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Autore: _Bri_    30/01/2019    12 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO V
Il Fabbro e il Falco
 
Anthony e Jill erano due bambini curiosi. Mamma e papà si erano più volte raccomandati di non attardarsi per strada rientrando da scuola, ma Tony, che era il fratello più grande, aveva convinto la più piccola, ma non per questo meno spavalda, a fare un saltino a quella villa che vedevano sempre, quando attraversavano la stradina dismessa che congiungeva la fermata dello scuolabus a casa loro. Così avevano deciso che, per una volta, avrebbero potuto fare un’eccezione ed avevano già preparato una valida scusa: l’autista aveva avuto un malore; avevano dovuto portargli acqua e zucchero per farlo riprendere e ci aveva messo un po’, prima di poter tornare alla guida. Quella lì era stata la scusa perfetta dell’ancora più perfetta perfida bambina di dieci anni, all’interno della quale, era ovvio, si nascondeva la figlia del demonio in persona, tanto era maliziosa. Così zaino in spalla, mentre il cielo carico di pioggia incombeva su di loro, i due fratelli s’avviarono, passetto passetto, verso l’entrata della sontuosa magione che sembrava a tutti gli effetti disabitata.
 
-Non possiamo spaccare il vetro,- disse Tony, mascherando il timore con una voce sfrontata, sebbene ancora molto acerba –attireremmo troppo l’attenzione.
 
-Andiamo di là: seguiamo la rete e appena troviamo un punto basso la scavalchiamo!-
 
Jill anticipò il fratello, facendo saltellare il caschetto biondo tagliato di fresco. Anthony grattò una fastidiosa pustola sulla guancia destra, prima di decidere che sarebbe stato meglio seguirla. Come spesso accadeva, anche in quel caso la ragazzina aveva avuto ragione: accanto ad un cespuglio che andava via via spogliandosi, con l’aumentare del freddo autunnale, la rete a protezione del perimetro s’era piegata, probabilmente merito di qualche altro spavaldo ragazzo intervenuto prima di loro. Dopo essersi scambiati un’occhiata complice, con un balzo i due fratelli furono dentro, frementi d’agitazione per ciò che avrebbero trovato. Ma la delusione arrivò amara alla bocca, quando si resero conto che all’interno di quella recinsione, non c’erano che metri e metri di terreno arido ed incolto, lasciato in totale stato d’abbandono. Non volevano crederci, Jill e Tony, ma l’evidenza dei fatti era quella: nulla di spettacolare avrebbe illuminato i loro occhietti curiosi, al massimo qualche attrezzo da giardiniere abbandonato accanto a quello che, un tempo, doveva essere stato un albero da frutto.
 
-Tutto qui? Sono mesi che ci giriamo intorno. Che palle!- sbuffò Tony, prima di afferrare il polso della sorella –Forza andiamo, incomincia a farsi tardi e qui non c’è un bel niente da fare.-
 
Ma Jill non voleva cedere:
 
-No! Facciamo un giro, ormai siamo dentro! Che c’è, te la starai mica facendo sotto? Cagasotto! Cagasotto!- cominciò a canzonarlo, lei.
 
-‘Fanculo, io me ne vado!- E con un inequivocabile gesto della mano, Anthony si avviò alla falla della rete.
 
-Tzk…codardo che non sei altro.- Borbottò Jill. Non poteva mica perdere l’occasione di visitare quel posto, intorno al quale circolavano tante storie, fra i suoi coetanei. Il giorno dopo, a scuola, avrebbe potuto smentirle una ad una riportando la sua esperienza e, specialmente, avrebbe potuto prendere in giro Tony davanti a tutti. Ma proprio quando s’era decisa ad avviarsi al perimetro della villa, Jill sentì un verso acuto: alzò gli occhietti sottili e acquosi verso l’alto. Gridare fu un istinto automatico, visto che un rapace volava verso di lei a tutta velocità, con il becco spiegato e gli unghioni sguainati.
Jill non perse tempo e corse via, più in fretta che poteva. Avrebbe giustificato al fratello la chiazza apparsa sui jeans, magari dicendogli che era caduta in una pozzanghera e quasi s’era rotta un braccio.
In fondo, Jill, era bravissima a raccontar bugie.
 
*

 
Quella fucina conteneva il tesoro più grande di tutto il Giardino, per Yann. Il recluso della cella del padre guardava, con sguardo sognante, ogni tipo di metallo che qualcuno gli aveva messo a disposizione, in modo che potesse fabbricare delle nuove scarpe per Jules. Eppure la tentazione di allontanarsi dal proprio scopo e dare vita al suo estro creativo era forte. Fu grazie agli occhioni attenti di quella streghetta volante, che Yann riuscì a rimanere ancorato al proprio obiettivo e dopo un’attenta analisi, decise di porre davanti a Jules tre materiali diversi; incrociò le braccia, Yann e sorrise alla strega, che aveva allacciato l’indice al labbro con aria assorta:
 
-Questo è ferro, al quale sei abituata. Il colore è freddo ed è molto…pesante. Ma di questo non devi preoccuparti, perché faremo in modo di renderlo particolarmente docile e confortevole.
 
Jules annuì, chiedendogli poi di andare avanti e così fece Yann:
 
-Questo invece è oro, come avrai intuito dal colore brillante; l’oro è speciale, certo…il materiale più bello al mondo, ma proprio per questo attira molti sguardi.-
 
La piccola strega rimase per qualche istante a fissare i lingotti, prima di spostare l’attenzione sul terzo metallo postole davanti.
 
-E quello?
 
-Quello è ottone, una lega di rame e zinco; devi sapere che di ottone sono fatti moltissimi strumenti a fiato, come le trombe, i flicorni o…
 
-È perfetto! Ma non sarà troppo leggero?- Chiese lei, con aria preoccupata. Yann accennò un altro sorriso e scosse il capo –Devi sapere che con me sei in buone mani…questo è il mio mestiere.-
 
Yann spiegò la mano davanti allo sguardo assorto di lei e dal centro esatto del palmo, nacque una flebile fiammella vivida, che Jules osservò stupita ed emozionata. Il viso di lei, estremamente vicino, riverberò alla luce, facendo sorridere ancora una volta il mago che la osservava compiaciuto.
 
-Che dici, vogliamo metterci all’opera?-
 
Jules faticò a distaccarsi da quella piccola fiamma e dovette attendere che Yann chiudesse il palmo e la facesse dissolvere in rivoli di fumo, per tornare alla realtà.
 
-Va bene…come posso esserti utile?- cinguettò la streghetta che si avviò, incuriosita ed ammaliata, al seguito di Yann, il quale aveva preso ad armeggiate con pinze e calderoni. Di tutta risposta il magifabbro si grattò la nuca, per poi voltarsi verso di lei:
 
-Tu, Jules, sarai il mio mantice. Del resto chi, meglio di te, potrebbe adempiere a questo compito?-
 
Yann accennò un sorriso amaro, nel cogliere l’entusiasmo della strega, sinceramente felice di potersi rivelare utile allo scopo. Il mago pensò a quanto, una presenza come Jules, avrebbe giovato alla sua difficile infanzia, quando capì che avrebbe dovuto allontanarsi in fretta dalle persone che amava ma che, evidentemente, avevano anteposto le superstizioni e le paure ad esse collegate, a lui.
 
 
Baba Sceba continuava a chiamarlo Pleymn (1) e, così, tutta la comunità aveva preso ad identificarlo con quel nome. Yann inizialmente non ne era dispiaciuto, ma raggiunti i sette anni iniziò a capire che ci dovesse essere qualcosa sotto, perché gli altri bambini cominciavano ad allontanarlo, mentre gli adulti lo guardavano con sospetto. Yann cominciò ad essere spaventato da se stesso e da quello che sapeva fare con il fuoco, cosa che non aveva mai mostrato a nessuno, perché qualcosa in lui urlava di starsene buono e di non commettere passi falsi. Eppure Yann non faceva male a nessuno, tutt’altro: adempiva ai compiti che la comunità gli assegnava e, nonostante si fosse rivelato un bravissimo ladro di polli, ancor più Yann si mostrò abile nell’avere a che fare con la produzione di gioielli d’oro. Seguiva il fabbro della comunità come un’ombra e da lui coglieva ogni tipo di consiglio, dando di tanto in tanto una spintarella ai forni, ovviamente stando bene attento a non essere scoperto. Fu incredibile quanto, dal momento in cui i genitori avevano deciso di fare avvicinare Yann alle fucine, la manifattura dei gioielli migliorò di buon grado. Nonostante ciò, più il tempo passava, più Yann veniva allontanato dai suoi coetanei e quella donna –Baba Sceba-, che per la comunità faceva la cartomante, sussurrava sempre lunghe nenie, appena il piccolo s’avvicinava a lei.
Per questo Yann capì che aveva bisogno di conferme e rassicurazioni da qualcuno, perché la paura e la solitudine si stavano facendo strada in lui. Decise, quindi, di avvicinarsi a Zenia, la sua sorellina a cui voleva tanto bene e di mostrargli ciò che sapeva fare; era convinto, infatti, che così facendo almeno lei si sarebbe resa conto che non c’era nulla di male nella dote di Yann e lo avrebbe aiutato a reinserirsi al meglio nella comunità.
Purtroppo non fu così:
Al buio della notte, in un angolino lontano dalle carovane, Yann aveva spiegato il palmo davanti la sorellina; da esso scoppiettò una fiammella, bellissima e vivida, che fece sgranare gli occhi scuri di Zenia.
 
“Non ti sembra bella? A me piace tantissimo.” Bisbigliò con entusiasmo il piccolo Yann. Ma Zenia non sembrò della stessa opinione. Impaurita, la bambina allontanò lo sguardo dalla fiamma per collegarlo a quello del fratello maggiore.
 
“No, mi fa paura! Tu mi fai paura! Non farlo più, Pleymn!”
 
Nessuna fiamma avrebbe scaldato Yann in quel momento, che sentì il sangue gelare ed il cuore sussultare. Sua sorella non lo aveva mai chiamato così, non aveva mai assecondato gli altri, ma evidentemente aveva sbagliato. Yann osservò la sorellina scappare via, fino a ritirarsi nella loro roulotte, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Fu in quel momento che il piccolo Yann comprese, davvero, che probabilmente quello non era il posto per lui: se nemmeno sua sorella l’aveva compreso, nessun altro nella comunità avrebbe accettato la sua ‘anomalia’, la sua capacità, il suo dono. Quando i genitori seppero cosa era in grado di fare, la loro reazione fu quella di ‘invitarlo’ a lasciare la comunità. Inutile dire che il piccolo Yann, che aveva solo otto anni, stentò a crederci, non capacitandosi che persino i suoi genitori non riuscissero a mettere da parte la paura. Credeva lo avrebbero amato nonostante tutto; immaginava si sarebbero sforzati di approfondire l’origine di quella sua dote, per cui di certo Yann non aveva alcuna colpa perché, in fondo, lui così c’era nato.
Il piccolo rimase nei dintorni della sua comunità, tenendo sott’occhio la sua famiglia e sperando in un loro ripensamento; purtroppo si rese presto conto che nessuno lo avrebbe più voluto, troppo spaventati da quel fuoco che, per i sinti, altro non era che l’arma per distruggere ogni oggetto appartenuto ai defunti, in modo da non essere contaminati da essi.
Yann si sentì sporco, inadeguato e sbagliato per molto tempo. Solo la lettera di ammissione ad Hogwarts riaccese la speranza in lui.
 
*
Cora osservava, con cipiglio, il gruppo discutere. Di tanto in tanto lanciava occhiate a Roxanne Borgin, distante da loro e apparentemente distratta da un taccuino su cui, con aria fortemente annoiata, stava segnando degli appunti.
 
-Sei con noi, Daggy?-
 
Cora tornò a fissare Victor e, dopo un sospiro profondo, con cui cercò di raccogliere calma e pazienza, rispose:
 
-Puoi non chiamarmi così per piacere? È svilente.-
 
Cora non dette retta alla risposta sboccata di Victor, che si era guadagnato la sonora risata del grande e grosso Lucas. I suoi pensieri erano concentrati sulle poche informazioni che avevano ottenuto, ma decisamente importanti. Pensò a ciò che aveva detto loro Joshua Hollens a proposito del dottor Steiner, con cui aveva avuto a che fare assieme ad un babbano che, a quanto pareva, era rinchiuso anch’esso lì dentro. Cora non riuscì a non storcere il naso: non solo aveva scoperto che Robert Steiner, proprio lui, stava tirando le fila di quel gioco orribile: ci mancava solo che venisse trattata alla stregua di un babbano. Il pensiero la fece soffrire moltissimo, anche se tentò di mascherarlo. Non aveva alcuna intenzione di rivelare il suo rapporto con il dottore, non per il momento, almeno. Così si rivolse come nulla fosse a Joshua, spostando su di lui i begli occhi chiari:
 
-Quindi tu conosci bene il dottore?-
 
Joshua aveva perso momentaneamente lo sguardo su un capello che si era posato sulla spalla di Lucas, in piedi al suo fianco. Quel dettaglio lo stava facendo innervosire moltissimo così, senza indugiare ancora, allungò la mano ed afferrò con pollice ed indice il capello, per poi farlo cadere a terra con aria schifata. Lucas rimase interdetto e stava per aprire bocca, ma la risposta di Joshua, che nel frattempo aveva incrociato le braccia, lo zittì.
 
-Molto bene direi…purtroppo per me. Chi altri di voi ci ha mai avuto a che fare prima?-
 
Lucas colse l’occasione per parlare.
 
-Io lo conosco di fama. Mia madre è una babbana…va bene, ora è lunga da spiegare, ma diciamo che quel fiorellino di mia zia Martha ha tentato di fare fuori mezza famiglia, me compreso…- Lucas lanciò uno sguardo a Joshua che sembrò improvvisamente rapito dal suo racconto e così, con espressione orgogliosa, tornò a parlare –e mio padre, beh…ha nominato più volte questo Steiner, asserendo che potesse essere un valido aggancio di Martha; purtroppo, da ottimo auror quale sono, posso assicurarvi che la sua persona è tutelata neanche fosse in una botte di ferro: il Ministero non sa nulla su Robert Steiner se non che sia un luminare nel suo campo…o almeno questo è ciò che raccontano a noi.-
 
A quel punto fu Evangeline ad intervenire, muovendo un passo avanti e stringendo le braccia, proprio come aveva fatto Joshua.
 
-Anche io ho avuto a che fare con lui. Sono stata…ricoverata per un breve periodo al San Mungo. Inizialmente non ero una paziente del dottor Steiner, ma dopo qualche giorno è passato nella mia stanza e, da quel momento, pare abbia deciso di prendersi cura di me. L’ho trovato molto strano in effetti…un medico tanto richiesto, che aveva deciso di concentrarsi su di me solo per un…-
 
-Esaurimento nervoso.- Odette parlò senza rendersene conto. Aveva involontariamente letto la mente di Evie e completare la sua frase fu naturale. La più piccola si irrigidì e si voltò a guardare l’altra, che s’era messa una mano sulla bocca:
 
-Scusa.- sussurrò, ma Victor intervenne, rompendo lo strano momento d’imbarazzo che si era venuto a creare. Del resto nessuno si sarebbe scandalizzato lì dentro e anzi, era meglio avere più informazioni possibili sul loro passato, se avessero voluto mettere insieme i pezzi.
 
-Ragazzina! Ecco dove devo averti già vista!-
 
Evie si ritrovò la faccia di Victor, che si era piegato parecchio per raggiungerla, a pochi centimetri dalla sua. Gli occhi scuri la ispezionavano e per un momento, Evangeline si sentì colta da profondo imbarazzo, tanto che non riuscì nemmeno a scatenare il proprio potere.
 
-P-prego?!-
 
-Appena ti ho vista ho pensato di conoscerti ma sai…sono un famoso magigiornalista, io…conosco così tanta gente.-
 
Evie e Victor continuavano a fissarsi, la prima con gli occhi sgranati per tutta quella sfrontatezza, il secondo con sguardo curioso ed indagatore.
 
-Quindi anche tu sei stato spesso in ospedale? È così che hai conosciuto Steiner?- La voce di Joshua distrasse Victor che, come nulla fosse, dette le spalle ad Evie per rispondere al metamorfo:
 
-Già, o meglio è un contatto che mi è stato suggerito.-
 
-Quel bastardo…- sibilò Odette –Si è servito del San Mungo per catturare degli innocenti e rinchiuderli qui! Non ha il minimo rispetto per il codice deontologico!-
 
-Emh, gioia, credo che il codice deontologico sia l’ultimo dei pensieri di questo signore.- La fece ragionare Lucas.
 
-Tra l’altro, nel mio caso, il San Mungo non c’entra: come vi ho già accennato conosco Robert Steiner grazie al mio buon padre.- Intervenne Joshua.
 
Odette portò una mano a massaggiare il mento con aria assorta. Quindi il dottore aveva rapito sia persone direttamente od indirettamente conosciute, come nel caso di Lucas e Joshua,  che pazienti o impiegati del San Mungo. La medimaga virò l’attenzione su Cora, tenutasi un po’ in disparte, con le mani a carezzarsi le braccia.
 
-E tu? Come hai conosciuto il dottore?-
 
*

 
Giorno 32. Soggetti in esame:
 
Dagenhart Cora
Heathcote Lucas
Hollens Joshua
McCall Odette Cassandra
Montague Evangeline Annabel
Selwyn Victor Adam
 
I soggetti si relazionano tra di loro. Si evidenzia l’esigenza di non tergiversare e di sfruttare il tempo a disposizione.
 
Heathcote – McCall / amici di vecchia data. Interazioni amichevoli.
Hollens / soggetto schivo; tenta di mascherare evidente difficoltà nell’approccio con sconosciuti.
Dagenhart / interazioni ridotte. Scarsamente comunicativa.
Montague / soggetto a disagio. Interazione ambigua con Selwyn.
Selwyn / prepotente ed invasivo. Rinchiuderlo con chi?
 
Note importanti:
I soggetti riscontrano un collegamento con Robert Steiner. Fermi su questo punto.
Nessuno smottamento rilevato.
Lieve vibrazione durante comunicazione tra soggetti che nascondono interesse reciproco.
 
Roxanne chiuse il taccuino giusto il tempo per dare una rapida controllata all’orologio: bene, tutto era tornato nella norma. Le lancette dell’oggetto avevano preso lievemente a vibrare poco prima, ma sembrava che non fosse successo apparentemente nulla. La Mangiamorte tornò a controllare i propri appunti, ai quali aggiunse un paio di note con elegante ed ordinata grafia, prima di richiuderlo e tornare a controllare il suo orologio, che non l’abbandonava mai. Quell’orologio, che era stato uno dei regali del suo padrino e che, da allora, aveva sempre custodito con gelosia, rivelandosi incredibilmente utile.
 
 
“Vieni principessa, vieni dallo zio”
 
Eccessivamente composta, per una bimba della sua età, Roxanne si avvicinò a Caractacus Burke(2)  sistemando, con il nasino alzato, un grande giglio blu tra i capelli. Educata fra parole gentili e complimenti, la bambina era cresciuta in tutta fretta ed aveva imparato, a soli sette anni, che l’apparenza ed il carisma erano doti da tenere ben strette, se avesse voluto ottenere ciò che voleva dalla vita. 
Sorrise, spalancando gli occhi blu, mentre allungava una manina verso quella di Caractacus, che ricambiò la stretta con confidenza:
 
“Cosa vuoi vedere oggi?”
 
Il negozio nascondeva dei veri e propri tesori, per una piccola strega tanto curiosa e perspicace. Tutto, per Roxanne, era fonte di conoscenza, perfino i clienti ambigui che s’affacciavano a Borgin & Burke con il cappuccio tirato e l’aria di chi ha combinato qualche guaio difficile da riparare. A questo, Roxanne, c’era di certo abituata, visto che nei meandri polverosi del locale si poteva dire ci fosse nata. Riservata, ma con fare da divinità, ella saltellava fra libri ed amuleti, gioielli e manoscritti disgustosi e solo talvolta veniva ammonita, quando s’avvicinava troppo a certe cose che, suo padre o Caractacus, gli ordinavano di non sfiorare nemmeno con lo sguardo. Ma per il resto la giovanissima Borgin aveva accesso libero e s’era ben guardata dal giocarsi la fiducia che i suoi tutori avevano riposto in lei. 
Bastava rispettasse delle poche e semplici regole e Roxanne avrebbe ricevuto ciò che più desiderava, come quella spilla da cui un giglio che sembrava vivo, cambiava sfumature a suo piacimento; pare che fosse appartenuto a madame Mary Shafiq e che i suoi disperati eredi lo avessero ceduto in pegno per qualche debito di gioco. 
A Roxanne bastò sbattere un paio di volte in più del solito le lunghe ciglia scure, per ottenere che Burke glielo cedesse. Suo padre non si curava molto dei “regali” che il suo socio tendeva ad elargire alla sua unicogenita, forse per timore che quello decidesse di esercitare il suo potere sbattendolo fuori con poca eleganza. Martin aveva sempre temuto Caractacus e, nonostante tentasse di mostrarsi sempre al suo pari, sapeva molto bene che il socio fosse una spanna avanti a lui in tutto; persino la sua bambina preferiva il socio al suo stesso padre, come aveva sempre silenziosamente sospettato che Burke rientrasse nelle grazie di sua moglie. Così Roxanne Borgin entrava ed usciva a suo piacimento dal ‘ Borgin & Burke ’ e non avveniva mai che quell’ometto ridicolo che era suo padre, riuscisse ad impartirle ordini in presenza del suo socio, che mostrava una spiccata adorazione per quella bambina, sicuro per altro che sarebbe stata l’erede ideale a cui cedere il loro negozio.
Roxanne tirò la mano di Caractacus e lo trascinò fino ad una vetrinetta impolverata, indicando con insistenza un orologio da taschino che i suoi occhi vispi avevano puntato da molto tempo:
 
“Cos’è quello, zio?” chiese con vocetta melodiosa.
 
“Tu hai la perspicacia di una strega adulta, Roxie…” Il mago sorrise e puntò gli occhi blu, decisamente troppo simili a quelli di lei (dettaglio che Martin s’era sempre ben guardato di far notare), sull’oggetto indicato da Roxanne.
 
“Vedi, questo è un orologio molto, molto speciale: non segna solo l’ora, ma è in grado di…catalogare la qualità del tempo.”
 
Roxanne, per quanto arguta ed intelligente, non era in grado di capire quel discorso così complesso, limitata dai suoi sette anni d’età. Caractacus sfiorò il giglio appuntato fra i capelli:
 
“Bambina…il tempo non è quello che crediamo. Non funziona in maniera lineare e non scorre inevitabile: le linee temporali sono tante e queste, talvolta s’accavallano e possono anche fermarsi. Questo orologio lo capisce…e ti avvisa, se riesci a leggerlo.”
 
Le pupille, ingorde, si fecero spazio fra le iridi azzurre e prima che l’uomo potesse aggiungere altro, Roxanne strattonò con forza la sua mano:
 
“Lo voglio, voglio quell’orologio!”
 
Una risata calda sgorgò dalla bocca di lui, “Sei sempre troppo impaziente Roxanne…non hai ancora l’età per padroneggiare un simile dono…” Il broncio della piccola strega si fece subito spazio sul viso, così lui carezzò la sua guancia candida “…ma possiamo fare così: lo metterò da parte e quando sarai cresciuta un po’, allora questo orologio sarà tuo, va bene?”
 
Roxanne annuì entusiasta. Si trattava solo di aspettare qualche anno e poi sarebbe stato suo.
Dopo aver recuperato l’orologio dalla vetrinetta ed averlo riposto al sicuro, in modo che nessun cliente esprimesse la volontà di accaparrarselo, Caractacus si inginocchiò per raggiungere la sua altezza. La mano grande scivolò dai capelli neri al fianco decisamente acerbo della figlioccia, indugiando su di esso per molto tempo, prima di parlare ancora:
 
“Brava la mia Roxie…ora che ne dici di cambiarti? Lo zio ti ha regalato un nuovo vestito e non vede l’ora di vedertelo indosso.”
 
Caractacus appellò un pacco che fece fluttuare fra le mani della piccola strega, eccitata per quel nuovo dono.
 
“Ma conosci la regola: per averlo, devi indossarlo davanti a me.”
 
Roxanne annuì, affatto intimorita da quella voce profonda e lasciva, con la quale era cresciuta. Roxanne non lo sapeva mica, di essere la preda preferita del lupo che aveva contribuito a crescerla.
 
 
L’orologio cadde dalla sua mano; Roxanne fu obbligata a portare le dita a comprimere le tempie, perché un dolore acuto aveva costretto la testa. Ogni volta che i ricordi legati alla sua infanzia tornavano a palesarsi, quella forte emicrania impediva che quelli affluissero tutti. Ma la sensazione di sporco, quella rimaneva sempre, aggrappata al suo vestito e più sotto, sulla pelle di quel corpo perfetto. Quando si riebbe, la Mangiamorte si rese conto di avere su di sé gli occhi dei reclusi, che spiavano la sua insolita reazione da lontano. Non ci pensò due volte ad invocare il suo patronus per spedirlo ad Adrian: Roxanne aveva bisogno di un cambio di guardia il prima possibile; si sarebbe occupata di osservare il secondo gruppo dei reclusi, ma non poteva rimanere un minuto di più sotto lo sguardo curioso di quelli lì.
 
*
 
Alon tentava di tranquillizzare il babbano come meglio poteva. La sua infinita cortesia e la sua naturale propensione all’altruismo lo rendeva, in quel contesto, il soggetto più adatto per approcciarsi ad Alistair. Quest’ultimo aveva trasecolato appena aveva appreso chi fosse Mazelyn ed Alon, non appena aveva capito che quel ragazzo fosse un babbano, aveva perfettamente compreso la situazione. Era da sempre stato abituato a prendersi cura degli altri e non avrebbe mancato di farlo anche in quel momento; certo, Perla ed Alissa erano ben protette da Blue, in cui Alon riponeva piena fiducia, ma aveva comunque sempre fatto di tutto per far si che, le persone che lo circondavano, dovessero soffrire per il minor tempo possibile.  Accantonò quindi, momentaneamente, il pensiero dei sui cari, cercando di non far caso a quella stretta che sentiva intorno al cuore, all’idea di come stessero prendendo la sua latitanza forzata; così parò la sua alta figura davanti al mago, direzionando lo sguardo verso Maze:
 
-E cosa ci farebbe un vampiro qui? Per giunta esposto al sole come nulla fosse.- la incalzò, percependo il tremore di Alistair alle sue spalle. Mazelyn alzò le mani.
 
-Carino, vorrei saperlo anche io…non che un po’ di tintarella mi disturbi, sia chiaro.- il vampiro espose il suo sorriso più bello mentre il suo sarcasmo fluttuava fuori dalle labbra morbide, al punto di destabilizzare Alon che, inevitabilmente, ne subì il fascino. A quel punto fu Martha a fare un passo avanti, indugiando su Mazelyn con occhi ridotti a fessure:
 
-Non è possibile che tu sia qui, esposta alla luce del sole senza subire il minimo effetto…viaggiando tanto ho avuto modo di saperne di più su quelli come te, i figli di Caino appunto, come tu stessa ti sei definita…- Martha sospese le parole mentre, in contemporanea, Maze roteava annoiata gli occhi –…a meno che…-
 
-A meno che tutto questo non sia finto.-  La voce di William attirò l’attenzione di tutti su di lui. L’uomo, che pareva essersi ripreso e che teneva ora lo sguardo cristallino distante da Maze, aveva riacquistato la sua aria distaccata e decisamente apatica. Maze indugiò quindi su di lui, incuriosita da quel tipo fuori dal comune.
 
-Che intendi? Sai, mi faresti un gran favore a condividere con noi il tuo pensiero, dato che da quando sono stata trascinata qui non ho fatto altro che rischiare la morte per digiuno o per paura…anche se non credete sia ironico il fatto che non possa venirmi un colpo?-
 
Alistair, raccolta una buona dose di coraggio, sporse la testa bionda oltre il braccio di Alon; nonostante l’altezza che quasi raggiungeva quella del mago, Alistair era decisamente più magrolino e dinoccolato, tanto che s’era riuscito a nascondere bene dietro il biondo mezzo tritone. Dopo aver deglutito sonoramente, ricercò la figura di Mazelyn alla quale si rivolse, come al solito, incespicando fra le parole:
 
-D-digiuno? Vorresti…v-vo-vorresti dire che n-non hai…non hai…mangiato?-
 
-Secondo te sarei qui se non avessi mangiato? Immortale si, ma non fino a questo punto.- Maze rispose con disinvoltura, non preoccupandosi affatto di destabilizzare quel ragazzo che impallidì ancor più.
Fortunatamente William comprese che se la ragazza avesse continuato a parlare, avrebbero probabilmente perso quel babbano che, a differenza del vampiro, aveva poche probabilità di sopravvivere ad un infarto. Decise quindi di fare un passo avanti, svogliato, e solo dopo aver grattato la nuca spettinata, rispose alla domanda precedentemente posta da Maze:
 
-Mi sembra evidente che nulla di tutto questo sia vero. Pensateci bene: il sole rimane sempre alto nella stessa posizione, il clima è sempre lo stesso…e tu che dovresti bruciare come un ramo secco in un rogo te ne stai qui, tranquilla, a chiacchierare con noi. Dico solo che potrebbe essere tutta un’illusione.- Ciò detto, Will arretrò di un paio di passi e prese a canticchiare qualcosa come nulla fosse.
Fu la parola illusione ad attivare Martha che, fino a quel momento, non faceva altro che tentare di tenere sotto controllo la situazione. Lei, che con le illusioni aveva da sempre a che fare, effettivamente trovò che quel discorso filasse. A quel punto si affiancò a Will e prese la parola:
 
-Sono d’accordo, potrebbe essere senz’altro così. Certo, incantesimi molto, molto potenti dovrebbero essere messi in atto per creare un’illusione di questa portata…ma dietro a tutto questo dovranno esserci maghi di estrema potenza, immagino.-
 
Tutti annuirono tranne Will, che continuava a sembrare su un altro pianeta. Alon voltò il viso con cautela per rivolgersi ad Alistair:
 
-Ci hai detto di essere stato in un altro posto qui…perché non ci parli un po’ di te e di questo dottore?-
 
Alistair suo malgrado annuì. Era giunto il momento di mettere al corrente i suoi compagni di sventura su quanto accaduto nello studio di quel folle, compreso ciò che era successo con i cani e che ancora non era riuscito a spiegarsi.
 
*

 
Yann fissava estasiato la piccola strega che, senza sforzo, soffiava sul fuoco dando vita ad una corrente esuberante. Il metallo s’era sciolto con semplicità e a lui non restava che dargli la forma desiderata. Sentiva il cuore sussultare a più riprese, mentre con maestria innata, batteva e piegava l’ottone, arricchendolo con il suo gusto personale unito ai desideri di Jules la quale, di tanto in tanto, pigolava richieste sempre formulate con eccessiva educazione. Le scintille sull’incudine lo catalizzavano ed Yann si addentrò nei ricordi più vividi della sua vita passata, dal gusto amaro e doloroso.
 
 
“Avvicinatevi signori! Venite a vedere le strabilianti bollenti magie del piccolo grande Yann!”
 
Il capo della carovana circense a cui s’era unito, era abilissimo ad attirare l’attenzione. Yann lo sapeva, che se gli affari andavano tanto bene, il merito non era che il suo. Non aveva mai spiegato come facesse a padroneggiare il fuoco con quella facilità, ma inizialmente quel vecchio ubriacone di Harold Schmitt, si era limitato a trarre tutto il vantaggio che poteva senza indagare. Ciò nonostante, era giunto il momento che Yann aveva sempre temuto: gli altri membri del circo, che si erano sentiti messi da parte a seguito dell’arrivo di quel prodigioso ragazzino zingaro, avevano cominciato ad indagare. Nulla di buono era uscito fuori da quella situazione in quanto, Yann lo aveva sospettato, i suoi ‘compagni’ non provavano il minimo affetto per lui e anzi, non vedevano l’ora di farlo sbattere fuori per riprendersi il proprio posto senza che un orfanello qualunque oscurasse la loro arte. Fu così che avvenne il peggio, proprio quando Yann si stava esibendo:
Ingoiava carboni ardenti davanti agli occhi incantati del pubblico, che continuava a lanciare monete per farlo continuare; mentre allungava la mano per afferrare uno dei carboni, Yann s’arrestò di botto, perché qualcuno gli aveva tirato una secchiata addosso che, dall’odore, aveva tutta l’aria d’essere benzina.
Una risata sopita arrivò dal lato destro del piccolo palco su cui si trovava il ragazzino, poi urla terrificanti si schiusero dalle bocche dei presenti allo spettacolo: gli avevano dato fuoco, tramutandolo in una vera torcia umana. Ma Yann non si scottò. Nemmeno uno dei boccoli scuri si deteriorò.
Lo spettacolo si concluse con un gran successo, perché gli spettatori furono convinti che si trattasse di finzione, anche se non avevano ovviamente idea di come avessero fatto. Chiesero a gran voce il bis, ma Harold, terrorizzato e al contempo imbestialito per ciò che era successo, si limitò a raccogliere quante più sterline possibili e a concluse lì la serata.
Avevano cercato di ucciderlo. Quello era stato un tentato omicidio in piena regola, ma come avrebbe potuto dimostrarlo alle autorità? Cosa avrebbe potuto dire, quel ragazzino? Nessuno avrebbe mai creduto alla sua storia; nella migliore delle ipotesi sarebbe stato spedito in una casa famiglia, nella peggiore lo avrebbero rinchiuso in qualche centro di sanità mentale, gettando via la chiave.
Per la seconda volta in vita sua, Yann capì che doveva andarsene il più in fretta possibile, senza lasciare traccia di lui. Triste e sconsolato, durante la riunione straordinaria indetta dal capo, Yann raccolse i suoi pochi averi e scappò.
Seguendo la carovana circense, dal nord della Francia era ormai arrivato in Inghilterra; una terra a lui sconosciuta, in cui doveva imparare in fretta ad auto gestirsi e sopravvivere, senza nessuno che gli guardasse le spalle, né che gli preparasse un pasto caldo, o che lo consolasse all’occasione.
Yann era di nuovo solo, ma questa volta decise che fosse meglio così, visto che la vita gli aveva regalato solo amare delusioni. Il piccolo arrivò agli undici anni sopravvivendo grazie agli spettacoli che metteva in piedi da solo e che gli permettevano di mettersi in tasca giusto il minimo per non morire di fame. Troppo piccolo per riuscire a dare una spiegazione a chi si rivolgeva a lui, troppo innocente per essere lasciato solo, Yann si vedeva costretto a scappare da un paesino all’altro, cercando di non dare troppo nell’occhio e sfuggendo ai poliziotti che, puntuali, tentavano di acciuffare il ragazzino. Imparò a sue spese che la prudenza non era mai troppa e che era meglio starsene soli, perché nessuno avrebbe mai accettato un mostro come lui, che ormai era diventato estremamente diffidente nei confronti dell’essere umano. Almeno fin quando non ricevette la lettera per Hogwarts, che lasciò Yann con la bocca spalancata per lo stupore.
Preoccupato e sul chi va là, il piccolo decise di fidarsi e di recarsi, infine, sul binario indicato sul suo biglietto. Fu così che scoprì di non essere davvero un mostro, bensì un piccolo mago e che tanti altri suoi coetanei erano come lui.
Certo, la ferita di Yann era ormai troppo grande per essere totalmente ricucita, ma Hogwarts ed i suoi studenti lo salvarono da una vita che avrebbe volentieri scartato, in favore di quella serenità che, da sempre, aveva agognato.
Yann si rese così conto di essere si, particolare e raro, ma non perché fosse un mostro: il piccolo sinti era diverso in un’accezione tutta positiva e finalmente lo aveva capito.
 
Il magifabbro tratteneva il suo capolavoro fra le mani; tentò di contenere un sorriso soddisfatto, ma con scarsi risultati visto che la streghetta sembrava totalmente abbagliata dalle nuove scarpe che l’adulto le stava porgendo.
 
-Ti va di provarle?-
 
Jules non se lo fece ripetere due volte: con l’impeto tipico degli adolescenti, la strega sfilò le vecchie scarpe e quasi non rischiò di volare via, se la mano di Yann non fosse giunta a trattenerle il vestitino.
Quando il mago vide i piedi calzare le piccole e delicate scarpe con il tacco, percepì la commozione incastrarsi in gola.
 
-Sono perfette…- sussurrò Jules mentre le dita sfioravano la punta e s’incamminavano lungo il bordo sottile e stranamente malleabile della scarpa. Ogni intarsio era motivo di gioia; ogni decorazione portava con sé un ringraziamento gridato a gran voce.
Tranne qualche rara eccezione legata alle amicizie di Hogwarts, Yann Reinhardt era sempre stato solo. Per questo trovò assurdo, ma eccezionale, che rinchiuso in quel luogo contro la sua volontà avesse incontrato qualcuno che aveva bisogno di lui e che non temesse il suo rapporto con il fuoco ma, al contrario, che lo trovasse utile ed unico.
Con gli occhi scuri puntati su Jules, che mulinava gioiosa sulle sue nuove scarpe e rideva con autentica gioia, Yann sentì il cuore colmarsi di felicità.
Quella ragazzina infuse in lui la speranza, sentimento che aveva accantonato per tanto tempo.
Amare ancora non sarebbe stato impossibile, doveva solo crederci.
 
*
 
Adrian era decisamente provato. Non sapeva nemmeno dire da quanto tempo una tale sensazione di rabbia, mista ad impotenza e delusione s’erano più impossessate di lui. La sua parte più irrazionale avrebbe voluto distruggere ogni cosa, mandare al diavolo il progetto e scappare, lasciando dietro di sé quante più macerie possibili. D’altro canto tentava di mantenere la lucidità, convinto che per una buona volta, la via giusta da seguire dovesse essere la calma, termine a lui praticamente sconosciuto.
Non riusciva, comunque, a non pensare a quanto successo con il dottore ed Elyon, colei che stava mandando in frantumi ogni tipo di certezza a cui si era saldamente aggrappato. Cos’era stata quella di Steiner, una minaccia? Cosa c’entrava lui in tutta quella storia? Se era vero che non avrebbe voluto che le cose per quella dannata stronza fossero andate così, era anche ben consapevole che Elyon era irrazionale più di lui e che, in parte, lo aveva tradito. Lo aveva riempito di bugie o meglio, aveva omesso una parte della sua vita molto losca ed in più aveva tentato di tradire Robert, che si era così visto costretto a rinchiuderla come tutti gli altri.
Che stronza.
Quello era l’unico pensiero che non lo lasciava stare un secondo. Dopo averla sbattuta in cella, in procinto di esplodere per l’ira, si era catapultato a tenere sott’occhio un gruppo di reclusi, rimanendo fortunatamente per loro a debita distanza, perché nessuno avrebbe mai voluto avere a che fare con Adrian dopo quanto successo con Elyon. Aveva anche tentato di prendere appunti, espressamente richiesti da Robert, ma con scarsissimi risultati.
Stronza e pazza, ecco cos’era Elyon Yaxley.
C’era anche da dire che conosceva bene la strega e non riusciva a credere che fosse solo semplicemente uscita di testa in maniera definitiva. Cos’è che Robert gli aveva nascosto, riguardo il passato di Elyon? Il dottore aveva già in mente di rinchiuderla nel Giardino, come asseriva lei, oppure aveva preso quella decisione solo in seguito al tentativo di tradimento di Elyon, come dichiarava lui?
Stronza, pazza e anche dannatamente incastrata nei suoi pensieri. In quel turbinio di sentimenti discordanti, che passavano dalla terribile consapevolezza di sentirsi legato a quella donna in maniera del tutto fuori dal comune, ai dubbi che riguardavano la sua natura meschina e quella altrettanto grigia del suo padrino, Adrian venne riportato bruscamente alla realtà da un falco argentato, che richiedeva con la voce incrinata di Roxanne un rapido cambio di guardia.
Adrian ripose quel taccuino sgualcito che la sua collega gli aveva fornito e sul quale aveva solo appuntato frasi sconclusionate. Era difficile da ammettere, ma in quel momento l’unico suo pensiero andava a quella fottuta cella della Torre, dove una nuca di capelli rossi assecondava l’irrequieto movimento del corpo, che s’agitava come una fiera in gabbia.
 
*


 
 
“Sei pronta? I signori Black ci stanno aspettando, non mi pare il caso di farli attendere oltre.”
 
Roxanne si guardò allo specchio: i capelli acconciati alla perfezione, il trucco impeccabile, un sorriso fiducioso sul viso; questa sarebbe stata la volta buona, se lo sentiva. La sfortuna aveva fatto in modo che un paio di pretendenti di Roxanne Borgin, unica erede di Martin Borgin e Valentine Nott, si fossero dissolti nel nulla per un motivo o per l’altro. Così Roxanne aveva raggiunto la soglia dei diciannove con il timore di non andare bene per nessuno, anche se trovava incredibile che quelle mezze trote purosangue con cui era venuta a contatto non la volessero in moglie. Roxanne possedeva infatti ogni qualità che genitori di rampolli facoltosi avrebbero ricercato per i loro figli: era bene istruita, dotata di carattere, carisma e charme, nonché di invidiabile bellezza. In lei, sagace e sveglia, s’era instillato il dubbio che quei maghi si fossero dati alla macchia dopo l’incontro con il suo padrino, Caractacus Burke che mostrò risentimento e sprezzo per loro, ma Roxanne decise di accantonare quel pensiero senza farlo macerare. D’altronde davanti ad Orion e Walburga Black nessuno poteva dire o fare nulla, lei lo sapeva bene.
Scese le scale con eleganza innata e raggiunse i suoi ospiti, che l’attendevano nella sala riccamente decorata per l’occasione. Furono le chiacchiere di convenienza ad anticipare la vista, così come una risata sommessa, tirata ma estremamente composta, che Roxanne conosceva bene.
 
“Scusate l’attesa.” Disse lei, elargendo un sorriso posato mentre tentò di non catalizzare immediatamente l’attenzione sul giovane mago che, nel sentirla entrare, si era alzato per porgerle i doverosi saluti.
Regulus Acturus Black era il sogno che stava diventando realtà. Sebbene poco più giovane, il mago aveva dimostrato per lei un interesse che andava ben oltre gli obblighi familiari, già ai tempi di Hogwarts. Nessuno dei quattro adulti era a conoscenza che la loro relazione clandestina durava da un po’ e che, con il bel mago dall’aspetto tenebroso, Roxanne aveva esplorato a fondo ogni tipo d’amore. Nonostante sentisse lo sguardo del ragazzo incastonato su di lei, la giovane Borgin gli concesse attenzione solo dopo aver salutato con decoro i coniugi Black, inizialmente restii a quell’unione, ma convintisi dopo avere approfondito la conoscenza con la ragazza, che seppe ottenere il loro consenso senza sforzo.
 
“Ti trovo incantevole…” disse Regulus, prima di sfiorare la sua mano. Solo lui era stato in grado di farla cedere; Regulus Black aveva avuto la straordinaria capacità di abbattere la rigidità di Roxanne, facendo palpitare il suo cuore e fremere d’eccitazione il suo corpo. Persino quel semplice sfioramento di mani l’aveva destabilizzata, obbligandola ad irrigidirsi, altrimenti Salazar solo avrebbe saputo cosa avrebbe combinato.
Quella giornata sancì il loro legame, ufficializzando così un fidanzamento che avrebbe portato al matrimonio l’anno a seguire.
Più tardi, con la scusa di avere la necessità di parlare di alcune questioni importanti da soli, Roxanne e Regulus s’allontanarono, perdendosi nei meandri della sconfinata magione. Ci volle molto poco per liberarsi dei vestiti, per gettarsi nell’altro con audacia ed autentica passione.
 
“Finalmente ti sposerò.” Roxanne sussurrò le calde parole, mentre liberava i capelli di lui dall’erba con gesto amorevole.
 
“Sarebbero stati dei folli a non accettare. Te lo giuro Roxie, se avessero detto di no sarei scappato e t’avrei portata via con me; almeno avrei dato loro un motivo per smetterla di parlare sempre di mio fratello…”
 
La mano di Roxanne scivolò sul torso nudo, fino ad arrestarsi sul marchio nero impresso sul braccio di Regulus.
 
“E avresti abbandonato la tua fede…la nostra fede, solo per potermi sposare?” chiese dubbiosa. Il mago mosse le labbra in un sorriso tetro mentre le dita tirarono indietro la fluente chioma corvina della sua fidanzata:
 
“Sono sicuro che Lord Voldemort accoglierà presto anche te…con lui dalla nostra, i miei genitori non s’azzarderebbero a fiatare.”
 
“Solo una settimana ancora…ed il Signore Oscuro accoglierà anche me fra i suoi fedeli. Ogni mio sogno si sta realizzando” sussurrò lei sulla sua bocca, che in poco si schiuse in un bacio profondo.
 
“Ti amo Roxie…sarai presto mia moglie.”
 
“Ti amo anche io, Reg.” rispose lei, prima di tirarlo di nuovo su di sé.
 
 
Roxanne passò le dita sul lembo di stoffa che celava il Marchio Nero. Ogni volta che lo guardava, il ricordo di quel suo amore scomparso la dilaniava. Già, perché Regulus si dissolse nel nulla a pochi giorni dal loro matrimonio, non lasciando alcuna notizia di sé.
Gli occhi fecero presto a colmarsi di lacrime, che la strega si vide costretta a ricacciare indietro mentre, con coraggio, s’avviava allo studio di Robert Steiner per consegnargli il rapporto della giornata.
 
-Hai qualche buona notizia per me, mia cara?-
 
La strega s’avvicinò a Robert, ponendo una mano sulla sua spalla con confidenza:
 
-Ho riscontrato delle vibrazioni. Dai un’occhiata qui.-
 
La strega consegnò il taccuino al dottore che, con aria assorta, ne studiò i dettagli. Un lieve sorriso increspò il viso del mago, il quale alzò lo sguardo per incontrare quello della sua fedele Roxanne:
 
-Come sospettavo. Le reazioni emotive devono giocare un ruolo importante...molto bene.-
 
Roxanne annuì: -Quindi mi indicherai le prossime divisioni?-
 
-Certo, ma rimandiamo a domani: ti vedo particolarmente stanca e devo ammettere di esserlo anche io. Vai e riposa per bene.-
 
-Va bene. Allora a domani, Robert.-
 
Roxanne s’allontanò, per rifugiarsi nella sua stanza. Non aveva fame, del resto come poteva? Era stata una giornata dura ed i ricordi l’avevano martellata incessantemente.  Doveva riposare.
Il giorno dopo sarebbe andata meglio.
 
 


 
(1) La cara E Niente mi comunica che Pleymn, in lingua sinti, vuol dire “fiamma”.

(2) 
Conosciamo tutti il caro signor Burke, proprietario di “Borgin & Burke”, o Magie Sinister. So che nella saga originale il signor Burke dovrebbe avere, a questo punto, un bel po’ di anni, visto che con lui entra in contatto, al tempo, un giovane Tom Riddle. Mi sono voluta concedere questa licenza per costruire la Storia di Roxanne. Diciamo quindi che ad oggi nella mia storia, Caractacus Burke, ha circa 70 anni e non l’ottantina che dovrebbe. Passo e chiudo.
 
 
Ciao a tutti cari miei. Come avrete potuto intuire, i più votati per questo capitolo sono stati Yann e Roxanne, sebbene quest’ultima se la sia vista brutta con Jules che ha raccolto il suo stesso numero di voti. Spero che vi sia piaciuto. Al solito non vedo l’ora di sapere la vostra su quanto sta succedendo.
Vi chiedo di votare ancora una volta uno dei vostri oc (esclusi ovviamente Elyon ed Yann) e uno fra Adrian e Jules.
Colgo l’occasione per scusarmi per non avere ancora risposto alle recensioni. Sono stati giorni molto bui e complicati ed ho scritto più per necessità di distrazione che per vero tempo a disposizione. Infatti temo che il capitolo sia venuto molto caotico, ma avevo davvero bisogno di distrarmi un po’. Perdonate gli eventuali strafalcioni.
A presto.
 
Bri

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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