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Autore: Miryel    16/02/2019    30 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 3553 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo II. We Can Work It Out


 

 

   Tony Stark non era quel tipo di persona che tollerava i ritardi, ma decisamente non era uno che arrivava puntuale quando invece avrebbe dovuto. Il motivo? Non era chiaro nemmeno a lui, ma era fermamente convinto che, facendosi desiderare, avrebbe ottenuto più consensi di chiunque altro. Per questo suo padre si arrabbiava sempre un casino, quando lo vedeva varcare la soglia della sala riunioni dello S.H.I.E.L.D., a cose ormai fatte. Tony gli rispondeva sempre che tanto, dopotutto, presenziare o meno a quelle pagliacciate, per lui non faceva alcuna differenza. Figurarsi per loro.

Suo padre, come sempre, gli rispondeva che faceva eccome, la differenza, ma non gli spiegava mai il perché. Non che gli interessasse, comunque.

Quel giorno faceva un sacco caldo, per essere metà aprile e, tra le altre sventure, era costretto a prendere parte ad una delle tante, noiose riunioni che vedevano gli Avengers riuniti in una sala a decidere cose per il destino del mondo. Tony non era un vendicatore, ma era comunque un tassello importante della società. Tutto perché era un genio, e non lo si poteva negare di certo. Aveva diciassette anni e già era in grado di costruire e progettare qualsiasi cosa gli Avengers e lo S.H.I.E.L.D. gli chiedessero: armi, tute, armature, dispositivi di qualunque tipo. E gongolava… oh, se gongolava, quando gli facevano tanti di quei complimenti da metterlo quasi ko.

Salì le scale che lo avrebbero portato alla porta a vetri che ospitava l’ingresso del quartier generale. Aveva fatto un pisolino sull’autobus, perdendo un paio di fermate, per cui il suo era un ritardo osceno, utilizzando una delle espressioni più frequenti di suo padre. Doveva avere un aspetto orribile, ma non gli interessava un granché. Avrebbe dato il suo inutile voto a qualunque cosa esso fosse servito, e poi sarebbe tornato a casa. Tutto lì. Come sempre.

Si lasciò sfuggire un lungo sbadiglio, scocciato, prima che la porta d'ingresso si spalancasse e un tornado in giacca verde e capelli castani lo travolgesse, letteralmente. Mentre si aggrappava alla maniglia della porta per non cadere, vide schizzare via quella figura che iniziò a scendere i gradini a due a due, per poi sparire dietro al cancello d’entrata, di corsa. Un senso di familiarità lo avvolse, per poi rendersi conto che era davvero troppo in ritardo per soffermarsi su quel dettaglio e, infine, entrò.

Il grosso atrio, davvero troppo fatiscente per i suoi gusti, era gelido. La temperatura di quel posto era sempre scioccante, a dire il vero. Sia in estate che in inverno. Non si sarebbe mai abituato. Si trascinò svogliatamente fino alla porta della sala riunioni e, prima che potesse aprirla, una mano si posò sulla sua spalla. Rischiò l’infarto al miocardio, per la seconda volta.

«Come al solito sei in perfetto orario per la chiusura delle riunioni, Tony», lo redarguì una voce familiare, e fu felice che non fosse quella di suo padre.

Sbuffò. «Ho perso l’autobus.»

Nick Fury gli sorrise, troppo consapevole. L’uomo sospirò e si portò le mani dietro la schiena. «Esattamente come la scorsa settimana. Tuo padre è furibondo, sai? Ha provato a telefonarti non so quante volte. Hai un autista personale, perché non sei venuto con lui?»

Tony ignorò quella considerazione sull’autista a piè pari. «Disgraziatamente il mio telefono è morto. E comunque se la riunione è finita, deduco non ci sia stato bisogno della mia presenza nemmeno stavolta», rispose , con un tono disinteressato che esternava fin troppo il menefreghismo nei riguardi di quegli obblighi.

«Oggi no, ma domani dovrai esserci. Howard si è raccomandato di dirtelo. Non gli importa come, ma dovrai presenziare. È importante.»

«Cavolo, cosa mi sono perso di così eclatante? Da come parli sembra che abbiate vinto alla lotteria!», esclamò ironicamente, mentre si sbarazzava dello zaino, posandolo a terra per sgranchirsi la schiena.

Fury sorrise sornione. «Non ci sei andato tanto lontano. Abbiamo un papabile nuovo membro degli Avengers. Uno… figo, per usare una delle vostre espressioni giovanili più appassionate.»

Tony alzò le sopracciglia. Non gli ci volle molto per ricollegare il quasi incidente avuto con quel personaggio che lo aveva travolto poco prima e quell’incontro gli passo davanti agli occhi come la pellicola di un film. Indicò col pollice dietro le proprie spalle.

«Parli di quel tipo che è uscito poco fa e per poco non mi ammazza?»

«Sì. Immagino che sia lui.»

Tony non riuscì a trattenere una smorfia diffidente. «Quello? Sembra più uno sfigato!»

Fury gli riservò un'occhiata sbieca dall’occhio sano, poi sospirò rassegnato. «Come al solito giudichi prima ancora di conoscere le persone, Tony.»  

«Oh, a volte la prima impressione può rivelare molto più di quanto si possa credere. Comunque, è un megalomane che conosco? Si è già visto in giro?»

Fury sospirò di nuovo. Ignorò palesemente il suo primo commento sulle prime impressioni e, quasi sicuramente, anche l’aggettivo megalomane, di cui Tony abusava ogni qualvolta veniva fuori un nuovo giustiziere in maschera. Adorava apostrofarli nei modi più disparati. Quella parola poi, ultimamente, gli piaceva parecchio.

«Spider-Man, ti dice nulla?»

«Il pagliaccio del Queens! Certo, come no!»

«Il pagliaccio, come lo chiami tu, ha tutte le carte in regola per entrare nel Team. L’ultimo salvataggio alla banca centrale gli ha fatto guadagnare parecchi punti. Ci è stato difficile rimanere indifferenti. Ma, dimmi un po’: ti brucia, Tony?», rise Fury, cercando di arruffargli i capelli e lui si scansò malamente. L’uomo rise più forte, di fronte a quell’ostilità nei riguardi di un gesto affettuoso.

«Cosa dovrebbe bruciarmi, esattamente?», domandò, asciutto. Le braccia incrociate al petto.

«Il fatto di aver perso il titolo di membro dello S.H.I.E.L.D. più giovane!», lo canzonò l’uomo, un sorrisetto compiaciuto che Tony gli avrebbe volentieri tolto dalla faccia con un sonoro pugno, se solo dentro di sé non vi fosse preservata ancora un minimo di educazione.

«Per quel che possa interessarmi… come se ne andassi fiero, poi», disse, fin troppo consapevole di aver appena detto una bugia. Lo sapeva lui e lo sapeva pure Fury, eppure Tony ce l’aveva, quel vizio di fingere sempre quel fastidioso distacco da ogni cosa.

«Prendi questa coetaneità come un fattore positivo. Potreste fare amicizia, oltretutto frequenta la tua stessa scuola, magari lo hai già visto in giro per i corridoi», rispose l’uomo e gli diede involontariamente la risposta alla domanda che si era posto poco prima; ecco dove accidenti lo aveva visto! A scuola! Non ricordava dove e quando, ma era un viso conosciuto, visto più volte. Peccato che, dimenticare le informazioni e i volti che non avevano alcuna valenza nella propria vita, fosse una sua prerogativa…

«Ah sì, e come si chiama?»  

Fury sorrise, e Tony seppe di aver sciorinato fin troppo la sua curiosità a riguardo. Non gli piaceva manifestarne, non gli piaceva nemmeno provarne.

«Parker. Peter Parker.»    

 

 

Tony poteva giurare sulla tomba di suo nonno che quel nome non lo aveva mai sentito nominare da mezza persona che fosse una o, per meglio dire, i nomi che non gli interessavano non gli rimanevano mai particolarmente impressi. Eppure, dopo quell’incontro di sfuggita al quartier generale degli Avengers – dove oltretutto manco ci aveva scambiato uno sguardo, né una parola, con quel tipo – il nome di Peter Parker iniziò a frullargli in testa peggio di un’ossessione.

Era Spider-Man, quindi. Frequentavano la stessa scuola, perciò. Dunque, anche non volendo, avrebbero dovuto incontrarsi per forza. E fu giusto il pomeriggio dopo, dove la seconda pausa dalle lezioni lo portò come abitudine in classe di Steve, a vederlo. Era stato lì per la maggior parte dei suoi intervalli, durante tutto l’anno scolastico, eppure Tony non lo aveva mai notato, quel Parker. Mai.

Steve lo salutò alzando una mano e lui ricambiò con lo stesso gesto, mentre l’occhio andava senza troppa discrezione ad osservare quel ragazzo, seduto ad un banco vicino la finestra, intento in un’accesa chiacchierata con un paio di compagni. Sorrideva. Con una infinita timidezza ma lo faceva. Spontaneo e dolce. Oltremodo odioso.

«Quello è Parker?», chiese a Steve, che subito voltò lo sguardo verso il compagno di classe.

«Sì, quello è Parker. Perché?»

Tony alzò le spalle. Infilò le mani nelle tasche, fingendo noncuranza; era lì per Steve, ma forse non più. Era lì per il suo inconsapevole rivale, quello che voleva rubargli la scena tra gli Avengers. Con un sorriso genuino stampato su quella faccetta che avrebbe preso a schiaffi volentieri. Con quel segreto celato dietro a un'innocenza che, per forza, doveva trattarsi di una montatura. Dietro la maschera di Spider-Man non poteva esserci quella faccia lì, andiamo!

«Così.»

«Così?», ripeté Steve, poi rise mostrando la dentatura bianca e perfetta. Tony avrebbe preso volentieri a pugni anche quella. «Non ti importa di tre quarti della popolazione mondiale, Tony. Piombi qui e mi chiedi se quello è Parker! Che c’è sotto

Quanto lo odiava… Steve era un sempliciotto, certe volte. Non capiva le cose se non gli faceva i disegnini, eppure quando non doveva, finiva per capire cose che non avrebbe dovuto. Lui, poi, che era entrato esordendo con quel Quello è Parker?, come se fosse normale amministrazione interessarsi di altri esseri umani, specie per uno come lui...

«Ieri era al quartier generale,» spiegò, semplicemente, e poggiò una natica sul banco, continuando a passare lo sguardo da Steve a Parker, troppo incuriosito dal fatto che quel tizio fosse Spider-Man. Ridicolo. «per un’applicazione, tipo. Non so per cosa… forse un progetto interno», mentì, di proposito. Non aveva alcun diritto di rivelare le identità segrete dei membri degli Avengers. E, sebbene preservarle non fosse affar suo, era comunque uno dei pochissimi atti maturi che Tony si concedeva.

«Oh, figo. Dopotutto è uno che va forte, a scuola. Ha vinto le Olimpiadi matematiche, sai?»

«Non so perché, ma ce l’ha la faccia del nerd senza vita, devoto allo studio. Uno che ignora cosa sia, la vita vera.»

«Non fare come tuo solito che cerchi di riconoscere le persone solo da uno sguardo. Non ha mai dato fastidio a nessuno, oltretutto. E so che ha avuto un’infanzia travagliata», controbatté Steve, tamburellando nervosamente le dita sul banco e Tony sapeva benissimo che cosa stava succedendo. Lo sapeva perché conosceva abbastanza il suo migliore amico da poter comprendere, solo dal linguaggio del corpo, che non gli stava piacendo la piega che aveva preso quel discorso. Ovvio che no, non piaceva nemmeno a Tony e per quanto avrebbe voluto fermare quel flusso di cattive parole rivolte ad una persona che nemmeno conosceva, decise di chiudere in bellezza con una frase ad effetto.

«Chi non l'ha avuta…?»

Steve arricciò le labbra, e si voltò verso il compagno di classe di cui stavano parlando e, alzando le spalle con una fastidiosissima autorità, aprì la bocca per chiamarlo. Tony sussultò, cercando di fermarlo, muovendo le mani in modo teatrale.

«Parker?» Il ragazzino del Queens alzò lo sguardo. Il suo sorriso scemo si attenuò per poi tornare a palesarsi con quella fastidiosa circostanza che Tony tanto odiava; molto più delle bugie che era costretto a sentire e dire ogni giorno.

«Sì?», domandò, chiedendo scusa ai suoi compagni quando fu invitato ad avvicinarsi a loro.

«Questo è il mio amico Tony Stark,» esordì Steve e Parker mostrò la mano che Tony strinse con una certa svogliatezza, «dice che ieri ti ha visto alla base operativa degli Avengers. Sai, è il figlio di Howard Stark, ne avrai sentito parlare. Che bolle in pentola?»

Peter Parker tremò per un impercettibile secondo. Il suo sorriso stupido si spense in una linea verso il basso, e per un attimo fu vero. Il vero detentore di un segreto che ora, a quanto pareva, aveva paura di non poter mantenere più.

«Già, Parker! Che bolle in pentola?», lo istigò Tony, con una certa soddisfazione nel tono di voce e l'altro ragazzo balbettò qualche parola sconnessa, prima di tornare a splendere radioso come un girasole.

«Ho… provato a fare un'applicazione. Forse mi prendono», mentì, e Tony si sentì profondamente deluso dal fatto che la sua versione e quella di Parker combaciassero così bene. Avrebbe voluto seriamente vederlo districarsi dentro quella menzogna, solo per togliersi la soddisfazione di averlo battuto. Perché sì, Tony nel più oscuro e nascosto angolo della sua anima, voleva poterlo veder sparire dalla sua vita prima ancora di lasciarlo entrare. Deteneva quel primato di persona più giovane dello S.H.I.E.L.D. da troppo. Coccolato e richiesto da tutti. Era il suo unico diletto in una vita fatta di prove, su prove, che suo padre non faceva che mettergli davanti per dimostrare al mondo che era degno di portare il suo cognome.

«Ci andrai anche oggi?», domandò, interrompendo Parker e Steve che avevano iniziato a parlare tra di loro. Parker si voltò a guardarlo. Le sue guance si colorarono di rosso e, lanciandogli una sola e incerta occhiata, rivolse gli occhi da un'altra parte mentre si spostava una ciocca di capelli dietro un orecchio.

Lo sa. Sa che io so.

«S-sì, ho un incontro con alcune persone. Una sorta di secondo colloquio. Da qui vedranno se ho le carte in regola per… far parte del team. Il team… dell'applicazione», balbettò.

«Di cosa ti occuperesti?», domandò Steve e Parker lanciò un'occhiata piena di paura verso Tony. Una troppo palese richiesta di aiuto, che non avrebbe mai ricevuto. Non da lui.

Fammi vedere che sai fare, Spider-Man., pensò, reprimendo un sorrisetto sghembo.

«Laboratorio di ricerca… studi di… cose. Sai, tipo… progetti per nuove tecnologie futuristiche. Cose noiose.»

«Cose noiose che non puoi capire, Rogers. Sei troppo scemo solo per provarci», confermò Tony, e se da una parte Steve gli aveva lanciato un’occhiata omicida per la battuta pungente, Parker gliene aveva riservata una di pura gratitudine, che ignorò di proposito.

Parker regalò loro un ultimo e preoccupato sorriso, quando Steve aveva iniziato a minacciare Tony di ucciderlo, prima di indicare dietro di sé con il pollice, verso il suo banco.

«Beh, torno al mio posto. Ci si vede da quelle parti, allora.»

Tony lo osservò, squadrandolo da capo a piedi, poi alzò un sopracciglio: «Sì, ci si vede lì, Parker».

 

 

Il suono della campana che decretava la fine delle lezioni era sempre un sollievo, ma quel giorno aveva avuto un tocco ancora più angelico, alle orecchie di Tony. Non vedeva l’ora di lasciare la scuola e, il suo stomaco contratto da chissà quale pensiero, era uno dei motivi principali per la quale avrebbe voluto raggiungere casa sua prima di subito. Era nervoso. L’idea di aver perso il primato come giovane promessa lo stava logorando e, per quanto trovasse ridicola quella gelosia verso Spider-Man, non riusciva proprio a superarla. Un dannato chiodo fisso, infilato in mezzo alla fronte, che gli stava rovinando una giornata che in realtà era andata pure abbastanza bene. Aveva preso il massimo dei voti al compito di Algebra, per non parlare dell’interrogazione di Economia: un vero successo! Eppure nemmeno quei risultati erano riusciti a distrarlo da quell’ingiustizia. Sì, perché era questo che Tony pensava di quel fatto. Anni e anni a cercare di entrare almeno nelle grazie dello S.H.I.E.L.D. – visto che, entrare in quelle di suo padre era praticamente impossibile – per poi ritrovarsi a dover condividere quel primato con il primo scemo mascherato che passava.

Superò la calca di gente raggruppata all’uscita, cercando di evitare Banner e Steve, che come sempre lo aspettavano per prendere l’autobus insieme. Non voleva vederli, né tantomeno parlarci. Sapeva che Rogers avrebbe continuato a fargli domande e che Bruce poi, di conseguenza, avrebbe voluto sapere di cosa accidenti stessero parlando.

No, l’argomento Peter Parker era chiuso. Chiuso!

Non voleva sentirlo nominare, né tantomeno vederlo o sentire la sua vocetta stridula dal forte accento del Queens, a dir poco fastidiosa.

«Stark?»

Tony alzò gli occhi al cielo. Parli del diavolo…

Finse di non aver sentito e proseguì la sua camminata verso la fermata dell’autobus, dove già un discreto numero di persone occupava la pensilina. Non sarebbe mai riuscito a prenderlo subito, avrebbe dovuto aspettare quello dopo e fu per quel motivo che, al secondo richiamo, infine si voltò. Non avrebbe potuto fare altrimenti.

«Ah, sei tu… Park… our? Park… coso¹  

«Parker!», esclamò Spider-Man, annuendo e sorridendo subito dopo, «Peter, se ti va».

Nah, non gli andava. Era già tanto se si era fermato e gli aveva concesso il suo preziosissimo tempo, figuriamoci mettersi a chiamarlo pure per nome, come se vi fosse una qualche confidenza; una di quelle che Tony proprio non voleva nemmeno contemplare nel remoto baratro della sua mente.

«Volevi qualcosa?», gli chiese, in tono disinteressato. Un piede già pronto a fuggire via. Parker annuì di nuovo. Si strinse nelle spalle e serrò una mano intorno alla spallina dello zaino, incerto. Arricciò le labbra e poi si avvicinò di più.

«Sì, io… volevo parlarti… dell’applicazione.»

Tony corrugò la fronte, poi sbuffò divertito e distolse lo sguardo. «L’applicazione? Avanti, Parker, lo sappiamo tutti e due che non esiste nessuna applicazione».

«No, infatti ed è per questo che vorrei chiederti di mantenere la massima riservatezza riguardo a quella cosa che sicuramente sai. Io… ti ho visto ieri, quando sono uscito dall'edificio – e anzi, scusami se ti ho praticamente investito a quel modo, ma avevo paura di perdere l’autobus, siccome era tardi e… sì, insomma, non l’ho detto davanti a Rogers perché avevo paura di complicare le cose, ma…»

Tony sentì il respiro mozzarsi di fronte a quella valanga di parole con cui lo appena sommerso, e si ritrasse. «Ma?»

Parker sembrò combattuto. Si avvicinò di più, superando quella che per Tony era la linea di demarcazione tra confidenza e semplice conoscenza. Gli diede un fastidio smisurato percepire così vicino quello sconosciuto con la quale non aveva mai parlato prima di quel momento. Avrebbe voluto fare un passo indietro, e si stupì di non averlo fatto in un riflesso incondizionato.

«Fury mi ha detto di te. So… so cosa  fai lì, ed è una figata, e ti rispetto tantissimo! Però… io ho bisogno della medesima cosa e ti devo chiedere  la… la massima riservatezza.»

Tony capiva perfettamente quella paura, ma non riuscì a trattenere comunque un irritato suono frustrato che palesò schioccando la lingua. Si mosse nervoso sul posto, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Davvero gli stava facendo quella specie di paternale? Davvero quel ragazzino lo credeva così infimo e cattivo da arrivare a tanto? Tony ci viveva, in mezzo a gente che divideva la propria vita in due, sperando di poter preservare il proprio segreto per sempre.

C’era in gioco la vita dei loro cari, e su questo Tony non giocava mai.

Si sentì offeso. Lo guardò scettico.

«Davvero, Parker? Pensi che non sia in grado di mantenere il tuo segreto? Per chi accidenti mi hai preso?»

«Non ho detto questo! Per la miseria, no!», rispose Spider-Man, lapidario, agitando le mani per fermare sul nascere quella che poteva diventare di sicuro una discussione, «Solo… è la prima volta che qualcun altro sa chi sono e ho paura. Paura per… per le persone che ho vicino. Mi sono fatto dei nemici, e se venissero a conoscenza di chi c’è dietro il costume… lo sai, no?»

Lo sapeva eccome. E per quanto quel Parker non gli andava poi così a genio, dovette dargli ragione. Forse anche lui, in una situazione speculare, avrebbe di certo chiesto all’altro di preservare quel segreto senza spifferarlo ai quattro venti. Ovvio, lo avrebbe fatto di certo con meno gentilezza, ma lo avrebbe fatto.

«D’accordo… d’accordo, senti, va bene. Terrò la bocca cucita. Questo però non significa che ora dovrai starmi attaccato al culo come una piovra, Parker. Lo tengo al sicuro, il tuo ragno, ma stammi alla larga, okay?»

Peter Parker sembrò disorientato da quella risposta. Rimase silenzioso, mentre tartassava nervosamente un lembo della sua giacca verde. Tony vide in quel mutismo un desiderio di dirgli tante di quelle cose, ma che quell’invito ad allontanarsi aveva troncato sul nascere. C’era evidentemente rimasto male.

Tony pensò che quello non era un suo problema.

«S-sì, certo. Io volevo solo mettere in luce questa cosa delle identità, non avevo intenzione di, insomma… non pretendo assolutamente che tu ed io… dai, perché mai dovremmo fare amicizia, o cose così? Il fatto di condividere questo segreto non significa che o-»

Tony alzò gli occhi al cielo e Peter si zittì, immediatamente. I suoi occhietti marroni da cucciolo indifeso si riempirono di tristezza, rendendo ancora più odioso quel suo carattere mite e sottomesso.

Logorroico. Che odio tremendo le persone così!

«Senti, devo andare. Ci si vede in giro, okay?»

«A… a dopo», mormorò l’altro, annuendo incerto e Tony si voltò dall’altra parte, mentre il panico più viscerale gli inondava l’animo nero. Deglutì aria; lo sguardo di Peter Parker che gli si insinuava nella schiena, affilato.

A dopo, aveva detto. Già, aveva completamente rimosso il fatto che quel pomeriggio si sarebbero rivisti per la riunione e che, stavolta, anche lui ne avrebbe fatto parte per stabilire se Spider-Man era o non era degno di unirsi alla crew.

A dopo, sembrava una sicurezza che per Parker voleva dire una nuova opportunità. Per Tony, era solo una mera minaccia.


Fine Capitolo II



 

«Try to see it my way, only time will tell if I am right or I am wrong.
While you see it your way there's a chance that
we may fall apart before too long»
We Can Work It Out – The Beatles


 
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¹ Shilyss, il coso is a rule of life for roman people... ♥

 
Angolo angoloso delle angolate pazzerelle di Miryel:
Buonasera a tutti! 
Come la va? Lo so, lo so. Vi avevo praticamente lasciati lì, a chiedervi cosa accidenti fosse successo tra Peter e Tony e vi schiaffo davanti un flashback. Suvvia, non è forse curioso anche conoscere COME i due sono arrivati a quel drammatico evento?
Forse no, però mi piace pensare che sia così xD
Mi auguro davvero tantissimo che questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi stia interessando e ringrazio tutti coloro che hanno deciso di recensirmi nello scorso capitolo, chi l'ha messa tra le seguite e preferite e i lettori silenziosi! Grazie davvero!
Vi do appuntamente a Venerdì/Sabato prossimo, 
sempre su questi romanissimi teleschermi!
Con affetto ripieno di panna,
Miryel

 
   
 
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