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Autore: Tenar80    22/03/2019    4 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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Rieccoci qui! Il programma libero è andato, il peggio sarà alle spalle?
Al contrario di quanto accadeva settimana scorsa, questa volta (e anche la prossima), il capitolo è breve. Credo capirete il perché.
Colgo l'occasione per ringraziare di cuore chi sta leggendo (i lettori sono aumentati esponenzialmente in questi ultimi giorni! Gioia e gaudio!) e chi ha voluto o vorrà spendere qualche minuto per commentare.
Da qui in poi i nostri hanno bisogno di tutto il vostro appoggio!  

Come va? 

    Victor si vergognò nello scoprire l’esitazione nella propria voce.

    Il medico si limitò a grugnire a tastargli la caviglia, mentre l’atleta stringeva i pugni per il dolore.

    Almeno era in buone mani.

    La posizione di Yakov si era ribaltata dopo lo scoppio dello scandalo doping. Prima era stato a un passo dall’esonero, poi di colpo era diventato l’allenatore più presentabile di Russia. Aveva avuto carta bianca sia sulle convocazioni, il che spiegava la presenza di Victor e di Yuri, sia sullo staff tecnico e quindi si era fatto accompagnare dal medico che ormai da anni seguiva i pattinatori della pista di San Pietroburgo. 

    – Quindi? – riprovò Victor.

    – Certo non poteva migliorare… – sospirò il medico. – Domani, appena dopo la gara facciamo una lastra e vediamo in che condizioni è… Se la vedo adesso finisce che devo chiederti di ritirarti ed è un’esperienza che non voglio rifare.

    Victor abbozzò un mezzo sorriso.

    Quella era la terza volta che la caviglia destra si fratturava. Prima del libero dei mondiali del 2013, durante l’allenamento pre gara, un altro atleta gli aveva tagliato la strada. Anche col senno di poi, Victor non avrebbe saputo dire se era stato un incidente o un tentativo deliberato di toglierlo dalla competizione. In ogni caso, per non finirgli addosso, con esiti potenzialmente drammatici per entrambi, lui si era sbilanciato, aveva piegato male il piede e la caviglia aveva ceduto. Ne era risultata un’estenuante discussione telefonica con il medico e una peggiore dal vivo con Yakov, al termine della quale Victor era tornato in pista tra i grugniti di disapprovazione per andare a prendersi quel maledetto oro. Poi era stato fermo parecchio, certo, e la riabilitazione era andata per le lunghe, ma il viso di entrambi, quando aveva terminato l’esibizione era stato impagabile.

    Ma aveva cinque anni e parecchie gare sulle gambe in meno.

    – Adesso, per favore, usa le stampelle – continuò il medico. – Questa sera controlliamo quanto si è gonfiata e vediamo cosa possiamo fare.

    – … Victor…?

    L’atleta russo alzò la testa di scatto, sentendo la voce di Yuuri. Il viso del giapponese fece capolino dalla porta degli spogliatoi.

    Ed era proprio quello di chi avevo bisogno… Anche se…

    – Yuuri, non sei andato con Tamura?

    Il compagno scosse il capo.

    – Ho chiesto a Yakov se potevo restare.

    – Vieni qua, non abbiamo bisogno di giustificarci o chiedere il permesso a nessuno.

    Victor voleva alzarsi per abbracciarlo, ma non era il caso. E comunque era bello anche venir abbracciato.

    – Hai visto il messaggio di Chris? – chiese Yuuri, dopo avergli posato un bacio leggero sulla fronte.

    – No.

    – Chiede se vogliamo mangiare qualcosa tutti insieme, alla mensa

    Victor guardò le stampelle che il medico aveva appoggiato vicino alla panca su cui era seduto. Non aveva voglia di essere visto così dagli avversari, prima della gara. Ma Chris, Yuri, Otabek o anche Phichit non erano propriamente avversari. Non potendo passare quello che restava del pomeriggio ad amoreggiare con Yuuri era forse, davvero, ciò che voleva fare. E poi c’erano le parole di Mila. Non voleva che una cosa meschina come la paura si insinuasse nella sua ultima finale olimpica, ma forse era meglio non farsi trovare da solo.

    – Certo – rispose. – Una mezz’ora e possiamo essere lì.

 

*

    – Al quadruplo Axel! – disse Chirs.

    – Al quadruplo Axel! – risposero in coro gli altri.

    Yuuri era felice.

    Certo, brindare con delle tazze di the, alle cinque e mezza del pomeriggio in una mensa deserta era quasi imbarazzante. Senza neppure un giorno di riposo tra il corto e il libero, the con i biscotti era proprio il massimo della trasgressione che dei pattinatori potessero permettersi. Solo Chris si era rifiutato e aveva preteso almeno una cioccolata, per sentenziare subito dopo che la Corea poteva avere anche tanti pregi, non che a lui fossero evidenti, ma chiamare quella brodaglia cioccolata era un insulto a lui e alla Svizzera tutta.

    Questo non rendeva il tutto meno perfetto. 

    Il viso di Victor aveva un’espressione che Yuuri cercava in ogni modo di imprimersi nella memoria. Lo guardo era un po’ vacuo per via degli antidolorifici, ma per il resto esprimeva una soddisfazione rilassata e persino un po’ stupita.

    Non eri sicuro neppure tu che ce l’avresti fatta.

    Cinque ori mondiali. Un altro argento olimpico già al collo. Il primo al mondo a completare il quadruplo Axel in gara.

    Non è solo questo.

    È il renderti conto che ti vogliamo bene. Non solo io o Chris. Tutti… Certo, non J.J., forse, che infatti non c’è. Ma per tutti noi oggi non sei un avversario da battere. Sei qualcosa di più. Sei qualcuno di cui andiamo fieri.

    Yuuri notò che il suo omonimo russo guardava con nervosismo il cellulare.

    – Otabek non viene? – gli chiese.

    Oltre a loro, Victor e Chris c’erano Phic, Guang-hong e Ken. Non la compagnia che Yurio preferiva.

    – Aveva il massaggiatore alle quattro e mezza. La loro spedizione è un po’ a ranghi ridotti.

    Yuuri annuì. In quanto possibile medaglia olimpica veniva riempito di attenzioni dalla federazione giapponese in un modo che lo imbarazzava e, nonostante i modi ruvidi, anche Yakov e tutto il suo staff si prodigavano per gli atleti russi. Il Kazakistan aveva meno fondi e Otabek non aveva, ad esempio, possibilità di scelta sugli orari degli appuntamenti.

    Forse anche per questo è teso e si è comportato in modo così strano per tutta l’olimpiade.

    – Quindi vi siete chiariti? – chiese Yuuri.

    Uno scontro deliberato durante un allenamento meritava ben più di un chiarimento, in effetti.

    Yurio sbuffò.

    – Bah… Non… Tu e Victor non litigate mai? Eppure lui a volte è così insopportabile!

    Insopportabile?

    – Certo che litighiamo. È così che funziona un qualsiasi rapporto a cui tieni… Rimanere in equilibrio è come… Esercitarsi in un programma difficile? Si finisce per forza per cadere, ma di solito sono solo lividi che passano in fretta.

    Quindi ha ragione quella malalingua di Victor? Non è proprio un’amicizia quella di cui stiamo parlando?

    Yurio scosse la testa, poco convinto.

    Di colpo ricordò a Yuuri il ragazzo più giovane con cui aveva condiviso qualche settimana di allenamento in Giappone. A volte aggressivo, a volte fragile come un micetto.

    – Sai… – ricominciò Yurio. – A volte mi manca l’allenarci insieme. Da che Georgi si è ritirato e Victor non viene più, non ho nessuno con cui confrontarmi.

    – Anche a me pesa l’allenarmi da solo – disse Yuuri.

    Strano, non lo aveva mai detto a Victor. Eppure era vero. Gli mancava Phic. O comunque avere un amico in pista. C’erano cose che non si potevano condividere neppure con un fidanzato-allenatore-avversario. Parlar male dell’allenatore, ad esempio, aveva delle difficoltà intrinseche. E tutti gli atleti qualche volta avevano il bisogno di farlo.

    – A volte essere solo in due è un po’ asfissiante – ammise. – Persino con Victor.

    – Figurati con Yakov.

    Il rumore di passi fece voltare Yurio in un millisecondo.

    Ma non era Otabek. Era J.J. E l’abituale sorriso del canadese aveva una piega sarcastica.

    – Hai proprio una bella corte di lecchini, Victor – esordì.

    Il russo si limitò a inarcare un sopracciglio.

    – Sei stato invitato a unirti a noi, mi pare – disse Victor, in tono abbastanza cortese.

    – Per far cosa? Unirmi al coro adorante?

    – Potevi esserci tu al mio posto. Bastava avere il fegato di fare quel salto.

    Yuuri intercettò lo sguardo preoccupato di Chris. Non era facile portare Victor allo scontro verbale, ma la sua rabbia, come aveva imparato il giapponese, era sempre pericolosa.

    J.J. provò a rispondere, ma quello che gli uscì fu solo un soffio rabbioso.

    – Il fatto è che pensavi di aver già vinto – continuò Victor. – Ma non bastano i muscoli per diventare un grande campione. Ci vuole anche la testa. 

    Yuuri vide i pugni del canadese stringersi e lui sentì l’impulso di mettersi davanti al fidanzato.

    È la prima volta che penso di poter essere io a proteggere lui.

    Ma non ce ne fu bisogno, J.J. emise un altro verso stizzito.

    – Domani sarà tutta un’altra storia – grugnì.

    – Sognalo pure – ribatté Victor, serafico.

    Poi tutti rimasero a guardare il canadese allontanarsi.

    – Dite che ho esagerato? – chiese Victor, quando J.J. fu uscito.

    Chris scosse il capo.

    – Se l’è cercata – sentenziò. – Hai ragione tu. Se poteva farlo, doveva farlo e poche storie.

    Victor lanciò un’occhiata di sbieco alle stampelle.

    – Domani, però, mi spianerà – sospirò.

    – Sarebbe carino, davvero, se per una volta tu concedessi un’opportunità anche a noi comuni mortali – replicò lo svizzero. – Ma se ti fai mettere i piedi in testa da quel bambinone ti spacco l’altra gamba.

    – Vedremo… – mormorò Victor. Poi guardò il cellulare – Sarà il caso di andare. Io e Yuri tra poco abbiamo la riunione tecnica.

    Gli altri annuirono.

    I due programmi così ravvicinati erano un problema per tutti e tutti dovevano rivedere le strategie con i rispettivi allenatori.

    – Se mi sbrigo riesco almeno a chiamare Janine – mormorò Phic, avviandosi in tutta fretta con Guang-hong e Ken.

    Victor terminò il proprio the e poi con un grugnito recuperò le stampelle e si misi in piedi.

    – Sono proprio imbarazzante – disse, scuotendo il capo.

    – Parla mister 112.60 – replicò Chris, finendo con calma un biscotto.

    Yurio si mise in piedi di malavoglia, sempre guardando il cellulare.

    Eh, sì, potrebbe proprio essere un caso di innamoramento.

 

    Yuuri stava ancora pensando all’amico, quando, poco fuori dalla mensa, si accorse che qualcosa non andava.

    Non c’era nessuno in giro, ad eccezione di cinque uomini che avanzavano verso di loro. Due avevano la maglia della squadra di hockey degli Atleti Olimpici Russi, gli altri tre delle tute anonime. Tutti sembravano ubriachi e tre di loro avevano in mano delle bottiglie di birra in vetro. Impossibile equivocarne le intenzioni.

    – Andatevene! – disse Victor. – Ce l’hanno solo con me.

    – Sei matto! È dai tempi della scuola che non partecipo a una rissa – replicò Chris.

    – Sono grossi il doppio di noi – fece notare Yurio.

    Yuuri si trovò a concordare con il ragazzo russo, mentre un panico del tutto diverso da quello abituale lo invadeva. Non si era mai picchiato con nessuno, neppure ai tempi della scuola. E quella aveva tutta l’aria di essere una trappola organizzata.

    – Vattene, Yuuri – gli ringhiò Victor, mentre tre degli uomini si avvicinavano.

    Lui scosse il capo e si tolse gli occhiali.

    È qui che voglio stare.

 

*

 

    Perché non ho detto niente a Yuuri? Come pensavo di proteggerlo? O a Yakov? Perché mi sentivo patetico e paranoico? Sono un idiota e mi merito esattamente questo. Ma Yuuri no, maledizione. Yuuri no.

    Non aveva mai avuto così tanta paura.

    Anche fosse stato in piena forma, non avrebbe avuto idea di come reagire. 

    Pateticamente, mentre correvano verso di loro, provò a puntellarsi sul piede sinistro per usare in qualche modo la stampella…

    – Quella dalla a me! – sibilò Chris, strappandogliela di mano.

    Il primo colpo fu loro. 

    Brandita come una clava, la stampella andò a impattare contro la testa di uno degli aggressori.

    Sono due riserve e tre non so chi. Gente sacrificabile. E non sembrano per nulla ubriachi.

    Non ci fu più il tempo per pensare. 

    Un pungo, dato da una mano protetta da un guanto che nascondeva qualcosa di metallico, lo colpì alla zigomo, buttandolo a terra.

    Victor non riuscì a fare null’altro che raggomitolarsi e proteggersi la testa con le mani.

    – Yuuri, vattene! – gridò, mentre un calcio lo colpiva.

    – Non c’è quasi gusto, contro una checca simile – sibilò il suo aggressore.

    Ma la cosa peggiore fu sentire Yuuri gridare e intravedere uno degli energumeni con quello che restava di una bottiglia rotta in mano. 

    C’era del sangue. Di chi?

    Arrivò un altro calcio.

    Se almeno fosse svenuto in fretta…

 

    *

    Yuri era rimasto paralizzato.

    Non aveva capito davvero quello che stava succedendo fino a che non aveva visto Chris prendere una delle stampelle di Victor e darla in testa a uno di quei gorilla ubriachi.

    Perché diavolo ce l’hanno con noi?

    … No. Perché diavolo ce l’hanno con loro?

    Lo stavano bellamente ignorando. 

    Era appena due passi indietro, ma era come se non esistesse. 

    Victor cadde a terra con un gemito da cucciolo. 

    Anche in condizioni normali Victor era del tutto impreparato di fronte alla violenza fisica, ma colpire un uomo che si reggeva su delle stampelle e continuare a farlo una volta a terra era una delle cose più vigliacche a cui Yuri avesse assistito.

    Yuuri, con l’aria di chi non sapeva assolutamente cosa fare, si mise tra lui e un tizio che aveva in mano un coccio di bottiglia. 

    Yuri lo vide ripararsi d’istinto la faccia e poi lo sentì gridare.

    Basta! Ci sono anch’io!

    – Lasciate stare i miei amici! – gridò, correndo in avanti.

    Una parte della sua mente gli ricordò che pesava cinquantotto chili, contro gli almeno ottanta di ciascuno degli aggressori.

    Fanculo!

    – Vattene, ragazzino, non ce l’abbiamo con te – gli gridò in russo uno dei gorilla.

    – Sono io che ce l’ho con te!

    Si allenava da tutta la vita a saltare. Farlo per cacciare un dito in un occhio a un tizio di un metro e ottanta non gli mai capitato, prima.

    Però non mi è uscito così male.

    Il pensiero successivo fu bloccato da un colpo proprio al centro della fronte, dato da qualcosa di maledettamente duro che doveva stare sulla mano di quel tipo.

    Yuri cadde all’indietro.

    Giusto in tempo per vedere qualcun altro che si gettava sul suo aggressore con una mossa da giocatore di rugby.

    Era Otabek.

 
   
 
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