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Autore: Rosmary    10/02/2019    11 recensioni
(Questa storia partecipa come edita al contest Chi ben comincia è a metà del prologo indetto da BessieB sul forum di EFP)
È il primo Natale dalla fine della seconda guerra magica: un'eredità inaspettata regalerà ai protagonisti un rifugio lontano dagli odori insopportabili della morte, in cui ogni cosa sembra divenire nuova e possibile.
"Hermione delle volte pensava che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel bisogno, ma spaventata allontanava il pensiero da sé all’istante e s’imponeva di dimenticarlo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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VI
 Perduti, muovevano i primi passi ~ Epilogo

Il chiacchiericcio in Sala Grande aumentava man mano che gli studenti arrivavano per la colazione della domenica, ma Hermione era del tutto immune al baccano; infatti aveva ancora gli occhi e l’attenzione fissi sulle parole di Fred quando Ginny prese posto accanto a lei. La più piccola aveva lo sguardo stanco di chi aveva dormito molto poco e nessuna intenzione di mangiare, si limitò infatti a versarsi qualcosa di caldo nella tazza e portarla alle labbra violacee di freddo – gennaio s’era svegliato con gli aculei velenosi in bella mostra, quella mattina. Hermione non nascose né la sorpresa di vedere Ginny al proprio fianco né la pergamena che l’aveva tanto scossa, anzi la poggiò sulla superficie del tavolo in maniera tale che l’amica potesse leggerla senza fatica – nessun segreto, mai più.

“È di Fred,” constatò Ginny. “Gli hai parlato, allora.”

“Sì, gli ho scritto ieri sera. Questa è la sua risposta.”

Ginny si lasciò sfuggire un sorriso. “Vedo, è proprio da lui.”

Anche Hermione accennò un’espressione meno cupa. “Capisco la tua rabbia, non sei costretta a parlarmi.”

“Non sono arrabbiata con te,” precisò. “Sono preoccupata per i miei fratelli, e anche per te. Avremmo meritato un po’ di pace, tutti quanti.”

Hermione incassò quelle preoccupazioni sorelle delle proprie senza meraviglia, la guerra era un fantasma ancora troppo vicino per chiunque l’avesse vissuta in prima persona. “Ieri hai parlato di delusione,” accennò a voce bassa.

“È stata la reazione del momento, mi dispiace, lo sai che non penso mai prima di parlare.”

“Ti sbagli. Nonostante tutto ieri hai pensato molto, sei stata una vera amica.”

Ginny non commentò, si limitò a indirizzare un sorriso stanco a Hermione, che lo ricambiò rincuorata. “Avrei dovuto accorgermene, sono stata più zuccona di Percy,” esordì d’un tratto.

“No, non avresti potuto.”

“Invece sì. Avrei dovuto accorgermi di come guardavi Fred.”

“E come lo guardavo, scusa?”

“Come se volessi mangiartelo,” disse ghignando. L’altra arrossì e distolse lo sguardo dall’espressione insinuante di Ginny, ma dentro di sé percepì un grande calore: s’erano ritrovate, Ginny era riuscita ad andare oltre. “Non dovresti rinunciare a lui,” riprese la Weasley. “Con la sincerità e il tempo si sistemerà tutto, vedrai.”

Hermione non rispose, ma uno sguardo carico di gratitudine abbracciò Ginny, che poté essere soddisfatta di se stessa e del modo in cui aveva gestito la rivelazione dell’amica – dopotutto, Hermione si era confidata con lei, non avrebbe potuto abbandonarla.
A distogliere entrambe dall’oggetto della conversazione fu l’arrivo di Neville, che come ogni mattina prese posto accanto a loro. In un lasso di tempo irrisorio il nuovo argomento di discussione fu l’ultimo scherzo che Pix aveva rifilato a Gazza. Hermione godé di quella quotidianità apparente più che poté, ma allo scoccare dell’orario fatidico si congedò assieme a Ginny – e mentre quest’ultima aveva in programma un semplice appuntamento col fidanzato, ad attendere Hermione c’era la confessione più dura di tutte.

Un respiro, si disse Hermione, il tempo di un respiro e finirà tutto.

Poco più di un’ora dopo Ron era seduto dinanzi a lei, a separarli era solo il tavolo tondo della locanda di Madama Rosmerta. Anche Harry e Ginny avevano cercato riparo e calore in quel luogo tanto familiare, ma avevano preferito sedersi a diversi tavoli di distanza per dare a loro due modo di parlare in privato e chiarirsi – Harry, in particolare, era teso e impaziente, e anziché dedicare attenzioni a Ginny non faceva altro che allungare lo sguardo in direzione dei suoi più grandi amici, timoroso che una rottura irreparabile stesse per abbattersi sulle loro vite; Ginny, che conosceva la verità, era già pronta a sostenere il crollo che sarebbe seguito, risoluta come sempre.

“Sei così tesa...” constatò Ron. “Vuoi che inizi io?”

Hermione lo guardò sorpresa, ma negò col capo. “No, sono io che ti devo spiegazioni, è giusto che sia io a parlare per prima.”

“Bene, ti ascolto.”

Rosmerta arrivò sorridente con i biscotti e il tè che avevano ordinato. Hermione attese che la donna andasse via prima di prendere parola, mentre Ron non degnò di un solo sguardo la locandiera, anzi non distolse neanche per un istante le iridi azzurre da Hermione, né smise di tenere le mani chiuse a pugno poggiate sul tavolo – aveva tutti i nervi in tensione e le labbra strette, era chiaro a chiunque lo conoscesse che stesse mascherando l’ansia con un atteggiamento stoico a lui estraneo.

“Non è facile per me affrontare questo discorso, in realtà non so neanche da dove iniziare...”

“Inizia dalla fine,” l’interruppe Ron.

Hermione lo guardò con occhioni spauriti e lesse sul suo volto il bisogno spasmodico di sapere. “Non ti amo,” disse allora, sorprendendo persino se stessa. “Ti voglio bene, un bene infinito, ma è il bene che si vuole al proprio migliore amico… E... sì, c’è stato un momento della mia vita in cui ho frainteso questo bene… Noi… noi non funzioniamo come coppia, Ron, siamo così amici che non riusciamo a essere anche altro.”

Tacque, stordita dalla propria risolutezza e del tutto incapace di dire altro – nonché convinta di non potergli dire altro. Asciugò con le dita gelide le lacrime che le avevano arrossato gli occhi, tentando di celare agli sconosciuti ospiti di Rosmerta la crepa che s’era aperta tra i due celebri salvatori del mondo magico. Si impose di non fuggire dallo sguardo di Ron, che muto continuava a fissarla; avrebbe dato qualsiasi cosa per leggere la sua mente e capire cosa realmente stesse pensando di lei, di loro, di quella verità disorientante.
Dopo un lungo lasso di tempo, Ron calò lo sguardo per un solo istante, prese un biscotto, lo bagnò nel tè e lo mangiò. Compì la stessa azione tre, quattro, cinque volte sino a ingurgitare tutti i biscotti su quel tavolo e a essiccare il tè nella tazza. Hermione seguì i suoi gesti senza comprenderli, non capiva se fosse un modo di sfogare la rabbia o una punizione – d’ora in poi t’ignorerò? –, tuttavia cercò di convincersi di dovergli almeno quello, almeno il tempo di elaborare.

“I biscotti di Rosmerta sono sempre i migliori,” disse Ron d’un tratto.

“Smettila,” reagì Hermione, incapace di tollerare oltre quell’indifferenza bugiarda.

“Di fare cosa?”

“Di fingere che non ti abbia detto niente.”

“Giusto,” concordò retorico, facendo scattare un piccolo allarme in Hermione. “Se Hermione Granger dice qualcosa, tutti dobbiamo sentire e prendere atto. È così che funziona, non è vero?”

“Non ho detto ques...”

“E cos’hai detto?” incalzò ancora Ron. “Mi hai forse chiesto cosa ne penso? Ti sei confrontata con me prima di decidere che dobbiamo mollarci? No, ovviamente no. Hermione Granger decide per tutti. Quindi se Hermione Granger dice che siamo solo amici, noi siamo solo amici. Ma ti senti? Ma hai capito cosa mi hai detto? Mi vuoi veramente far credere che dopo sette anni e dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dopo quel bacio in mezzo a una guerra, ti sei svegliata una mattina e hai capito che io sono come Harry per te? Mi credi così idiota?”

Hermione lo sapeva, che presto o tardi l’irruenza di Ron avrebbe fatto la sua comparsa, ma questo non le impedì di soffrirne comunque. Lui aveva provato a controllarsi, a essere ragionevole e maturo, ma alla fine era esploso, e assieme a lui erano esplosi tutta la frustrazione e il dolore che le parole di Hermione gli avevano procurato. Aveva parlato così stizzito e a voce così alta che tutti in quel locale avevano lanciato occhiate in loro direzione – in molti, poi, avevano alternato lo sguardo tra loro due e Harry, che aveva assistito atterrito alla scena, conscio che uno dei suoi più grandi incubi fosse sul punto di materializzarsi.

“Non ti credo idiota,” s’affrettò a dire Hermione. “E so come ti senti...”

“No, non lo sai. Non sai cosa significa sentirti dire non ti amo dalla persona per cui faresti tutto.”

“Ron...”

“C’è un altro?”

Hermione incrociò lo sguardo di Ron e vi lesse speranza e paura – speranza che non fosse così, paura che invece lo fosse, che fosse tutto perduto. Un lato di lei le suggerì di dirgli la verità, di non alimentare false speranze, di far sì che Ron facesse i conti con la realtà. Ma l’altro lato la implorò di non infliggergli anche quella sofferenza, di concedergli il tempo d’abituarsi a poco a poco al distacco. Peccato che i secondi rubati alle parole per riflettere furono più eloquenti di qualsiasi risposta per Ron, che con un’espressione di tetra consapevolezza s’alzò dal tavolo e fuggì da lei – c’è un altro? Sì.
Hermione nascose il volto tra le mani, curva su se stessa, raggomitolata nei propri sensi di colpa. Le parole di Ron erano martellanti, e un lato di lei temeva sul serio che lui avesse ragione, che fosse stata troppo precipitosa nel credere di nutrire per lui un semplice affetto da amica – ma poi a essere martellanti subentravano le sensazioni provate, le emozioni vissute, e il timore d’aver commesso un errore sbiadiva.
Quando allontanò le mani dal volto con sorpresa notò di non essere sola al tavolo: c’era Harry seduto accanto a lei, con il sorriso rassicurante e lo sguardo comprensivo.

“Ginny ha preferito seguire Ron,” le spiegò. “E mi ha raccontato tutto.”

Hermione lesse nel tono eloquente di Harry un so di Fred che in quel luogo, circondati da occhi e orecchie ormai indiscreti, non era il caso di pronunciare a voce alta.

“Sei arrabbiato?”

“Mi dispiace che abbia dovuto affrontare tutto da sola, lo sai che a me puoi dire tutto.”

“Non volevo costringerti a mentire a Ron,” ammise. “So che non ci riesci, sarebbe stato uno sforzo enorme.”

Harry le strinse le mani nelle proprie. “Uno in più, uno in meno… cosa mi cambia?” domandò scherzoso, rubando un sorriso a Hermione. “Ron è stato di pessimo umore da quando sei andata via dalla baita, era preoccupato, diceva che eri distante e non capiva perché. Non voleva neanche forzarti però… Non siamo così bravi nei rapporti di coppia, eh? Funzioniamo meglio con Mangiamorte e draghi,” considerò con ironia, nel chiaro tentativo di alleggerire l’atmosfera e far capire a Hermione che per quanto quella situazione non gli piacesse neanche un po’ non l’avrebbe mai lasciata sola. “Lo conosci, devi solo dargli tempo. Alla fine capirà che hai fatto la cosa giusta.”

“Non credo potrà mai considerare quello che è successo oggi come la cosa giusta.”

“Invece lo farà,” ribatté sicuro. “Continuare a fingere sarebbe stato sbagliato, illuderlo, mentirgli… queste sono cose sbagliate. Pensa a me, a quanto sono stato in collera con Silente per non avermi confidato tutto… la verità è dura, ma è quella che ci tiene uniti. Ron lo capirà, lo sai che lo farà, ti vuole bene.”

“Grazie.”

Harry le sorrise incoraggiante, espressione smorzata poi dal mormorio percepito attorno a loro. “Ora però andiamo via da qui, altrimenti schianto qualcuno,” disse infatti, infastidito dagli estranei che li circondavano e facevano di tutto per origliare. Hermione annuì rivolgendogli un sorriso senza gioia ma ricco di gratitudine: Harry era lì, nonostante tutto.

*

George non credeva fosse una buona idea incontrare Hermione a Hogsmeade quella domenica mattina, ma il gemello era di parere diverso. Ecco perché Fred l’aveva salutato e aveva raggiunto il piccolo villaggio magico.
Non aveva idee chiare sul cosa dirle né sul come comportarsi nel caso in cui ci fosse stato anche Ron, sapeva solo di dover rivendicare il proprio ruolo in tutto quel caos. Aveva riflettuto a lungo, più di quanto credeva fosse umanamente possibile, sulla situazione creatasi, conscio di non avere alcun diritto né voglia di distruggere la vita del fratello. Era tuttavia giunto a una conclusione piuttosto banale e intuitiva, la stessa che l’aveva animato sin dall’inizio: non era possibile scegliere la persona per cui provare attrazione, e l’unica colpa che lui e Hermione avevano era quella di non essere stati onesti sin dal principio – ingannando loro stessi e illudendo Ron. Per il resto, aveva concluso Fred, si trattava solo di accettare di vivere, vivere tutto, e farsi carico di gioie e dolori, senza paure né sensi di colpa ipocriti.
Non dovette camminare a lungo prima di trovarla, era nei pressi dei Tre Manici di Scopa in compagnia di Harry. Entrambi, notò Fred, avevano espressioni cupe: lei contrita, lui preoccupato. Dedusse che Hermione avesse già parlato con Ron – che il bombarda fosse già esploso. Senza temporeggiare, mosse i passi verso di loro, agitando la mano in segno di saluto.

“Fred,” esordì stupito Harry. “Cosa ci fai qui?”

“Qualcosa mi dice che puoi arrivarci anche da solo,” rispose Fred, indirizzando un sorriso sghembo al ragazzo. “Lasciaci soli.”

Harry rifilò un’occhiata infastidita a Fred, si rivolse poi a Hermione, cercando in lei un assenso o un diniego all’imposizione dell’altro.

“Vai pure, non preoccuparti,” gli disse Hermione, cogliendo l’interrogativo muto dell’amico. Harry si sforzò di sorriderle incoraggiante e, prima di andare via, si preoccupò di indirizzare uno sguardo d’ammonimento a Fred.

“Sai, sono sempre stato convinto di essergli simpatico,” considerò Fred con sarcasmo quando Harry s’era ormai allontanato. “Immagino sappia tutto.”

“Cosa ci fai qui?” chiese invece Hermione.

“Lo sai.”

“No, non lo so.”

“Non hai ricevuto il mio gufo?”

“Certo che l’ho ricevuto.”

“Allora sai benissimo perché sono qui.”

“Ho appena parlato con Ron, non ho voglia di parlare anche con te.”

“Lusinghiero, grazie.”

“Il tuo sarcasmo è del tutto fuori luogo, Fred.”

“Come il tuo atteggiamento.”

Hermione sbuffò, Fred era in grado di irritarla anche in una situazione di estremo sconforto. Fred, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di andare via, era anzi determinato a ottenere ciò che voleva – lei –, ne aveva abbastanza di passi indietro e parole ipocrite.

“Ti rendi conto che quello che mi hai scritto non ha senso?” riprese Fred.

“Perché non lo avrebbe?” ribatté Hermione. “Non voglio far soffrire Ron più di quanto non abbia già fatto. Non starò con te, sei suo fratello.”

“E perché l’hai lasciato?”

“Lo sai benissimo.”

“No, non lo so,” disse, usando volutamente la stessa espressione usata da lei poco prima. Hermione incassò il sottinteso – continui a mentire – e indurì i lineamenti del volto.

“Non voglio essere un’egoista, Fred, sono già stata una bugiarda e una traditrice, non voglio essere anche un’egoista.”

Fred le si avvicinò, strisciando le scarpe sulla neve che aveva imbiancato la stradina che li ospitava. Hermione lo guardò con occhi sbarrati, immobile e timorosa e trepidante per la vicinanza pretesa, per le mani di lui che le artigliarono i polsi, per il calore del suo corpo che prese a fare ombra al proprio. In un solo istante sparì tutto dalla mente della ragazza: Ron, Harry, il viavai di passanti, l’ingresso non troppo lontano dei Tre Manici, i buoni propositi – ed esplose l’egoismo, la necessità di vivere le emozioni che pulsavano insistenti.

Ma Fred non provò a baciarla né ad abbracciarla, le impose semplicemente la propria vicinanza, stringendole quei polsi per impedirle di allontanarsi. Le impose di mentire con lui lì, a un palmo da lei, se ancora ci riusciva. Le impose di toccare con mano l’assurdità che s’era convinta di dover perseguire.
Hermione lesse quegli intenti uno dopo l’altro, come se fossero stati parole scritte in uno dei suoi amati libri, e ancora una volta detestò se stessa per ciò che provava – e lui perché non le consentiva di fuggire.

“Fred, per favore.”

“Ammettilo, Ron c’entra fino a un certo punto,” incalzò. “Tu hai paura di me, hai paura di quello che provi.”

“Io non temo niente,” mentì.

“Buon per te, io invece ho una esagerata paura di smettere di vivere.”

“Non c’è nulla che possa ucciderci ormai...”

“Si muore in tanti modi. Se io e te non ci viviamo questa cosa sarà un po’ come morire, non credi? Lo vogliamo, lo vogliamo tutti e due, ma ce ne priviamo lo stesso.”

Hermione si accorse di essere di nuovo prossima a piangere, non avrebbe mai capito perché il proprio corpo dovesse sfogare ogni frustrazione e dolore attraverso le lacrime – così trasparenti alla fragilità. Tuttavia le ricacciò indietro, tutte e una alla volta, tentando di apparire padrona della situazione e soprattutto delle proprie emozioni. Non avrebbe saputo dire se le accuse di Fred fossero fondate, se fosse anche quel timore a bloccarla, ma sapeva di non essere intenzionata a fare un passo indietro, di essere certa di avere ragione da vendere sull’impossibilità di portare avanti quel rapporto. S’era sentita così sporca in quei giorni da convincersi che l’unico colpo di spugna possibile fosse allontanarsi da Fred – quello che le aveva stravolto tutti gli equilibri e le certezze –, nonché l’unico modo per evitare a Ron un’ulteriore sofferenza.

Spiragli, nessuno, non ne vedeva.

Si sforzò di incrociare lo sguardo di Fred, sopportando quelle iridi chiare – più scure di quelle di Ron – che la scrutavano con impazienza e insistenza. Passò poi alle labbra sottili, di poco schiuse e pronte e ribattere ancora. Fissò ancora ogni singola efelide, i capelli rossi e scarmigliati, l’espressione seria schizzata di impertinenza. Scoprì di conoscere quel volto a memoria, e di esserne inevitabilmente attratta – ma non poteva essere abbastanza.

“Mi dispiace, non posso, è la mia ultima parola.”

Fred sorrise amaro. “Non è mai l’ultima parola.”

Febbraio 1999, Hogwarts

“Neville, potresti dire a quei bambini del primo anno di non parlare?”

“Hermione, non posso dire a qualcuno di non parlare.”

“Sei Caposcuola, certo che puoi. Dì’ loro di fare silenzio.”

Neville scosse il capo, impotente dinanzi ai malumori della compagna di Casa. Per evitare che intervenisse lei, si diresse dai piccoli Grifondoro che chiassosi occupavano un angolo della Sala Comune e con garbo chiese loro di parlare a voce più bassa, tramutando l’imposizione di Hermione in una cortesia. Incrociò poi lo sguardo di Ginny, appena rientrata in Sala, indicandole col capo la figura di Hermione, seduta impettita su una delle poltrone vicino al camino. Ginny emise un sospiro affranto e raggiunse svelta l’amica.

“Cosa succede?”

“Niente.”

“Questo niente va avanti da troppo tempo, Hermione, ora basta.”

Hermione non si voltò a guardarla, continuò a fissare le fiamme del cammino, inghiottita dalle proprie riflessioni.
Da quella infausta domenica era trascorso un mese e lei non aveva fatto altro che pensare e ripensare a ogni singolo frammento che l’aveva composta: dalla confessione fatta a Ron sino al confronto con Fred. Era tornata a Hogwarts con gli occhi arrossati, il corpo tremante e l’umore – o il cuore? – a pezzi. Da allora ogni attimo vissuto era stato peggiore del precedente – più pesante, pressante, infinito –, tanti macigni che secondo dopo secondo la costringevano a raggomitolarsi in se stessa.
Ginny le era stata accanto, aveva cercato di capirla e confortarla, persino di convincerla a cercare Fred. Neville, che tra un brandello di conversazione e un’espressione affranta aveva capito tutto, le era stato vicino in silenzio, senza mai chiedere niente. Hermione era grata a entrambi, ma la gratitudine non scacciava il nervosismo né l’angoscia.
Quanto a Ron, non l’aveva cercata e Hermione non s’era aspettata nulla di diverso. A detta di Harry, il suo nome era ancora un tabù in presenza del comune amico.

Neanche Fred l’aveva cercata.

Almeno sino a quella mattina.
Hermione era in Sala Grande per la colazione quando un gufo come tanti altri era volato sino a lei. Tra le piccole zampe stringeva una missiva al cui interno la strega aveva trovato una caramella dei Tiri Vispi – piccola, tonda, bianca – e un messaggio brevissimo – «Cosa desideri sopra ogni cosa?» –, in cui lei aveva letto una condanna. Turbata perché consapevole di quale significato avesse quella domanda associata a quell’infido regalo, aveva accartocciato tutto, se l’era infilato in tasca e aveva raggiunto in fretta e furia l’aula della prima lezione del giorno, sfuggendo a occhiate e parole curiose.
E ora, che l’imbrunire aveva fagocitato tutto e non restava altro che rifugiarsi tra le coperte, era lì, seduta in Sala Comune, a fissare le lingue di fuoco e a rigirarsi la caramella bianca tra le mani, mentre il messaggio di Fred continuava a invaderle i pensieri.

“Gliel’hai detto tu?” chiese d’improvviso a Ginny.

“Di cosa stiamo parlando?”

“Di questo,” disse Hermione, tirando via la piccola pergamena dalla tasca e passandola a Ginny. “E di questa,” aggiunse, mostrandole anche la caramella. “La domanda di Fred,” spiegò mentre Ginny la leggeva, “è la stessa della Dama Grigia… eri l’unica a saperlo.”

Ginny chinò il capo, e annuì. “Ci siamo visti qualche settimana fa, non mi ha chiesto di te, sono stata io a parlare di voi.”

“Perché?”

“Perché sopravvivendo alla guerra abbiamo avuto tutti una seconda possibilità, lui più di altri, sprecarla è da stupidi.”

“E a Ron non pensi?”

“Ron ha solo bisogno di tempo, è di altre bugie che non ha bisogno. Quanto credi impiegherà prima di capire che sei innamorata di Fred?”

“Non sono innamorata,” si difese. “Non l’ho mai detto,” sottolineò dinanzi all’espressione scettica di Ginny.

“Alcune cose sono evidenti, e questa ormai lo è, che ti piaccia o no.”

Hermione non rispose, ma tornò a guardare la caramella bianca che continuava a rigirarsi tra le dita. “Sai questa cos’è?”

“Un Tiro Vispo, a giudicare dalla carta.”

“Non uno qualsiasi,” disse. “Cinque minuti di verità assoluta per chiunque la mangi. L’abbiamo testata insieme alla baita, quando eravamo soli.”

“Di certo lo stile non gli manca,” constatò Ginny.

Hermione accennò un sorriso e tornò a fissare le lingue di fuoco. Alcuni ricordi di quel periodo trascorso senza Fred né Ron iniziarono ad affollare la sua mente, scacciando per un istante l’angoscia scatenata dalla missiva di quella mattina.
Rivisse la sensazione di soddisfazione e gioia seguita a una piccola vittoria con gli elfi domestici – alla fine aveva infatti seguito i consigli di Fred e aveva iniziato a frequentare di tanto in tanto le cucine senza scopo apparente, solo per procacciarsi del cibo, di lì a chiedere l’aiuto degli elfi, a scacciare la loro diffidenza e a indurli ad ascoltarla il passo era stato brevissimo; ormai gli elfi la consideravano una sorta di amica e accettavano di buon grado di discutere con lei di diritti e doveri dei lavoratori –, sensazione che avrebbe tanto voluto condividere con Fred.
Ripensò anche ai momenti trascorsi tra le ceneri della Hogwarts ancora distrutta, al bisogno pulsante che i sacrifici fatti venissero ripagati da una vita senza catene – Fred e la sua smania di vivere, Fred e la sua etica del volere contro il dovere.
Ricordò ancora ogni istante trascorso nel parco innevato, lì dove i frammenti di due corpi che cascavano a terra e s’intrecciavano per la prima volta le annebbiavano la vista incredula – come se uno dei corpi non fosse stato il suo.
No, durante quel mese di solitudine e riflessione non c’era mai stato spazio per Ron, se non per i sensi di colpa e il dispiacere provati. Per il resto, c’era stato sempre e solo Fred, e Hermione scoprì di non esserne affatto stupita.
Proiettò di nuovo lo sguardo scuro sulla caramella dei Tiri Vispi e la strinse tra le dita. Di nuovo turbata, si chiese come l’istinto potesse percepire tanto giusta la persona che la ragione continuava a giudicare la più sbagliata.

“Ho bisogno di una pausa,” disse d’un tratto. “Tornerò a casa per un paio di giorni. I professori non mi negheranno un permesso.”

Ginny non mostrò stupore, le poggiò anzi una mano sulla spalla in segno di comprensione e conforto. “Sicura che tornare a casa sia una buona idea? I tuoi genitori ti riempiranno di domande.”

“Lo so,” concordò Hermione. “Ma non ho scelta. Non posso andare da Harry, rischierei di incontrare Ron… Devo tornare a casa mia.”

“Potresti andare alla baita!”

“Cosa?”

“Sì, è un’idea fantastica,” continuò Ginny. “Non c’è nessuno lì, è un posto isolato, è perfetto.”

Hermione fissò l’amica con sospetto. “Per caso c’è lo zampino di Fred in questa idea fantastica? Non voglio ritrovarmelo lì, Ginny… per favore.”

“Non essere paranoica,” ammonì Ginny.

“Scusa.”

“Scuse accettate... Allora, andrai lì?”

Hermione annuì. “Non sono così felice di rivedere quella casa, ma almeno sarò sola. Come faccio, però, con le protezioni?”

“Non preoccuparti, papà ha fatto qualche modifica, ora la baita riconosce anche te e Harry.”

Un sorriso amaro s’affacciò sulle labbra di Hermione, convinta di non meritare la fiducia di Arthur Weasley. Tuttavia, la Grifondoro decise di rimandare ogni riflessione a quando sarebbe stata sola tra le mura della baita. L’indomani, si ripromise, avrebbe parlato con la McGranitt per ottenere il permesso di allontanarsi da Hogwarts per due o tre giorni.


*

Qualche giorno dopo, Baita

Avere il permesso della McGranitt era stato anche più semplice di quanto si fosse aspettata. Era partita a distanza di pochissimi giorni, il tempo utile a organizzare lo studio e a esaminare con attenzione il tragitto assieme a Ginny.
E ora era lì, all’esterno di quella baita che le aveva stravolto la vita, con le dita ghiacciate nonostante i guanti in lana spessa a coprirle. L’atmosfera non era così diversa da quella del dicembre appena trascorso: non pioveva, ma delle nuvole s’erano addensate scure e minacciose sul paesaggio e la neve ricopriva ogni porzione di terreno.
Hermione indugiò più del necessario sull’uscio gelido, timorosa che i ricordi potessero aggredirla una volta entrata. Tuttavia, traendo un profondo respiro, si convinse a pronunciare l’incantesimo per forzare la serratura: quella scattò subito, in apparenza riconoscendo nella magia di Hermione una magia amica.
Hermione s’affacciò titubante all’interno della stanza di ingresso, chiudendo con lentezza la porta alle proprie spalle: una parte di lei era ancora convinta che Ginny le avesse teso un agguato e che avrebbe trovato Fred ad aspettarla, ma a quanto sembrava non era così – se fosse delusione o conforto la sensazione che l’invase, non lo volle capire.
Si decise allora a spogliarsi di cappotto, guanti, sciarpa e cappello, godendo del calore onnipresente in quella casa. Fu mentre sistemava il proprio piccolo bagaglio che un rumore di passi sulle scale la costrinse a sobbalzare e a impugnare guardinga la bacchetta. Tuttavia, prima che lei potesse ragionare sul da farsi, una figura maschile e familiare s’affacciò nella stanza.

“Fred...”

Fred Weasley indirizzò un sorriso pestifero all’attonita Hermione. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni, una felpa su cui spiccava il marchio dei Tiri Vispi e la solita aria scanzonata. Si allontanò dalla scalinata appena percorsa avvicinandosi alla ragazza, che continuava a fissarlo con occhi increduli e labbra schiuse – se fosse sul punto di urlargli contro o di scappare a gambe levate, Fred proprio non lo sapeva.

“Mi avete ingannata!” sbottò d’improvviso Hermione, risolvendo il dubbio del ragazzo.

“Ciao anche a te! È un piacere vederti!” scherzò lui.

“Non scherzare. Mi avete ingannata...”

“Non proprio,” ribatté Fred tranquillo. “Diciamo che noi abbiamo alterato un po’ le cose e tu non ci hai ragionato troppo.”

Hermione sbottò in una risata sdegnosa. “Non giocare con le parole, non con me.”

“Non ho nessuna intenzione di farlo, fidati,” precisò. “Questa baita appartiene a Bill e Fleur, parola di testamento di zia Muriel, quindi solo uno di loro due avrebbe potuto intervenire sulle difese della proprietà. Andiamo, Caposcuola Granger, non vorrai farmi credere che fossi all’oscuro di una legge magica tanto elementare?”

Diretto, canzonatorio, senza scampo. Ancora una volta le parole di Fred, e le sue espressioni e i suoi intenti, non ebbero pietà di lei né le concessero vie di fuga. Avrebbe potuto difendersi mentendo – avrebbe potuto dire che non sapeva del testamento, che ignorava quella legge così elementare –, ma accantonò quell’alternativa senza soppesarla neanche.
Basta bugie, per sempre.
Incrociò le braccia al petto, incurvandosi di poco in avanti, come se volesse trincerarsi in se stessa, nel proprio castello di sabbia spazzato via da un’onda energica. Non poteva negare di aver sentito il campanello d’allarme quando Ginny le aveva proposto di rifugiarsi alla baita, e di averlo risentito quando le aveva parlato dell’insensata iniziativa di Arthur, ma lo aveva messo a tacere – mentre l’inconscio lavorava e seminava speranze tra le macerie di sentimenti in affanno.

“Tu speravi che io fossi qui,” disse Fred, spezzando un silenzio che iniziava a essere scomodo anche per lui.

Hermione sollevò lo sguardo sul ragazzo, sospirò e si lasciò cadere sul divanetto a loro tanto familiare. In apparenza, era esausta.

“Come facevi a sapere che avrei voluto lasciare Hogwarts per qualche giorno?”

“Perché ti conosco.”

Così semplice. Ti conosco. Fred era sempre disorientante per Hermione: i suoi ragionamenti erano lineari, a loro modo estremamente razionali – se voglio una cosa la prendo, se penso una cosa la dico, se ti conosco so cosa farai –, così inoppugnabili da lasciarla sempre senza parole.
Lo guardò sedersi accanto a lei, sorriderle con malizia e soddisfazione, poté immaginare che dentro di sé stesse gongolando per essere riuscito a incastrarla – incastrarla tra lui e i suoi desideri.

“Quindi, mi hai mandato quel gufo per indurmi a questo? A raggiungerti qui?”

“Sì,” rispose. “Poi Ginny ha fatto la sua parte, è stata brava.”

“E cosa credi di avere ottenuto?” domandò di nuovo irritata, mentre le dita che avevano sfiorato la pergamena e il Tiro Vispo sembravano bruciarle d’ingenuità. “Se sono così confusa un motivo c’è.”

“Tu non sei confusa,” disse Fred. “Ne ho abbastanza delle tue patetiche giustificazioni,” aggiunse con tono fermo, incolore, definitivo.

“Patetiche?” gli fece eco Hermione. “Secondo te è patetico preoccuparsi per Ron? È patetico sentirsi in colpa per averlo tradito? È patetico cercare di evitargli altre sofferenze?”

Vomitò contro di lui delle domande che non esigevano risposta. Di nuovo in piedi, tutta rossa in viso per la rabbia e la stanchezza emotiva – verso Fred, se stessa, tutto –, con le mani strette a pugno e gli occhi assottigliati. Fred incassò ogni singolo quesito e tutto il livore di Hermione senza scomporsi, anzi s’accomodò ancora meglio sul divano, rilassando la schiena contro la morbida spalliera, e puntò lo sguardo annoiato su Hermione, come se stesse assistendo a uno spettacolo di dubbio gusto.
Hermione, dal canto suo, lo fissò irata, infastidita dal quell’atteggiamento che non le dava credito. Si decise allora a tacere, e fu solo allora che Fred si degnò di parlare, e lo fece affondando un ultimo e risolutivo colpo.

“Ci penso anche io a Ron,” disse lui. “È mio fratello nel caso l’avessi scordato,” precisò. “Infatti, ci ho parlato io.”

“Hai… hai parlato con Ron?” chiese attonita.

“Sì,” confermò. “Ho fatto quello che era giusto fare.”

§


Gennaio, due settimane dopo la rottura tra Hermione e Ron

Erano ormai trascorse due settimane da quando aveva incontrato Hermione – e lei aveva incontrato Ron –, due settimane che non avevano fatto altro che rafforzare l’idea che ormai s’era radicata in lui. Non esistevano eccezioni né scappatoie, la realtà era trasparente: lui e Hermione, per un motivo che ancora gli sfuggiva, s’erano trovati e avevano l’obbligo di viversi.
In quei quattordici giorni Fred aveva incontrato Ron poche volte, sia perché entrambi avevano impegni lavorativi pressanti, sia perché Ron s’era temporaneamente trasferito da Harry a Grimmauld Place. Tuttavia, quelle poche occasioni erano state sufficienti a schiaffeggiare Fred – suo fratello era a pezzi, come se qualcuno lo avesse scaraventato di nuovo in battaglia –, e il senso di colpa s’era affacciato di nuovo anche in lui, martellante, a ricordargli di essere un traditore impenitente, un bugiardo trincerato nelle bugie in attesa che qualcun altro risolvesse la situazione per lui. Era nauseante.

Ma non era legge che parlare spettasse solo a Hermione – avevano sbagliato, tradito, mentito in due.

L’idea di parlare con Ron tenne sveglio Fred un’intera notte, al punto tale che alle prime luci dell’alba cercò consiglio in George, che gli diede una pacca sulla spalla e lo incitò a essere onesto con Ron.
Convinto, Fred non perse tempo e si recò al Quartier Generale degli Auror, dove suo fratello e Harry seguivano il loro addestramento. Per fortuna, in quei tempi così prossimi alla fine della guerra, essere un Weasley gli permetteva di accedere senza problemi a quasi ogni sezione del Ministero della Magia, per cui fu facile raggiungere il piano che gli interessava; una volta lì scelse di non bussare a ogni porta alla ricerca di Ron, ma preferì appoggiare la schiena a una parete, infilare le mani in tasca e seguire con lo sguardo il viavai frenetico, aspettando di vedere la testa rossa di suo fratello spiccare tra tutte le altre anonime. Fu però una testa bruna la prima a notare l’inedito spettatore.

“Fred, che ci fai qui?”

“Ciao, Harry,” salutò Fred. “Devo parlare con Ron.”

“Non mi ha detto che saresti venuto.”

“Perché non lo sa,” disse. “C’è qualche problema?”

Harry titubò: una parte di lui voleva cacciare Fred a suon di schiantesimi, l’altra voleva credere che un confronto tra i due potesse essere il primo tassello sulla via della riappacificazione. “Più di uno, ma immagino tu questo lo sappia,” ammise con stanchezza. “Sei qui per parlargli di lei?”

Fred si limitò ad annuire, Harry sospirò.

“D’accordo, ma spostatevi nell’atrio, qui tutti si fanno gli affari di tutti, e io non voglio vedere i miei migliori amici sulla prima pagina della Gazzetta.”

Harry si congedò con quelle parole che sapevano di consenso, lasciando Fred stupito – considerato il loro ultimo incontro, era infatti convinto che l’avrebbe schiantato più che ascoltato; dovette ricredersi.
Un istante dopo, la figura di Ron raggiunse quella del fratello maggiore, salutata con un piccolo sorriso e un cenno del capo.

“Ehi, Fred,” esordì perplesso Ron. “È successo qualcosa a casa?”

“No.”

“Al negozio?”

“No.”

“George sta bene?”

“Certo che sta bene,” sbottò annoiato. “Sta’ zitto e vieni, ti spiego tutto appena lasciamo il piano.”

Il minore titubante, il maggiore deciso, raggiunsero l’atrio del Ministero come consigliato da Harry, dove la moltitudine affollava ogni spazio e il vociare era così pressante da confondere le parole. Lì, sperò Fred, nessuno avrebbe badato a loro due.

“Insomma, non sono ancora in pausa pranzo. Il Capitano è super disponibile con me e Harry, ma non voglio approfittare.”

“Quanta solerzia, fratello,” scherzò Fred.

“Fred, e dai…”

Fred percepì chiaramente quanto Ron iniziasse a spazientirsi, così come incassò il fatto che suo fratello non avesse il benché minimo sospetto che lui potesse essere lì per parlargli di Hermione. Per un solo e fugace istante soppesò l’idea di inventare una bugia qualsiasi ed evitare a Ron la penosa verità – rimproverò se stesso per quel pensiero, ma comprese del tutto, e finalmente, Hermione e le sue paure.

“Riguarda Hermione,” riuscì a dire, “e me.”

“Cosa?”

“Sono io l’altro. È successo all’improvviso, eravamo confusi. Abbiamo provato a stare lontani ma non ha funzionato. Siamo…” titubò, scartando la parola che le sue labbra suggerivano – innamorati. “C’è attrazione,” disse allora, “ci piacciamo. Hermione ha deciso di non dirtelo e di allontanarsi anche da me, invece è giusto che tu sappia. Ron, io ho intenzione di stare con lei.”

Diretto, essenziale, impietoso. Nessuna mezza misura per Fred, ma la verità nuda e cruda. Il suo sguardo non aveva mai vacillato, fisso sul fratello minore, in apparenza immune alla smorfia di delusione e dolore che, parola dopo parola, s’era impressa sul viso di Ron.
Trascorsero alcuni minuti di assoluto silenzio, un vuoto così assordante da riuscire a isolare i sensi di entrambi i ragazzi – come se fossero stati catapultati in un limbo di niente.
Ron impugnò la bacchetta che teneva nella tasca della divisa, ma non la estrasse, si limitò a far pulsare i polpastrelli contro quella, dalla cui punta iniziarono a fuoriuscire piccole scintille – fioche, ma roventi. I lineamenti del suo volto si indurirono sino a creare delle piccole fosse ai lati delle labbra e una ruga verticale a dividere la fronte in due sino al naso. Gli occhi azzurri, stretti nelle palpebre inferiori, non rinunciarono neanche per un istante a scaraventare tutto il disprezzo provato sulla figura di Fred. Le labbra, arricciate nell’offesa, rimasero sigillate sino a quando il cuore ferito di Ron non elaborò le parole più bieche e crudeli da rivolgere a quel fratello diventato d’improvviso un estraneo.

“Vorrei che non ti fossi mai svegliato.”

Una sola frase, una voce atona senza flessione – una dichiarazione d’odio. Ron non attese la reazione di Fred né attese di guardarlo creparsi a sua volta nel dolore – non l’avrebbe sopportato, nonostante tutto –, si limitò ad andare via nel più breve tempo possibile, lasciando Fred solo nell’immenso atrio. A fare compagnia al più grande fu solo la consapevolezza di dover chinare il capo e sopportare gli aculei affilati delle ferite di Ron – presto o tardi, si disse Fred, Ron sarebbe riuscito a perdonarlo, a perdonarli, a capire che i sentimenti e le emozioni non potevano avere né regole né morale.


§

Hermione aveva gli occhi lucidi, quelli di Fred erano invece asciutti e vispi. Le aveva raccontato tutto dell’incontro tra lui e Ron nell’atrio del Ministero della Magia, riportandole persino le parole livorose che il fratello gli aveva rivolto.

“È orribile,” sibilò Hermione. “Ron non pensa quello che ti ha detto, lo so.”

“Certo che non lo pensa,” disse Fred. “Una settimana dopo è venuto ai Tiri Vispi, si è scusato per quello che mi ha detto, poi mi ha accusato di avergli rubato la ragazza, abbiamo litigato e alla fine ha capito.”

“Ha capito?”

Fred scrollò le spalle. “Ha capito che non è stata colpa nostra, ma non vuole vederci insieme per adesso, e non è ancora pronto a rivederti. Per quanto riguarda me, mi tollera a malapena, ma il tempo aggiusterà tutto.”

Hermione asciugò le lacrime prima che le bagnassero il viso. In piedi, ancora attonita, non smise di guardare Fred con occhioni spauriti e consapevoli. Le sembrava assurdo che tutto potesse essersi risolto così, in una bolla di sapone, grazie a una verità scomoda confessata, a toni bruschi e corpi in grado di ferirsi e curarsi a vicenda nello stesso istante.
Fu assalita da un terrore sconosciuto – se potesse essere così semplice, così vero –, che la indusse a sedersi di nuovo accanto a Fred con movenze rigide, in tensione, e a guardarsi di nuovo attorno come se non conoscesse quelle mura a memoria. Uno strano freddo iniziò a percorrerle l’intero corpo, e un capogiro la scosse, alternandosi al pulsante dolore che le aveva invaso le tempie.
Era spossata – emozionata.

“Sai,” parlò Fred, “quella di tornare qui è stata un’idea di George. Ogni tanto anche lui si illumina di immenso come faccio io ogni giorno,” scherzò, riuscendo a strapparle un sorriso.

Quindi ora dobbiamo subirci Ronnie col cuore spezzato .”

Così pare, lobo solitario.”

Meglio essere un lobo che un cuore solitario.”

Bene, siamo già passati a fare battutine su Ronnie!”

Veramente facevo battute su di te, zombie.”

Se hai un’idea, parla.”

Ho un piano, altro che un’idea.”

“Credevo che George mi volesse fuori dalla vita di qualsiasi suo fratello,” ammise Hermione.

“No. Era solo convinto che non avresti mai lasciato Ron, con tutte le conseguenze del caso,” spiegò. “Poi hai messo le cose in chiaro e si è rilassato.”

Hermione annuì, mentre percepiva la spossatezza scemare e l’adrenalina avanzare. Dal canto suo, Fred sfruttò quell’ulteriore silenzio per rivivere il faticoso confronto che aveva trattenuto lui e George in una camera il trentuno dicembre appena trascorso; era stato lì che s’erano liberati di tutti i macigni, lì che George aveva riacquistato sul serio il sorriso e la serenità, lì che avevano imparato a esorcizzare i demoni con l’ironia – ed era nato zombie, compagno di lobo solitario, testimoni di sventure e tragedie vinte, di due sopravvissuti. Secondo Fred, quella baita doveva avere una magia speciale, una di quelle che ti mettevano a nudo e ti consentivano di vivere tutto, perché lui lì aveva visto il proprio desiderio smodato di sentirsi vivo evolvere in significato reale – vivibile.

“A cosa pensi?” chiese Hermione, accortasi degli occhi di Fred anneriti da pensieri lontani.

“A George,” ammise. “Ma non voglio parlare di questo.”

“So di cosa vuoi parlare, ma non credo di essere pronta.”

“Di cos’altro hai bisogno? Ci siamo noi due, con Ron è quasi tutto sistemato. Non dobbiamo mentire, non dobbiamo nasconderci… Che altro vuoi?”

“Non essere prepotente, adesso.”

“E tu non avere paura di me.”

“Fred, cambierà tutto. Noi due… noi due sembriamo così sbagliati insieme...”

“Vorrà dire che ci lasceremo,” suggerì con un sorriso sghembo. “Granger, ho finito la pazienza.”

“Non è un mio problema,” reagì ostinata Hermione. “Le cose vanno discusse, analizzate, capite, dobbiamo parlare.”

“No, parlare è l’unica cosa che non dobbiamo fare.”

A quelle parole, per quanto Hermione si ostinasse a tentare invano di razionalizzare – a considerare le conseguenze di abbandonarsi l’una all’altro in quel momento –, un rossore intenso e rivelatore affluì svelto alle guance, la lingua umettò istintiva le labbra, gli occhi frugarono il volto di Fred dalla bocca al naso alle iridi chiare, il corpo si protese verso di lui, un’adrenalina vibrante le percorse la schiena – tutto in lei urlò quel desiderio che la sorda ragione continuava a seppellire sotto strati di falsa moralità e insulse giustificazioni: sotto strati di paura per un’incognita gigantesca.
Fred, attento, riuscì a cogliere ognuno di quei segni del corpo, e non nascose un ghigno intriso di malizia e colmo di soddisfazione. Bastarono quei gesti a convincerlo ancora di più di non aver commesso un errore, a ripagarlo per l’attesa durata un intero mese. Quando quella domenica Hermione era fuggita da lui, Fred aveva capito che lei avesse bisogno di tempo per capire che le sarebbe mancato, che l’avrebbe cercato, che era con lui che avrebbe voluto condividere le sue giornate – e lui s’era allora improvvisato paziente, e le aveva negato tutto, persino un saluto tra la folla, sino a pochi giorni prima, quando era ormai certo che Hermione ne avesse abbastanza di fingere che lui non esistesse.
Non trascorsero neanche sessanta secondi esatti tra le ultime parole di Fred e le sue labbra su quelle di Hermione. Un contatto intimo, ma freddo. Labbra contro labbra, e occhi che non smettevano di fissare quelli altrui, in un muto contrasto tra desiderio di approfondire e necessità di fuggire. Fred lasciò che le proprie mani percorressero il corpo della ragazza dai fianchi sino all’ombelico, lì strinsero, massaggiarono, affondarono i polpastrelli nella stoffa che copriva l’addome, azzardando di tanto in tanto qualche falange più su.

“Finisce sempre così tra noi due,” sibilò Hermione.

Fred ghignò sulle sue labbra. “E questo non ti dice niente?”

“Mi dice che sei un tentatore.”

“Ammettilo, mi consideri il tuo peccato.”

Hermione inarcò le labbra in un sorriso sereno, vispo, come non accadeva da un intero mese e anche più. Esattamente come in passato, la vicinanza di Fred anneriva ogni cosa, e non restavano che loro due – soli – a dividere emozioni, sensazioni, sentimenti – amore? – e a costruire il loro personale castello di cemento e argilla – non di fragile sabbia.
Fuggire, non aveva più motivo di fuggire.

“Sì, credo proprio che tu sia il mio peccato, Weasley.”

Prima che Fred potesse avventarsi su di lei, fu Hermione a pretendere di più da quella vicinanza, sorprendendo lui per l’impeto ma non se stessa. Era sempre stata una ragazza intelligente, e non capire che dalle emozioni provate non si poteva fuggire l’avrebbe resa molto stupida. Era stata ostinata, e testarda nelle proprie convinzioni, lungo l’intero mese, ma ora che era lì – ora che era stata complice inconscia di un inganno pur di essere lì –, era giunto il momento di abbattere la torre di timori e giudizi che aveva costruito. Schiuse le labbra, lenta ma non titubante, e scacciò via il freddo.
Fu allora che Fred smise di chiedere il permesso, calò le palpebre assieme a lei e pretese il calore, l’intimità e l’adrenalina che Hermione gli aveva negato per minuti e ore e giorni.
Sgualcirono il pregiato divano di zia Muriel come avrebbero voluto fare sin dalla prima volta che s’erano ritrovati lì – lui a sovrastarla, lei a condurlo con sicurezza.
Forse, non sarebbe durata in eterno.
Forse, non era davvero amore quello che li ancorava l’uno all’altra.
Forse, lui non sarebbe stato l’ultimo.
Forse, non lo sarebbe stata neanche lei per lui.
Ma quello era di certo un inizio – lì, in quella baita che annusava la vita e l’errore, dove avevano seguitato a errare e avevano fuggito loro stessi, lontani dalla quale s’erano persi pur accettando tutti i peccati commessi.

Lì, loro due soli, in quella baita che annusava la vita.






 


NdA: eccoci arrivati alla fine di questa storia, dopo quasi tre anni. Era il settembre 2016 quando pubblicavo il prologo di questo racconto con la convinzione di portarlo a termine di lì a pochi mesi, non certo anni. In questo lungo periodo di tempo sono cambiate molte cose, tra cui in piccoli aspetti il mio stile di scrittura, a riguardo spero che non ci siano “scossoni stilistici” tra i capitoli più datati e gli ultimi due, io ho cercato di essere quanto più calibrata possibile, ma alcuni dettagli sono evidenti solo a un occhio esterno.
Non so quanti tra coloro che hanno iniziato a seguire questa storia nel 2016 oggi siano ancora interessati al suo epilogo, ma che sia uno, nessuno o centomila ha un’importanza relativa a questo punto. Ciò che spero è che la Baita sia riuscita a regalarvi anche un piccolissimo sprazzo delle emozioni vissute dai miei protagonisti, che anche voi vi siate sentiti fuori dal mondo tra le sue mura.
La conclusione è sempre stata questa, sapevo sin dall’inizio che ci sarebbe stato un lieto fine – aperto! – per Hermione e Fred, che si sarebbero ritrovati lì dove tutto è iniziato e che lì avrebbero iniziato la loro nuova vita insieme.
Non vi rubo altro tempo. Anzi, ringrazio chiunque sia giunto sin qui, dedicando del tempo alla Baita e alla mia scrittura. A questo punto posso finalmente dire “spero che la storia vi sia piaciuta!”, quindi, sì, sono banale e spero tanto che la storia vi sia piaciuta! E, soprattutto, che la conclusione tanto attesa sia stata all’altezza delle vostre aspettative.
Grazie di tutto e perdonate la lunga attesa.
Un abbraccio. ❤

 
   
 
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