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Autore: Tenar80    04/04/2019    2 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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L'ANGOLINO DELL'AUTRICE: eccoci. Ci siamo quasi, il libero della gara individuale maschile sta per cominciare. Prima, però, c'è ancora tempo per qualche chiarimento e forse per qualche sorpresa.
Per me, prima del prossimo, conclusivo, capitolo fiume, c'è lo spazio per ringraziare tutti i lettori che sono giunti fin qua e tutti coloro che dedicano qualche minuto del loro tempo per una recensione, che è sempre graditissima. Un ringraziamento speciale a Syila, che mi ha preso per mano fin dal mio ingresso in questo fandom e trova sempre un momento per queste mie siocchezze.


     La mattina, anzi, ancora la notte, ben prima dell’alba, del giorno della finale.

    Yuuri non aveva quasi chiuso occhio, ma non si era aspettato di farlo.

    Eccomi qui. E nulla è come me lo ero immaginato.

    Si passò la mano destra a qualche centimetro dall’avambraccio sinistro. Al momento i punti tiravano e pizzicavano, ma l’infermiera aveva assicurato che sarebbe passata al palazzetto subito prima della gara, per l’anestetico locale. Anche così non era davvero un problema. Che pattinasse bene o male, non sarebbe dipeso da quello. Dal resto, non sapeva dirlo.

    Quanto sono diverso dalla persona di quattro anni fa. O anche da quella che ha guardato fuori da questa stessa finestra, la prima sera. E questa nuova determinazione. Non sono certo che mi appartenga, ma neppure che mi dispiaccia.

    La conferenza stampa, la sera prima, era stata un’esperienza strana. Istruttiva, sotto molti aspetti.

    Alla fine erano andati lui, Yakov, Tamura e Chris, accompagnato da un dirigente svizzero. In quanto minorenne, Yurio era stato tenuto fuori. Otabek, invece, aveva avuto da ridire con la propria dirigenza, ma la federazione sportiva kazaka non se la sentiva di attaccare quella russa e Yuuri era contento che alla fine avesse accettato di rimanerne fuori. Sperava solo che la rabbia non gli impedisse una buona prestazione. Se c’era qualcuno che si meritava una grande gara, quel giorno, era sicuramente Otabek. Anche se il modo in cui Yurio lo aveva guardato per tutta la sera prima era, forse, già la medaglia che voleva.

    Le domande, alla conferenza stampa, erano state sgradevoli.

    I giornalisti russi volevano avvalorare la tesi della rissa tra atleti ubriachi. Avevano chiesto dei problemi con l’alcool che Victor aveva avuto in passato. Quello era un argomento di cui Yuuri non parlava volentieri neppure col proprio compagno, e di cui in realtà sapeva poco, ma immaginava parecchio, e che di certo non amava affrontare davanti alle telecamere. Oltre tutto Chris non era la persona più adatta per smentire simili voci. Con molta più praticità, Tamura aveva esibito il resoconto di ciò che era stato servito ai pattinatori in mensa. Non contento, un giornalista aveva commentato che non c’era motivo perché le bottiglie di birra trovate sul luogo dell’aggressione non fossero state in mano ai pattinatori.

    – E io ho venticinque punti sul braccio per un taglio che mi sono fatto da solo con la bottiglia che era in mano mia? – aveva replicato Yuuri.

    In quel momento aveva pregato con tutto se stesso che non saltasse fuori alcuna foto della cena di gala della finale del Grand Prix in cui per la prima volta, ubriaco, aveva ballato con Victor. A quanto gli aveva detto dopo, anche Chris aveva avuto quell’identico pensiero.

    Poi Yuuri era passato a parlare dei veri motivi dell’aggressione. Che Victor avrebbe testimoniato al processo era un’informazione facilmente verificabile.

    – E quali sarebbero i documenti che ha passato alla commissione d’inchiesta? Perché erano in mano sua? Riguardano forse qualche altro pattinatore russo presente alle olimpiadi che, magari, non dovrebbe essere qui?

    – No – aveva replicato Yuuri, consapevole che Yurio doveva essere lasciato del tutto fuori. – Riguardano lui stesso. Farmaci che gli erano stati passati da un medico federale attualmente sotto inchiesta e che Victor Nikiforov non ha mai assunto.

    Dallo sguardo di Yakov, Yuuri aveva capito che non ne aveva mai saputo niente.

    Per la prima volta, si era reso davvero conto di quali fossero state le condizioni di Victor, quando era arrivato in Giappone. Dopo il suo ultimo titolo mondiale, consapevole dei problemi fisici e dell’impossibilità di mantenere quel livello di prestazioni e quel numero di competizioni, Victor era stato avvicinato da un medico che gli aveva offerto quella che ai suoi occhi era la soluzione. Questo Yuuri lo sapeva. Quello che non sapeva, prima, era che Victor non ne aveva mai parlato con Yakov. Questo voleva dire che nella sua solitudine e nel suo disperato agonismo, Victor presto o tardi avrebbe ceduto. E Yakov, di certo, preso o tardi se ne sarebbe accorto. E questo lo avrebbe distrutto. 

    In qualche modo era riuscito a capirlo in tempo. 

    Appena in tempo. Quando ormai la fuga era l’unica altra opzione.

    Non sei venuto da me.

    Sei scappato dalla Russia e da te stesso.

    Se avessi mentito a Yakov saresti arrivato ad avere talmente orrore di te stesso da…

    Non è mai stata una battuta, quella tua frase di non volere un appartamento in alto, con un balcone.

    Quanto seriamente ci hai pensato, a San Pietroburgo?

    Me lo hai detto, una volta. Stavi cadendo e io ti ho afferrato. 

    Non lo sapevo, non del tutto. 

    Ma sono contento di averlo fatto.

 

 *
  

    In effetti sto in piedi.

    Cosa diavolo mi hanno dato?

    Victor era abbastanza sicuro che un funzionario dell’antidoping fosse già passato a controllare la sua cartella clinica e avesse parlato a lungo con il loro medico. Il fatto che alla fine lo stesso uomo fosse passato per raccomandarsi di non strafare, in gara, doveva voler dire, supponeva il russo, che fosse tutto a posto.

    O forse sono io che non sento di meritarmi questa gara.

    Beh, lo zigomo sarebbe rimasto un bel monumento alla sua stupidità. Aveva metà faccia coperta dalla medicazione, in cui era stata inserita anche una protezione rigida. Se ci fosse caduto sopra, però, avrebbe potuto salutare per sempre al suo bel viso.

    Le braccia erano un altro problema. Anche la mano destra era gonfia. Non era rotta, a quanto pareva, ma non gli sembrava per nulla la sua mano. In tutto questo la caviglia era la cosa che gli dava meno fastidio.

    Basterà atterrarci sopra una volta e anche lei avrà da ridire.

    Sospirò, perché non c’era molto altro che potesse fare.

    La porta si aprì e entrò Yakov.

    Anche lui sembrava stupito di vederlo in piedi.

    – Vedi che puoi farlo – borbottò.

    – Sì.

    C’era qualcos’altro. 

    Ovvio che ci fosse qualcos’altro.

    Dopo due anni, era una cosa non poteva più aspettare.

    Al peggio, finisce lui il lavoro di quelli di ieri.

    – Ho letto le dichiarazioni di Yuuri alla conferenza stampa… Avrei dovuto parlartene…

    – Avresti dovuto, sì.

    – Era complicato…

    – Perché, Vitya?

    Il solo fatto che Yakov usasse quel diminutivo dava la misura di quanto lo avesse deluso e ferito.

    – Perché tu sei Yakov Feltsman, il dio sovrano del pattinaggio russo e a volte non è facile essere all’altezza delle aspettative degli dei.

    Yakov scosse il capo.

    Non era arrabbiato. Era passato troppo tempo per la rabbia. Sarebbe stato più facile affrontare un Yakov arrabbiato.

    – Eri così disperato? – gli chiese l’allenatore.

    – Sì… Hai visto tu stesso quante gare sono riuscito a portare a termine, dopo, e in che condizioni ne sono uscito… Dopo quell’ultimo titolo mondiale il mio corpo mi imponeva di fermarmi, almeno per un po’… Ma come potevo farlo a San Pietroburgo? Guardando tutti gli altri pattinare, con tutte le aspettative che c’erano su di me… Neppure tu eri pronto a lasciarmi andare…

    Quello era un colpo basso e Victor si pentì immediatamente di quell’ultima frase. Ma era la verità. Yakov credeva così fermamente nelle possibilità atletiche di Victor che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per non deluderne le aspettative. Anche vendersi l’anima.

    L’allenatore rimase un istante in silenzio. Senza dubbio, stava riconsiderando i tanti particolari a cui non aveva fatto caso, due anni prima.

    – Eri l’ombra di te stesso… Pesavo fosse solo la stanchezza, o la storia con quella Ludmilla finita male…

    – Non ero l’ombra di me stesso. Ero quello che rimaneva di me… Ma ero anche Victor Nikiforov, l’unico al mondo ad aver vinto cinque titoli mondiali, e volevo disperatamente rimanere quel Victor per tutti voi… Non avevo nient’altro a cui tenessi, se non l’idea che avevate di me.

    Non aveva mai avuto nient’altro di prezioso, prima dell’amore di Yuuri, che la stima di Yakov.

    – E quando non hai più potuto farlo sei scappato.    

    – Sì. A volte scappare è l’unico modo per salvarsi.

    Inaspettatamente, Yakov sorrise.

    – Sei stato un bastardo fortunato, se quel ragazzo non fosse stato…

    – …Yuuri

    – …Non ne saresti uscito vivo.

    – No.

    – Fammi un favore, Vitya, se mai quel ragazzo dovesse accorgersi di chi si è portato a casa e scappare a gambe levate, prima di fare qualsiasi cosa, chiamami. Così invece di buttarti da un ponte, ti ammazzo io con le mie mani. Anche adesso un po’ vorrei farlo.

    Invece, con un gesto che non faceva più da che Victor era un ragazzino, gli passò una mano tra i capelli, spettinandoglieli tutti.

    Quanto lo odiavo, allora.

    – Andiamo a fargli vedere chi siamo – gli disse Yakov, proprio come quando lo accompagnava in gara le prime volte.    

    – Andiamo.

    

*
   

    – Adesso ci diamo appuntamento nei bagni come dei ragazzini a scuola? – chiese Otabek, ma con un sorriso.

    – Non ho mai dato appuntamento a nessuno, a scuola – sbuffò Yuri.

    Neppure fuori da scuola.

    C’erano stati degli appuntamenti che delle ragazze gli avevano dato e a cui lui non era riuscito a sottrarsi. A tradimento, si ripresentò il ricordo dell’ultimo, con la ragazza del corso di francese (perché diavolo Yakov aveva tanto insistito perché imparasse il francese?), Anna. Che non era brutta, ma appiccicosa come una cicca appena masticata. Che, a sorpresa, durante il pessimo film a che aveva voluto a tutti i costi andare a vedere, gli aveva cacciato la lingua in bocca.

    Yuri era davvero, davvero stufo che la gente lo baciasse quando lui non se lo aspettava.

    Prese un respiro.

    – Io non ho idea di come andrà oggi, né di che umore sarò dopo – disse, di fretta. – E quindi sarà meglio che questa cosa la faccia prima.

    Voleva spiare la faccia di Otabek, ma gli sarebbe mancato il coraggio.

    Non poteva essere peggio di certi salti, no?

    Proprio come se si preparasse a un salto, inspirò e poi fece quegli ultimi due passi.

    Senza guardare, mise una mano dietro la testa di Otabek e lo avvicinò a sé.

    Non incontrò alcuna resistenza.

    Lasciarsi cadere, nella speranza che qualcuno ci sostenga… Sì…

    Otabek sapeva ancora di the e di estate.

    E quando le loro lingue si incontrarono, Yuri sentì di nuovo il calore avvolgerlo, ma questa volta lasciò che accadesse.

    Al diavolo tutto, al diavolo le olimpiadi. È qui che voglio stare.

    Invece fu Otabek a staccarsi.

    Questa volta, però, Yuri lo guardò in faccia.

    Non aveva mai visto nulla di tanto bello. Otabek aveva le pupille dilatate negli occhi scuri, le guance arrossate e un sorriso che non era per niente da lui. Gli faceva venire un’espressione un po’ idiota. Deliziosamente idiota.

    Otabek prese un respiro e si allontanò di un passo.

    – Adesso basta. Ho bisogno di un minimo di lucidità per la gara – disse.

    Già, la gara…

    – Devi pattinare benissimo oggi – gli disse Yuri.

    Voleva che Otabek si riscattasse da quella terribile ottava posizione ben più di quanto desiderasse pattinare bene lui stesso.

    – Solo se tu arrivi a medaglia – replicò l’altro.

 

*
 

        Era la mattina della finale olimpica e Yuuri non ci pensava per nulla. Non che non fosse preoccupato, certo, ma neppure una un pensiero ansioso era rivolto alla propria gara.

    Quindi il trucco è farsi quasi tagliare a pezzi il giorno prima?

    Dopo una lunga contrattazione tra allenatori, gli era stato permesso di stare il più possibile insieme a Victor. Era stato quindi stato fatto salire sull’auto con cui Yakov sarebbe andato a prendere il suo compagno, che in via precauzionale aveva passato la notte al centro medico. L’allenatore era sceso da solo e Yuuri non aveva davvero idea delle condizioni in cui sarebbe arrivato Victor. Al momento, nell’auto vuota, avrebbe dato tutte le sue possibilità di medaglia per vedere il proprio compagno sorridere.

    Eccoli.

    Non sorrideva. Con quella medicazione che copriva metà faccia non poteva proprio farlo. Però camminava, zoppicando appena. E non sembrava neppure essersi azzuffato con Yakov.

    Yuuri prese il respiro che si rese conto di aver trattenuto.

    Con cautela, il russo aprì la portiera e si sedette al suo fianco.

    – Victor…

    Il compagno mosse la mano destra, la sua splendida mano, gonfia, abrasa, con due dita legate insieme, e sfiorò il minuscolo cerotto trasparente sulla guancia di Yuuri.

    – Come stai? – chiese Victor.

    Il giapponese non sapeva se potesse abbracciarlo, dove esattamente potesse toccarlo senza fargli male. Solo con pollice e indice gli prese il polso destro.

    – Ora che ti vedo, bene. Tu?

    – Meglio – la voce di Victor era roca ed esausta, ma gli occhi guizzavano attenti, appena più lucidi del solito. – Riesci a muovere il braccio?

    – Sì. Tu?

    – 221.

    – Eh?

    – È quello che puoi fare con la sequenza di elementi che abbiamo provato l’ultima volta. Non è il record del mondo, ma dovrebbe permetterti di vincere con un buon distacco.

    Yuuri fece un mezzo sorriso.

    – Dimmi come stai – disse.

    – Non posso fare 221 – rispose Victor. – Ma direi che va bene così.

    Yuuri non riusciva a togliersi da davanti agli occhi il momento in cui erano arrivati i paramedici, con Victor a terra, che tremava e lui che lo chiamava, con il loro sangue che si mescolava e il giapponese che non riusciva a capire da dove venisse esattamente, tutto quel rosso.

    Davvero va bene così, ma io non riesco a smettere di tremare.

    Victor se ne accorse.

    – Grazie – mormorò.

    – Per cosa?

    – Per tutto quello che hai fatto per me ieri. Per quello che hai detto alla conferenza stampa. Senza di te non sarei mai riuscito a…

    – Io… Avevo paura che ti arrabbiassi.

    Victor chiuse gli occhi e scosse piano la testa.

    – Sei sempre stato più coraggioso di me. Io sono un vigliacco. Tra me e quelli che sono rimasti a casa c’è… Un niente, un attacco di panico e una fuga in silenzio… Ma ormai lo hai capito… Mi tieni lo stesso?

    – Victor… Non riuscirai mai a liberarti di me.

    Il russo emise un respiro esausto e soddisfatto, come accadeva, a volte, dopo che avevano fatto l’amore.

    – Grazie – disse ancora.

    Erano arrivati al palazzetto. Yakov aveva avuto il permesso di accompagnarli in auto fino alla porta dell’entrata degli atleti. Yuuri non voleva sapere davvero se era per non far stancare Victor o se avesse paura che qualcuno portasse a termine il lavoro del giorno prima. C’erano state denunce e un bel caos a livello diplomatico. Il giapponese voleva rimanerne fuori il più possibile. Aveva seriamente pensato di tornare a casa con Victor il giorno seguente. Ma se avesse pattinato decentemente c’era il galà e Tamura aveva ventilato l’idea di farlo diventare il portabandiera nella cerimonia di chiusura. Di certo, però, quello che desiderava Yuuri era tornare ad essere un semplice atleta. Non un caso diplomatico e di certo non un bersaglio. 

    Senza che lo volesse, sentì lo stomaco stringersi, quando vide che c’era qualcuno fuori dalla porta con tutta l’aria di aspettarli. 

    Non era un sicario, era J.J.

    – Io con quello non ci parlo – disse Victor.

    – Iniziate a entrare, vedo io cosa vuole – disse Yuuri.

    – Vedi di fare in fretta – borbottò Yakov. – Se il tuo allenatore sapesse fare il suo lavoro ti direbbe che hai bisogno di provare tutto, per vedere come risponde il braccio e bilanciare di conseguenza.

    – Se il suo allenatore avesse saputo fare il suo lavoro, niente di tutto questo sarebbe successo – replicò Victor.

    – No – lo contraddisse Yakov. – Senza di te il ragazzo non sarebbe qui, ora. Ma oggi è tanto se stai in piedi, il tecnico fallo fare a me.

    – Finite di battibeccare dentro, arrivo subito – disse Yuuri.

    In realtà sorrideva.

    Dalla faccia che aveva Yakov la sera prima, dopo la conferenza stampa, Yuuri aveva sospettato la possibilità di trovarsi con un fidanzato con entrambi gli zigomi rotti. 

    – Tutto bene? – chiese Yuuri a J.J., quando gli altri furono entrati.

    Non aveva la faccia di uno che stava bene.

    – Victor gareggerà? Io… Ho letto di quello che è successo…

    Yuuri si strinse nelle spalle.

    – Gareggerà. Forse non farà un quadruplo Axel, ma arriverà in fondo.

    In realtà con Victor non si poteva mai dire.

    – Io… Ieri, quando sono uscito dalla mensa, dopo aver parlato con voi… Mi ha avvicinato un russo e mi ha chiesto chi ci fosse dentro… E io… Non pensavo…

    Yuuri sentì la rabbia invaderlo. Una rabbia che non aveva mai provato prima

    Gli tornò alla mente il pomeriggio precedente. J.J. che arrivava solo per provocare. Era troppo, anche per lui. A meno che non fosse entrato apposta per riferire chi c’era dentro…

    – Non potevi non capire…

    – Yuuri, ti giuro, io…

    – J.J., tu c’eri, alla finale del Grand Prix, a quella conferenza stampa, hai visto come hanno reagito quelli della federazione russa. Hai visto che Victor non ha più partecipato ad alcuna competizione con la maglia della sua nazionale prima dello scandalo doping. Un altro avrebbe potuto non sapere, ma tu no!

    J.J. scosse il capo.

    – Yuuri, te lo giuro… Di certo non volevo che ci andaste di mezzo…

    Perché se era solo Victor, l’uomo che ti ha scippato il quadruplo Axel, poteva anche morire, vero?

    Yuuri non si accorse bene di quello che stava facendo, finché non vide il suo pugno, caricato col destro, il braccio sano, che finiva contro la bocca di un allibito J.J.

    Non pensavi che ne sarei stato capace, vero?

    Beh, neppure io.

    La porta del palazzetto si aprì e ne uscirono Yurio e Otabek.

    Yuuri fece in tempo a considerare la scena che i due avevano davanti.

    J.J. appoggiato al muro, che si tastava con una mano il labbro spaccato che perdeva sangue, mentre lui guardava con una certa sorpresa la propria mano.

    – Che cosa succede? – chiese il kazako.

    Anche Otabek, notò Yuuri, aveva un aspetto strano. Non era possibile che avesse assunto droghe prima di una finale olimpica. Quindi forse aveva a che fare col fatto che Yurio, nonostante la situazione, continuasse a sorridere.

    – Ha parlato con i tizi che ci hanno pestato – disse Yuuri. Tremava, ma la sua voce era ferma. – È entrato apposta, per vedere in quanti eravamo.

    – Non avevo idea di che cosa volessero fare – si difese ancora J.J.

    – No? – replicò il kazako.

    Se fa arrabbiare Otabek scende in pista conciato come Victor…

    J.J. ebbe la saggezza di non dire altro.

    – Lo hanno quasi ammazzato – disse Yuuri, freddo.

    È la prima volta che riesco ad ammetterlo. Victor, ieri, poteva davvero morire. Ci è mancato pochissimo.

    Sia Otabek che Yurio guardarono J.J. come se fosse uno scarafaggio.

    Il kazako mise una mano sulla spalla di Yuuri e una su quella del russo. Il giapponese non sapeva se lo stava facendo per tenere calmi loro o se stesso. 

    Per quanto fosse stato terribile per lui e Victor, nessuno degli altri si era divertito.

    – Adesso noi entriamo – disse Otabek piano, scandendo le parole. – Ti sei rotto il labbro da solo, decidi tu come. E vedi di non parlare con nessuno di noi. Per un bel po’.

    J.J. annuì e corse dentro il palazzetto.

    – Glielo hai spaccato tu il labbro? – chiese Yurio.

    – Così pare – rispose Yuuri, un po’ sorpreso di se stesso.

    – Wow – fece il russo.

    – Adesso entriamo, Yakov ci ha mandato a cercati, non vuole che tu rimanga sa solo – disse Otabek. – Non credo, però, che pensasse che fosse il caso di salvare qualcuno da te.

 
   
 
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