Jaehaerys
Targaryen
"La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è
taciuta."
Tyrion
Avevano avvolto il
cadavere di
Verme Grigio nel lenzuolo più bello trovato sulla Soffio
Dorato, adagiandolo poi sul
suo letto. Alcuni Immacolati erano rimasti a vegliare su di lui e
Tyrion li
aveva visti piangere.
E tutto
per colpa mia.
Tyrion non trovava
pace. Se Verme
Grigio non avesse dovuto difenderlo da quell’attacco, non sarebbe mai
stato
colto impreparato. Tyrion si malediva per non essere in grado nemmeno
di
proteggere sé stesso. Seduto accanto al corpo dell’Immacolato caduto,
il nano
mandava giù un calice di vino dopo l’altro, senza neppure sentirne il
gusto.
Cercava disperatamente di annegare nell’incoscienza, ma il sonno era un
lusso
che non riusciva a permettersi: in qualche modo il suo corpo era deciso
a
castigarsi. Vomitò due volte prima che Varys arrivasse a portargli via
la
caraffa. Tyrion non si oppose, troppo stanco anche solo per muoversi.
“Non credo che
ubriacarsi sia la
soluzione giusta in questo momento” osservò Varys con la sua voce
calma.
Tyrion
alzò leggermente lo sguardo.
Varys sospirò e,
raccogliendo le
ampie vesti, si sedette sulla piccola poltrona che Tyrion aveva
rifiutato per
uno scomodo sgabello.
“Cosa ne sai tu?” lo
interruppe
subito Tyrion irritato “Tu non bevi mai vino, non puoi sapere cosa si
provi
quando si è ubriachi…”
“Forse non te lo
ricordi”
obbiettò Varys, “ma sei stato proprio tu a spiegarmi perché bevi così
tanto. Mi
dicesti che lo fai perché ti aiuta a dimenticare, a offuscare nella tua
mente i
ricordi che vorresti rimuovere e che invece ti perseguitano. Lo fai
perché vuoi
nascondere a te stesso i tuoi errori.”
Tyrion aggrottò le
sopracciglia.
“Quest’ultima cosa non l’ho mai detta.”
Varys rise.
“Non è stata colpa
tua, Tyrion”
disse Varys in tono serio ora.
“Sì invece!” esclamò
Tyrion
balzando in piedi “E’ morto per difendermi e questo perché sono solo un
nano
ubriaco che rischia di farsi ammazzare da uno scudo.”
Varys incarcò le
sopracciglia.
Tyrion alzò gli occhi
al cielo.
“Non è questo il punto…” mormorò sconfortato.
“Lo so” replicò Varys
in tono
comprensivo, “ma pensavo ti aiutasse a stare meglio: non ti devi
sentire in
colpa. Verme Grigio era un soldato e sapeva bene che questa poteva
essere la
fine della sua avventura, tutti noi lo sappiamo. Non gli rendi onore
vomitando
l’anima ai piedi del suo cadavere.”
Tyrion si sentì
ancora peggio e
dovette reprimere un altro conato. Varys si alzò in piedi a sua volta e
lo
sostenne. “Vieni” gli disse a bassa voce, “andiamo a parlare da
un’altra
parte…”
Tyrion si lasciò
guidare fuori dalla cabina e quasi non si rese conto
che Varys l’aveva condotto sul ponte. L’eunuco disse qualcosa riguardo
a una
salutare boccata d’aria, ma Tyrion non stava ascoltando. Lasciò correre
lo sguardo
sul mare.
Daenerys aveva già
ricevuto la
lettera? Come aveva reagito? Si sarebbe accontentata di piangere la
morte di
Verme Grigio o avrebbe preteso vendetta? In quel caso Tyrion già poteva
vedere
la sua testa staccarsi dal collo.
Daenerys
non agirebbe mai così. La verità era tuttavia che Tyrion
non poteva sapere cosa passasse nella mente della Madre dei Draghi. Abbiamo
preso Castel Granito, pensò, come
ci aveva ordinato, ma sarà soddisfatta?
Tyrion si accorse che
Varys lo stava fissando e capì che doveva avergli rivolto
una domanda.
Varys scosse la
testa. “Chiedevo
solo se preferivi il vino di Dorne o quello di Arbor, ma non credo sia
così
importante.” Tyrion imprecò sottovoce e tornò a guardare le onde.
“Chi comanderà adesso
gli
Immacolati?” La domanda di Varys lo raggiunse ovattata come provenisse
da un
punto lontano.
Tyrion inspirò
profondamente, tentando di riscuotersi.
Varys era scettico.
“Tu chi
proporresti?” chiese curioso.
Uno
qualsiasi di loro. Tyrion non rispose e fortunatamente Varys
non insistette.
Impiegarono altri due
giorni per
arrivare in vista del porto di Duskendale. Tyrion aveva visitato la
città almeno
due volte e sapeva che l’acqua era profonda abbastanza da permettere
alle navi
di rggiungere le banchine, dove venivano ormeggiate. Di solito i
guardiani del
porto riscuotevano un tributo ai capitani delle navi, ma questa volta
nessuno
si fece avanti. Tyrion non ne fu stupito: in fondo Daenerys doveva
essersi
ormai stabilita al castello.
“La città sembra essere sprodondata nel caos” osservò Varys con voce grave.
Tyrion lo guardò.
Furono scortati verso
il castello
ed ammessi alle stanze della regina. Tyrion non poté far a meno di
notare che i
rari passanti bisbigliavano fra loro e camminavano in fretta. Si
accomodarono
sulle sedie che furono loro indicate e attesero.
Presto la porta si
spalancò ed
entrano Daenerys e Missandei. La ragazza si arrestò di colpo quando
vide il
corpo di Verme Grigio avvolto nel suo sudario. Dovette trattenere i
singhiozzi
e coprirsi la bocca con la mano. Poi venne avanti e si inginocchiò
accanto al
cadavere, piangendo in silenzio.
“Forse è meglio se ti
lasciamo da
sola…” Era stata Daenerys a parlare. Tyrion osservò Missandei, che
annuiva
senza guardare nessuno.
Deve aver letto la mia lettera, deve
sapere... Aveva promesso a Verme Grigio e doveva
assicurarsi il messaggio fosse stato recapitato. Qualcosa
però lo
bloccava: Missandei era già abbastanza addolorata e Tyrion non volle
aggiungere
altra sofferenza.
Si alzò in piedi e
seguì Daenerys e Varys nelle stanza adiacenti.
Daenerys chiuse la porta alle sue spalle e si voltò verso di loro.
“E’ morto
gloriosamente in
battaglia, vostra grazia” rispose Varys prima che Tyrion avesse il
tempo di
aprire bocca, “il suo piano ci ha permesso di prendere Castel Granito.”
Daenerys annuì, le sopracciglia appena inarcate. Sembrava stanca e allo
stesso
tempo furiosa: Tyrion non riusciva a dedurlo con certezza.
“In quanti sono
morti?” si
informò ancora la regina e Varys disse qualche numero, che Tyrion era
certo
Daenerys avrebbe dimenticato il momento seguente.
Fece un passo avanti.
La regina annuì di
nuovo. “Bene” assentì,
“organizzeremo una breve cerimonia.” Sembrava frettolosa e la sua mente
appariva altrove.
A cosa
pensa?
“Vostra grazia” tentò
Tyrion,
“abbiamo saputo di ser Garth e i Dothraki: hai già un piano per
fermarli?”
Un lampo attraversò
gli occhi di
Daenerys e Tyrion quasi si ritrasse. “Certo” rispose lei, “dobbiamo
marciare su
Approdo del Re e colpire con tutte le nostre forze. Ho già inviato ser
Jorah a
negoziare con Rakandro: credo riuscirà a persuaderlo a far ritornare i
Dothraki
nel mio esercito.” Tyrion e Varys si scambiarono una rapida occhiata.
“Pensavo il piano
prevedesse
attendere i rinforzi di Yara e Gendry” obbiettò Tyrion incerto.
Le mani della
regina tremarono.
Tyrion era rimasto a
bocca
aperta. Cosa sono andati a fare lassù? Non
riusciva a capire, Yara era sempre stata una delle più fedeli
sostenitrici di
Daenerys e Gendry doveva la sua legittimizzazione alla regina. Che
motivo
avevano di voltarle le spalle in quel modo? Provò a dire qualcosa, ma
nuovamente Varys lo anticipò.
“Vostra grazia, se
posso
chiedere…”
“Lord Varys, la tua
presenza è
richiesta al porto” lo interruppe Daenerys, “Tyene Sand sta arrivando
con i
nuovi alleati e ho bisogno che tu accolga lady Stokeworth e il suo
seguito.
Posso contare su di te?” Varys sembrava sorpreso, poi chinò il capo e
uscì.
Tyrion si rivolse a Daenerys.
“Non dovrebbe essere
Theon
Greyjoy ad occuparsi di queste faccende?”
Daenerys sussultò.
Tyrion ebbe bisogno
di qualche
secondo per metabolizzare la notizia. E’
morto? Improvvisamente capì il motivo della confusione che si era
impossessata di Duskendale e del perché Yara avesse preso una decisione
tanto
drastica. Aveva la bocca asciutta.
“C-come è potuto
succedere?”
Daenerys lo guardò intensamente, ma non disse nulla. Tyrion capì che
doveva
insistere. “Cosa è successo qui?” Si accorse di un altro particolare.
“Dov’è
Jon?” Daenerys sembrò ridestarsi e Tyrion vide la rabbia impossessarsi
di lei.
“E’ un traditore!”
urlò la regina
“Ha cospirato con Gendry e Davos per portarmi via gli alleati e poi… E
poi è
fuggito…”
Tyrion, incredulo,
fece un passo indietro. Come?
“Con il mio drago…
Rhaegal.”
Stranamente Tyrion si
scoprì non
particolarmente scosso dalla rivelazione, era come se una parte di lui
sapesse
da sempre che sarebbe successo. Eppure non credeva Jon capace di azioni
tanto
vili come il furto del drago o la fuga. Deve essere accaduto qualcos’altro,
realizzò, qualcosa che possa
giustificare un comportamento del genere… Forse
c’entra la morte di Theon…
Tentò di calmare la
regina.
“Prendere il mio
drago?” lo
interruppe sprezzante Daenerys “stai forse dicendo l’ha rubato per
sbaglio?”
Tyrion si ricompose.
Daenerys rise e la
sua risata era quasi crudele.
Tyrion si congelò al
suo posto.
Daenerys continuava a
parlare
veloce senza dare cenno di voler smettere, ma Tyrion intanto
rifletteva. Se la
Barriera non c’è più, pensò rabbrividendo, e le leggende sono reali, gli
Estranei potranno attaccare Westeros. E’ per questo che te ne sei
andato, Jon?
Tuttavia Tyrion non riusciva a capire la necessità di una fuga.
“Vostra grazia, non
credi che
dovremmo fare qualcosa?”
Daenerys si voltò
verso di lui esterrefatta.
Tyrion si rese conto
di dover
procedere con estrema cautela.
Daenerys sbuffò. “Non
è mio
dovere fare niente!” esclamò stizzita
“E ha tradito, come potrei fidarmi di lui?”
“Un esercito di morti
minaccia il
tuo regno…”
“Il Nord non è il mio
regno, l’ha
detto anche lui… Se ci tiene così tanto alla sua indipendenza allora lo
difenderà da questa minaccia da solo.”
Tyrion quasi non
vedeva nulla della
Daenerys che aveva conosciuto nella donna spietata che si trovava
davanti.
“Questo sarà un
problema per un
altro momento” replicò Daenerys, “per ora la nostra attenzione deve
essere
rivolta ad Approdo del Re.”
Tyrion faticava a
credere che
Daenerys facesse sul serio. E’ cambiata
così tanto?
“Maestà” tentò
ancora, “ti prego,
ripensaci: non puoi abbandonare il Nord così…” Avevi
giurato l’avresti aiutato, ecco perché Jon è fuggito dopo il tuo
rifiuto.
Daenerys sembrava sul
punto di esplodere.
Tyrion non aveva
parole ed era una sensazione insolita per lui. Come fai a
sapere la scelta sbagliata sia la
sua?
Si sforzò di farla
ragionare.
La regina avanzò
lentamente.
“Magari insieme a
Gendry ha agito
così solo per evitare che il Nord cadesse” mormorò Tyrion, “perché loro
contavano
sul tuo aiuto, ma sapevano che il tuo esercito ci avrebbe messo troppo
tempo
per intervenire. Daenerys, ti supplico, ascoltami: la guerra contro
Cersei può
attendere, dobbiamo andare a Nord. Non farlo per Jon, né per me, né per
il tuo
drago, fallo per tutte quelle persone innocenti che non sono
responsabili delle
azioni del loro re. Fallo per il tuo sogno di pace, se questo significa
ancora
qualcosa per te. Fallo perché sei migliore di mia sorella e sei capace
di
mettere da parte l’odio ed il desiderio di vendetta.” Tyrion attese
qualche
momento, il silenzio che calava come una lama su di loro.
“Mi chiedo a quale
causa tu debba
davvero la tua fedeltà” disse infine Daenerys freddamente e Tyrion
realizzò con
orrore di aver perso. Sconfitto, chinò il capo.
“Appena l’esercito
che Tyene ha
raggruppato arriverà, partiremo per Approdo del Re” continuò Daenerys
impassibile, “ci riuniremo con i Dothraki, ser Jorah e Benjameen, poi
assedieremo la capitale fin quando non avrò la testa di Cersei su una
picca e
l’intero esercito Lannister ridotto in cenere da Drogon. Allora mi
siederò sul
Trono di Sade e deciderò come e quando intervenire contro gli Estranei.
E
quando tutto questo sarà finito, volerò a Nord e costringerò chiunque
sia
rimasto a governare a giurarmi fedeltà. Mi sono spiegata?”
Il tono di Daenerys
era aspro ed
intransigente, completamente privo di una qualunque forma di empatia.
Tyrion
annuì mesto, la mente ormai lontana.
Daenerys sorrise.
“Ed io ho preso la
mia.”
Lentamente, Tyrion si
sfilò la
spilla da Primo Cavaliere. L’aveva sempre portata con orgoglio, fiero
della
regina che aveva giurato di consigliare, ma ora era tutto diverso.
Daenerys
non era più la stessa, ma Tyrion sentiva di non essere cambiato e non
voleva
prendere parte alla sua follia.
Gettò la spilla ai
piedi di
Daenerys, che lo fissava incredula e ferita. Tyrion vide la delusione
nel suo
sguardo, ma ormai lei si era spinta troppo oltre per poter sperare di
ottenere
il suo appoggio.
La mia
regina non avrebbe abbandonato metà del regno al proprio
destino, avrebbe continuato a lottare.
Tyrion guardò
Daenerys negli
occhi un’ultima volta, poi si voltò e uscì senza premurarsi di chiudere
la
porta.
Sansa
Samwell Tarly era
esattamente
come Jon l’aveva sempre descritto. Sansa lo trovava cordiale ed
educato,
talvolta quasi timoroso di offendere qualcuno. “Chiamami Sam” disse per
prima
cosa e Sansa aveva annuito contenta.
Poi anche la ragazza
al fianco di
Sam si fece avanti e disse di chiamarsi Gilly, tendendo impacciata la
mano.
Sansa la squadrò per un secondo. Era giovanissima, forse perfino più
piccola di
lei, e sembrava vagamente a disagio. Sansa vide che Sam stava fissando
un punto
alle sue spalle.
“Brandon!” esclamò
“Non pensavo
fossi riuscito a sopravvivere oltre la Barriera…”
Sansa si voltò e vide
che erano
arrivati anche Bran e Meera. Mio fratello
conosce Sam? Notò che anche Meera stava sorridendo.
“E’ solo Bran” disse
lui, “sono
felice di rivedervi… Dov’è il bambino?” Sam e Gilly si guardarono.
“Lo abbiamo lasciato
a Delta
delle Acque” spiegò Sam, “dove sarà più al sicuro…” Gilly chinò il capo.
“Avete quindi
conosciuto mio zio,
lord Edmure?” si informò Sansa facendo un passo avanti.
“Sì, mia signora”
rispose Gilly, “e anche sua moglie e loro figlio.”
Sansa fu sorpresa
dallo
scoprire di avere un cugino, ma non fece domande.
Aprì la porta e
lasciò che gli
altri si accomodassero, poi prese posto sulla poltrona vicino al fuoco.
Meera
spinse la carrozzella di Bran fino alla finestra.
Sansa si schiarì la
voce.
“Non credo ce ne sarà
bisogno” la
interruppe a bassa voce Sam.
Così Sansa scoprì che
lei e
Podrick erano gli unici a non aver avuto il piacere di conoscere i
nuovi
ospiti. Bran e Meera erano stati condotti oltre la Barriera proprio da
Sam e
Gilly, Davos li aveva conosciuti al Castello Nero quando ancora era
fedele a
Stannis e Brienne aveva ricevuto il loro aiuto a Vecchia Città.
“Se è così allora”
disse Sansa
ridendo, “lui è Podrick Payne, lo scudiero di Brienne.” Podrick sorrise
imbarazzato e Sam gli strinse la mano.
“Molto piacere.”
Ci furono
momenti di silenzio, durante i quali nessuno sapeva bene cosa dire. Poi
Davos
si protese in avanti.
“L’ho pugnalato con
il Vetro di
Drago” rispose Sam, “ed è stato come se si stesse sgretolando davanti
ai miei
occhi.”
Sansa pensò sollevata
che
fortunatamente quasi tutta l’Ossidiana era stata affidata a Gendry e
Tormund
per la loro missione a Ultimo Focolare. Aveva anche consegnato loro
Ambra,
nella speranza che al ritorno sarebbe stata rinforzata dal Vetro di
Drago. I
suoi pensieri corsero inevitabilmente ad Arya, persa chissà dove, e
rabbrividì.
Si impose si rimanere composta. Non è il
momento.
Nessuno sembrava
avere la minima
idea di quanto gravoso fosse il compito che Jon le aveva lasciato.
Doveva
ascoltare ogni singola inutile lamentela dei lord, ogni richiesta
d’aiuto del
popolo e ogni pretesa dei soldati, per poi tentare come meglio poteva
di
gestire il tutto. Ora addirittura un nemico che Sansa non aveva mai
visto
bussava alla loro porta e il Nord si aspettava da lei che riuscisse a
fermarlo.
La pressione a cui
era sottoposta
le faceva perdere il sonno e la rendeva nervosa. Tutto quello che
desiderava
era che Jon tornasse finalmente a casa per poter scaricare sulle sue
spalle
tutte quelle responsabilità.
Non sono
adatta a governare. Eppure una parte di lei voleva
dimostrare di esserne capace, di poter uscire vincitrice da
quell’orrenda situazione.
Voleva che al suo ritorno Jon fosse fiero di lei.
“Questa è la mia
spada” stava
dicendo Sam mostrando qualcosa, “si chiama Veleno del Cuore ed è
acciaio di
Valyria.” Sansa si ridestò improvvisamente dai suoi pensieri.
“Dove pensi di andare
ora?” chiese
Brienne e Sam sospirò.
“La Barriera mi
aspetta…”
“La Barriera è
crollata” disse
Sansa con calma. Vide l’orrore esplodere negli occhi di Sam e il suo
labbro
tremare.
“C-come è potuto
accadere?”
chiese lui con un filo di voce.
“Il Re della Notte
l’ha distrutta”
rispose Bran inespressivo e Sam si voltò verso di lui.
“I miei
confratelli…?”
Bran
scosse la testa e Gilly si portò le mani alla bocca per soffocare un
gemito.
Sansa pensò dovesse essere terribile scoprire che tutte le persone che
conoscevi erano morte. Un po’ come è
successo a tutti gli abitanti di Grande Inverno quando è caduto nelle
mani di
Ramsay.
Sam stava
boccheggiando senza
fiato. “Jon… lui lo sa?”
Sansa lo guardò.
“Ma tornerà, non è
vero?”
insistette Sam.
Questo
speravo potessi dirmelo tu. “Sono sicura di sì” rispose
Sansa, “non appena l’avrà ricevuto.”
Sam annuì. “E gli
Estranei?”
chiese ancora “Avete un piano per fermarli?”
Sansa avrebbe voluto
urlargli che
no, non avevano idea di come anche solo affrontarli, ma rimase
immobile.
“Abbiamo inviato dei gruppi ad Ultimo Focolare” spiegò invece,
“tenteranno almeno di
rallentarli.”
Sam sgranò gli occhi.
“Che genere
di gruppi?”
Sansa però ne aveva
abbastanza delle sue domande.
Vorrei
poter credere anch’io alle mie parole.
Per un po’ regnò il
silenzio, poi
Sam si alzò in piedi. Sembrava piuttosto teso, come se si stesse
preparando ad
un annuncio speciale.
“Suppongo tu volessi
dire che
desideri parlare con me di questa
cosa” lo interruppe subito Bran e Sansa aggrottò le sopracciglia
confusa. Anche
Sam era spiazzato.
Bran inclinò la testa
sulla spalla.
Gilly gli afferrò un
braccio.
Sansa si fece avanti,
decisa ad
assecondare la strana decisione di suo fratello.
Gilly all’inzio
appariva
dubbiosa, ma poi acconsentì. Meera condusse via Bran e Sam verso lo
studio,
mentre gli altri si alzavano in piedi.
Sansa si rivolse a
loro.
Sansa si rivolse a
Brienne e
Podrick, che la fissavano in attesa. “Voi potete tornare ai vostri
allenamenti,
ho intenzione di raggiungervi tra poco…”
Brienne inarcò le
sopracciglia.
Sansa roteò gli
occhi. Almeno non mi chiama più mia signora.
Brienne la guardò a
lungo, poi
sorrise orgogliosa. “Allora sarò onorata da insegnrarti l’arte della
spada.”
E io di avere te come
insegnante, pensò Sansa con affetto. Brienne e Podrick
lasciarono presto la
stanza e lei si rivolse nuovamente a Gilly. “Seguimi” le disse
incoraggiante e
la condusse verso le camere da letto del primo piano. Gilly sembrava
affascinata da ogni cosa che vedeva e da ogni oggetto che sfiorava.
Sansa la
osserava di sottecchi.
“Vieni da oltre la
Barriera,
giusto?” Gilly annuì.
“Sei mai stata in un
palazzo?”
“Ho visto il Castello
Nero,
Collina del Corno e Delta delle Acque” raccontò Gilly, “ma nessuno era
grande
come questo.”
Sansa la guardò.
Gilly sbuffò. “La
Cittadella è preclusa alle
donne” le ricordò, “io vivevo in una casetta a Vecchia Città insieme al
mio
bambino.”
Si era intristita e
Sansa l’abbracciò per consolarla.
“Sam.”
Sansa ne fu stupita.
Gilly scosse
vivacemente la
testa. “Non è Samwell” disse semplicemente. Non accennava a voler
rivelare chi
fosse il vero padre del bambino e Sansa non lo chiese.
“Tu preghi gli
Antichi Déi, non è
così?”
Gilly la fissò
curiosa. “Dovrei?” chiese corrucciando la fronte.
“I
bruti di solito venerano gli Anrtichi Déi” spiegò Sansa, “come gli
uomini del
Nord.” Tranne me. “Se vuoi dopo ti
mostro il nostro Parco degli Déi, è un luogo davvero meraviglioso anche
se non
si prega. Ah, eccoci arrivate…” Sansa si fermò davanti la porta di una
stanza.
In quel momento
furono raggiunte
da Spettro, che veniva dalla direzione opposta. Il meta-lupo si faceva
vedere
molto più spesso nel castello ora che Nymeria e il suo branco di lupi
avevano
seguito Arya a Ultimo Focolare. Sansa era certa si sentisse un po’ solo.
“Spettro!” esclamò a
sorpresa Gilly
e il meta-lupo estrasse la lingua in segno di saluto.
Sansa si voltò verso
la ragazza.
Gilly rise. “Ha
salvato la vita a Sam una volta al Castello Nero” raccontò, “i suoi
confratelli
lo stavano picchiando perché tentava di proteggermi.”
Sansa si chiese a
quali
orrori Gilly era dovuta sopravvivere. Eppure
non perde il sorriso, notò
meravigliata.
Gilly vagò per la
stanza
accarezzando le coperte del letto e facendo correre le dita sul legno
levigato
del tavolo. Sembrava una bambina affascinata da qualunque cosa. Sansa
dovette
ammettere che assomigliava molto alla ragazzina ingenua che un tempo
era lei,
solo che Gilly non era così stupida.
Poi la porta si aprì
ed entrò
Meera. Spostò lo sguardo da Spettro, a Gilly, fino a Sansa, per poi
rivolgersi
a quest’ultima.
Sansa la fissò
incredula. Ora mi vogliono coinvolgere? Gilly non
disse nulla e Sansa si rivolse direttamente a Meera.
Procedette spedita
lungo i
corridoi, evitando tutti coloro che tentavano di parlarle. Raggiunse in
breve
lo studio, entrò e chiuse la porta. Bran e Sam la stavano fissando e
Sansa si
sedette a disagio sotto i loro sguardi.
Bran le sorrise.
Sansa guardò Sam in
cerca di risposte e lui si limitò a
scrollare le spalle.
“Di cosa mi devi
parlare?” chiese
Sansa tenendo a bada il tremito della voce.
Bran sospirò.
“E sai che cosa
significa?”
“Che puoi avere delle
visioni
riguardo al passato” rispose lentamente Sansa considerando assurda
quella
situazione.
“Proprio così”
assentì Bran, “e
mentre ero oltre la Barriera ho avuto delle visioni molto particolari:
ho
scoperto delle cose riguardo a Jon.” Sansa, colta alla sprovvista, non
seppe
cosa replicare.
Bran chinò il capo.
Sansa si accorse di
avere la
bocca spalancata solo quando si ritrovò a doverla richiudere. Da
bambina si era
sempre chiesta chi fosse la donna che aveva fatto soffrire sua madre e
che
aveva disonorato suo padre ed aveva elaborato teorie più o meno
complesse. Alla
fine si era arresa, limitandosi ad ignorare per quanto possibile il suo
fratello bastardo.
In quel momento,
però, poté solo
pensare alla gioia che avrebbe provato Jon non appena Bran l’avrebbe
rivelato. Forse è ancora viva, forse potrà incontrarla
come ha sempre desiderato.
“Allora?” chiese
impaziente.
“Sei sicura di
volerlo sapere?”
chiese Bran “Potrebbe essere un po’ destabilizzante…”
Sansa alzò gli occhi
al
cielo. “Bran” disse con un sorriso, “ormai nulla mi sorprende più di
quanto io
lo sia già.”
“E’ Lyanna Stark.”
Come?!
Sansa ammutolì. Bran
doveva
essere impazzito se accusava loro padre di incesto. Rabbrividì
disgustata al
solo pensiero. Ned aveva amato Lyanna con tutta l’anima, ma come un
fratello
ama una sorella, non oltre. Cosa sta
dicendo, in nome degli déi?
“Bran, io non credo
che…”
“Va tutto bene” la
interruppe
Bran, “so che è difficile da capire…”
Sansa scosse la
testa. “Non c’è niente da
capire” ribatté con voce acuta, “non
è semplicemente possibile che nostro padre abbia…”
“Nostro padre non era
il padre di
Jon” replicò Bran con calma, “lui è figlio di Rhaegar Targaryen.”
Sansa sentì il
bisogno impellente
di ridere. Jon non è mio fratello. Tutto
ciò non aveva senso.
“Rhaegar e Lyanna si
amavano”
stava proseguendo Bran, “e sono fuggiti insieme. Non c’è niente di vero
nelle
storie orribili che si raccontano qui a Nord riguardo a Rhaegar, era un
brava
persona.” Sansa continuava a scuotere la testa.
“Sansa…”
“No!” esclamò lei con
voce rotta
“Non puoi semplicemente dirmi una cosa del genere ed aspettarti che ti
creda.
E’ tutto così, così…” Sansa non sapeva come continuare.
“Lo so, è pazzesco”
ammise Bran,
“ma è la verità.”
Sansa sollevò il
mento. “E allora come mai abbiamo passato la
nostra vita credendo che Jon fosse il nostro fratello bastardo?” chiese
quasi
in tono di sfida.
“Ned promise a Lyanna
che lo
avrebbe protetto” spiegò Bran. “Jon non sarebbe mai stato al sicuro
finché
Robert fosse rimasto ossessionato dall’idea di uccidere i Targaryen.”
“Jon non è un
Targaryen.” Sansa
aveva parlato senza riflettere.
“Ho visto Rhaegar e
Lyanna
sposarsi davanti agli alberi-diga” disse Bran inarcando le
sopracciglia, “e Sam
ha trovato questo documento alla Cittadella firmato dagli sposi e dai
testimoni. Il matrimonio è valido.”
Sansa prese con mani
tremanti il
pezzo di carta che Bran le porgeva e lo lesse lentamente. Quando
sollevò
nuovamente lo sguardo, la sua mente era svuotata.
Bran alzò
le spalle. “E’ molto probabile il suo vero nome non sia nemmeno Jon”
osservò,
“ho sentito Lyanna sussurrare qualcosa all’orecchio di nostro padre, ma
ero
troppo lontano per capire.”
“Se tutto questo è
vero” mormorò
Sansa fissando Bran negli occhi, “Jon potrebbe rivendicare il Trono di
Spade e
la sua pretesa sarebbe più forte di quella di Daenerys…” E’
sua zia!
Bran annuì. “Cosa
pensi dobbiamo
fare?”
Sansa prese un
respiro profondo. Jon è nostro cugino.
“Solo io, tu, Sam,
Gilly e Meera”
rispose Bran, “e credo anche Howland Reed: era alla Torre della Gioia
insieme a
nostro padre.”
Sansa annuì e,
alzatasi, si avviò verso la porta.
“Certamente, non
preoccuparti”
assicurò Bran e Sansa uscì. Sarebbe dovuta andare nel cortile ad
allenarsi con
Brienne, ma all’improvviso non ne aveva più voglia.
Le parole di Bran
continuavano a
tormentarla e Sansa non sapeva più a cosa credere. Provava pena per
Jon, al
quale avrebbero dovuto spiegare una verità che certamente aveva sempre
immaginato diversa, e faceva ancora fatica ad accettare quella nuova
realtà.
Tuttavia, nonostante
l’incredulità e il timore per cosa quel documento avrebbe potuto
scatenare,
non poté reprimere un senso di strana pace, che la invadeva, rilassando
i suoi
muscoli. Jon non è mio fratello,
continuava a ripetersi, è mio cugino.
Cosa
cambiava ciò? Tutto.
Ritornò nella sua
stanza e trovò
Spettro ad aspettarla ai piedi del letto. Senza pensarci, Sansa gli
gettò le
braccia al collo, come anni prima amava fare con Lady, e seppellì il
viso nelle
sue pellicce.
“Jon tornerà presto”
mormorò e
Spettro emise un basso gorgoglio, “lo sento, vedrai come sarà felice di
rivederci. Abbiamo tante cose da dirgli: voglio che quando sarà il
momento tu
sia al mio fianco.”
Spettro non replicò
in alcun
modo, ma Sansa si sentì confortata dal suo silenzio. Lentamente si alzò
e si
buttò supina sul letto, restando per qualche minuto immobile a fissare
il
soffitto. Le implicazioni della rivelazione di Bran si impossessarono
di lei ed
il suo cuore prese a battere all’impazzata. D’un tratto Sansa sentiva
il suo
corpo in fiamme, senza però comprenderne appieno il motivo.
Jon non è
mio fratello.
Jaime
Almeno Cersei gli
aveva permesso
di portarsi dietro Lamento di Vedova, o Dominatrice, o qualunque altro
nome di
merda fosse stato assegnato a quella spada.
La prima volta che
Jaime la prese
in mano si accorse che era molto più corta di Giuramento e decisamente
più
leggera. Ricordava suo padre che la donava a Joffrey il giorno prima
delle
nozze e come lui non avesse avuto il tempo di usarla.
Jaime rise ripensando
a come suo
figlio avesse fatto a pezzi il libro dono di Tyrion. Adesso quella
spada
sarebbe finalmente andata in battaglia ed avrebbe fatto scorrere sangue
e non
svolazzare pagine strappate.
Cersei era stata
molto fredda al
momento dei saluti, nonostante tutti i tentativi di Jaime di farla
sorridere.
L’aveva aspettato alle porte della città, con Qyburn e la Montagna al
suo
fianco ed un’espressione impassibile.
“Immagino stavolta ti
impegnerai
di più” aveva detto gelida, “per ottenere risultati migliori di quelli
dell’ultima volta.” Jaime si era limitato ad annuire, sapendo che
qualsiasi
parola avrebbe solo peggiorato la situazione.
“Ti sarà affidato
l’intero nostro
esercito” aveva proseguito Cersei, “terrò ad Approdo del Re solamente
gli
uomini di pattuglia e le Cappe Dorate. Non mi deludere, Jaime.”
“Non lo farò” aveva
replicato
Jaime con un peso sul cuore. Cersei non aveva aggiunto altro ed era
rientrata.
La Montagna l’aveva seguita, mentre Qyburn si era attardato giusto il
tempo
necessario per lanciare a Jaime uno sguardo carico di significato.
A Jaime Qyburn non
piaceva. Gli
doveva molto probabilmente la vita per come era riuscito a trattare la
ferita
della mano mozzata, ma non approvava il suo atteggiamento. Lo
sorprendeva
sempre accanto a sua sorella, intento ad offrirle i suoi subdoli
consigli, e
gli sembrava di rivedere Rossart che bisbigliava all’orecchio del Re
Folle.
Jaime scosse la testa
per
scacciare quei pensieri. Non è il
momento.
Ormai da qualche
giorno si
trovava all’accapamento eretto presso le Rapide Nere, vicino Tumbleton,
proprio
ai margini del Bosco del Re. Le tende erano molto numerose e i loro
colori
sgargianti attiravano l’attenzione dei passanti, ma le apparenze
ingannavano.
Visto da lontano
quello poteva
sembrare l’accampamento di un grande esercito, tuttavia la realtà era
ben diversa.
Passeggiando fra le tende, Jaime si era imbattuto in ragazzini
terrorizzati e
in anziani tremolanti e non riusciva ancora a credere quelli sarebbero
stati
gli uomini che avrebbe dovuto guidare in battaglia.
Bronn gli mancava
terribilmente e
sopportare la sua assenza era molto più arduo del previsto. Jaime era
stato
solito lamentarsi del carattere irrispettoso e poco ortodosso del
mercenario,
ma col tempo era diventato un amico fedele, che l’aveva anche aiutato
in
situazione di necessità. Ora che era morto, Jaime si sentiva solo e
circondato
da nemici.
L’esercito
dell’Altopiano non si
vedeva e le vedette che si spingevano fino sui monti, riferivano che la
Strada
delle Rose era sgombra. Jaime era sempre più interdetto: cosa aveva in
mente
Garth Hightower?
Ricordava lo sguardo
di odio
profondo che quel ragazzo gli aveva lanciato sotto le mura di Alto
Giardino e
sapeva che era in cerca di vendetta. Quando
capirà che io non c’entro con la morte di sua sorella?!
Almeno avrebbero
dovuto
fronteggiare solamente l’esercito Tyrell dato che Garth era abbastanza
stupido
da non attendere i rinforzi di Daenerys. Jaime sapeva che in fondo non
poteva
lamentarsi: avevano tutte le carte in regola per vincere e per tornare
indietro
in tempo per la difesa di Approdo del Re.
Il quarto giorno di
vana attesa
per un nemico che non si presentava, una sentinella chiese udienza
urgente a
Jaime.
“Mio signore, stanno
arrivando! L’esercito nemico è stato avvistato a sud…”
Jaime era perplesso.
Si era
aspettato Garth scegliesse di portare i suoi uomini fra i monti delle
sorgenti
del Mander, e invece attaccava da sud.
“Dove si trova
esattamente?”
chiese Jaime nervoso.
“Sulla Strada delle
Rose, mio signore, vicino al Bosco del Re.”
Jaime annuì.
“E l’altra metà, mio
signore?”
Jaime sospirò.
“Resterà vicino
all’accampamento, in modo da poter ritirarsi verso Approdo del Re in
caso di
bisogno.”
Quello era l’unico
modo per
tentare di contenere le perdite: in fondo l’esercito di Garth non
poteva essere
troppo numeroso. Jaime inoltre aveva bisogno di uomini addestrati e non
di
ragazzi reclutati solo poche settimane prima.
Chiuse i ganci
dell’armatura sulle
spalle e sistemò i gambali. Il metallo era rigido e rendeva goffi i
movimenti,
ma già molte volte aveva fatto la differenza fra vita e morte in
battaglia.
Jaime respirò profondamente ed uscì dalla tenda.
Ignorando la
confusione che lo
circondava, ordinò che gli si fosse portato il suo cavallo. Saltò in
sella e
tentò di farsi sentire sopra il frastuono.
Dovettero proseguire
verso sud
molto più del previsto e si ritrovarono a superare la Strada delle
Rose, con
gli alberi non troppo rassicuranti del bosco sulla sinistra. Alla fine
finalmente arrivarono in vista dell’esercito Tyrell.
Jaime quasi tirò un
sospiro di
sollievo scorgendo i loro esigui numeri. Fin troppo esigui, fu costretto ad
ammettere colto dal dubbio. Tuttavia non ebbe tempo per ragionare
oltre, perché
un destriero si era separato dal gruppo e veniva verso di loro al
trotto.
Jaime strizzò gli
occhi e
riconobbe Garth Hightower, splendido nella sua armatura grigia, che
faceva
avanzare il suo cavallo guardando dritto davanti a sé. Le trompe
dell’Altopiano
suonarono all’unisono.
“Vogliono
patteggiare!” esclamò
ser Lymond Vikary che cavalcava al fianco di Jaime “Hanno bandiera
bianca…”
Jaime si morse il
labbro. Tutto questo è
così strano.
Garth si era fermato
poco più in
là e sembrava attenderlo. Jaime lo raggiunse in pochi secondi e
sostenne il suo
sguardo accusatore.
“Sterminatore di Re”
lo salutò
sprezzante Garth e Jaime neanche sussultò. Ormai era così abituato.
“Non pensavo ti avrei
mai
rivisto” osservò e Garth fece una smorfia. “Neanch’io” replicò, “se
solo
Nymeria non fosse stata tanto vigliacca ora saresti sotto terra a fare
da cibo
per i vermi.”
Jaime ritenne inutile
sottolineare come in realtà fosse stato lui a mostrare pietà nei
confronti di
Nymeria Sand e non viceversa.
“Saresti dovuto
morire ad Alto
Giardino” continuò Garth, “ma forse è un bene tu sia ancora vivo: ora
potrò
essere io ad ucciderti.”
Jaime quasi provava
pena per lui. In molti ci hanno provato, ragazzo.
“Arrabbiato?! Hai
ucciso mia
sorella, mio fratello e la madre del mio signore! Tu hai…”
“Frena la lingua” lo
interruppe
Jaime tagliente, “io non ho nulla a che fare con le morti di Baelor ed
Olenna.
In quanto a tua sorella, te lo ripeterò ancora una volta: si è tolta la
vita…”
“Non parlare di
Alerie come se la
conoscessi” sputò fuori Garth, “tutti loro sono morti a causa dei
Lannister.”
Jaime alzò gli occhi
al cielo.
“Avete scelto di unirvi a Daenerys Targaryen” osservò, “e ne avete
pagato le
conseguenze.”
Garth rise.
“E allora perché
avresti tradito
la tua regina dopo una così grande vittoria?”
Garth divenne rosso
di rabbia.
“Io non l’ho tradita!”
“Ma sei comunque qui
contro i suoi
ordini” fece notare tranquillo Jaime.
Garth parve rimanere per un secondo senza parole. Poi sbuffò. “Le mie decisioni non ti riguardano.”
Jaime dovette
trattenere un sorrisetto.
Lo sguardo di stupore
di Garth
era la risposta che Jaime cercava. Stupido
ragazzino, pensò, attaccare i
Lannister senza nemmeno avere le spalle protette…
“Come vedi la
situazione non si
mette bene per te” continuò Jaime, “quindi ti chiedo, perché lanciarsi
in una
battaglia suicida? Fa’ voltare il tuo esercito e torna a Vecchia Città
e ti
prometto il perdono reale per le azioni compiute contro la regina.” Prima però Cersei ti farà tagliare le palle.
Garth ovviamente
scosse il capo. “Noi
illuminiamo la via” disse citando il motto della sua casata, “e non
possiamo
tornare indietro, non finché il nostro compito non sarà concluso.”
Estremamente
poetico ed enormemente sciocco.
Jaime sollevò le
sopracciglia.
“Se è questo che vuoi, allora sarà guerra.”
Garth sorrise, poi si
portò le
dita alla bocca e fischiò. Subito i lancieri alle sue spalle si misero
in
posizione e la cavalleria, seppur mal equipaggiata, serrò i ranghi.
“Stavolta non sarai
così fortunato”
sibilò Garth. “ADESSO!”
Imrpovvisamente
l’attacco
cominciò e Jaime vide i cavalli nemici caricare. Notò che molti,
proprio come
avvenuto ad Alto Giardino, correvano verso destra, tentando di
circondare
l’esercito Lannister.
Non sarà
così facile.
Jaime fece voltare il
cavallo e
tornò in fretta dai suoi soldati. Diede ordine di sfondare le linee
Tyrell per
spingere gli uomini nemici verso le Rapide Nere.
“A quel punto saranno
in
trappola” spiegò Jaime in fretta, “e i nostri uomini rimasti
all’accampamento
potranno colpirli alle spalle.”
Jaime tuttavia non
aveva
calcolato che fra il suo esercito e le Rapide Nere correva la Strada
delle
Rose, che presto fu invasa con facilità da soldati nemici che
bloccarono il
passaggio.
Jaime imprecò quando
vide che
molti suoi uomini si trovavano ormai a nord della strada, completamente
allo
sbando. Garth Hightower inviò contro di loro la fanteria e li disperse.
“Rimanete uniti!”
gridò Jaime ai
soldati ancora intorno a lui “I cavalli davanti, tutti gli altri verso
gli
alberi!”
Così iniziarono ad
indietreggiare, mentre la cavalleria teneva a bada i nemici che
tentavano di
avvicinarsi. Jaime sentiva Garth urlare comandi incomprensibili a causa
della
considerevole distanza che li separava e vide i soldati avversari
continuare la
loro manovra di accerchiamento.
Non basterà, pensò Jaime
convinto, appena saremo arrivati al
Bosco del Re sarà facile disperderci e
coglierli di sorpresa.
Il Bosco del Re
poteva essere
insidioso e potenzialmente pericoloso, ma Jaime lo conosceva molto
bene. Ci
aveva accompagnato Robert durante le sue battute di caccia così tante
volte da
perdere il conto. Ricordava che Cersei si era sempre rifiutata di
venire e che
lui, quando aveva potuto, era rimasto con lei.
Jaime strizzò gli
occhi pensando
a cosa avevano fatto in quei giorni
fortunati. Tentò di concentrarsi sul sentiero che il suo cavallo aveva
imboccato.
L’animale corse sotto
un albero
nodoso dai rami storti e Jaime fu costretto ad abbassare la testa per
non
esserne colpito. I suoi uomini erano quasi tutti entrati nel bosco, ma
i
soldati Tyrell sembravano esitare, continuando a spingere i loro
cavalli nella
prateria. Jaime si chiese perché non li seguivano nel bosco.
La risposta arrivò
fin troppo
presto, quando dal folto degli alberi sbucarono degli urlanti cavalieri
dell’Altopiano.
Il cavallo di Jaime
si imbizzarrì
e lui dovette serrare le redini per evitare di cadere. Ecco
dove erano finiti.
Jaime strinse le
labbra e lanciò
il cavallo al galoppo, pregando che non inciampasse in qualche radice.
Vide i
fanti cadere falciati dai cavalli in fuga ed udì le loro urla
terrorizzate. Per
un momento credette di ritrovarsi nel Bosco dei Sussurri, quando il suo
esercito era stato colto di sorpresa da quello di Robb Stark.
Stavolta era un altro
ragazzo a
sfidarlo e tutto ciò che Jaime conaervava di quei tempi lontani era il
leone d’oro
sulla placca toracica della sua armatura. Tutto era cambiato.
Vide un soldato
lanciarsi con una
lancia contro di lui e si affrettò a brandire la spada, più pesante che
mai
nella sua mano sinistra. Ferì l’uomo al petto e lo lasciò stramazzare
al suolo.
Il cavallo si ritrasse nitrendo e le briglie scivolarono via dalla mano
d’oro
di Jaime.
Merda.
Tentò in un disperato
tentativo
di afferrarle sporgendosi oltre il fianco dell’animale, ma non bilanciò
bene il
peso e cadde a terra. Il cavallo continuò la sua corsa nel bosco e
Jaime si
rimise in piedi a fatica. Intorno a lui regnava la confusione e fu per
miracolo
che non si ritrovò calpestato dagli zoccoli degli animali.
Barcollò,
nascondendosi come
meglio poteva dietro felci e tronchi, e cercò di allontanarsi da quel
disastro.
Sapeva che non era un mossa onorevole, che un vero comandante rimaneva
con il
proprio esercito, ma a Jaime non interessava. Il mio onore non vale un cazzo
per nessuno, pensò stringendo i denti. E'
inutile che muoia per convincere qualcuno
del contrario.
Improvvisamente una
figura si
scaraventò su di lui facendogli perdere ancora una volta l’equilibrio.
Jaime si
tirò in piedi e vide Garth Hightower che lo fissava con occhi di brace.
Tra le
mani stringeva una stupenda spada bianca, dall’elsa spendente
d’argento. Jaime
la riconobbe subito: era Vigilanza, la spada di acciaio di Valyria che
da
generazioni accompagnava la nobile casata Hightower.
Per tutta risposta
Jaime sfoderò
Lamento di Vedova. Garth scosse ironico la testa e si lanciò
all’attacco.
Jaime intercettò il
colpo poco
sopra la testa e, con un rumore orrendamente stridente, fece scivolare
via la
lama avversaria. Garth si piegò in avanti a casua del contraccolpo e
Jaime ne
approfittò per tentare un affondo.
Le spade continuarono
a collidere
senza che uno dei due contendenti riuscisse a ferire l’altro. Garth era
animato
da una furia che lo accecava, rendendo i suoi movimenti confusi e poco
precisi.
Jaime dal canto suo riuscì a mantenere il controllo necessario per non
affaticare inutilmente il braccio sinistro.
Provò qualche finta,
sempre
evitando di colpire troppo duramente per risparmiare energie. Un tempo
Bronn
gli aveva detto che quella era la tattica migliore quando si era
costretti a
combattere con la mano debole.
Dopo qualche minuto
Garth stava
già ansimando, ma non demordeva. Vigilanza calò ancora una volta e il
suo
possessore lanciò un teatrale urlo di guerra. Jaime bloccò ancora una
volta il
colpo, ma non fu abbastanza rapido da notare il coltello che trovò la
strada
fra le placche dell’armatura che proteggeva le gambe.
Sentì una fitta di
dolore e si
affrettò ad estrarsi l’arma dalla carne prima che il sangue iniziasse a
sgorgare. Garth aveva fatto un passo indietro e sorrideva. Jaime
resistette
alla tentazione di lasciarsi cadere in ginocchio e rimase in attesa,
con la
mano d’oro che tentava di bloccare l’emorraggia.
Lentamente Garth gli
si avvicinò,
sollevando Vigilanza sopra la testa.
“Questo è per Alerie”
mormorò
prima che la lama calasse.
Tutto accadde così in
fretta che
nemmeno Jaime in seguito seppe ricordare esattamente cosa fosse
successo, ma in
qualche modo Lamento di Vedova riuscì a trapassare il petto di Garth
senza
trovare resistenza.
Jaime spinse la lama
più a fondo,
mentre Vigilanza cadeva a terra.
“Non ho ucciso tua
sorella” disse
con calma quando il corpo di Garth Hightower si irriggidì.
Estrasse Lamento di
Vedova con un
sospiro e si premurò di raccogliere anche Vigilanza. Osservò esitante
il
cadavere di Garth, prima di decidere di nasconderlo in un cespuglio per
evitarne lo scempio.
Jaime dovette
soffocare un urlo
di dolore quando posò il peso sulla gamba ferita. Devo
andarmene da qui.
Con le due spade
legate alla
cintura, si incamminò verso la direzione che sperava portasse al mare e
fortunatamente non si imbatté in altri nemici. Presto altri suoi uomini
si
unirono a lui e raggiunsero una radura sulla cima della collina.
Jaime sorrise
sollevato quando
vide a est il mare: costeggiandolo sarebbero potuti tornare
all’accampamento
senza farsi intercettare.
Poi uno dei soldati
che era con
lui urlò e indicò terrorizzato qualcosa oltre il Bosco del Re e la
Strada
delle Rose, qualcosa verso le Rapide Nere e le colline.
Nonostante la
notevole distanza,
da quell’altezza Jaime riuscì a distinguere quello che gli parve un
esercito
discendere dai monti intorno Tumbleton. Vide con orrore quei cavalieri
dirigersi verso l’esatto punto dove erano state piantate le tende e
dove metà
dell’esercito Lannister era in attesa del loro ritorno.
Poi scorse in
lontananza una terrificante
ombra nera e la seguì ipnotizzato con lo sguardo mentre planava
sull’accampamento.
E fu fuoco ovunque.
Jon
Della caduta Jon non
conservava
alcun ricordo. Si era risvegliato in quel letto sconosciuto, dentro
quel
castello sconosciuto e osservato da occhi sconosciuti. Fugata
l’iniziale
confusione, il suo primo pensiero era corso a Rhaegal.
Avevano percorso non
si sa quante
miglia verso nord prima che la bufera li colpisse. Jon non aveva idea
di quale
zona stessero sorvolando e, anche volendo, non avrebbe saputo come
ordinare al
drago di atterrare. I venti si erano alzati e Rhaegal aveva iniziato a
sbandare
pericolosamente.
Jon aveva tentato di
urlare
qualcosa per farsi sentire sopra il frastuono, ma presto si era
ritrovato
costretto a concentrare tutte le sue energie nel tentativo di non farsi
spazzare via. Quando a causa del freddo intenso il ghiaccio aveva
cominciato a
formarsi sulle ali di Rhaegal e il suo volo si era fatto sempre più
incerto,
Jon aveva saputo che era finita.
Erano precipitati dal
cielo, con
il drago che tentava disperatamente di frenare come meglio poteva la
caduta e
Jon che cercava di scorgere qualcosa nella coltre di nebbia che
sembrava
avvolgere quei luoghi.
Quando Rhaegal aveva
colpito il
suolo, Jon aveva perso la presa sulle sue scaglie, cadendo chissà dove.
Da quel
momento in poi non ricordava nulla.
Ora guardava con
apprensione e
timore la donna che sedeva accanto al suo letto. Aveva i capelli scuri
trattenuti da una fascia e il suo volto era affilato e austero.
Tuttavia, non
appena lo vide aprire gli occhi, la donna sorrise e si alzò in piedi.
“Howland, vieni
vedere: si è
svegliato…” Si era girata verso la porta e presto sulla soglia comparve
un
uomo.
Jon si tirò a sedere,
scrutandolo. Doveva avere l’età che suo padre avrebbe avuto se fosse
vissuto e
l’aria di chi ha visto la guerra negli occhi. I suoi capelli erano
castani e
gli sfioravano il collo, mentre gli occhi, oscurati da folte
sopracciglia,
erano color nocciola. Il suo viso aveva lineamenti squadrati, addolciti
solo in
parte dalla corta barba rossiccia. Sulla sua cappa Jon notò la spilla
dell’alligatore e improvvisamente capì.
“Io sono Howland
Reed” si
presentò l’uomo, “e lei è mia moglie, Jyana.” La donna chinò appena il
capo.
“Non ci aspettavamo il tuo arrivo e non di certo in quel modo, vostra
grazia.”
Jon dovette reprimere
lo stupore.
“Sai chi sono?”
Howland Reed sorrise.
“La tua
spada parla per te.” Accennò a Lungo Artiglio, appoggiata al muro sotto
la
piccola finestra.
Jon annuì, poi si
ricordò di Rhaegal.
“Sta bene” lo
interruppe Howland,
“non è rimasto ferito dalla caduta e da allora è rimasto fermo sulla
riva del
fiume. Credo ti stia aspettando.” Il suo tono era calmo, come non fosse
affatto
sopreso dal fatto che il Re del Nord fosse precipitato davanti casa sua
a bordo
di un fottuto drago.
Jon si guardò
intorno. “Siamo a
Torre delle Acque Grigie?”
Howland annuì.
“Potrai rimanere finché
vorrai” disse cortese. “Io e Jyana siamo onorati di averti come nostro
ospite,
vostra grazia.”
Jon scosse la testa.
Daenerys
è morta.
Lady Jyana gli porse
una ciotola
di terracotta contenente uno strano intruglio. “Bevilo” lo incitò, “ti
aiuterà
a recuperare le forze.”
Jon chiuse gli occhi
e mandò giù
la brodaglia senza riprendere fiato. Poi posò la ciotola sul comodino e
tentò
di ricomporsi.
“Grazie.”
Jyana gli sorrise e
il
marito la strinse a sé.
“Forse è meglio che
ti lasciamo
da solo” disse Howland. “Se vorrai fare un giro della Torre potrai
trovarmi in
salotto.” Poi aprì la porta ed uscì insieme alla moglie, non prima di
aver
rivolto al loro ospite un ultimo sorriso.
Rimasto solo, Jon si
lasciò
cadere nuovamente sul letto. Le gambe gli tremavano e la testa gli
doleva
terribilmente. Tentò di riordinare le idee.
Si trovava
nell’Incollatura, nel
Nord, ma Grande Inverno era ancora lontana e sarebbe stata difficile da
raggiungere con quelle tempeste. Jon si prese la testa fra le mani. Non posso
rimanere qui, pensò con angoscia. A quest’ora l’esercito dei morti potrebbe
aver già superato Ultimo Focolare. Rabbrividì al solo pensiero.
Se solo
Daenerys non avesse agito in quel modo…
Per impedire a vani
ricordi di
assalirlo, Jon si allacciò gli stivali e lasciò la stanza. Se resto ancora un
minuto da solo impazzisco, pensò procedendo a passo spedito.
I corridoi della
Torre erano
umidi e silenziosi. Jon rimase sorpreso dall’assenza di servitori, per
poi
ricordarsi che gli Uomini delle Paludi si diceva non amassero la
compagnia. Ormai non si sa più se
credere o meno alle leggende, pensò con amarezza.
Finalmente trovò il
salotto di
cui parlava Howland. Il lord di Torre delle Acque Grigie era in piedi
davanti
alla finestra aperta, mentre Jyana leggeva accanto al fuoco. Quando lo
sentirono entrare, entrambi sollevarono lo sguardo.
Howland gli fece
cenno di
avvicinarsi e gli indicò qualcosa fuori. Jon strinse gli occhi e
osservò
l’acqua della Forca Verde scorrere ai piedi della fortezza. Sulla riva
coperta
di neve e fango, immerso nella nebbia, Rhaegal dormiva profondamente.
Jon non
l’aveva mai visto così in pace.
“Il tuo drago è una
bestia
fedele” disse Howland e Jon pensò a Spettro.
Hai fatto
il tuo dovere, amico mio? Hai protetto mia sorella?
“Non è il mio drago”
mormorò Jon
solamente e Howland non fece domande. Trascorsero attimi di silenzio.
“Hai notizie da
Grande Inverno?”
chiese poi Jon temendo che la quiete l’avrebbe distratto da ciò che
contava
davvero in quel momento.
Howland sospirò.
“Diciamo che ci sono caduto.”
Lord Reed rise.
Jon sbarrò gli occhi.
“Bran?”
Com’era possibile fosse sopravvissuto alla vita oltre la Barriera?
Howland annuì. “Sta
bene” lo
rassicurò, “entrambi sono riusciti a raggiungere Grande Inverno.”
Jon sentì il sollievo
scivolargli
in corpo, una sensazione di felicità che non provava dall’arrivo di
Sansa al
Castello Nero. Un altro pezzo della sua vita tornava al posto che gli
spettava.
“Meera dice che sono
stati salvati
da un drago dalle scaglie bianche e dorate.”
Jon si immobilizzò.
Howland stava
studiando la sua
reazione e Jon deglutì a fatica. “Sono i draghi di Daenerys Targaryen,
vero?”
chiese poi gentilmente lord Reed. Jon non ebbe altra scelta che non
quella di
annuire, poi guardò Howland negli occhi. Non
pensare a lei.
“Ciò che è successo
con la Madre
dei Draghi non ha importanza ora” disse a bassa voce, “le sue
intenzioni non
hanno più importanza. L’unica cosa che voglio è tornare a casa per
poter aiutare
il mio popolo in questa guerra, solo questo mi preme.”
Gli occhi di Howland
divennero
lucidi di commozione. “Parli proprio come Ned” mormorò e Jon sentì una
fitta da
qualche parte in quello che restava del suo cuore.
“Voi due eravate
molto amici” disse
sforzandosi di trovare un tono leggero, “mio padre ci raccontava sempre
di come
avete combattuto alla Torre della Gioia.”
Howland e Jyana si
scambiarono
una rapidissima occhiata, che tuttavia non sfuggì a Jon.
“Vorrei parlare con
Jon Snow da
solo” disse lord Reed rivolto alla moglie.
“Howland…”
“Jyana, per favore”
la interruppe
subito Howland. Si guardarono negli occhi per qualche istante, poi lady
Jyana
chiuse il libro, si alzò e uscì dalla stanza.
Howland si voltò
nuovamente
verso Jon.
Attraversarono molte
stanze
anguste e salirono diverse rampe di scale prima che Howland si
fermasse. Jon
scoprì di essere stato condotto in quella che sembrava la stanza più
alta della
Torre. C’erano due sedie, un piccolo baule nascosto in un angolo e un
camino
acceso. La finestra era troppo piccola perché la luce potesse veramente
illuminare la stanza, che perciò risultava avvolta da una tetra
penombra.
Howland si sedette e
fece cenno a
Jon di fare lo stesso. Si stava accarezzando la barba e il suo sguardo
era
vacuo.
“Credi nel vero
amore, Jon Snow?”
Jon, colto alla
sprovvista, non
rispose subito. Pensò a Ygritte e ai suoi capelli baciati dal fuoco,
alla
passione che aveva acceso le loro notti e alla freccia che aveva posto
fine
alla sua vita. Mi avrebbe ucciso se Olly
non avesse scoccato quella freccia.
Poi il pensiero di
Daenerys tornò
a farsi strada prepotentemente nella sua testa e Jon sentì la rabbia
assalirlo.
“No.”
Howland tirò un
sospiro
profondo.
“Quello che esisteva
fra i tuoi
genitori era vero amore.”
Fu come se il mondo
intero si
fosse fermato, congelato in quell’attimo. Jon alzò la testa di scatto,
il cuore
che già batteva all’impazzata. Mia madre…
“T-tu sai chi è m-mia
madre?”
balbettò, l’emozione che gli impastava la lingua.
“So chi sono i tuoi
genitori.”
Jon quasi non
ascoltava, la sua
mente intenta ad assaporare in anticipo il momento di quella
rivelazione. Non
temere, padre, pensò commosso, lord
Howland manterrà la tua promessa. Rivolse
a lord Reed uno sguardo carico di impazienza e lo vide mordersi il
labbro.
“Tua madre era la
donna più forte
che io abbia mai conosciuto” iniziò Howland e Jon fu subito colpito
come un
pugno da quell’era. Allora
è morta,
pensò cercando di stabilizzare il suo respiro.
“Al grande torneo di
Harrenhal
fui preso di mira da tre cavalieri” continuò lord Reed, “non ricordo
neppure i
loro nomi, solo che mi picchiarono perché credevano che gli Uomini
delle Paludi
fossero mostri. Io non riuscivo a difendermi, ma poi è arrivata tua
madre
brandendo una spada e li ha messi in fuga. Mi ha aiutato a rialzarmi e
mi ha
portato nella tenda della sua famiglia.”
Howland fissò Jon
negli occhi.
“Lei era già promessa a un lord” continuò, “ma io ho visto il modo in
cui lei
e tuo padre si guardavano. Non puoi comandare al tuo cuore, Jon Snow, è
questo
che da sempre rende deboli i giuramenti dei Guardiani della Notte, così
facili
da spezzare. Non si può rinunciare all’amore.”
Sospirò.
Jon si accorse di
star
trattenendo il respiro. “Cos’è successo?” chiese con un filo di voce.
Howland
tornò a guardarlo.
Jon strizzò le
palpebre,
disorientato dalla domanda. “So che mio padre ha sconfitto ed ucciso
ser Arthur
Dayne” disse, “ma che non ha fatto in tempo a salvare mia zia Lyanna.”
Howland scosse il capo. “Tutte menzogne.”
Jon lo fissò
incredulo.
“Ascoltami” lo
interruppe Howland,
“Arthur Dayne avrebbe ucciso Ned se non fossi stato abbastanza vile da
pugnalarlo alle spalle.”
Jon ascoltava sempre
più esterrefatto. Non è possibile, mio padre non avrebbe
raccontato una bugia.
“E Lyanna non è stata
uccisa da
Rhaegar Targaryen come tutti al Nord credono” continuò Howland.
Questa volta Jon
scosse la testa
convinto. “Rhaegar ha rapito mia zia” disse sicuro, “l’ha portata a
Dorne, l’ha
stuprata e poi l’ha uccisa.”
“Questa è la storia
che è stata
diffusa così a lungo da affossare la verità” ribatté Howland, “la
verità che
Rhaegar e Lyanna si amavano, che sono fuggiti insieme da un destino che
non
volevano.”
Jon tacque un attimo,
un
terribile presentimento che si impossessava lentamente di lui. Cercò di
allontanarlo, ma quello tornava ogni volta.
“Allora, se ciò che
dici è vero,
come è morta Lyanna?”
Howland lo osservò
con sguardo pieno di compassione.
La mente di Jon non
realizzò
subito la rivelazione e lui fissò confuso Howland per una manciata di
secondi.
Poi si sentì mancare e dovette aggrapparsi con forza ai braccioli della
sedia. Tutto ciò non ha senso,
si disse per calmarsi, tutto ciò non
ha senso.
“Stai mentendo”
sibilò, senza
neanche riconoscere la propria voce.
Howland scosse il
capo. “No” replicò con
voce grave, “per quanto la verità possa far male, non si può
cambiarla.”
Jon stava tremando
violentemente,
forse di rabbia, forse di paura o forse solo di freddo. “Mio padre era
Eddard
Stark” disse alzando la voce, sperando che facendolo avrebbe convinto
sé stesso.
“Lo è diventato”
assentì Howland,
“ma i tuoi genitori sono Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark.”
Il
fratello di Daenerys.
“NO!” Jon aveva
urlato, ma
nemmeno se n’era accorto. In ogni caso non aveva alcuna intenzione di
scusarsi.
Howland Reed si
protese in
avanti. “Tua madre in punto di morte fece promettere a Ned di
proteggerti”
raccontò, “di nasconderti agli occhi di Robert Baratheon che aveva
giurato di
sterminare i Targaryen. Sei fortunato a non aver ereditato i tratti di
tuo
padre. Assomigli così tanto a Ned che nessuno avrebbe dubitato fossi
davvero suo figlio, ma in te c’è il sangue del drago.”
“Io non sono un
Targaryen” disse
Jon, la voce come veleno. Ormai tuttavia la realtà gli si stava
concretizzando
davanti agli occhi. La sua intera esistenza era stata una menzogna, un
inganno.
Solamente esistendo
aveva esposto
la sua famiglia ad un rischio enorme, un rischio che i suoi fratelli
non
avevano mai meritato.
Cugini.
Improvvisamente Jon
sentì la
necessità di piangere. Aveva trascorso una vita odiando la propria
condizione
di bastardo, invidiando i privilegi di Robb, sognando di poter
diventare uno
Stark, quando in realtà sarebbe dovuto grato agli déi di essere vivo. Mio pad…
Mio zio ha sacrificato il suo onore
per salvarmi, realizzò senza fiato. Ha messo in pericolo la sua posizione, la
sua amicizia con il re, i suoi stessi figli. Io non meritavo tutto
questo.
Rhaegar e Lyanna
forse si erano
davvero amati, ma con le loro azioni avevano condannato i Sette Regni a
una
guerra senza fine. Non erano stati capaci di stare al loro posto e il
mondo
aveva sanguinato per il loro egoismo. Jon pensava di poterli odiare per
questo.
Erano fuggiti insieme, avevano generato un bastardo ed erano morti,
incuranti
dell’equilibrio che avevano spezzato.
Howland stava
frugando nel baule
dandogli le spalle, per poi riemergere con qualcosa in mano.
Jon si alzò in piedi
e prese il
documento con mano incerta, sforzandosi di leggerlo attraverso le
lacrime
represse che gli offuscavano la vista.
Da oggi
fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e
Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico
cuore.
Che gli Antichi Déi concedano loro molti figli e benedicano questa
unione.
Jon non sapeva cosa
dire, perciò
rimase in silenzio.
Howland Reed gli
venne vicino e gli mise una mano sulla
spalla.
A Jon stavolta venne
da ridere. Daenerys e i suoi
discorsi, maledisse mentalmente. Mi avrebbe fatto decapitare
se fosse venuta a conoscenza di questa storia.
E’ mia
zia.
Il pensiero colpì Jon
come un
fulmine, lasciandolo stordito. Quindi quando erano andati a letto
insieme era
stato incesto? Jon non voleva davvero pensarci, troppo disgustato dalla
sola
idea. Howland lo stava osservando.
“Jaehaerys
Targaryen.”
Jon lo guardò
confuso. “Cosa?”
“Jaehaerys Targaryen”
ripeté lord
Reed, “è questo il nome che tua madre scelse per te. Ned poi lo cambiò
in Jon
in onore di Jon Arryn. Penso sperasse così di diventare per te il padre
che
lord Arryn era stato per lui.”
Jon non replicò. Anche il mio nome è una finzione.
“So che tutto questo
è difficile
per te” continuò Howland, “so che probabilmente sei arrabbiato con i
tuoi
genitori, con il mondo intero per averti rovinato la vita. Ma sappi che
tua
madre ti amava, che tuo padre lasciò tre delle più forti Guardie
Reali a difenderti e che Ned ti considerò da subito come suo figlio.”
Ora Jon stava
piangendo, senza
più cercare di trattenere le lacrime.
Jon sospirò.
Howland scosse
energicamente il
capo. “Lo sai che non è così” disse, “potrai essere figlio di Rhaegar
Targaryen, principe dei Sette Regni, ma tuo padre resterà sempre Eddard
Stark.
Le cose che ti ha insegnato vivranno con te e i suoi figli saranno
sempre i
tuoi fratelli.”
Jon aveva la gola
secca.
“Questo dipende da
chi tu scegli
di essere” replicò lord Reed, “e questo forse ti può aiutare.”
Jon prese in mano il
secondo
foglio, ormai quasi insensibile a qualunque altra emozione. “Che
cos’è?” chiese
con voce atona.
“Il testamento di
Robb Stark”
rispose Howland, “scritto poco prima degli eventi delle Nozze Rosse,
quando
credevamo Bran e Rickon fossero morti, ed affidato a me, Maege Mormont
e
Galbart Glover. Loro sono morti e questo è rimasto a me.” Lo incoraggiò
con lo
sguardo a leggerlo.
Jon ebbe un tuffo al
cuore quando
riconobbe la scrittura e la firma di Robb.
Io, Robb
Stark, lord di Grande Inverno, Re del Nord e del Tridente, in
caso di una mia prematura dipartita senza eredi, dichiaro che a
succedermi
quale Re del Nord debba essere mio fratello, Jon Snow, che io
legittimizzo come
Jon Stark di Grande Inverno.
Se Jon aveva pensato
di essere
diventato immune alle emozioni si era sbagliato di grosso. Continuò a
fissare
quel pezzo di carta per diversi secondi.
Jon Stark
di Grande Inverno.
Jon non poteva
credere Robb
avesse davvero fatto una scelta simile. Io ero un confratello dei Guardiani
della Notte all’epoca, pensò esterrefatto.
Fino a pochi mesi
prima una
rivelazione del genere gli avrebbe regalato una gioia incredibile, ma
quante
cose erano cambiate? La gioia non era più un opzione.
Howland si avviò
verso l’uscita.
“Meglio che tu rifletta un po’ da solo” disse con la mano sulla
maniglia, “non
voglio intromettermi più di quanto sia già stato costretto a fare. Ma
lo dovevo
a Ned e Lyanna…”
Quando la porta si
chiuse
silenziosa, Jon quasi non se ne accorse. Il suo sguardo si spostava dal
contratto di matrimonio dei suoi genitori al testamento di Robb.
Adesso cosa avrebbe
fatto, come
avrebbe convinto qualcuno a combattere ancora per lui? I lord del Nord
gli
avrebbero sputato addosso appena scoperta la verità sulle sue origini
Targaryen
e, semmai fossero riusciti a sopravvivere in qualche modo alla Grande
Guerra,
Daenerys l’avrebbe fatto certamente ammazzare.
Dall’altra parte, Jon
sapeva di
non poter fingere di essere chi non era, di non poter accettare un nome
che non
era suo. Jaehaerys Targaryen
non esiste, Jon Stark non può esistere.
Ma allora lui chi era?
Jon prese un respiro
profondo.
Ricordò ogni cosa che aveva amato della sua famiglia, il sorriso di
Sansa
quando avevano ripreso Grande Inverno, lo sguardo fiero di Ned davanti
ad un
bersaglio centrato alla prima freccia, la risata di Robb quando perdeva
una
sfida, la dolcezza di Bran ogni volta che perdonava qualcuno, la
curiosità di
Rickon quando gli avevano messo in braccio Cagnaccio la prima volta,
gli occhi
sgranati di Arya quando le aveva regalato Ago.
Pensò a Spettro che
lo aspettava
fedele, a Sam sepolto sotto la polvere della Cittadella, a Davos e
Tormund che
l’avevano sostenuto durante le scelte più delicate. Ripensò a Lyanna
Mormont
che lo sceglieva come suo re.
Tutti loro hanno creduto in me,
realizzò allora Jon, mi hanno
seguito per quello che sono. Maestro Aemon non
avevano scelto Jaehaerys Targaryen come lord Comandante dei Guardiani
della
Notte, i lord del Nord non avevano eletto Jon Stark come loro re.
Avevano tutti
seguito Jon Snow.
Ormai risoluto, Jon
si alzò in
piedi ed andò verso il caminetto. Gettò il contratto di matrimonio nel
fuoco,
ma la sua mano esitò quando fu il turno del testamento. Indeciso, lo
piegò con
cura e lo mise in tasca.
Nessuno verrà mai a sapere di
tutto questo, pensò osservando la carta che diventava cenere. Il Nord ha
bisogno di me e non dei miei titoli veri o presunti.
Jon andò alla
finestra e si
sporse appena. Vide che Rhaegal guardava nella sua direzione,
attendendo
paziente di ripartire. Jon inspirò e si avviò verso la porta.
La Grande Guerra non avrebbe risparmiato nessuno e il tempo dei dubbi era finito da un pezzo.
"La vita può essere capita solo all'indietro, ma va vissuta in avanti."
Ehila.... *corre a nascondersi*
Ne è passato di tempo eh... Sono davvero mortificata, non avrei mai pensato di fare un ritardo del genere, ma poi c'è stato Natale in mezzo, la scuola è ricominciata, così come l'ansia per la maturità e mille altri problemi. Inoltre il blocco dello scrittore alla fine ha colpito pure me. Non certo su questo capitolo, ma sto ferma a 29 a pochi passi dalla fine senza riuscire a concludere. Temo di aver perso tutto il mio entusiasmo per questa storia e non riesco più a ad andare avanti e quindi continuare a postare i capitoli vecchi mi fa male e ogni volta ho paura di cosa succederà quando raggiungerò il momento in cui non ce ne saranno altri pronti. Ormai sento mi sia passata tutta la voglia di scrivere questa storia, la stessa voglia che mi spinse a iniziare a pubblicarla, perchè ho superato la mia "fase fanfiction" e ho invece un libro originale che ho iniziato a scrivere e che invade i miei pensieri. Ma tenterò lo stesso di tenere duro e darvi la conclusione (avevo previsto sui 35 capitoli, uno più uno meno) che meritate. Non voglio deludervi, spero di ricevere il vostro supporto perchè questo è il momento peggiore per uno scrittore, quando non ama più la sua creatura. Rileggo questi capitoli scritti ormai più di un anno fa e non mi piace il mio stile, sento di essere ormai andata troppo avanti e che dovrei lasciar perdere. Ma voglio riuscire a portarla a termire e sappiate che tenterò con tutta la mia buona volontà a darmi da fare. Ci tenevo però a essere onesta con voi, specialmente nei confronti di chi segue questa storia da tempo. Sappiate che il vostro supporto è tutto per me.
Passanso al capitolo, che dire, il POV di Jon è in assoluto uno dei miei preferiti. Io sono dell'idea che debba essere Howland a svelare le sue origini e alla fine è, come diceva Meera, il destino a portare qualcuno a trovare Torre delle Acque Grigie. Ho tentato di catturare i sentimenti di Jon nella loro complessità, perchè non credo molti si rendano conto quanto possa distruggerti il fatto che l'unica cosa che ha rappresentato il tuo fare nella vita (nel caso di Jon, essere figlio di Ned) si dimostri una menzogna. Ma alla fine riesce a uscire dal vortice più forte di prima, con la consapevolezza di non aver bisogno di alcun nome per poter aiutare la sua gente. In un certo senso è andato oltre la mentalità del tempo. Ha distrutto il documento del matrimonio (seppur non sapendo che l'originale scomparso è in mano di Sam e Bran), ma non ha avuto la forza di bruciare anche quello di Robb. Alla fine il legame con la sua famiglia rimane lo stesso.
Lo so che il nome di Jon è Aegon, ma quando scrissi il capitolo girava la teoria del nome come Jaehaerys e mi piaceva così tanto che non ho voluto correggerlo.
Per il resto spero davvero il capitolo sia stato apprezzato, ma mi guardo bene dal far promesse su quando di nuovo aggiornerò la storia XD XD Vi prometto che tornerò, tenterò di tornare agli aggiornamenti ogni due settimane, ma non me la sento di promettere nulla.
Vi adoro tutti se siete arrivati fin qui e ancora seguite questa storia nonostante tutto!
Alla prossima!
NB: anche stavolta ben due citazioni!! La prima è di Anna Frank, mentre la seconda di Kierkegaard. Ovviamente sono riferite alla scoperta delle sue origini da parte di Jon, ma anche alla sua decisione di non rimanere a piangersi su, ma piuttosto agire e andare avanti.