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Autore: Ellery    26/02/2019    1 recensioni
Bucky batté le palpebre, osservando il cielo azzurro d’inizio estate, solcato da qualche nube e da stormi di rondini di passaggio. Il sole aveva da poco iniziato il declino verso l’orizzonte. Sollevò la mancina, stendendola davanti a sé ed osservando i graffi che dal dorso scendevano verso il gomito. Non aveva bisogno di alzare anche l’atra mano, per conoscerne le medesime condizioni. [...]
Una testa bionda invase il suo campo visivo. Il volto tumefatto mostrava del sincero dispiacere e preoccupazione. C’era una sfumatura verde nello sguardo azzurro, ormai contornato dal violaceo dei lividi che andavano rapidamente spuntando.
«Come stai?» gli chiese lo sconosciuto.
«Ho passato momenti migliori.» si sforzò di sorridere, ma ottenne solo di far sanguinare nuovamente e labbra spaccate.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 3, Missione 2
* Prompt: Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale)
* Parole totali: 11567
Capitolo 1: 3200
* La ff è presente anche sul sito AO3, il cui link è l'unico ad essere stato segnalato per il cowt9 tramite apposito form.


 

Era stretto tra i paraurti di due auto parcheggiate vicino al marciapiede. Si era rannicchiato dietro una ruota, coprendosi il muso con le zampe anteriori e senza riuscire a smettere di tremare. Sentiva il rimbalzare dei sassi sulle vicine carrozzerie e delle voci che non riusciva a comprendere. Non rispondevano a nessuno dei pochi comandi che conosceva. Sapeva riconoscere le risate, ma quelle non gli sembravano di gioia o di allegria; parevano, piuttosto, degli schiamazzi perfidi, tinti di una venatura sadica gratuita. Non sapeva perché gli stessero lanciando dei ciottoli e urlando contro frasi apparentemente senza senso; se almeno fosse riuscito a comprendere le parole, forse avrebbe potuto rimediare a qualunque torto avesse fatto agli umani. Senza dubbio, un suo errore in buona fede, che tuttavia gli stava costando caro.

Uggiolò quando sentì un sasso rimbalzare sul selciato e cadergli sul naso, graffiando la pelle prossima al tartufo nero.

Nella sua breve vita da cane, non aveva mai incrociato tanta ferocia, tanto accanimento senza un reale motivo. Non era la prima volta che veniva percosso; il suo precedente proprietario lo batteva spesso con un giornale quando rovesciava le ciotole inavvertitamente o quando urinava per sbaglio sul tappeto. Alla fine, lo aveva buttato in strada una fredda notte di fine inverno. Aveva supplicato fino all’alba, piangendo e latrando, ma la porta non si era più riaperta. Si era accovacciato sullo zerbino, in attesa che il padrone uscisse per andare al lavoro; tuttavia, quando questi aveva superato la soglia di casa, lo aveva scacciato con una sonora pedata.

Aveva compreso di non essere più il benvenuto e se n’era andato. Aveva inutilmente cercato il conforto di un’altra famiglia, ma senza successo. Alla fine, si era rassegnato. Aveva trovato una vecchia cassetta con degli stracci in un vicolo e si era accomodato lì. Doveva cavarsela come poteva, elemosinando cibo e carezze dagli umani di passaggio. Era stato costretto a rubare per la fame, sfilando salsicce dalle bancarelle degli ambulanti. Aveva tentato di sopravvivere in tutti i modi.

Rimpiangeva amaramente il giorno in cui, quasi un anno prima, aveva lasciato la casa materna e il resto della cucciolata. Aveva salutato i fratellini e le sorelline con un vigoroso scodinzolare, convinto che la sua nuova vita sarebbe stata avventurosa, elettrizzante, colma d’affetto e dolcezza; invece, dopo alcuni mesi infernali, era stato gettato in strada quasi fosse spazzatura.

Gli umani non erano tutti buoni; lo aveva imparato a sue spese e la ferocia con cui quei quattro ragazzi si stavano accanendo su di lui era soltanto l’ennesima conferma. Che aveva fatto di male?

Un altro abbaio spaventato, mentre una pietra si schiantava contro il suo occhio sinistro, ferendo le palpebre.

«Vieni fuori, sacco di pulci! Vieni fuori, non ti facciamo niente…»

Menzogne mal strutturate. Non si sarebbe mosso da quel debole riparo offerto dalle auto.

«Ehi! Che state facendo?» quella voce era nuova. Era fresca, coraggiosa e conteneva una nota addirittura sfrontata. Cercò di spiare da dietro uno pneumatico.

A qualche metro di distanza era apparso un altro fanciullo. Non poteva avere che undici o dodici anni al massimo. Era basso, mingherlino; una zazzera di capelli biondi contornava un volto magro, ma risoluto. Gli occhi scivolavano dai teppisti alle macchine. Infine, le iridi azzurre incrociarono le sue.

«Ve la state prendendo con un cane?» domandò ancora il ragazzino.

«E tu chi diamine saresti?» il più grosso dei quattro si era piazzato davanti al nuovo arrivato, serrando i pugni sui fianchi e sollevando il mento, sfacciato. Superava il suo avversario di almeno un paio di spanne ed aveva degli orribili capelli color carota «Vattene, imbecille! Non sono affari tuoi.»

«Sono Steve Rogers e… credo dovreste piantarla! È soltanto un cucciolo.»

«E allora? Quello stronzo ha pisciato sulla mia bicicletta.»

«Non mi sembra un crimine così grave!»

«Che ne vuoi sapere tu? Fatti gli affari tuoi, Rogers! Oppure… cerchi rogne?»

«Tutti bravi a prendersela con un cane.» il ragazzino sollevò i pugni, indietreggiando di un mezzo passo «Perché non te la vedi con uno della tua taglia?»

Il rosso allungò la mancina, serrandola sul bavero della maglietta del suo smilzo avversario. Caricò la destra, pronto a far volare una sonora sberla al volto scavato di quell’insolente:
«Come te?» sghignazzò, mentre la sua espressione mutava in stupore e, infine, in una smorfia di dolore: un pugno si era abbattuto dritto sulla sua testa.

«No, come me!»

Il cane si sporse, al sentire una terza voce. Un altro ragazzo si era aggiunto al quadretto. Era più alto del biondo e un po’ più robusto. Indossava un paio di pantaloncini corti e delle scarpette di cuoio, oltre ad una anonima maglietta a righe. Le ciocche castane, completamente in disordine, incorniciavano un viso dalle guance morbide e dal cipiglio deciso. Gli occhi, di un insolita tonalità grigio-azzurra, lampeggiavano di rabbia e d’orgoglio.

Lanciò un corto latrato, come un piccolo incoraggiamento ai due salvatori; poi tornò a rannicchiarsi tra le auto, il muso nuovamente nascosto tra le zampe.


 

***

 

Si era precipitato in strada quando aveva sentito le urla. Aveva abbandonato i compiti, dimenticandosi persino di chiudere la porta. Conosceva – purtroppo – quella voce smargiassa e senza scrupoli. Apparteneva a Gideon Murray, un irlandese grosso quanto un toro e altrettanto stupido. Sfortunatamente, Gideon era abbastanza forte e carismatico da farsi servire e riverire da altri imbecilli che si vantavano d’averlo come amico.

Non era la prima volta che si batteva con lui. Naturalmente, non aveva vinto nemmeno uno scontro, ma questo non bastava a farlo desistere.

Si era fiondato sul gruppetto non appena l’aveva visto accerchiare un ragazzino biondo, probabilmente nuovo del quartiere. Non lo aveva mai visto, ma sembrava un tipetto a posto. Quanto meno, aveva avuto il coraggio di tenere testa a quell’idiota di Murray.

Bucky batté le palpebre, osservando il cielo azzurro d’inizio estate, solcato da qualche nube e da stormi di rondini di passaggio. Il sole aveva da poco iniziato il declino verso l’orizzonte. Sollevò la mancina, stendendola davanti a sé ed osservando i graffi che dal dorso scendevano verso il gomito. Non aveva bisogno di alzare anche l’atra mano, per conoscerne le medesime condizioni.

Sentiva male un po’ ovunque; il ginocchio destro protestava vigorosamente dopo essere stato ripetutamente calpestato e gli zigomi si stavano gradualmente gonfiando, così come la guancia destra. Sentiva i ciottoli del selciato pungergli fastidiosamente la schiena. Quei quattro lo avevano pestato per bene, ma se pensavano d’avergli impartito una lezione sbagliavano di grosso. Non si sarebbe piegato; la prossima volta, si sarebbe fatto trovare preparato, e allora…

Una testa bionda invase il suo campo visivo. Il volto tumefatto mostrava del sincero dispiacere e preoccupazione. C’era una sfumatura verde nello sguardo azzurro, ormai contornato dal violaceo dei lividi che andavano rapidamente spuntando.

«Come stai?» gli chiese lo sconosciuto.

«Ho passato momenti migliori.» si sforzò di sorridere, ma ottenne solo di far sanguinare nuovamente e labbra spaccate.

«Ti chiedo scusa…»

Si rimise lentamente a sedere, raddrizzando le spalle e incrociando cautamente le gambe. Posò i palmi sulle caviglie, controllando fossero integre con la punta delle dita.
«Per cosa?» domandò.

«Lo hai fatto per aiutarmi e…»

Scosse leggermente il capo, ignorando il bruciare dei muscoli del colo:
«L’ho fatto perché Gideon è un idiota. Non lo sopporto. Non ho nemmeno capito perché ce l’avesse con te. Voleva derubarti? Di solito, lo fa con i nuovi… cerca sempre di spillare i soldi della merenda.»

«No, niente del genere.»

Vide il ragazzino indicare le due auto parcheggiate accanto al marciapiede. Si chinò a fatica, cercando di spiare sotto il ventre delle vetture. I suoi occhi chiari incrociarono quelli nocciola di un cane; il pelo, una volta bianco, era macchiato di terriccio, fango e di striature rossastre. Non pesava più di una decina di chili. Le zampette, rannicchiate vicino al muso spaventato, tremavano vistosamente.
Si mise a carponi, cercando di strisciare verso l’animale. Allungò la destra, lasciando che il tartufo scuro l’annusasse attentamente.
«Vieni, su…» lo incoraggiò «Vieni. Non ti faccio niente.» promise, mentre il cucciolo prendeva a muoversi lentamente, gattonando in sua direzione «Ce l’avevano con lui?» domandò, cercando l’altro ragazzo con la coda dello sguardo.

«Sì. A quanto pare, ha urinato sulla bicicletta dell’irlandese.»

«Che scemenza.» sentenziò, mentre il cane gli scivolava cautamente in braccio. Passò le dita nel pelo ruvido, cercando di districare i nodi «Anche te non sei messo bene, eh?» disse, ricevendo in cambio un leggero uggiolato «E tu nemmeno.» tornò a squadrare il nuovo arrivato. I capelli biondi si erano incollati alla fronte madida di sudore e striata di sangue; le guance si stavano gonfiando, come quelle di un rospo arrabbiato. I lividi su gambe e braccia stavano diventando evidenti. Tese infine la destra:
«Sono Bucky.» disse, mentre l’altro gli stringeva cautamente la mano.

«Steve.»

«Non sei di queste parti, vero? Non ti ho mai visto nel quartiere.»

«Abitavamo in un’altra zona di Brooklyn. Ci siamo trasferiti soltanto qualche giorno fa.» la bocca sottile si tese in una smorfia incerta «Devo ammettere che mi aspettavo un benvenuto un po’ diverso.»

Bucky scrollò piano le spalle:
«Non ti crucciare. Gideon è un imbecille, non merita nemmeno una goccia del tuo rammarico.» si alzò, stringendo a sé il cane e sollevandolo senza nessuno sforzo «Vieni. Saliamo a darci una ripulita.»


 

***

 

Il suo appartamento era situato al terzo piano di una anonima palazzina nel cuor del quartiere. La facciata a mattoni rossi e qualche balconcino con dei gerani non era sufficiente ad abbellire l’edificio, il cui interno era, però, accogliente.

Bucky superò la soglia di casa, richiudendo la porta in noce oltre le proprie spalle.

«Di qua.» sussurrò, piegando immediatamente a sinistra ed inoltrandosi in un salottino arredato a modo. Vi erano delle librerie ricolme di volumi e un piccolo sofà a fiori, accompagnato da due poltrone in stoffa simile. Su un basso tavolino faceva bella mostra un servizio da the in porcellana decorata.

«Accomodati dove vuoi. Torno subito.» promise, lasciando il cucciolo libero di gironzolare per la stanza.

Fu di parola. Rientrò qualche istante dopo con una cassetta metallica sotto il braccio destro. La aprì sul pavimento, permettendo al il cane bianco di infilare il naso tra disinfettanti, garze e bendaggi.

Bucky versò dell’alcool su un panno, tergendo rapidamente il muso della bestiola. Pulì le ciocche sporche di sangue, controllando che i tagli non fossero profondi.

«Va tutto bene, ok? Non sono danni gravi. Qualche giorno e sarai di nuovo in forma.» sussurrò, arruffando i ciuffetti spettinati del bastardino, prima di tornare al proprio ospite. Steve Rogers si era appollaiato sullo sgabello del pianoforte. Sembrava a disagio: si guardava attorno nervosamente, con le dita che affondavano nel cuscino porpora sotto di sé. I piedi poggiavano a stento a terra e le gambe esili erano ormai coperte di lividi violacei. Dalla fronte colava ancora un rivolo rossastro. «Per noi temo ci vorrà un po’ di più.» ironizzò, rimettendosi a frugare nella cassetta di pronto soccorso.

Recuperò una garza, coprendola di abbondante disinfettante.

«Brucerà, temo.» avvertì, prima di premerla contro la tempia altrui, tamponando il graffio con sin troppo vigore. Ridacchiò quando colse una leggera imprecazione sfuggire al biondo «Comportati da uomo, suvvia!» lo punzecchiò, mentre l’altro gli rifilava uno sbuffo divertito:

«Come infermiere fai schifo.»

«Mh, vedrò di rimediare laureandomi in medicina, allora.» passò la pezzuola bagnata sulla mandibola, pulendo un altro taglio «Quanti anni hai, Steve?»

«Quasi dodici. Tu?»

«Tredici. Siamo quasi coetanei, anche se… te ne avrei dati meno. Pensavo fossi sui dieci.»

Colse l’altro accigliarsi e, poco dopo, abbassare lo sguardo afflitto. Aggrottò la fronte:
«Qualcosa non va?» domandò, ingenuamente. Non riusciva a comprendere dove avesse sbagliato. Forse all’altro non faceva piacere sentir rimarcata la propria età? Non che fosse difficile da capire. In fondo, Steve Rogers era più basso e gracile di lui; e di parecchio, se come termine di paragone si prendeva Gideon.

«No, tutto a posto.»

Strinse appena le labbra. La menzogna nelle parole altrui era ben palpabile. Decise di cambiare argomento, senza indagare ulteriormente.

«Dove abiti, Steve? Hai detto che ti sei trasferito qui da poco.» chiese, recuperando uno stretto rotolo di bende. Prese a passarle attorno alla fronte altrui, ben attento a non coinvolgere nella fasciatura anche la frangia dorata.

«Nella palazzina azzurra oltre l’incrocio. Non è molto lontana.»

«E che ci facevi da queste parti tutto solo?»

«Buck… saranno, sì e no, cento metri di distanza. Comunque, stavo andando in drogheria; abbiamo finito il sale a casa e mamma non se n’era accorta.»

«è stato molto coraggioso, sai?»

«Uscire di casa per comprare del sale?»

«No, ovviamente. Affrontare Gideon per… lui.» accennò col mento al cane, che stava annusando un po’ ovunque «A proposito, hai posto per ospitarlo? Io… non credo che mia madre me lo farà tenere.»

«Posso provare a chiedere, ma… anche mia mamma è abbastanza contraria agli animali in casa.»

Fissarono il cucciolo per qualche lungo istante, prima di stringersi entrambi nelle spalle. Ormai l’animale c’era. Non potevano certo ributtarlo in strada. Dovevano soltanto decidere chi dei due avrebbe affrontato le ire genitoriali per poterlo adottare definitivamente.
«Potremmo tenerlo un po’ per uno.» propose infine, fissando la fasciatura alla fronte altrui ed osservando la propria opera. La benda cadeva di lato, sulla destra. Non era stata stretta bene, ma non aveva alcuna voglia di ricominciare da capo. Recuperò una garza pulita, evitando accuratamente l’alcool, e tamponandosi il labbro spaccato «A proposito… è un maschio o una femmina?»

«Maschio. Ho controllato mentre eri in bagno a prendere i disinfettanti.»

«Dovremmo dargli un nome.» si grattò il capo, come alla ricerca di ispirazione «Mh… Sam?»

«Il mio vicino di casa si chiama Sam!»

«Allora diamogli il nome di una cosa. Tipo… Divano!»

«è un nome orribile.» colse una lieve risata nella voce del biondino «è bianco… potremmo chiamarlo Latte o Neve o....»

«Preferisco Sam.»

«Sì, anche io…»


 

***

 

Bucky sussultò quando sentì un passo deciso avanzare nello stretto corridoio. Le scarpe con il tacco marcavano un’andatura quasi militare. L’intenso profumo di mughetto si diffuse immediatamente, accompagnando l’arrivo di una signora distinta, abbigliata con un ampio abito color crema. I capelli ramati erano stretti da un vistoso fermaglio rubino, che riprendeva con precisione il rossetto sulla bocca morbida e il velo di ombretto sulle palpebre. Gli occhi chiari, identici a quelli del figlio, si fissarono con orrore sul mastello colmo piazzato al centro del bagno. Schizzi di acqua tingevano le piastrelle del pavimento e salivano sino alle pareti. Nel catino, un cagnolino bianco sembrava bearsi dei colpi di spazzola e del profumo del sapone alla lavanda.

«James Buchanan Barnes, che stai combinando?!» la voce, solitamente calda e melodiosa, era ridotta ad uno stridulo spazientito.
«Buongiorno, madre.» Bucky si rialzò, affrettandosi a nascondere il pettine dietro la schiena «Beh, niente. Io e il mio amico abbiamo salvato questo cane. Era piuttosto sporco e abbiamo pensato di fargli un bagno. Tutto qui…»

Lo sguardo sconvolto della signora scivolava dai ragazzi all’animale, alternandosi con rapidità preoccupante. Una mano affusolata corse a coprire le labbra, spalancate in una smorfia stupita.

«Che diamine vi siete fatti? Siete coperti di lividi!»

«Abbiamo avuto… un piccolo scontro con Gideon Murray.»

«James, quante volte ti ho ripetuto di stare lontano da lui?» non vi era più nulla di gradevole nel tono; al contrario, una sfumatura irritata cresceva nella voce femminile.

«Stava picchiando il cane e… Steve.»

La signora Barnes parve riscuotersi a quelle parole. Fissò l’altro ragazzo che, imbarazzato, aveva trovato rifugio tra il lavello e la tazza del gabinetto. Lo squadrò con attenzione, cercando di catturare ogni dettaglio. La fasciatura sulla fronte era decisamente larga e malfatta, così come le garze – fissate da dei cerotti a nastro – che tappezzavano le braccia e le gambe del giovane. Mostrava un’aria impaurita, quasi temesse d’essere rimproverato o scacciato. La donna allungò le dita, scostando le ciocche bionde dalle tempie.

«Questa immagino sia opera di James, non è vero?» chiocciò, saggiando il bendaggio molle «Vieni con me. Ci penso io a sistemarlo. Sei un suo amico?»

«Sissignora.»

«Abiti qui da poco?»

«Sissignora.»

«Avete la stessa età?»

«Quasi, signora.»

La donna rise, scuotendo leggermente il capo:
«Santo cielo, figliolo!» lo apostrofò, prendendolo per una mano e guidandolo verso la cucina «Non sei mica in una caserma militare. Rilassati, d’accordo? Fa come se fossi a casa tua. Ti andrebbe una cioccolata?»

«Sì, io… sì, grazie.» sussurrò Steve, mentre la voce di Bucky arrivava puntuale dopo pochi attimi:

«La voglio anche io.»

La signora Barnes affilò un sorriso tagliente:
«Tu ora finisci di lavare il cane, di riordinare il bagno e di pulire il pettine di tuo padre! Non credere che non mi sia accorta, sai? Non voglio trovare un singolo pelo tra i denti di quella spazzola!»


 

***

 

La signora Barnes finì di fissare meglio il bendaggio, osservando la propria opera soddisfatta.

«Molto meglio, che ne dici?» domandò, mentre Steve saliva a toccarsi la fronte. Sentiva la fasciatura più solida. Le tempie avevano smesso di pulsargli e anche il dolore alle braccia e alle gambe si era attenuato, forse anche grazie agli stracci bagnati che la donna aveva applicato sui suoi lividi.

«Grazie, signora.» mormorò, mentre si vedeva recapitare una tazza di cioccolata bollente. Afferrò un biscotto da una vicina scodella, intingendolo nel liquido caldo «è davvero gentile.»

«Figurati, mio caro. Allora, abiti lontano?»

«No. Nella palazzina azzurra oltre l’incrocio.»

«Ti accompagnerò, non appena sarai pronto. Temo che tua madre vorrà delle spiegazioni. Ci penserò io a raccontarle tutto, non temere. Mi dispiace che James ti abbia coinvolto in una delle sue stupidaggini. Mi domando quando metterà la testa a posto.»

«In verità, signora…» attaccò Steve, servendosi un altro biscotto « è venuto ad aiutarmi. Non so cosa avrei fatto senza di lui.»

«Lo so.» uno sbuffo sfuggì alle labbra della donna «è fatto così. Non riesce a stare alla larga dai guai e… quando vede qualcosa di sbagliato, non sa far finta di nulla. A volte sembra che voglia aggiustare tutti i torti di questo mondo. Dovrei essere orgogliosa di lui, di questo senso di giustizia che si porta appresso, ma… la verità, è che non posso fare a meno di preoccuparmi. Ho sempre paura che un giorno o l’altro ritornerà con un braccio rotto o un proiettile piantato nella schiena.» la vide scuotere il capo e cancellare in fretta quelle preoccupazioni dal volto. Un nuovo sorriso nacque sulla bocca carnosa «Scusa, non volevo tediarti con qualche sciocca congettura. Prendi un altro biscotto. Allora… i tuoi genitori di cosa si occupano?»

«Mia madre è sarta e mio padre è morto in guerra, qualche anno fa.»

«Mi dispiace, caro. Sono stata indiscreta, perdonami.»

«No! Non si preoccupi, io… sono molto fiero di quello che ha fatto mio padre. Vorrei poter diventare un uomo come lui e rendere orgogliosa mia madre.»

«Oh, sono certa che lo sia già, credimi. Sei un ragazzo adorabile e con la testa sulle spalle. Quanto vorrei che James imparasse da te.» sospirò la donna, tornando poi a fissar l’uscio della cucina: dal fondo del corridoio, in direzione del bagno, si sentivano uggiolati infastiditi e imprecazioni affatto velate «Che pensavate di fare del cane?»

«Non lo sapevamo. Non volevamo ributtarlo in strada, solo… non so se mia madre acconsentirà a tenerlo.»

«Chissà.» la signora strizzò un occhio, con fare complice «Magari riusciremo a convincerla.»

 
  
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