sam riuscirà a tenere nello stomaco sarà sicuramente
sufficiente. Perché Sam sarà in grado di reggerla, ovvio! L’importante è
crederci e non farsi prendere dallo sconforto, si raccomanda, mentre la sua
mano nervosa sul petto di Sam, sta già cercando di riportare suo fratello sul
pianeta Terra.
“Hey, Sam!” rincara la pressione quando quella già usata sembra non produrre
l’effetto sperato.
Pessima idea, come al solito.
Il risveglio è più brusco e repentino della volta precedente: Sam trasale, sbarra gli occhi, solleva le braccia tremolanti in avanti.
“Hey, hey! Calmati! Sono io!” Una mano sulla spalla lo
trattiene al sedile, ma a Sam – che non sembra ancora essere tornato sulla sua
stessa galassia - quella mano, sembra non piacere.
La fissa mentre gonfia e sgonfia il petto in un crescendo che porterà verso
qualcosa di oscuro, qualcosa di brutto che Dean potrebbe anche prevedere, ma
semplicemente non vuole farlo – perché ha intenzione di batterlo sul tempo, ha
delle armi, adesso.
“Sono io...” ribadisce Dean, addolcisce il tono di voce e il tocco della mano
che si sposta sulla sua guancia; non cambia molto. Sam borbotta qualcosa che
Dean non si sforza di sentire, tenta, con un gesto flebile del braccio, di
farsi scudo da una violenza di cui solo lui è testimone, serra gli occhi.
“N—non ho fatto niente...”
“Oh, ti prego, non ricominciare...”
“Non ho fatto niente, Dean—perché papà ti ha detto quella cosa?“
Sam è sempre stato incline a questi ‘deliri
febbrili creativi’; Dean avrà riso a spese di suo fratello almeno un
centinaio di volte nel ricordargli di quell’indimenticabile vigilia di Natale
in cui, con quaranta e mezzo di febbre, si era convinto che loro padre fosse
Michael Jackson venuto nella loro stanza per fare la cacca. O di quella volta
in cui sosteneva che vi fosse un extraterrestre simile ad E.T, ma completamente
rosa, a levitare sulla sua testa – rivelazione che aveva spedito Bobby a
tracciare un pentacolo di sale grosso intorno al letto, e solo dopo, chiamare
una certa infermiera Nancy di Mason City che ‘gli doveva un favore’.
Sarebbe più o meno la stessa cosa anche adesso; dovrebbe
fargli un paio di fotografie con il cellulare, registrare la sua voce mentre
soffoca i singhiozzi, usare la combinazione delle due per farlo incazzare per i
prossimi vent’anni.
Perlomeno, sarebbe la stessa cosa, se solo Sam non avesse raggiunto nuovi livelli di delirio introducendo in
esso la sua ossessione più recente – quella che un tempo era solo sua, ma che
poi non ha saputo non cedere alla tentazione di condividere con Sam.
Quella per cui, da due giorni a questa parte, Dean non passa un solo istante in
cui non pensa che, se potesse tornare indietro nel tempo, preferirebbe mille
volte staccarsi la lingua a morsi piuttosto che vuotare il sacco con Sam (e Cristo solo sa se non lo farebbe! Cristo!)
Niente più vip con impellenti bisogni fisiologici da espletare, niente alieni
di dubbio gusto, niente Sammy sull’orlo dell’asfissia a causa di risa convulse.
Solo un silenzio malato la cui unica risposta di Dean, è allungare un braccio,
prendere tra le dita ciuffi zuppi di sudore di suo fratello e niente, non fare
assolutamente niente se non concedere al senso di colpa di divorarlo, sì – ma
solo per cinque secondi. Non uno di più.
A segnare il time-out, Sam; che risucchia rumorosamente dell’aria tra i denti,
la rilascia sotto forma di tanti piccoli tocchi di parole e lamenti, e sì –
Dean ha capito l’antifona; basta tergiversare. Decisamente.
“Va bene,” cambia nervosamente posizione, si sporge verso Sam. Un’ultima
occhiata al flacone che aveva quasi scordato avere tra le mani. Sì, può
farcela.
“Okay, Sammy. Devi bere questo-“ svita il tappo con i denti (dannati tappi a
misura di bambino), si sporge su Sam. Suo fratello non sembra apprezzare
particolarmente il modo in cui gli ha chiuso la mascella tra le dita, ma a Dean
piace ancora meno il modo in cui sta scottando, quindi niente – obiezione
respinta, avvocato.
“Apri la bocca–“ ma gli ingranaggi arroventati della testa
di Sam recepiscono l’esatto opposto. Quando sembra accorgersi che muovere il
collo a destra e poi a sinistra non serve a liberarsi dalla presa (e neanche
dall’aroma nauseabondo che si sta diffondendo nelle sue narici, gentile
concessione dello sciroppo per bambini all’aroma di frullato di fragole marce e vomito di gatto), lascia che siano le
sue mani tremanti ad intervenire.
“Dai, Sam,” paziente, Dean cerca di allontanare le dita riottose del fratello
dal flacone, lo avvicina ancor di più alle sue labbra, “Ne basta un sorso. Non
è peggiore delle schifezze salutistiche che ingurgiti ogni giorno!“ ride, tenta
di smorzare la tensione, anche perché, il modo fermo in cui ha preso a
trattenere il volto di Sam sembra innervosire quest’ultimo più di quanto non lo
fosse già, e no – sentire l’imboccatura della bottiglia premere e tentare di
forzargli le labbra serrate non sembra contribuire a fargli cambiare idea.
Affatto.
“Avanti, Sammy!” Dean non demorde; la frustrazione comincia a ribollirgli nelle
vene, certo (preferiva quando sparava frasi tristi e angoscianti, piuttosto che
questa forma di protesta passiva e insensata!) ma arrendersi? Proprio no! Ha
affrontato da solo chupacabra incazzati e wendigo affamati, potrebbe mai darla
vinta al cervello in tilt di Sam che, per qualche ragione incomprensibile, gli
suggerisce di rifiutare una fottuta medicina come avesse tre fottutissimi
anni!?
Sì. La risposta, è sì.
A confermarla, Sam - che con un suono gutturale carico di fastidio, si chiude in una smorfia e serra tutto: sopracciglia, occhi, labbra, denti. Tutto quanto. Chiude i battenti, Sam Winchester.
E lo fa con una presa che lascia poco spazio a qualsiasi speranza di risolvere la questione in modo decoroso.
Dean, a quel punto, sente di non avere altra scelta.
Auto-convincendosi che molto probabilmente, non appena il fottuto sciroppo avrà fatto il suo fottuto effetto (sempre che il fottuto stomaco di Sam riesca a tenerlo dentro di sé per almeno una ventina di minuti – chiaro) Sam non ricorderà nulla di questa vicenda, Dean fa ciò che qualunque fratello maggiore degno di questo nome farebbe, o almeno così si dice mentre biascica a Sam un funesto, “l’hai voluto tu, fratellino”, avvicina le dita al suo naso aguzzo, e con un pizzico, ne stringe le narici.
Sam, per ovvie ragioni, è chiaro che non ci stia. Sorprendendo Dean con una forza che quest’ultimo credeva avesse esaurito da tempo, il minore dei Winchester agita il collo, poi le spalle, poi direttamente il bacino; geme, gli si aggrappa alle braccia, l’assenza di aria è quanto di più orribile possa capitare ad una organismo aerobico, chiaro– ma è anche il momento in cui il cervello manda a fanculo qualsiasi delirio febbrile e imbocca, senza ulteriore indugio, l’uscita d’emergenza; che fortuna vuole coincidere con quella che Dean non vede l’ora di riempire con un medicamento nauseabondo (a cui comunque si è già assuefatto, per cui va bene così).
E non deve attendere molto: qualunque spirito di ribellione la mente annebbiata di Sam abbia voluto ostentare, viene meno nel giro di pochi secondi.
Con un lamento liberatorio, Sam cede al ricatto, schiude la bocca, torna ad immagazzinare ossigeno, e grazie a Dean, anche qualcos’altro.
Bloccata la mandibola con due dita pressate dolorosamente sulle guance, Dean tenta come può di versare il contenuto del flacone all’interno della bocca di Sam – o almeno parte di esso, dato che il gesto è così goffo e disperato da portare il medicinale a riversarsi un po’ ovunque, oltre appunto, dove dovrebbe.
“Ingoia.” Ordina con fermezza, e Sam non ha molte
alternative. La mano che Dean ha pressato sulla sua bocca non offre altra
scelta. Il trambusto sembra anche averlo momentaneamente destato dal suo
torpore mentale, perché Dean riconosce quello sguardo barrato che gli sta
lanciando. È Sammy. Quello ‘contattabile’, si dice Dean mentre accenna un
sorriso. Fosse arrivato un paio di minuti prima, probabilmente si sarebbe
evitato di dover dare una spiegazione sensata al perché lo stia costringendo ad
ingoiare qualcosa di disgustoso contro la sua volontà, ma beh, troppo tardi.
Dean solleva la mano quando sente il ‘glu’
che segna il successo della propria impresa; tira un respiro di sollievo. Via libera al senso di colpa.
“Ce l’hai fatta a mandarlo giù,” asciuga gli angoli della
bocca di Sam sbrodolanti come a volersi scusare.
“Dean-“ Sam non ha ancora ripreso voce; tossisce lo sciroppo andatogli di
traverso, prende aria a grandi boccate, non capisce. Si regge il naso
indolenzito (forse Dean ha stretto con un po’ troppa foga, sì-) Balbetta
qualcosa. L’adrenalina è dalla sua parte, ma vengono fuori frasi
incomprensibili e sconnesse.
“Mi dispiace, Sammy, ma cos’altro avrei potuto fare? Hai serrato quella bocca
come una vecchia zitella bigotta al primo appuntamento!” dissimula l’imbarazzo
con il sarcasmo, scruta la sua reazione. Non sarebbe dovuto andare così, ma è
solo una delle varie cose che non sarebbe dovuta andare così quel giorno, quindi,
tanto vale, farci il callo.
Sam tira un sospiro, cerca di riacquistare in fretta la calma (non che possa
permettersi altro, ma...) Il lasciare che lo ripulisca dai residui di sciroppo
scivolati lungo il collo, è un buon segno, lo ha perdonato, o per lo meno,
questa è l’interpretazione di comodo che Dean riesce a darsi.
“Con un pizzico di fortuna, presto la febbre scenderà e
starai meglio,”rassicura Dean, e vorrebbe tanto che anche Sam ci credesse, se solo
ancora una volta, la fottuta, bastarda realtà, non gli sottolineasse la
differenza tra fatti e utopia.
Sam non riesce ad aprire la portiera, questa volta. Il dannato sciroppo si
ripresenta alla velocità della luce, e finisce ovunque, davvero: ovunque. Tranne nel luogo in cui sarebbe
dovuto restare.
Se Dean non urla, è soltanto perché sa che anche Sam
vorrebbe farlo ma non può e non vuole avere questo privilegio.
Appallottolato su sè stesso e ricoperto di schifezza rosa, Sam - che ha ancora
una mano premuta sul volto nel tentativo di trattenerla, quella schifezza rosa - trema, annaspa, e non sembra avere neanche
la forza sufficiente di togliersi da solo da quella posizione alquanto scomoda
in cui è finito, spezzato dai conati.
Solo le mani di Dean sembrano riuscire a riportarlo ad una posizione meno
dolorosa.
Sam ha un aspetto orrendo, spettrale. I suoi occhi si muovono sotto palpebre
cineree mentre con labbra stirate, ingoia saliva dal sapore chimico.
Dean si guarda intorno. È come se fosse esplosa una bomba, o
meglio – come se la bomba l’avesse infilata dentro a una di quelle creature
mostruose a cui danno la caccia, e poi
fosse esplosa lì, proprio dentro Baby,
quasi fosse l’ultimo screzio di una entità
che vuol dimostrare di essere stronza sino alla fine.
Tira un respiro profondo: una cosa alla volta. Priorità su Sam, sempre e comunque.
“Hey,” poggia una mano sulla testa; il calore che trova tocca le stringhe
sbagliate dei suoi nervi, la sposta subito sulla giacca. “È tutto okay, va
tutto bene, Sammy,” va bene un corno,
Sammy, ma di certo non ha bisogno di sentirselo ripetere. Più utili quelle
mani sulle sue spalle che ne strofinano la schiena, prima di sfilargli via la
camicia di flanella, ormai troppo sporca per poter continuare a indossare.
Sam rabbrividisce; la sottile maglietta che gli è rimasta addosso non sembra
lontanamente capace di provvedere al calore che il suo corpo richiederebbe, ma
forse è meglio così, si dice Dean, rinunciando a recuperarne una nuova dal
borsone nel cofano. “Rimani un po’ così. Arrostirai un po’ più lentamente.”
Sam non ha modo di articolare il suo disappunto; la testa
scivola lenta contro il vetro del finestrino, tenta di riprendere fiato,
compostezza, e forse anche la voglia di vivere, pensa Dean.
Dean si rimette alla guida: non ha altra scelta; non commetterà due volte lo
stesso errore.
Con un po’ di fortuna, De Witt oltre che un motel, avrà anche un ospedale, o
una qualche fottuta farmacia che gli venda qualcosa in grado di impedire a suo
fratello di prosciugarsi completamente.
Prende a scorrere il rettilineo semi-asfaltato a una velocità nettamente superiore a quella indicata, non ci va leggero neanche sulle curve; ci mette un’ora e quattordici minuti esatti per raggiungere De Witt e più o meno quindici secondi per scoprire che il borgo sembra essere stato evacuato almeno una trentina di anni prima causa emissioni di una qualche sostanza tossica mai sentita prima di allora, almeno è quel che dice il cartello di pericolo arrugginito, posto all’ingresso della città.
Di tutte le maledizioni che vorrebbe innalzare al cielo, Dean riesce soltanto a tirare fuori un miserabile ‘merda!’, giusto perché quel calcio scagliato contro la pozzanghera ha bisogno di un sottofondo migliore che il semplice rumore della melma che schizza su se stessa.
fine secondo capitolo
- Betata al volo da Hari, grazie di cuore! <3
- Grazie infinite per aver letto in così tanti il primo capitolo. Siete
bellissimi, grazie di cuore <3 Colgo l’occasione per scusarmi per il ritardo
con cui ho risposto alle recensioni: sono finite le vacanze invernali, dunque
sono tornata al lavoro, e spesso non è facile riuscire a coniugare hobby e
impegni. :-( Cercherò di rispondere più in fretta in futuro! Promesso!
- Altri quattro capitoli di sofferenze per i cari fratellini Winchester in
arrivo! Ci vediamo tra un settimana per il terzo! Stay tuned! ;)
- Chi becca la citazione dei Goonies vince un premio ;)