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Autore: blackjessamine    02/06/2019    3 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 16
Pensiero Madre
 
 
 
 
Erano stati mesi difficili, quelli seguiti al ritorno di Sirius. Mesi in cui l’uomo aveva dovuto imparare lezioni difficili incidendosele sotto la pelle.
Ma la lezione più grande, la più importante, la più dolora, Sirius l’aveva imparata in una serena domenica di inizio aprile: di tutte le ricchezze del mondo, niente era paragonabile al silenzio.
Un sano, innocente, intatto silenzio, dopo ore e ore trascorse a cercare di calmare il pianto disperato di Blanka.
Blanka che, a quanto pareva, non aveva la minima intenzione di perdonare a sua madre quel pomeriggio di libertà. Andromeda, mossa a pietà all’idea di lasciare suo cugino in balìa di una neonata particolarmente suscettibile, aveva preso sottobraccio Teddy ed era partita alla volta di Dublino, ma era stato un pomeriggio complesso: Teddy, che non stava molto bene, si era dimostrato poco incline a dividere con Blanka le attenzioni di sua nonna e di Sirius, e aveva passato la maggior parte del tempo a piangere, tirare su con il nasino tappato e rivendicare l’abbraccio di sua nonna. Anche Marmellata sembrava aver annusato l’atmosfera tesa, perché si era ben guardato dall’alleggerire la situazione con le sue feste buffe, ma era rimasto rannicchiato con fare apatico sul lato del divano su cui era solita sedere Alhena.
 
Chissà come, poco prima di cena Andromeda era riuscita a compiere il miracolo, facendo addormentare Blanka, e aveva approfittato della momentanea calma per battere in ritirata.
Sirius, che non era per niente sereno nel restare l’unico adulto responsabile della piccola, si era lasciato cadere sul divano accanto a Marmellata, la testa fra le mani: aveva mal di testa e una voglia matta di fuggire ad ogni responsabilità. A che diamine stava pensando, quando aveva rassicurato Alhena e Margit, dicendo che avrebbe badato lui alla piccola mentre le due ragazze si regalavano un pomeriggio di follia sugli spalti dello stadio di Quidditch di Liverpool? Del resto, quando Alhena aveva spiegato alla sua amica in che cosa consistesse il Quidditch, gli occhi della giovane madre si erano accesi di una luce tanto entusiasta che Sirius non aveva avuto il coraggio di spegnerla.
Perché Alhena volesse andare ad assistere alla prima partita di un campionato di cui non le era mai fregato niente, quello restava un mistero che le domande insistenti di Sirius non erano ancora riuscite a sondare.
Blanka si svegliò senza emettere un suono, nemmeno si fosse resa conto che Andromeda, l’unica persona in grado di occuparsi per davvero di lei, se n’era andata. Sirius e la bambina rimasero a guardarsi a lungo, e a Sirius parve di cogliere sul quel visino arrossato un po’ di compatimento: possibile che anche una neonata avesse pietà di lui?
A distoglierlo da quei pensieri che minacciavano di prendere una china pericolosa ci pensarono le fiamme del camino, che annunciarono il ritorno di Alhena e Margit con un bagliore smeraldino.
La ragazza che si precipitò a sollevare tra le braccia e baciare Blanka era una persona molto diversa dalla ragazza terrorizzata che Sirius aveva conosciuto al ritorno di Alhena dall’Ungheria: Margit rideva di un riso infantile, il viso buffamente dipinto con due lunghe strisce blu. Aveva una sciarpa del Puddlemore United legata alla lunga coda di cavallo, e mentre ricopriva la figlia di baci e sussurri in ungherese, Sirius riuscì a intravvedere in lei l’adolescente che continuava ad essere. Margit era più grande di Harry soltanto di qualche mese, ma a volte Sirius aveva l’impressione che entrambi quei ragazzi, seppur seguendo strade completamente diverse, fossero diventi adulti troppo, troppo in fretta. Era un sollievo, ogni tanto, vedere sotto la superficie indurita dei loro sguardi quella luce fatta d’adolescenza e spensieratezza.
Un sollievo, e una stretta al cuore, perché accanto a Margit Alhena rideva, sfoggiando anche lei i colori del Puddlemore United sul viso, e improvvisamente tutti gli anni che la separavano da Sirius si pararono tra di loro come una distesa invalicabile: quella risata spensierata, quell’atteggiamento scanzonato e leggero, la gioia di trascorrere una giornata gridando sugli spalti di uno stadio… con Sirius, Alhena non era mai così. Con lui c’erano soltanto brutti ricordi ad avvelenare l’aria, c’erano gli argomenti da evitare, c’era l’apatia dei giorni neri e l’angoscia che li teneva svegli, di notte.
Con una fitta al cuore, Sirius osservò Alhena chinarsi su Blanka, sorriderle piano, e sussurrare qualcosa alla piccola in ungherese. Con i bambini, Alhena era un disastro: parlava loro seriamente, come se avesse davanti degli adulti, e poi si irrigidiva, quasi si fosse resa conto di avere l’atteggiamento sbagliato, e allora si intimidiva e farfugliava frasi sconnesse, quasi dovesse scusarsi con i piccoli. La cosa buffa era proprio che i bimbi, a dispetto del suo evidente imbarazzo, sembravano volerle bene: Blanka raramente piangeva, quando era lei a prenderla in braccio, e Teddy la cercava quasi con la stessa insistenza con cui cercava di attirare l’attenzione di Marmellata.
 
“Allora? È andato tutto bene? Non ti ha fatto impazzire, vero?”
La voce squillante di Margit riportò Sirius al presente, a quella stanza inondata dalla luce dorata del tramonto e allo sguardo improvvisamente attento e serio di Alhena. Ecco, anche solo la sua cupa presenza era stata sufficiente a cancellare tutte le risate dagli occhi di Alhena.
“No, è stata buonissima, e Andromeda mi ha aiutato”, decise di mentire Sirius. Margit si era sentita già abbastanza in colpa all’idea di lascare sua figlia per andare a divertirsi, Sirius non aveva alcuna intenzione di farla sentire peggio.
“Meno male. E grazie, di nuovo…”
Sirius interruppe i ringraziamenti di Margit con un gesto della mano. Era stato contento di rendersi utile a qualcuno, nonostante non avesse intenzione di ripetere l’esperienza da baby-sitter tanto presto.
“Stai bene?”
Alhena non aveva smesso un attimo di fissarlo con attenzione, ma Sirius non aveva voglia di sostenere il suo sguardo indagatore.
“Benissimo. Voi, invece? Ti è piaciuto il Quidditch?”
Margit, che sembrava non aver colto nemmeno una briciola del disagio di Sirius, si lanciò in un lungo ed entusiasta elogio dello sport magico, asserendo fieramente che al mondo non esisteva nulla di altrettanto appassionante e sospirando di desiderio, all’idea di poter cavalcare una scopa.
“…e comunque”, aggiunse con un sorrisetto malizioso, “fossi in te, starei attento: Miss Macnair non ha avuto occhi che per il nuovo portiere, e negli spogliatoi non ha nemmeno guardato il resto della squadra”.
Alhena, senza scomporsi minimamente, si limitò a ribattere, asciutta:
“Considerando quanto ho speso per poterci parlare, mi sembra il minimo”.
Sirius non aveva mai seguito con grande interesse il Quidditch, e di certo ora non aveva idea di chi fosse il nuovo portiere del Puddlemore United: una parte di lui era curioso di sapere come mai Alhena lo avesse inseguito con tanta determinazione, ma una parte più grande – o più rumorosa, non avrebbe saputo dirlo – era soltanto stizzita. Alhena, negli ultimi giorni, era stata misteriosa e scostante, piena di segreti che sembrava pronta a condividere con chiunque – l’aveva vista scambiarsi una fitta corrispondenza con George e Charlie Weasley – tranne che con lui. E se fino a qualche giorno prima Sirius sarebbe stato molto curioso di scoprire che cosa lei avesse in mente, ora non gli importava più. Erano affari suoi, se lei voleva avere qualche segreto. Era un suo diritto, e non sarebbe certo stato Sirius a insistere affinché le cose cambiassero.
 
***
 
Il vento tagliente di quella sera nascente bastava appena a portare a Sirius la freschezza e l’ossigeno di cui sentiva di avere bisogno: si era trattenuto a Dublino il tempo sufficiente per non sembrare scortese, e appena gli era stato possibile aveva salutato le due ragazze per rifugiarsi all’Uccello Vermiglio.
Quella sera, respirare si stava rivelando più difficile del solito, e la sua mente stava tornando ad essere il consueto vortice di pensieri che minacciavano di sommergerlo e sopraffarlo.
L’Uccello Vermiglio, con tutti quegli oggetti stipati a occupare ogni superficie disponibile, gli era sembrato più opprimente che mai, e così si era precipitato fuori di casa. Sperava che avrebbe potuto trovare sollievo passeggiando lungo i sentieri che ormai aveva imparato a conoscere così bene, ma la verità era che, dopo pochi passi, la voglia di vagabondare da solo lo abbandonò: e così si lasciò cadere sul freddo metallo della panchina che aveva in giardino, quella stessa panchina che ogni giorno si prometteva di riverniciare, e che puntualmente restava ad arrugginire in mezzo al vento del Dorset. Forse era arrivato il momento di cominciare a pensare ad una sistemazione meno provvisoria… l’Uccello Vermiglio aveva un che di suggestivo, come sistemazione, ma per Sirius continuava ad avere il sapore frastornato degli anni della sua giovinezza, dove tutto ciò che contava era superare un’altra notte e rendersi conto che Voldemort, nonostante tutto, non aveva ancora vinto. Se l’era ripetuto spesso, e un paio di volte aveva anche preso in prestito la pagina con gli annunci immobiliari della Gazzetta del Profeta di Alhena, ma poi non era riuscito nemmeno a leggere un paio di righe: la sola idea di cercare una soluzione definitiva, di imbarcarsi in un’impresa tanto grande e totalizzante come la ricerca di una casa lo lasciava senza energie e di pessimo umore.
 
“Mi vuoi dire che cosa ti sta passando per la testa?”
La voce di Alhena, controllata e vibrante di energie represse, riportò immediatamente Sirius al presente.
La ragazza, il viso ancora sporco di pittura blu, stava uscendo dall’Uccello Vermiglio con piglio deciso, le braccia incrociate al petto e un’espressione che Sirius poteva definire solo come combattiva.
“Niente”.
Guardando le sopracciglia di Alhena sollevarsi in due archi minacciosi, Sirius si rese conto di non aver dato la risposta più saggia. La verità, però, era che non aveva la minima voglia di litigare con Alhena. E una discussione civile, al momento, non sembrava contemplabile.
“Scherzi, vero? Non mi hai nemmeno rivolto la parola. Non mi hai neanche guardata in faccia, in realtà”.
Alhena aveva ragione, ma Sirius non aveva la minima voglia di ammetterlo.
“Immagino ci penserà il tuo portiere, a consolarti”.
Alhena non gli rispose nemmeno, lanciandogli solo uno sguardo deluso. Era stata una meschinità, quella: se c’era una sola cosa di cui era ormai certo, con Alhena, era la sua trasparenza. Ogni giorno temeva che lei potesse conoscere qualcuno di più giovane, più sereno, più felice, più adatto a darle la gioia che meritava, e la cosa lo spaventava. Ma, se fosse successo, Alhena non si sarebbe piegata a squallidi sotterfugi, e ne avrebbe parlato sinceramente.
“Sei davvero geloso di una stronzata del genere?”
L’incredulità nella voce di Alhena, in qualche modo, riuscì a spegnere il fuoco nel petto di Sirius: fino ad un attimo prima, avrebbe solo voluto trovare tutte le strade per litigare, ma ora… ora non gli restava niente. Era esausto, e aveva paura, e desiderava solo che Alhena non lo costringesse a mettere le mani in quel groviglio di sensazioni che lo stavano svuotando ad ogni respiro.
Scosse piano la testa, rassegnato, e fu con un sospiro stanco che accolse il braccio di Alhena che si allungava piano a circondargli la vita.
“Sirius?”
Sirius si chinò a guardare Alhena, che continuava a regalargli uno sguardo preoccupato.
“Torniamo a casa?”
Docile, esausto, Sirius si lasciò riportare in casa, sperando che Alhena non avrebbe mosso obiezioni al suo proposito di andare a dormire senza cenare.
 
Si ritrovarono rannicchiati sul divano, e, all’improvviso, Sirius fu grato alla mano di Alhena sul suo braccio, quella mano che disegnava cerchi sottili sui suoi muscoli contratti, senza più chiedergli spiegazioni.
Alhena non distoglieva lo sguardo da lui, e sorrideva con lo stesso sorriso serio e pieno di indulgenza che poche ore prima aveva rivolto a Blanka.
Guardandola sorridere, le parole affiorarono alle labbra di Sirius prima che lui avesse il tempo di rifletterci. Prima che avesse il tempo di ponderarle, o di collegarle al malumore che lo pervadeva.
“Io non voglio avere dei figli”.
Alhena aggrottò appena la fronte, scuotendo le spalle.
“Ok”.
“Ok? Solo ok?”
Sirius non sapeva che cosa si sarebbe aspettato in risposta alla sua dichiarazione, ma certo non una scrollata di spalle.
“Sì, ok. Mi sembra un desiderio comprensibile”.
Sirius raddrizzò la schiena, scrutando attentamente gli occhi di Alhena. Occhi chiari e limpidi, occhi sinceri, che sostenevano il suo sguardo con semplicità.
“Ma tu… insomma, sì, credo sia giusto che tu lo sappia. Per fare le tue scelte, ecco”.
Alhena chiuse gli occhi, sospirando, e con grande stupore di Sirius, la donna trattenne a stento un sorriso.
“Stiamo davvero facendo questo discorso? Siamo passati da un vediamo come sopravviviamo alla giornata a pianificare un futuro così lontano da includere ipotetici figli?”
La leggerezza nella voce di Alhena non fece altro che irritare Sirius.
“No, certo che no. Però… insomma, quanto tempo hai già perso con me? Non dico che vorresti parlare ora di avere dei figli, ma se ne volessi… hai il diritto di saperlo, e di andare subito per la tua strada, prima che sia tardi”.
Sirius non sapeva da dove venissero queste riflessioni. Non le aveva mai fatte, non a livello cosciente, almeno, ma mentre parlava sentiva un nodo stringergli lo stomaco, mentre ogni parola trovava il suo posto nella verità sopita dentro di lui.
Nel frattempo, tutta la leggerezza era scomparsa dal volto di Alhena, che si era fatta cupa e serissima.
“Stammi un po’ a sentire, ora: di tempo, con te, non ne ho proprio perso, vedi di mettertelo in quella testa dura che hai, perché la mia strada mi ha portato qui, proprio qui, e va bene così”.
“Sono serio, Alhena. È… hai quasi trent’anni, e la tua vita è un pantano, e io sono solo una zavorra che ti fa affondare ancora di più. Certe cose non cambieranno dall’oggi al domani, e nemmeno tra cinque anni… saranno sempre qui”, Sirius si sfiorò la tempia, come se quel gesto bastasse a indicare tutti i demoni che faticava a tenere a bada.
Alhena, pallida, sollevò il mento, allontanandosi dal viso una ciocca di capelli.
“Sono seria anche io, e per favore, adesso stai zitto un attimo. La mia vita è un casino, e lo è sempre stata, non un pantano, e tu sei solo un… una variabile impazzita, ecco, ma va bene così. Ho passato due anni cercando di andare avanti senza questa variabile, e sono sopravvissuta, ma è stato un vero schifo. Non ho intenzione di lasciarti andare tanto facilmente”.
Sirius aveva l’impressione che quella conversazione stesse rapidamente prendendo una piega che lui non aveva previsto né desiderato, ma non sapeva come fare per riportarla su binari che neanche lui conosceva.
“E comunque, visto che fare il baby-sitter ti ha messo in testa strane idee, sappi che io di figli non ne ho mai voluti. Non ho mai giocato con le bambole, non ho mai sognato di vivere in una grande casa circondata da marmocchi, non ho mai voluto correre il rischio di tramandare a qualcuno il corredo genetico di mia madre… mai, neanche a quasi trent’anni, e questo a prescindere da te o da chiunque altro”.
Alhena sembrava parlare con una certa sicurezza, e con una serenità di fondo che confuse Sirius.
“Però…”
“Però niente, Sirius. Teddy mi piace, Blanka mi stringe il cuore, ho pianto di gioia quando Bill mi ha detto che lui e Fleur hanno deciso di cercare un bambino, ma io non sono fatta per essere madre. Non… non è proprio cosa per me, e va bene così”.
Alhena sorrise, poi si fece seria, e a bassa voce, aggiunse:
“E comunque, a quanto pare potrei non poterlo nemmeno avere, un figlio”.
Allo sguardo interrogativo di Sirius, Alhena, si sfiorò distrattamente il ventre, spiegando:
“La maledizione di Bellatrix ha davvero fatto un macello. I Guaritori mi hanno salvata, ma non sono sicuri di aver rimesso tutto in perfetto ordine…”
Una nuova, familiare ondata di dolore e rabbia pervase Sirius, al solo pensiero di quanto sua cugina fosse arrivata vicina a prendersi la vita di Alhena.
“Ci sono degli esami che avrei potuto fare per averne la certezza, ma ho scelto di tenermi il dubbio”.
Alhena si sistemò più comodamente contro lo schienale del divano, prima di proseguire:
“Io di figli non ne voglio, ma voglio che sia una mia scelta. Forse è folle, ma ho il terrore che se dovessi sapere di non poterne avere, allora non sarei più certa della mia scelta di non volerne”.
Alhena scosse piano la testa, e poi sorrise: c’era forse un velo di tristezza nei suoi occhi, ma lo scacciò in fretta.
“Mi dispiace…”
Sembrava una cosa così banale da dire, ma Sirius aveva il terrore di rompere quell’apparente serenità. Cercò una mano di Alhena, e la strinse, attirandola a sé.
“Non dispiacerti. Se potessi prendere il mio venticinque per cento di possibile fertilità e donarlo a chi un bambino lo desidera e non lo può avere, lo farei. Davvero, so che per qualcuno questo è un lutto, e non voglio sminuire il loro dolore, però… io non voglio essere madre, e forse non posso nemmeno esserlo, e quindi… ok”.
Alhena tornò a rannicchiarsi nell’abbraccio di Sirius, e questa volta lui ebbe la sensazione che Alhena stesse cercando un po’ di conforto, in quell’abbraccio.
 
***
 
“Dormi?”
Sussurrò Alhena, il viso affondato nel suo collo, una mano ancora intenta a carezzargli piano i capelli alla base della nuca.
Sirius scosse la testa, scacciando l’intorpidimento e ignorando il formicolio della sua gamba destra, schiacciata sotto il peso del corpo di Alhena.
Il letto dell’Uccello Vermiglio, un letto stretto da scapolo, era decisamente troppo piccolo per una relazione più o meno stabile.
“Pensavo… la casa di Dublino, tecnicamente, è ancora degli Szeredàs, ma loro sono d’accordo a lasciarci vivere Margit e Blanka, finché ne avranno bisogno”.
Alhena si stiracchiò piano nel poco spazio che aveva a disposizione, infilando il duo grazioso gomito fra le costole di Sirius, prima di riprendere a mormorare:
“L’altro giorno mi è arrivata una lettera dalla Gringott, che mi informava che sono ufficialmente entrata in possesso del patrimonio dei Macnair. Ho un sacco di soldi, insomma”.
Alhena lo aveva detto con voce cupa, nemmeno si trattasse di una colpa o di una condanna.
“Ti prego, cerca di lasciartelo sfuggire davanti a qualcuno del Settimanale delle Streghe, così forse si metteranno l’anima in pace e forse capiranno che tu non stai puntando solamente alla mia eredità…”
Alhena soffocò una risatina amara nel collo di Sirius, e Sirius quasi poté immaginare il brillio malizioso dei suoi occhi, mentre sibilava:
“Oh, be’, potrebbero sempre dire che ho una qualche patologia incurabile che mi spinge ad accumulare quanti più antichi cimeli magici possibile, o robe del genere. È chiaro che sono qui con te solo per interesse, non lo avevi ancora capito?”.
Sirius carezzò piano il fiano sottile di Alhena, mentre lei si risistemava comoda e riprendeva il suo discorso.
“Dicevo, forse è arrivato il momento che io torni a casa. Dove sono cresciuta, intendo… immagino ci siano un po’ di lavori da fare, ma è una casa enorme, e una volta tolti quei due-trecento animali impagliati, anche abbastanza bella. Se ne potrebbe fare qualcosa…”
Sirius, chissà perché, aveva sempre immaginato la casa in cui Alhena era cresciuta – e da cui era fuggita – una specie di Grimmauld Place. Non poteva immaginare che cosa spingesse Alhena a voler ricavare qualcosa da quel posto.
“Non sei obbligata, lo sai? Potresti solo venderla, e prenderti un posto qualsiasi…”
Alhena si strinse nelle spalle, e dopo un attimo di esitazione, aggiunse:
“Non sono obbligata, ma mi va. È davvero un bel posto, ed è un peccato che sia legata solo a brutti ricordi… mi piacerebbe davvero farne qualcosa di buono”.
Sirius ripensò a Grimmauld Place, quella casa che né lui né Harry sembravano volere, e che avevano deciso, non appena il clamore attorno a loro si fosse un po’ calmato, di vendere per poter assicurare a Teddy un futuro sereno. Del resto, Teddy era pur sempre un discendente dell’Antica e Nobile Casata dei Black, e se Andromeda e Ninfadora non avevano avuto niente da quella famiglia, questo non significava che Teddy non potesse beneficiare almeno degli agi economici che tale lignaggio comportava.
“Comunque, il mese prossimo ci sarà il primo anniversario dalla caduta di Voldemort”.
A Sirius si gelò il sangue nelle vene sentendo quel nome pronunciato con tanta leggerezza, all’improvviso, con un cambio di argomento tanto repentino.
“Che c’è, vuoi tenere le cerimonie commemorative a casa tua?”
Alhena sbuffò, prima di riprendere, seria:
“Non fare lo scemo. La commemorazione più importante sarà a Hogwarts… mi è arrivato l’invito ufficiale”.
Anche a Sirius era arrivato un invito ufficiale, solo pochi giorni prima, e quella sera aveva perso l’appetito.
“Sarà orribile”.
“Credo che dovremmo andarci”.
Sirius si sollevò a sedere, cercando il viso di Alhena nella penombra della sera.
“Mi sembrava di avere capito che tu ritenessi ipocriti e inutili i discorsi vuoti e forzati…”
Alhena si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo e mordendosi un labbro.
“Forse… però, è anche vero che, a volte, anche un gesto simbolico è importante. E poi, potrei essere stata un po’ prevenuta perché… sì, ecco, l’idea di tornare a Hogwarts, di affrontare il lutto e i ricordi mi spaventa, in realtà.”
Sirius la strinse forte a sé, desiderando con tutto sé stesso di poter fare di più. Di poter accogliere il suo dolore e le sue paure, i ricordi di cui non parlava quasi mai, e alleviarli davvero.
“Non sei comunque obbligata a fare niente”.
“No, non sono obbligata, ma non sarebbe giusto, non andarci”.
Sirius dovette combattere contro l’amarezza che gli riempiva la bocca: la sola idea di rinchiudersi in una stanza con fotografi, curiosi, funzionari ipocriti gli dava il voltastomaco.
“E comunque”, proseguì Alhena “Harry ci andrà, e credo avrà bisogno di tutto il supporto possibile. Devi stargli vicino”.
Fu il turno di Sirius di distogliere lo sguardo: come se la sua presenza potesse essere anche solo un po’ di sollievo, per Harry.
“Dico sul serio… Harry ha bisogno di te, di sapere che ci sei… che non è solo”.
Sirius annuì piano, la mascella contratta: era ormai tardi, per non farlo sentire solo. Ma sì, ovviamente Sirius ci sarebbe stato per lui, per quel poco che poteva contare la sua presenza ad un anno dalla battaglia più importante della sua vita.
Alhena lasciò che Sirius si tormentasse in silenzio per un po’, prima di dire, con voce esitante:
“Pensavo… sarebbe bello fermarci in Scozia per un po’, dopo la commemorazione, già che siamo lì”.
Sirius era confuso.
“Vuoi restare a Hogwarts?”
Alhena scosse piano la testa, sorridendo, per poi riprendere a parlare con voce appena un poco più sicura:
“No, non a Hogwarts. Sai, d’estate, nelle Shetland, organizzano una fiera del Vello Magico… cibo, tornei, tessuti… quest’anno la anticiperanno, visto il clima mite, per farla coincidere con l’anniversario della pace, e la festa dovrebbe durare circa una settimana. Una specie di evento straordinario… Potrebbe essere carino visitarla”.
Sirius non era certo che Alhena stesse parlando seriamente: Alhena, la ballerina, alla fiera del Vello?
“Vuoi andare a un festival di pecore?”
“Non di pecore qualsiasi”, lo interruppe Alhena, impaziente, “di Pecore Vello Magico delle Shetland!”
Bene, Alhena voleva andare alla fiera del Vello di pecore magiche, rare e preziose: d’accordo, ma sempre pecore restavano.
“Da quando ti interessano le pecore?”
“Non le pecore… anche se, lo ammetto, ora che sono piena di soldi una bella stola in Vello Magico potrei anche volerla comprare. Mi interessa la festa, però. E… e la gente che vive lassù. Oh, insomma, non fare il pignolo! Ho solo pensato che ti farebbe bene rilassarti un po’ e goderti qualche giorno di festa, ma se le pecore non ti interessano, ci vado anche da sola!”
Qualcosa, nel tono di Alhena, suggerì a Sirius che la donna non era disposta a spiegare più apertamente che cosa avesse davvero in mente. Eppure, l’idea di cambiare aria non gli dispiaceva così tanto. Soprattutto perché il Festival della Pecora Lanosa, o come diamine si chiamava, non sembrava esattamente l’evento mondano di più grande richiamo per i giornalisti di cronaca rosa. Sarebbe stato piacevole passare qualche giorno in un clima di festa senza che nessuno lo fissasse troppo a lungo.
“E va bene, e fiera della lana sia”, sospirò.
Il bacio che ricevette in cambio di quella concessione, comunque, fu sufficiente a cancellare ogni altra sua remora.
Se quello era l’entusiasmo che Alhena provava per le Pecore Vello Magico, Sirius era pronto a vendere tutto per comprare un gregge anche l’indomani mattina.
 
 
 



 
Note:
Il titolo del capitolo si rifà a una interessante raccolta di racconti a cura di Federica de Paolis. Di nuovo, il tono cupo e l’argomento centrale del capitolo non erano preventivati, ma ultimamente sono un po’ in balia della storia, che sta andando dove le pare.
Altre note un po’ random: sì, lo so che sembra non si capisca niente di ciò che ha in mente Alhena, ma spero di chiarire tutto nei prossimi capitoli.
Il portiere del Puddlemore United è, in realtà, una nostra vecchia conoscenza: del resto, lo conosciamo tutti un bravo portiere che, una volta diplomato, racconta tutto felice al suo Cacciatore di essere diventato una riserva del Puddlemore. Inizialmente pensavo di inserire fisicamente il caro Oliver, ma mi sono resa conto che questo avrebbe solo allungato immensamente tutto. Di nuovo, prometto che prima o poi chiarirò tutto.
Giornata del Vello e Pecore Vello Magico delle Shetland: tutto arriva, di nuovo, dalla mente straordinaria di AdhoMu, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi concesso l’uso di alcune sue caratterizzazioni. Se volete sapere di più su queste pecore dal vello straordinario, potreste leggere l’approfondimento che lei ha pubblicato nella sua storia “Cavillo Geographics”. Per saperne di più sul Giorno del Vello, invece, potete leggere la sua storia “Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore”, ma, se volete studiare e portarvi avanti per future conoscenze *strizza molto poco discretamente un occhio* , anche “La cura universale”.
Spero sia tutto, e scusate la lungaggine.
   
 
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