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Autore: Ghen    11/06/2019    4 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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capitolo lungo! Affrontate la lettura con una fonte d'acqua vicino per restare idratati e, per non dovervi alzare, anche del cibo. Grazie dell'ascolto.

 





50. Peso, significato e potere



Un bacio non ha sempre lo stesso peso, significato, né potere. Può fermare una guerra. O iniziarla. Può dare moto a una rivoluzione, scatenarla all'interno di qualcuno, far perdere la bussola ad altri. Un bacio a volte non ha valore ed è costretto dalle circostanze, altre lo si regala come una caramella, tanto per fare, perché piace e ci si dimentica. Un bacio sulla guancia, sulla fronte, a stampo, con la lingua o senza; che dura un secondo o secoli. A volte un bacio è solo un bacio, altre è un inizio, o una fine. Quello tra Kara e Lucy, che sapeva di salsedine con retrogusto dolce, era stato entrambi: l'inizio e la fine di un giovane amore inesplorato che andava bene così, il picco maggiore e la stessa sua discesa, qualcosa che poteva essere e non destinato a essere mai. Molto diverso eppure tanto simile a quello più forte tra Lena e Indigo, di passione momentanea e di un desiderio non ricambiato, composto da ingenuità, curiosità e paura. Paura da entrambe perché, se Indigo avrebbe voluto capire ciò che provava e andare fino in fondo temendo il rifiuto, qualcosa di mai sperimentato sulla pelle, Lena si preoccupava di ciò che aveva sentito e di ciò che poteva aver sentito l'altra, sapendo di non poter rischiare che si illudesse di poter avere altro oltre a quel piccolo e breve piacere. E tutte e quattro, in un modo o nell'altro, sarebbero finite per ripensarci. Con diverso peso, significato e potere.
Lena Luthor, ad esempio, sapeva di avere altro a cui pensare, ma le labbra dal sapore inaspettatamente amaro di Indigo le sentiva ancora sulle sue. E le davano fastidio. Non aveva il minimo dubbio sul suo amore per Kara e sapeva di aver sbagliato, ma era come se l'altra le avesse smosso qualcosa, come se avesse con lei una connessione diversa e, d'altra parte, stimolante. E questo le faceva paura.
«E Kara sa di ciò che provi per questa Indigo?».
Lena sobbalzò e restò a bocca aperta, voltandosi verso il fratello e spostando gli occhialini protettivi sulla fronte. «Come?». Non era sicura di aver sentito bene…
Lex le scoccò un'occhiata perplessa e pensò di avvicinarsi, arrotolando i guanti in lattice e gettandoli nella spazzatura. «Chiedevo se Kara e questa Indigo andassero d'accordo», assottigliò gli occhi, cercando di captare il perché la sua sorellina fosse tanto sulle nuvole. Gli aveva raccontato che era un'amica di penna venuta a trovarla, ma era palese che quest'amica sembrasse covare idee che andassero oltre l'amicizia.
Si sentiva così stupida… «Ah, sì… o meglio no, non proprio», sospirò.
Kara aveva stretto gli occhi in due fessure, messo le braccia a conserte ed emesso un verso indisposto con la gola. «Non mi piace», aveva dichiarato senza mezzi termini, infastidita. «Non mi piace, nasconde qualcosa, lo sento nell'aria che- che la circonda», aveva irrigidito la bocca, gesticolando con una mano svelta e così riprendendo la sua posizione arrabbiata. «E non so se lo hai notato», aveva fatto una smorfia, «Ma sarebbe impossibile non notarlo: ti muore dietro».
«No».
«Sì. Sì, lo hai notato, ho ragione, non dirmi che non è vero».
«Va bene, me lo ha detto».
«T-Te lo ha proprio detto?», aveva spalancato la bocca, facendo sorridere Lena. «Che faccia tosta».
«Sei gelosa?», le aveva rimbeccato, facendo arrossire Kara.
«Pff», aveva trattenuto una forzata risata, portando gli occhi al soffitto. «No! Certo che no! È solo che… Che quella tipa non mi piace, non mi deve piacere per forza e-».
«E sei gelosa».
«S-No», l'aveva guardata, zittendosi di colpo.
«Mi piace che tu sia gelosa».
«Non sono gelosa. Te l'ho detto».
«Sì che sei gelosa», aveva arricciato il naso, «Ammettilo».
«N-Non posso essere gelosa, perché io- noi… noi non stiamo insieme. Ancora. Di nuovo».
Lena era rimasta a bocca aperta e poi aveva abbassato lo sguardo, annuendo con uno spento sorriso.
Si era allontanata e Kara aveva cercato di fermarla: pensava avrebbe ribattuto in qualche modo, non certo quella reazione.
Forse si era sentita in colpa. Non c'era niente tra lei e Indigo, ma quel bacio… Non era riuscita a dirle del bacio ma sapeva di doverlo fare. Tra loro ora era questione di sfumature: erano una coppia, ma non lo erano, si amavano e si riavvicinavano per poi lasciarsi andare di nuovo. E lo facevano e lo ripetevano. Si erano conosciute in una situazione strana e non volevano stare insieme, però lo volevano. Si erano lasciate per via di dubbi e avevano iniziato a riavvicinarsi. Si erano di nuovo allontanate per dei segreti, fino a quando non avevano litigato e si erano perdonate. E ora in che fase erano? Quale sarebbe stata la prossima mossa?
«Non piaccio a Kara, non è così?», aveva ridacchiato Indigo, prendendola da parte solo un momento.
Lena aveva sospirato. «Dalle del tempo, magari poi-».
«Mh. Pensi che mi importi? Può pure odiarmi per averti baciata, m'importa solo di te».
«Kara non lo sa, veramente».
«Non lo sa?», aveva alzato la testa incuriosita, ricercandola con lo sguardo mentre intenta a scrivere sul suo cellulare, in salotto in villa. «Questo è interessante».
«Non dirglielo», l'aveva ammonita con uno sguardo, «Glielo dirò io al momento buono».
«Sarà fatto. O meglio, non fatto». Lena si era allontanata e Indigo aveva ripreso a guardare l'altra, allungando la bocca impercettibilmente, formando una smorfia con le labbra.
Lex sorrise, riprendendo posizione davanti al microscopio. «E hai deciso di portarti dietro entrambe a Star City? La nostra sorellastra è piuttosto… esuberante e l'altra ci prova con te, Lena, non sarà facile amministrare un triangolo del genere fuori casa».
Lena si riportò gli occhialetti sul naso e ansimò, cercando di riprendere concentrazione. «Non c'è nessun triangolo e loro impareranno ad andar d'accordo, non sono bambine. E ormai ho già preso l'impegno e abbiamo l'hotel prenotato», intravide il sorrisetto sulle labbra di Lex, ma non sarebbe andata oltre con quel discorso. «Allora?», gli chiese, «Reagisce?».
«E ancora non mi hai detto cosa andrai a fare a Star City. Non c'è niente cui valga la pena di andare in visita».
«Impegni personali».
«Sì… naturalmente», sorrise. «Facciamo che ci creda, come che Indigo sia un'amica di penna». Lex le sollevò una mano per attendere, mentre si avvicinava e allontanava al loro campione al microscopio. «Va bene… Guarda tu stessa», le lasciò il posto con un velo di fierezza. «Maxwell Lord ha davvero potenziato la formula, ma non ha stabilizzato abbastanza il prodotto finale».
«Ha cercato di riprodurre gli effetti che ha avuto su Kara, immagino…», borbottò lei, osservando le particelle del campione che continuavano a moltiplicarsi.
«Voleva puntare sulla forza e ha speso sulla durata», scandì lentamente, fissando un punto distante. «E funziona, da questo punto di vista. Lord e Lane avranno i loro supersoldati, dopotutto. Ma se qualche soldato dovesse, come Kara, essere un soggetto più sensibile, potrebbe provare spiacevoli conseguenze».
«Spiacevoli conseguenze?», alzò la voce. «Non si parla di una semplice perdita del controllo o di un banale mal di testa, quei soldati potrebbero essere aperti a pericolosi attacchi cardiaci già all'assunzione di una seconda pillola», lo guardò torva, rialzando il viso dal microscopio. «Quando va bene».
«Questo perché, proprio come quando ero io a lavorarci, non è riuscito a correggere completamente l'errore contenuto nella formula originale. Può pasticciarci sopra e creare qualcosa di nuovo, ma fino a quando non individuerà e correggerà l'errore…», guardò distante e Lena prese fiato.
Il volto di Lex era adornato da un'espressione enigmatica che pareva passare tra lo scherno e il compiaciuto, provocando in Lena non poco fastidio. «Dunque? Sembra che la cosa ti stia quasi bene».
«Cosa vorresti sentirti dire, sorellina?», la guardò. «Il ladro del mio lavoro non è riuscito a fare meglio di me e potrei perfino rilassarmi, adesso: fallirà da solo non appena gli effetti collaterali saranno di pubblico dominio. Maxwell Lord ha già perso, ma è in modo esasperante talmente un pallone gonfiato da non rendersene conto per pensare di fermarsi in tempo».
«Quindi vuoi gettare la spugna? Non fare niente perché, in ogni caso, ha perso?», scrollò le spalle, accentuando la sua delusione.
Il fratello prese fiato e si allontanò dal banco, togliendosi il camice; così si avvicinò a un lavello, tirò poco su le maniche e si sciacquò le mani, afferrando l'asciugamano accanto. «So che vorresti che affrontassi la legge per reclamare la paternità delle pillole e bloccare l'accordo sul nascere ma…», sospirò, riavvicinandosi a lei mentre si sistemava i gemelli sui polsini del completo. «Mi spieghi perché dovrei tuffarmi spontaneamente in guai legali per fermarlo, quando si fermerà da solo?».
«Sai bene perché. Se anche solo uno di quei soldati finirà in condizioni critiche a causa di quelle pillole, sarà anche colpa nostra».
«Colpa nostra?», sorrise, «Non la vedo dallo stesso punto di vista. Lui ha creato questa variante delle mie pillole verdi, lui le ha comprate da Roulette che le ha rubate a me, e sarebbe colpa nostra? Sapere e non aver fatto niente sarà il piccolo prezzo da pagare in cambio del suo fallimento di portata mondiale».
Lena strinse i pugni di rabbia. Non poteva credere che suo fratello avrebbe lasciato che succedesse solo per ripicca. «Per questo tormenti Roulette? Non voglio che si avvicini di nuovo in villa perché tu non sei capace di lasciarla in pace».
Lui roteò gli occhi, continuando a mantenere la sua espressione imperturbabile. «Cerco di convincerla a tornare dalla mia parte in tempo, è tutto. Credo, a onor del vero, di essere piuttosto gentile nei suoi confronti, nonostante ciò che è successo».
«In tempo per cosa?», arcuò un sopracciglio, «Non potevi già sapere del fallimento di Lord».
«Difatti non è a questo che mi riferisco», le diede le spalle verso la porta del laboratorio, mani in tasca. «Non è tua competenza preoccupartene, sorellina, mi pare tu abbia già abbastanza cose a cui pensare».
«Stai progettando un fallimento di Lord tutto tuo?» lo fermò a due passi dalla porta, «Ti prego di non fare idiozie».
Lex si voltò, osservandola con riserbo. «Come ho detto, non devi preoccupartene».
«E invece sono proprio io a preoccuparmene», ribatté lei con decisione, «L'ultima volta gli hai fatto distruggere il locale a Gotham, non oso pensare di cosa tu sia capace e la cosa mi lascia interdetta. Non sei più un ragazzino, sei a capo di un'azienda e tutto ciò che fai si ripercuoterà sul nome dei Luthor».
«Beh… la fortuna vuole essere dalla mia, allora: i nostri avi si sono macchiati di peccati ben peggiori», si lasciò sfuggire mentre Lena aggrottava lo sguardo; dopodiché si allungò per aprire la porta.
«Lex», lo chiamò prima che uscisse, «Ripensaci».
Il giovane sapeva che doveva riferirsi a entrambe le cose, ma non riuscì a sorriderle. «State attente durante la vostra gita a Star City: quella città ha due facce».
Se ne andò e Lena sospirò. Se lo conosceva bene, avrebbe preso l'elicottero quanto prima per tornare a Metropolis. Sapeva che Lex era arrabbiato e cosa significassero per lui quelle pillole che gli erano state rubate, ma non poteva seriamente pensare di far rischiare la vita a dei soldati solo per sentirsi migliore di Maxwell Lord. Quella loro gara infantile doveva finire prima di provocare seri danni a qualcuno.
Intanto, a villa Luthor-Danvers, Kara era impegnata nella lettura di un libro di testo, ma impegnata era una parola grossa, poiché leggeva una riga e adocchiava Indigo dall'altra parte del tavolo, in salotto, intenta a maneggiare il suo cellulare. Kara lesse un'altra riga e le lanciò un nuovo sguardo. Quella non si muoveva, era una sfinge, non poteva captare neppure cosa stesse pensando. Lesse una nuova riga e no, nemmeno la finì che dovette riguardare Indigo poiché la sentì raschiare la gola. No, non stava facendo niente. Impassibile. Si chiese se fosse davvero umana, dopotutto.
«Credi che riuscirai a leggere senza fissarmi per ogni respiro, Kara Danvers?», le chiese a un certo punto spaccando il silenzio, facendola sussultare. Non spostò i suoi occhi dallo schermo del cellulare. «Perché tu ti senta meglio, sto giocando a Battaglia Navale, non progettando uno sterminio mondiale».
Kara arrossì con fastidio, corrucciando lo sguardo. Aprì bocca per rispondere che-
«Oh, è arrivata Lena».
«Cosa?», si guardò attorno, «Io non sento nien-», non finì di dirlo che udirono il rumore metallico del cancello della villa che strisciava e dopo il suono della sirena che sottolineava il passaggio dell'auto. «Come facevi a-?». Che domande, pensò mentre quella sorrideva: dalle telecamere. Altro che Battaglia Navale.
Entrambe si alzarono di fretta per correre all'arrivo di Lena, con Kara che si lasciava andare a un sospiratissimo meno male, non ne potevo più, guardata male dall'altra. Scattò la serratura del portone e Indigo si fermò davanti all'ingresso, distese il piede destro, nella corsa Kara ci inciampò e finì muso sul tavolino vicino al portone proprio quando questo si aprì. Vedendo Lena, il cuore di Indigo saltò un battito e non poté fare a meno di delineare un piccolo sorriso di felicità. «Bentornata».
«Kara? Cos'è successo, stai bene?», si inchinò subito per soccorrerla. Dal colpo, per poco non cadeva un vaso.
«Quella mi ha fatto lo sgambetto», si lamentò subito, lanciandole un'occhiataccia d'ira intenta a massaggiarsi il naso rosso e recuperando gli occhiali caduti.
«Sarai inciampata sul tappeto», sussurrò Lena per poi guardare l'altra, che sollevava le spalle.
«Non sono inciampata sul tappeto, avevo preso la mira».
Indigo a quel punto sorrise. «Forse non dovevi correre in casa. Succede».
Si fissarono in cagnesco per un tempo lunghissimo, quello dato a Lena per chiudere la porta, riposizionare il vaso sul mobiletto, lasciare le chiavi sul cestello, togliersi il cappottino, spolverarlo dalla polvere sollevata dal vento, allontanarsi. «Avete ancora intenzione di venire a Star City con me? Perché Bruce Wayne verrà a prenderci a breve», gridò alle due che si decisero subito a seguirla.
Era proprio vero. Dopo un periodo di stallo in cui lei e Bruce Wayne non si erano più sentiti, era bastata una chiacchierata di sfogo da parte di Lena perché il giovane dicesse di conoscere Oliver Queen della Queen Consolidated. Non era lui ad amministrare l'azienda ma il patrigno, Walter Steele, tanto bastava per decidere di organizzare un incontro e avere delle risposte. In realtà, Lena credeva di conoscere già quelle risposte, ma non si sarebbe messa l'anima in pace fino a quando non le avrebbero confermato le sue paure.
«Ho detto alla signora Grant che sarei tornata la prossima settimana», borbottò Kara, all'interno della camera di Lena. «Siobhan non è ancora tornata e comunque il lavoro è poco. Al campus ho avvertito tutti e non mi aspetteranno per le lezioni, anche se non hanno preso molto bene la notizia, sono indietro e non riesco a concentrarmi per studiare».
«Era più interessata alla mia Battaglia Navale», incalzò Indigo che, intanto, si lasciava sistemare i capelli sciolti da Lena. Di tanto in tanto sorrideva con beatitudine come se, essere toccata da lei, la potesse mandare in paradiso.
«Vorrà dire che, quando torneremo da Star City, ti farò lezioni private», disse invece Lena, voltandosi per sorriderle. Notò subito Kara che avvampava, ma non riuscì a inquadrare per tempo lo sguardo indispettito di Indigo. «Ecco», riguardò lei, «Lasciamo i capelli così, distesi sulle spalle, mossi, hai più possibilità di passare inosservata che con la solita treccia».
Kara frugò all'interno della sua borsa, avvicinandosi di corsa alla sedia. Sorrise a labbra strette infilandole un cappellino arancio e nero dei Giants, forse un po' stretto, e dopo un paio di occhiali con la montatura nera e lenti non graduate. «Le cosette che ho portato! Il miglior modo di passare inosservati è indossare un cappello e, ovviamente, un paio di occhiali», annuì con soddisfazione, «Darà un tocco generale».
Indigo ringraziò impassibile e si alzò per guardarsi meglio allo specchio. Era perfetta. Perfetta, perché non sembrava più lei: indossava una felpa rosa di una misura più grande, pantaloni grigi sportivi, e Lena l'aveva convinta a cambiarsi le scarpe, indossandone un paio da ginnastica nuove, bianche, che lei aveva usato una volta sola. Se non accettava di doversi travestire, Lena Luthor non l'avrebbe portata con sé per paura che il suo garante avesse potuto rintracciarla. Ah, il garante da cui era scappata, certo. Era meglio assecondarla. Senza contare che le piaceva avere le sue cure per sé. Anche lì, attraverso lo specchio, non perse occasione per riguardarle le labbra rosse, dietro le lenti degli occhiali. Erano così invitanti e le ricordava calde. Chissà come sarebbe stato averle sulla pelle. Sospirò e le gote iniziarono a imporporarsi. Notò che Lena se ne accorse ma non farci caso, e neanche lei ci fece caso poiché non le importava, la vergogna era una cosa distante da lei: la voleva e Lena lo sapeva. Era tutto.

Bruce Wayne passò a prenderle in limousine una mezzora più tardi e, con le indicazioni di Lena, si fermarono sotto casa in periferia di Winn Schott Jr, che aveva tanto insistito per essere dei loro e conoscere Oliver Queen. In verità, per poco non sbatté il naso entrando nella vettura, inciampando all'entrata quando scorse Bruce Wayne: era così emozionato e concentrato di poter fare bella figura, che fece una pessima figura e si scusò balbettando almeno dieci volte da quando lasciarono casa sua. La limousine li portò fino al campo di volo per prendere l'elicottero che li avrebbe portati a Star City e Indigo controllò con curiosità come Kara stringesse una mano di Lena con le sue, in special modo quando si alzarono in volo. Lena Luthor aveva paura di volare, lo intuì da come si sforzasse per mantenere un'espressione dura, con risultati appena sufficienti.
«Tu hai mai volato in elicottero?», le domandò Winn.
Bruce Wayne era alto, spalle larghe, piegato in una posa non troppo naturale, sembrava teso. Indigo assottigliò gli occhi, osservandolo con attenzione come sembrasse nascondersi dietro il giaccone primaverile.
«Per me non è la prima volta», proseguì Winn. «Ho seguito spesso la signorina Luthor nei suoi viaggi».
Era sicura che a Gotham facesse più freddo che a National City, ma lui lo teneva ancora ben chiuso fino al collo e con il colletto alzato. Gli avevano detto che lei era un'amica di penna di Lena, la stessa scusa usata con tutti quelli che non sapessero già di lei, e Bruce lo aveva accettato di buon grado; era quasi passata inosservata, in effetti.
«M-Ma è come se fosse, eheh, la prima volta ogni volta».
Inosservata, continuò a pensare Indigo, squadrando i suoi pantaloni costosi e le scarpe lucide. Ed era pensieroso, totalmente distaccato dal gruppo. Sorrise. Il riccone aveva indiscutibilmente qualcosa per la testa, qualcosa di molto più interessante di un'amica di penna di Lena che andava con loro per scoprire di qualche vecchio affare del signor Luthor, che in caso contrario sarebbe stato curioso.
«Un po' di paura c'è sempre, ma», annuì Winn, per poco, «dicono sia il modo più sicuro di viaggiare».
Indigo aggrottò la fronte, voltandosi alla sua destra. «Scusa, parlavi con me?».
Il volto di Winn diventò più pallido man mano che il suo entusiasmo scemava. Riuscì a sorridere a scuotere la testa con amarezza, per poi guardare altrove e starsi zitto. Fu un volo molto silenzioso.
Dall'alto, sembrava che Star City si stesse già preparando per la notte: il cielo cambiava, le nuvole si schiarivano e così, dietro la sagoma dei grattacieli lontani, sfumavano scie giallastre. L'elicottero aveva il permesso di atterrare sul tetto della Queen Consolidated e appena aprirono le porte furono investiti dal vento freddo. Una donnina li aspettava. Li intravide arrivare e rimase ferma in attesa fino a quando non li notò avvicinarsi e, reggendosi le braccia e la gonna per il freddo, diede loro una spiacevole notizia, atteggiandosi con aria colpevole:
«Il signor Queen non potrà esserci come promesso: un impegno improvviso lo ha trattenuto».
«Quale impegno improvviso?», si era aggrottata Lena. Erano andati lì con l'unica intenzione di parlargli, aveva dato la sua parola e poi non si presentava? La vide mettere un'espressione indisposta.
«Potete portarci da lui?», domandò allora Bruce.
Una berlina della Queen Consolidated fu messa a disposizione e gli ospiti del signor Queen furono condotti fino alle strade di quelle che l'autista chiamava le Glades. Sembrava un po' spaventato di avventurarsi laggiù e non faticarono a intuire perché: cassonetti che bruciavano, spazzatura, vagabondi, serrande di esercizi commerciali abbandonati abbassate e rotte, scritte sui muri. Era lampante il degrado e l'eccesso di atti vandalici che sembrava dominare quella parte di Star City. Lena intuì subito che era a quello a cui si riferiva suo fratello parlando di due facce della città. Ora non le restava che domandarsi cosa ci facesse lì qualcuno come Oliver Queen.
L'autista li fermò davanti a un vecchio magazzino, dicendo loro che avrebbero dovuto passare per la porta di servizio, a sinistra. Il fabbricato era cadente: il passaggio anteriore bloccato da mattoni e sbarre d'acciaio, le finestre in alto rotte e con teli di plastica che pendevano fuori. Si guardarono attorno spaesati, soprattutto Winn, che balzò dalla paura anche quando l'autista fece loro un colpo di clacson per avvertirli che si sarebbe allontanato e che sarebbe passato a prenderli più tardi.
«Ma se dovessimo andarcene subito, l-lui ha il nostro numero, vero? O siamo bloccati qui?», chiese intanto che tremava, e quasi certamente non per il freschetto del vento della sera.
Seguirono la strada a sinistra come suggerito e scorsero un gruppetto di uomini entrare attraverso una porta cigolante che si richiuse da sola. Bruce Wayne la spinse e, dopo aver aspettato il loro consenso, aprì. Li involse subito un forte odore di alcolici e sudore, sentirono risate e incitamenti, e urla divertite. Dopo un piccolo ingresso, si affacciò loro un grosso locale con una grande gabbia di metallo al centro. Le pareti erano ridipinte di verde scuro; su una di queste, era affissa una grossa lavagna con segnati nomi e numeri in colonna. Non c'era molta gente, solo qualche gruppetto sporadico intorno alla gabbia, ma si notava come il locale fosse abituato a contenere molte più persone date le innumerevoli e caotiche orme di scarpe lasciate sulla polvere del pavimento sporco. Più avanti c'era un servizio barman e l'uomo che ci lavorava si incantò a guardarli come se avesse visto un fantasma. In effetti, lì dentro sapevano di essere fuori luogo, con i loro vestiti buoni e le facce pulite.
Winn brontolava e li seguì come un cagnolino con la coda tra le gambe mentre si avvicinavano alla gabbia: c'era qualcuno lì, due uomini si picchiavano. Gli spettatori incitavano i due a colpirsi e un uomo robusto, più vicino alla gabbia, era pronto con asciugamani e borracce d'acqua. Uno degli uomini dietro le sbarre fu colpito tanto forte che volò prima di cadere a tappeto. L'uomo robusto aprì la porta della gabbia e portò da bere a quello k.o., intanto che l'altro girava intorno, inarcando le spalle, gonfiando il petto nudo.
«Dovevo immaginarlo», commentò secco Bruce, mentre Lena e Kara si scambiavano un'occhiata, chiedendosi se il vincitore fosse davvero Oliver Queen come sembrava.
Con soli pantaloncini addosso, notarono quanto il suo corpo fosse stato sottoposto a diverse torture: c'erano cicatrici più o meno grosse che gli segnavano il petto, e la schiena era messa addirittura peggio, riuscendo a contare i segni indelebili che dovevano aver lasciato delle frustate. Dai giornali e dai tg, si era reso noto come, dopo tre anni in cui si credeva morto per via dell'incidente con lo yacht di famiglia in cui morì suo padre, l'erede dei Queen fu ritrovato su un'isola che, fino a quel momento, si credeva deserta. Nessuno parlò di cos'avesse passato in quei tre anni tanto nel dettaglio.
«Oh, porca miseria», borbottò Winn, a bocca aperta. «Quello è Oliver Queen», infine lo gridò, lo puntò come avrebbe fatto un bimbo appena visto Babbo Natale scendere dal camino, e tutti si voltarono nella loro direzione, Oliver Queen compreso.
Altri due uomini sostituirono gli sfidanti nella gabbia. Oliver Queen li raggiunse e salutò Bruce Wayne con un accenno di confidenza, formalmente, come se in realtà fossero solo poco più che conoscenti. Dopo si voltò per stringere le mani delle ragazze.
«Sono felice di conoscerla, signorina Luthor. È increscioso che ci scambiamo la prima stretta di mano quando non sono», prese una piccola pausa, formando un lieve sorriso, «esattamente presentabile».
«Avrebbe dovuto attendere il nostro arrivo alla Queen Consolidated come accordato e avrebbe evitato questo spiacevole inconveniente», rispose piccata, e lui le regalò un nuovo piccolo sorriso, muovendo impercettibilmente le labbra spaccate.
«Mi stavo annoiando», fu la sua giustificazione. «La sua sorellastra?», indicò Kara. Salutò lei, Indigo presentata come un'amica, e infine Winn, l'assistente di Lena, che diventò rosso. Erano sicuri che presto o tardi gli avrebbe chiesto un autografo.
«Questo non mi sembra il luogo più adatto per parlare di ciò che siamo venuti», si accigliò Kara. Non fosse altro, si sentivano ormai dei pesci fuor d'acqua.
«No», decise Oliver Queen, con espressione seria, «infatti. In ogni caso, il mio patrigno non si trova a Star City e non rientrerà prima di giorni. Non potrete rivolgervi a lui», mise le mani dietro la schiena. Aveva una posizione fin troppo rigida per essere qualcuno che avrebbe sentito i dolori dei colpi già da quella notte. «E come vedete, io sono occupato. Perché non rimandare a domani? Ora, se non vi spiace, tolgo il disturbo…». Stava per tornare indietro verso la gabbia che Bruce Wayne lo fermò e lo prese da parte, intanto che Winn bisbigliava dispiaciuto come non sembrasse particolarmente felice di vederli.
Non seppero cosa si dissero con esattezza Bruce e Oliver accompagnando quegli sguardi di fastidio e prevaricazione, ma qualunque cosa fosse, era evidente che qualcosa era andato storto, poiché li portò alla gabbia. Oliver Queen entrò per primo e attese il suo avversario che si preparava nello spogliatoio.
«Se vinco, verrà con noi adesso», fu l'unico commento di Bruce quando gli chiesero spiegazioni. Lena non riuscì a fermarlo, erano convinte che lo avrebbe fatto a pezzi. Ma quando uscì dagli spogliatoi, gli spettatori non furono gli unici a restare a bocca aperta: Bruce Wayne era muscoloso ed essendo anche solo poco più alto di Oliver, il risultato di quello scontro non era scontato. Entrò nella gabbia senza preoccuparsi di venire fotografato, con i soli calzoncini scuri addosso. Girarono intorno alla gabbia, in posizione. Nessuno sembrò voler attaccare per primo finché Bruce non si scagliò in avanti e Oliver si scansò di lato, cercando di colpirlo, l'altro parò il colpo con entrambe le braccia, ributtandolo indietro.
«Si-Signorina Luthor…», appena dietro di Lena, Winn provò a bisbigliarle a un orecchio, non staccando gli occhi dallo scontro. «Lei sapeva che Bruce Wayne sapesse combattere?».
«Non ne avevo idea…», soffiò tra i denti. Notava come Oliver Queen fosse in un certo senso soddisfatto, mentre Bruce Wayne infastidito, con in testa l'unico obiettivo di vincere. «È una totale perdita di tempo», sbottò, «Una superflua ostentazione di virilità». Alla sua destra, Indigo si allontanava dagli spettatori con gli occhi fissi sullo schermo del cellulare, così si voltò a sinistra, trovando Kara che, invece, era impegnata a riprendere lo scontro. «Cosa stai facendo?».
Lei strinse gli occhi, pizzicando lo schermo per fare zoom sul video. «È per Selina».
Indigo camminò verso il bagno quasi in punta di piedi, ancora occhi sullo schermo. Si assicurò con la coda dell'occhio che il barman assistesse allo scontro, si appoggiò schiena alla porta e, con una mossa furtiva, piroettò alla porta accanto, entrando negli spogliatoi. C'erano due panchine, odore di sudore che le sembrava di svenire e una decina di armadietti. Per sua fortuna, quelli chiusi erano poco meno della metà. Appoggiò il suo zainetto su una panca e recuperò una forcina di fortuna. Fischiettò a labbra strette, aprendo un armadietto dopo l'altro fino a trovare quello che le interessava. Oh, per sbloccarlo serviva la sua impronta. Sorrise, perché Bruce Wayne non aveva idea di chi fosse. Portò i due cellulari sulla panchina e li collegò con un cavo, continuando a fischiettare.

Fu uno degli scontri più longevi mai visti in quello sporco ex magazzino, ne erano sicuri. Nessuno dei due vinse; Oliver era stanco dagli incontri precedenti e si ritirarono dandosi il cinque, appianando le loro divergenze. Decisero di non parlare di cose serie per quella sera e andarono a mangiare tutti insieme in un localino cinese del posto, lontano dal degrado ma anche sconosciuto, in modo che potessero avere un po' di privacy. Non volevano di certo attirare giornalisti. Senza offesa per Kara, disse Oliver; la conosceva proprio dai giornali, per via del matrimonio delle loro madri ma anche per gli articoli sul CatCo Magazine, ammettendo di aver letto l'ultimo, sull'organizzazione e Rhea Gand, solo di sfuggita. Non si toccò l'argomento.
Bruce confessò che lui e Oliver si conoscevano per lo stesso maestro di arti miste che avevano frequentato. Saltò fuori che aveva iniziato a seguire la prestigiosa palestra da quando ebbe dodici anni, laddove Oliver iniziò pochi mesi dopo essere stato recuperato dall'isola, dando modo di sfogare le sue frustrazioni e imparando a incanalare la rabbia. Ebbero modo di capire presto come quel ragazzo, che sicuramente portava le sue cicatrici più profonde dentro di sé, non era una persona facile: parlava il giusto, era categorico, sempre molto serio, non amava scherzare e stava quasi per le sue. Almeno quanto Indigo, pensò Lena. Quando erano in gruppo, quella ragazza si staccava ancora più volentieri, ma se non altro stava mangiando con gusto e continuava a ordinare. Anche Kara continuava a ordinare, ma per lei era una cosa normale. Oh, Lena notò come Indigo fissasse proprio Kara, di tanto in tanto, e si portò una mano sul viso in modo arrendevole: era forse una competizione? Sarebbe finita per stare male.
Bruce fu il primo a lasciarli, dicendo che sarebbe tornato subito in hotel perché stanco. Poco più tardi li lasciò anche Oliver. Winn e Indigo restarono a penzoloni tra la sedia e il tavolo qualche minuto, pieni come uova, prima che anche loro si muovessero, chiamando un taxi. L'autista incaricato dalla Queen Consolidated aveva già staccato, ormai. Lasciarono il loro tavolo e Lena prese anche lo zaino di Indigo con sé, mentre lei sballottava tra le sedie. Kara fu la prima a notarlo, cercando di non dare a vedere come, in fondo, le avesse dato un po' di fastidio. Almeno, Indigo cercò di farselo ridare indietro.
«Non è pesante».
La ragazza non insisté subito, pensando di farselo restituire una volta in taxi. «È perché c'è il portatile», esclamò, «Mi serve. Adesso. Devo controllare una cosa e viene meglio». Winn le fece subito i complimenti poiché conosceva la marca ed era una di quelle con funzionalità all'avanguardia. Ma lei lo ignorò di nuovo. Si infastidì perché Lena le restituì solo ciò che aveva chiesto tenendosi lo zaino, ma fece finta di niente e lo accese, per sé, frugò un po', per poi sorridere.
Si lasciarono fermare direttamente davanti all'hotel, entrarono nelle loro camere per lasciare le borse e decisero di bere qualcosa nel bar vicino alla hall, prima di andare a letto. Kara ripensò allo zaino e al modo con cui Lena, in modo generico, si prendesse cura di Indigo. Cominciò a pensare che, quando non aveva ribattuto al fatto che non stavano insieme, era perché avesse scoperto del bacio tra lei e Lucy. Quello, oppure che si fosse presa una sbandata per quella. O entrambe le cose. Oh. Sbiancò e deglutì, percorrendo il corridoio e arrivando alle porte dell'ascensore. Ma glielo avrebbe detto… Lei avrebbe dovuto dirle del bacio e ancora non lo aveva fatto! Accidenti. Improvvisamente aveva così paura. Cosa c'era stato tra lei e Lucy? L'aveva baciata per provare o per cosa? Cosa significava? Lei e Lena erano in un continuo prendersi e lasciarsi e questo sembrava l'ennesimo tassello di questo loop infinito. Le porte si aprirono e fece per entrare che si richiusero all'istante. Ma che-? Per poco non le prendevano il naso. Schiacciò il pulsante per richiamarlo ma non si apriva, era sceso a un altro piano. Sbuffò, seguendo la moquette per il prossimo ascensore, ripensando a Lena. Forse questa era la fine. Un brivido freddo le percorse il corpo. Si sentì ghiacciare e si fermò, prendendo fiato. Ecco, ci mancava la tachicardia. Aveva perso Lena? Il suo corpo le sembrava così vuoto, in questo momento. Non sentiva la terra sotto i piedi, era leggera e vuota. Tanto vuota. Prese fiato, occhi sgranati, il cuore che palpitava con fretta. Chiamò l'ascensore. No. Non voleva crederci. Era stata così stupida, così stupida che… Le porte si aprirono, entrò dentro e pigiò per il piano terra, appoggiandosi a una delle pareti. Forse sapeva del bacio, o forse era stata lei a innamorarsi di Indigo e allora… E allora cos'avrebbe fatto, lei? Era ben cosciente che avevano cose importanti in ballo a cui pensare, ma Lena era tutto ciò che voleva, tutto ciò che non avrebbe mai riavuto se l'avesse persa definitivamente. E persa poi per cosa? Un bacio in spiaggia con- Sussultò. Le porte si aprirono e fece per uscire che- ma non era il piano terra. Controllò sul display e- piano dodicesimo? Ma gli ascensori dell'hotel erano forse impazziti? Stava per schiacciare la nuova destinazione che le porte si richiusero da sole e l'ascensore iniziò a muoversi. Forse lo avevano chiamato altrove, ma cominciò a temere fosse posseduto da un poltergeist. Piano tredicesimo. Quattordicesimo. Quindicesimo. Deglutì. Era l'ultimo e le porte si aprirono che- no, si richiusero di nuovo.
Lena controllò l'orologio al polso, sbuffando. «Penso che andrò a vedere se Kara si sente bene, è strano che non sia ancora qui».
Winn annuì e pensò di andare con lei, intanto che Indigo sorrideva di gusto, giocando col suo cellulare. I due si alzarono dai loro sgabelli che Kara si presentò al bar. «Tutto bene?», domandò Winn e Lena le andò incontro: sembrava turbata.
«Sono dovuta schizzare via da un ascensore impazzito mentre le porte si chiudevano. Ma mi aveva sfilato una scarpa e, quando ho cercato di riprenderla, stava per prendermi anche un braccio. Così mi sono fatta sei piani a piedi nel tentativo di ritrovarla», disse d'un fiato, ansimando. Notò subito come, davanti a un piccolo tavolino, il laptop con lo schermo semichiuso e il cellulare, Indigo si stesse divertendo un po' troppo. «Lo credi divertente?», le andò incontro furiosa, per poi guardare i due. «È stata lei. Com'era prevedibile», portò le braccia sui fianchi.
«Come può essere stata lei?», domandò Winn.
«Certo che non è stata lei. Perché dovrebbe farlo, Kara?», la protesse Lena.
«Io sto giocando a Battaglia Navale e tu sei paranoica», scrollò le spalle Indigo.
Kara brontolò, ma decise di lasciar perdere perché, più che il fatto increscioso dell'ascensore, a darle fastidio era come Lena l'avesse difesa. Di nuovo. Forse i suoi dubbi avevano delle fondamenta, dopotutto… Forse avrebbe dovuto parlargliele lei. Forse non avrebbe dovuto prendersela così tanto, dopo aver baciato Lucy Lane. Aveva commesso l'errore più grande della sua vita.
«Bruce Wayne sembrava particolarmente strano, oggi», udì parlare Lena, capendo che i suoi viaggi mentali l'avevano tenuta impegnata per un po'. «Non mi aspettavo che sapesse combattere, ma… Non so, non me la raccontano giusta lui e quel Queen. Non so cosa aspettarmi, domani».
«Io posso aiutare a fare chiarezza», interruppe Indigo. Si protese tra loro e mise davanti a Lena il suo portatile, sopra il bancone. Dopo premette play su una traccia audio e Lena alzò di poco il volume, poiché l'unico chiasso proveniva dal fondo del locale da due uomini un po' brilli.
Udirono rumori di fondo non comprensibili e si chiesero cosa stessero ascoltando, fino a quando non sentirono una voce chiara e perfetta: «Ce ne hai messo». Era Bruce Wayne e pareva essersi mosso.
«Ho aspettato, non volevo che sospettassero». Oliver Queen. Loro si guardarono e guardarono Indigo.
«Ho hackerato il suo cellulare», rispose con nonchalance, «Perché sapevo che il damerino nascondeva qualcosa. Ascoltate, che è interessante. Risale a quando se ne sono andati dalla cena».
Winn spalancò gli occhi ed entusiasta stava per chiederle cosa avesse usato e quando, che Lena lo fermò, tappandogli la bocca con un fazzolettino di carta: i due stavano parlando.
«Ti avevo chiesto di mentire a Lena Luthor, non di andare a divertirti invece di venire all'incontro».
«Me lo avevi chiesto», prese una breve pausa, «ma non ti ho detto che lo avrei fatto. Credo ci sia un fraintendimento, Wayne: ti rispetto, non prendo ordini da te. Non mentirò a nessuno a meno che non pensi che ci sia una buona ragione per farlo e, in questo specifico caso, non ne trovo una». Sentirono rumore di bicchieri, il versarsi qualcosa da bere.
«Lena Luthor è un'amica e non voglio che scavi nel passato di suo padre. Non ti sembra sufficiente?».
«Amica?». Udirono rumori di spostamento, poi il vetro del bicchiere che tintinnava. «Un'amica… intima?».
«Un'amica e basta. Non sono come te».
«Come me, come?», era un sospiro? «Leggo anch'io i giornali: mi è parso di capire che ti piaccia avere la compagnia di fanciulle diverse ogni sera. Uno strano giro di… amicizie».
Bruce non rispose subito. «Arriviamo al punto: l'organizzazione sta riprendendo potere e Lena Luthor deve starne fuori».
«Perché?».
«Perché così ho deciso. È ancora in tempo».
«Tu non lo sei?», pausa. «Hanno contattato anche te. Ma certo. Ti conosco, Wayne: non pensi ad altri che a te stesso. Non cerchi di proteggere Lena Luthor, non la vuoi in mezzo. Non pensi che potrebbe essere troppo tardi? Che abbiano già contattato anche lei?». Lena aggrottò la fronte e Kara fece lo stesso, scambiando un'occhiata con lei.
«Potrebbero non farlo», sentirono rispondere Bruce.
«Lo faranno», ne sembrò certo Oliver Queen. «Questione di tempistiche. A meno che non pensino che la signorina Luthor non sia pronta», lo sentirono muoversi.
«Non sembri preoccupato. Accetterai l'invito? Fare affari con loro?».
«Aspetto che vengano a chiedermelo di persona… per rispondere gentilmente che non sono interessato», lo sentirono e quasi lo videro, nei loro pensieri, impegnato a fare uno di quei piccoli sorrisi sicuri.

Avevano lasciato il bar. Indigo si era ripresa il portatile sottobraccio e aveva stretto una mano di Lena per farle sentire la sua vicinanza. Dal canto suo, Lena avrebbe voluto dirle che ciò che aveva fatto a Bruce era sbagliato ma… non ci riuscì. Ascoltare quella conversazione era stato se non altro illuminante. Era andata avanti, con la testa stanca, intanto che Indigo aspettava Kara, indietro.
«Scusa per lo scherzo dell'ascensore».
«Quello lo chiamo scherzo?», brontolò.
Indigo allungò uno sguardo a Lena e impercettibilmente sorrise, rivolgendosi di nuovo a lei. «Mi sento ancora nuova ai sentimenti, diciamo, umani. Non che volessi ferirti, mi stai simpatica, in fondo, ma… ma diciamo che credo di essere gelosa. Di te e Lena. Voi due avete dei trascorsi e noi invece…», deglutì, assicurandosi che la stesse ascoltando, «siamo solo all'inizio. Ho così paura che tu possa, come dire, riconquistarla». La vide accigliarsi e sapeva di aver fatto centro.
«Cosa vuoi dire…? Voi siete…?».
«Beh… sì. Non te lo ha detto?». La lasciò sola, scrollando le spalle, e così raggiunse Lena.
Erano tornare nelle proprie camere ma era dura riuscire a prendere sonno dopo ciò che avevano sentito. Lena si affacciò alla finestra e, sotto, su una panchina di pietra davanti a una piscina all'aperto, appena illuminata dai lampioni giallastri del parco interno dell'hotel, vide Kara. Da sola. Cosa faceva lì? Si strinse intorno a una vestaglia trovata in camera e, ora che era a pochi passi da lei, la fissò con attenzione: i capelli da un lato, mossi, in pigiama, con le ciabatte ai piedi. Era così… Accidenti. Aveva tanto a cui pensare, eppure niente era importante quanto quello che sentiva in petto per lei: e allora perché erano così distanti? Si avvicinò lentamente e Kara si accorse della sua presenza, voltandosi per farle un sorriso. Non che fosse falso, ma a Lena parve un po' spento, quasi malinconico. «Ehi», si avvicinò e lei le fece spazio.
«Ehi. Nemmeno tu riesci a dormire?». Con le gambe accavallate, le diede un colpetto di ciabatta bianca sulle sue; portavano le stesse con il logo dell'albergo.
Lena scosse la testa. «Sono stanca, però… O forse è proprio perché sono stanca che non riesco a dormire».
«Domani diremo loro di sapere di cos'hanno parlato», azzardò Kara. «È la cosa migliore. Scoprire le carte. Sentire cos'hanno da dirci. E… tutto. Andremo avanti in qualunque caso», la guardò di nuovo.
Lena sorrise e annuì. Restarono di nuovo in silenzio a osservare l'acqua della piscina che, mossa dalla leggere brezza del vento, si increspava. Si stava bene, lì. Stavano bene insieme, lì. Lena la guardò con la coda dell'occhio e, quando Kara si voltò e le sorrise, sorrise anche lei. «Dobbiamo convincere Lucy Lane a fermare l'accordo delle pillole».
Kara sospirò. «Lex non ha ceduto?».
Scosse la testa, fermandosi per prendere fiato. «È testardo. Pensa che Lord fallirà e non gli importa se qualcuno si fa male. E la nuova formula è… pericolosa. A meno che Roulette, in qualche modo, sia riuscita a imbrogliarci e a rifilarci una formula obsoleta. Ma se fosse, Lord stava comunque per fartene assumere una».
Kara parve pensarci un momento. «Allora potremo rapire Roulette e farci dare delle risposte».
Si guardarono con serietà finché, pian piano, non scoppiarono a ridere. «Per un attimo, credevo dicessi sul serio».
«Per un attimo l'ho pensato». Risero di nuovo e Lena si strinse nelle braccia quando un brivido di freddo le ghiacciò la schiena. Kara non se lo lasciò sfuggire e si avvicinò, appoggiandosi a lei. «Lena, devo…».
«Anch'io», deglutì e si voltò, cercando di prendere coraggio.
«Ti sei innamorata di Indigo?», parlò per prima, di getto, lasciando Lena a bocca aperta.
«Cosa? No».
«Oh, per Babbo Natale, la Befana e gli elfi uniti, meno male», prese un grosso respiro, facendo scoppiare Lena in una fragorosa risata. «Credevo che- Vi vedevo unite e come la difendi sempre».
«Indigo non ha mai avuto nessuno che la difendesse, Kara, cerco solo di… farla sentire umana e non un problema, ma non sono innamorata di lei. Però…», era il momento e deglutì. «Però c'è dell'altro, è vero». Aspettò che la guardasse negli occhi, sapeva di doverlo fare. Se non che lei le parlò quasi con la voce sulla sua:
«Siete state a letto insieme?», abbassò gli occhi.
«Oddio, no!», strinse le sopracciglia, arrossendo, «Come ti viene in mente una cosa del genere?».
Spalancò gli occhi azzurri e si morse la lingua. «Indigo!», esclamò dopo, stringendo i denti.
Lena scosse la testa, sospirando. «Non voglio giustificarla», anticipò, «Ma ha una cotta per me e sa quanto tu sia importante per me, e non sa come interagire e probabilmente pensava di fare qualcosa di furbo dicendoti che siamo state… intime, quindi… lasciala perdere, per favore».
«Sono importante per te?».
«La persona più importante», rispose. Deglutì, guardandole le labbra. «Lo sai. Ma ci siamo baciate». Veloce, quasi indolore. Quasi.
Kara restò a bocca aperta. «E-E ha… Okay», abbassò gli occhi e così il viso, fissando l'acqua della piscina. Sentiva di nuovo la tachicardia. Lena e Indigo si erano baciate… Si erano baciate e a lei come poteva dare tanto fastidio? Come poteva essere così ipocrita?
«Scusami», la sentì, con la voce quasi strozzata.
«Ha… significato qualcosa?».
«In quel momento, forse. Era… solo un momento». Lena strinse il bordo della panchina, reggendosi saldamente per non cadere, tanto si sentiva svuotata. Quanto peso dava a quel bacio? E quanto gliene dava Kara? «Mi dispiace, non dovevo. So che non stiamo insieme, ma-».
«No», Kara scosse la testa, rialzando lo sguardo senza guardarla negli occhi: non ne era capace. «Non dispiacerti perché… perché io ho baciato Lucy Lane», sputò il rospo e non sentì più nulla se non il brontolio della sua pancia e il batticuore. Lena non se lo aspettava; all'inizio, non si era nemmeno mossa.
«Tu… cosa?». Lena restò senza parole ed entrambe fissarono l'acqua della piscina che specchiava il giallo delle luci esterne.
«N-Non so come, o cosa…», sospirò. «Sono stata una stupida! Una stupida», strinse i pugni. «E-Era un momento- Voglio dire, che anche per me-», si fermò di nuovo. Perché non le veniva una frase di senso compiuto? Nemmeno lei sapeva cos'era stato? «Nel momento era qualcosa, ma quel qualcosa è morto lì, stecchito, perché io amo te e lei lo sa. Non ho fatto altro che parlarle di te. E mi ha suggerito di dirti tutto». Non si aspettava che Lena restasse in silenzio. «Non avrei-».
«Che cosa siamo noi due, Kara?», domandò Lena, seria. L'acqua della piscina si increspò di nuovo e l'ampolla gialla dei lampioni si accartocciò. Non facevano che continuare a farsi del male a vicenda, per poi far tornare tutto com'era prima. Ma una situazione come quella quanto poteva durare? «Questo gioco che facciamo, di continuo», sorrise appena, «questo tira e molla o girarci intorno che sia, dobbiamo fermarlo. Siamo sopravvissute a tutto e ci lasciamo fregare da cosa? Una… cotta?». La guardò e Kara altrettanto, facendo una smorfia che era quasi un sorriso, annuendo. «Non ce la faccio più. Stiamo insieme o non stiamo insieme! Per davvero».
Kara annuì ancora, guardò l'acqua della piscina e di nuovo Lena, di corsa. «Io voglio stare con te». La gola le si seccò mentre Lena la fissava. «Ha-hai ragione: e posso stare qua a maledirmi per aver baciato un'altra, ma il solo pensiero di averti persa, prima… A quanto sia stata stupida! M-Mi manda in paranoia! Mi fa sentire persa! Anche tu sei la persona più importante per me e… non ce la faccio a pensare di stare lontana da te, Lena Luthor, non posso».
«Sì», Lena arrossì. «Allora smettiamo prima di farci male di nuovo, perché… Davvero credevi che preferissi Indigo a te?», sussurrò, arcuando le sopracciglia. «Non avrei dovuto, non so cosa mi sia saltato in testa, perché nemmeno io posso pensare di stare lontano da te. Non prendiamoci in giro, ti prego. Farei qualsiasi cosa per non perderti».
«Va bene».
«Va bene», la fissò di nuovo. «Quindi, è così…», sorrise e le sfiorò un braccio con due dita, mentre Kara s'incantava ai suoi occhi. «Avrei voglia di-».
«Anch'io». Kara sollevò la mano sinistra e le accarezzò una guancia. Le sue dita erano calde, scontrandosi con la pelle fresca.
Allora Lena le sfilò gli occhiali dalle orecchie, guardando il suo viso accaldato. Li appoggiò dietro e si avvicinò lentamente, socchiuse gli occhi, e Kara fece altrettanto. Le loro labbra si incontrarono a metà strada, assaggiandosi con delicatezza. «Com'è stato?», le domandò, col fiato sul suo. «Può funzionare?», tentò un sorriso. Ora sapeva a cosa si riferivano i cantanti con farfalle sullo stomaco e perché spendevano tanto tempo a scriverne ancora. Quanto peso poteva dare al bacio con Indigo? Chi se ne importava.
Kara abbozzò una risata. «Mh, mi è piaciuto. Se adesso vogliamo ritentare… pe-per essere sicure che funzioni, no? Per-». Non finì ciò che aveva da dire, neanche ricordava cosa stava per dire, che si baciarono di nuovo e il vento, delicato, sollevava loro i capelli.
Lena si staccò piano e la riguardò negli occhi. «Meglio o peggio di Lucy Lane?».
Gli angoli della bocca di Kara si sollevarono, formando un piccolo sorriso finché non si morse un labbro. «Ah, me lo merito. Ma chi è quella gelosa, adesso?».
«Oh, quindi ammetti che eri gelosa?», si tirò indietro e si leccò le labbra, guardando le sue, un attimo.
Kara sollevò gli occhi al cielo e annuì, decisa. «Ero gelosa. Avevo ragione a esserlo. E adesso vieni qui». La vide arricciare il naso e si baciarono di nuovo, aprendo la bocca e accogliendo una la lingua dell'altra, lasciarsi un attimo per respirare e riprendersi subito, accarezzandosi a vicenda, passando le mani sulle braccia dell'altra, sui capelli, sulla schiena. Questa volta era quella giusta. Doveva esserlo, perché lo avevano scelto consapevolmente. Avrebbero fatto le cose per bene, nel modo giusto, senza fretta. O quasi.
Aprirono la porta della camera di Lena con un calcio e Kara la richiuse spingendoci sopra Lena e finendole addosso, baciandola sotto il mento, stringendole i polsi contro il legno. Lena si sporse solo un attimo per chiudere a chiave che Kara la sollevò, facendola emettere un verso sorpreso, soffocato dopo da una risata, reggendosi a lei.
«Speculare, Kara: la camera è speculare alla tua», le disse con urgenza e lei, da destra, girò a sinistra per il letto.
«Dovevamo andare nella mia». La lasciò andare e si baciarono di nuovo, sobbalzando sul letto.
«La mia era più vicina e sembrava che volessi saltarmi addosso in ascensore».
«E questo è vero», strinse i denti. Affondò la bocca sotto i suoi capelli e le morse impercettibilmente il collo, lasciandola andare a un'altra breve risata, felice. «P-Posso sfilarti la vestaglia?».
«Devi sfilarmi la vestaglia», la corresse. «Basta che fai piano, la camera di Indigo è a una parete da qui».
Kara si accigliò subito, rossa sulle gote, lanciando un'occhiataccia verso la parete. «Questo è inquietante», brontolò, «Che poi hai visto come ha hackerato il cellulare di Wayne; magari lo ha fatto anche col tuo».
«No che non lo ha fatto»: la voce di Lena attraverso il suo telefono e Indigo sospirò. Era sdraiata a pancia in giù, sopra il materasso ancora fatto, mentre prendeva appunti sul suo portatile. Sentirle insieme l'aveva messa di malumore: era questo che si provava a venire rifiutati? Non riusciva nemmeno a concentrarsi. «Ma se ti fa sentire meglio», udì, sentendo un rumore forte di qualcosa che si spostava, «Lo chiuderò in un cassetto. E prenderò anche i tuoi occhiali, prima che li schiacci». Altri rumori forti. E all'improvviso si voltò, ricordando il suo zaino. Dove l'aveva lasciato? Oh, cavolo… Doveva averlo ancora Lena.
«Mettilo sotto gli asciugamani», sentì suggerire Kara e lei, seccata, abbassò del tutto lo schermo del laptop, mettendosi in posizione fetale sul letto. Era finita? Si sarebbe ancora presa cura di lei, adesso?
Lena chiuse e si appoggiò alla cassettiera, osservandola mentre si rialzava e la raggiungeva. «Soddisfatta, così?».
«Abbastanza».
«Abbastanza?», inarcò un sopracciglio, aspettando il suo arrivo.
Kara le sorrise e la circondò con le braccia. Si baciarono subito, lasciandosi andare appena, riprendendosi, assaggiandosi come da tempo non erano più riuscite a fare. Era bello; si sentivano di nuovo, finalmente. Sentivano ciò che avevano provato mesi fa quando si erano conosciute e quando si erano stuzzicate fino al primo agognato bacio dopo una partita di lacrosse; sentivano la loro prima notte insieme al Ringraziamento; cos'avevano provato a separarsi, cosa a stare lontane, e cosa sentivano adesso, più forte di sempre. I respiri mozzi, la tachicardia; i loro corpi che, a contatto, parevano quasi prendere fuoco. Sentivano i loro cuori spezzati che si risanavano, la felicità che saliva dalla bocca dello stomaco, la leggerezza di essere nel posto giusto con la persona giusta. E ne ebbero una nuova certezza, ovviamente: era lei la persona giusta. Nessun altro oltre lei ed era come respirare per la prima volta dopo tempo.
E ne era passato davvero tanto, di tempo. Troppo. Così tanto che, nello sfiorarsi, provavano un nuovo imbarazzo che si scontrava inesorabilmente con la consapevolezza di conoscersi. La memoria del corpo, contro la titubanza della mente.
«Adesso va meglio», boccheggiò Kara e Lena insinuò le mani sotto la maglia del suo pigiama, tastando con decisione, facendole venire i brividi. Nel frattempo, Kara pensò di sfilarle la vestaglia che andò a depositarsi sulla cassettiera, andando a baciarle le spalle, nude. Le spostò una spallina della camicia da notte verde acqua e baciò ancora, con l'alito caldo. Le portò una mano dietro i capelli corvini e si guardarono negli occhi attraverso la fioca luce che passava dalle finestre, baciandosi, un respiro profondo, le labbra piene che sapevano di tutto ciò di cui avevano bisogno. Per quanto di cose importanti da pensare ne avessero a sufficienza, era proprio vero che tutto ciò di cui avevano bisogno per sentirsi bene, o complete, era racchiuso in quei baci. Sapevano di poter affrontare tutto il resto, insieme.
«A-Aspetta», le sussurrò Kara di punto in bianco, ancora su di lei. «Volevo… in ascensore, sembrava che volessi, sì, però… se tu vuoi, cioè», la guardò negli occhi, diventando rossa, «se pensi che stiamo andando troppo in fretta, a me va-va bene, va più che bene se possiamo sdraiarci e stare vicine, solo vicine, okay? Voglio anche solo starti vicino».
Lena le passò dolcemente una mano sul mento e si assicurò di rubarle un breve bacio. Leggero, d'amore e forte. La intravide guardarle le labbra quando la lasciò andare. Un attimo furtivo e basta, incatenando gli occhi ai suoi. «Lo voglio, Kara. Lo voglio dal matrimonio delle nostri madri, accidenti. Probabilmente in ascensore ci sono telecamere o», biascicò lentamente verso l'orecchio sinistro di lei, insinuando la mano destra sui suoi capelli, stringendo, «non mi sarebbe dispiaciuto averti anche in uno spazietto un metro e mezzo per un metro e mezzo, contro lo specchio».
«Va bene- emh, bene», abbassò la voce, dopo un primo tentativo stridulo, imbarazzandosi.
Lena si spostò un poco dalla cassettiera e fece cadere la vestaglia sui piedi coperti dalle ciabatte e lasciò di nuovo a lei la situazione in mano, in attesa. La sentì deglutire, era nervosa. Forse avrebbe dovuto fare qualcosa per farla sentire a suo agio, anche se le era sempre piaciuto il suo tentennare. Ma infine si mosse: le afferrò i lembi della sua camicia da notte e se la lasciò sfilare e gettare a terra. Il tempo di toccare il parquet che Kara era di nuovo su di lei, leccandole il collo, assaggiandolo con le labbra piene, intanto che con i polpastrelli, delicati, le girava i fianchi, toccava la pancia, saliva fino al reggiseno. La bocca bollente raggiunse le sue curve. Baciò mentre Lena sospirava, occhi semichiusi, afferrandole di nuovo i capelli biondi. «Kara», la chiamò col fiato corto e l'altra alzò gli occhi, ritrovando i suoi. «Non sono fatta di porcellana», sorrise, per poi sospirare di nuovo. «Va bene. Puoi farlo. Toccami».
Kara arrossì di nuovo, ma decise di non lasciarsi prendere dal panico. Non era la prima volta che stava con Lena e non doveva aver paura di sbagliare con lei, era sciocco: mesi separate e ora che poteva toccarla di nuovo, temeva di fare una mossa falsa. Ma ci sarebbe stata una mossa falsa da poter fare, a quel punto? L'unica cosa veramente sbagliata che poteva saltarle in mente era fermarsi e se poi, in qualunque caso, avesse di nuovo avuto il panico, avrebbe improvvisato. Poteva improvvisare? Doveva improvvisare. E baciarla, che fosse in un qualunque punto del suo corpo, era ciò che le veniva meglio. E che le piaceva fare. Riaprì la bocca, poggiò la lingua in fiamme, schiuse le labbra. Le strinse i seni con entrambe le mani, forte. Più decisa, adesso, arrossendo fino alla punta delle orecchie, sentendola gemere appena.
«Va meglio». Accidenti, le sfuggì: non avrebbe dovuto, lo sapeva. Temeva di bloccarla, ma non lo fece: Kara le strinse più forte, attenta a non farle male, inchinandosi, baciando più in basso, in mezzo ai due seni pieni. Aveva caldo ma i brividi di freddo allo stesso tempo. Era piacevole, sentiva l'eccitazione crescere. Si appoggiò di nuovo alla cassettiera, quasi sbattendo, e Kara scese, leccandole intorno all'ombelico, stringendo i fianchi pallidi.
Era così perfetta e non l'avrebbe persa, pensò Kara. Adesso lo sapeva quanto mai prima. Non era una questione di fortuna, Lena l'amava davvero o di occasioni per lasciarla andare ne avrebbe avuto parecchie. Quella stessa sera, ad esempio. E invece erano di nuovo loro due, come se non si fossero mai lasciate davvero. Rivide il momento in cui le disse di andarsene, arrabbiata, dopo Capodanno: l'aveva sentita piangere dietro la porta della sua camera, al campus. E ricordava quando si tennero per mano in casa Danvers-Luthor sul divano, guardando un film con la famiglia, non riuscendo a fare a meno di toccarsi. Quando, nella loro camera in comune, ci fu il loro primo bacio mancato, sentendo Eliza gridare per il procione. Che poi era un gatto. Ricordava i barattolini di yogurt a Natale, in villa. E ricordava la testata al loro primo bacio serio, dopo la partita. Fu allora che capì che per quanto Lena avesse provato qualcosa per Indigo, non sarebbe mai stato lo stesso. Esattamente come non sarebbe stato lo stesso per il bacio tra lei e Lucy. Avevano un diverso peso quei baci che le lasciava sulla pelle. Un significato profondo. Il potere che avevano l'una sull'altra. Era tutto giusto, adesso.
Lena la attirò a sé e la baciò come se le mancasse l'aria. Kara la strinse per le spalle, le passò le mani sotto il mento, sui capelli. Lena la aiutò a liberarsi dalla maglia celeste del pigiama, sbottonandole un bottone dopo l'altro, assaggiando la sua pelle bollente. La gettò sul pavimento e abbracciò Kara sui fianchi, passandole la punta della lingua sull'incavo del collo, sentendola per poco trasalire. Sorrise e la riguardò negli occhi semichiusi che la seguivano, tentando con le mani l'elastico dei pantaloni del pigiama. Non batté le ciglia, continuando a fissarla mentre la mano destra si intrufolava sotto gli slip. Non la fermò e anzi spalancò gli occhi. Kara deglutì e Lena tirò via la mano, ridendo di nuovo, facendola accigliare. Le abbassò i pantaloni celesti e le baciò una coscia in un punto a caso, poi l'altra in un altro punto a caso.
«Okay. L'hai voluta tu», sbottò. Scacciò le ciabatte dai piedi e tirò giù il pigiama, così la risollevò stringendole le natiche e la ributtò sul letto, togliendo anche le sue, di ciabatte. Si baciarono di nuovo, e di nuovo, finché Lena non si lasciò andare a una risata e Kara rise a sua volta, senza un perché.
«Vuoi dirmi qualcosa?», la stuzzicò Lena, arcuando un sopracciglio. «Non tenere le cose per te. Se vuoi stare con me, dobbiamo condividere tutto».
«È che non- Non vedevo l'ora di-», si morse il labbro inferiore, spostando i suoi occhi per la stanza semibuia, «Mi sei mancata». Neanche il tempo di dirlo in completa serietà che avvampò di colpo. «N-Non intendevo che mi sei mancata in que-quest-questo contesto, o meglio sì, decisamente mi sei mancata anche in questo contesto», annuì, non mancando di portare lo sguardo sul suo seno in vista, tenuto su dal reggiseno di pizzo verde scuro, decorato e invitante. «Ma mi sei mancata in», fece una smorfia con la bocca, «generale, diciamo. Tutto. Mi è mancato tutto».
Lena le circondò il collo con le braccia nude, reggendosi per sollevarsi il tanto giusto per rubarle un bacio piccolo e lento, per poi farle un sorriso. «Anche tu mi sei mancata. In modo generale, diciamo tutto», la citò e si sollevò per baciarla di nuovo. «Ti amo, Kara Danvers. E so che le cose che si dicono in momenti di questo tipo sono pericolose-».
«Pericolose?».
«Molto pericolose. Prese dall'eccitazione, le persone dicono qualunque cosa, ma io sono certa di quello che sto per dire perché… ci ho pensato a lungo, ecco perché. E adesso sento di potertelo dire e devo rischiare, dunque mi devi credere se dico-».
«Sì».
«Che voglio passare la mia vita con te». Arrossì e si morse anche lei un labbro, osservando il suo volto, dagli occhi che brillavano alle labbra che tremavano.
Kara aprì la bocca ma non riuscì a dire niente, non subito. «… Sì».
«Sì?».
«Sì, è-è… Io- sì. Ma non penso sia pericoloso dirti che è lo stesso», sorrise appena, tremandole ancora le labbra, «E che ti amo anch'io, Lena Luthor. Tanto. Di più». Le sfilò le braccia dal collo, tenendole fermi i polsi fini fino ad appoggiarli sul materasso. Restarono a guardarsi e Kara si abbassò su di lei, premendo contro il suo petto, sentendo il suo cuore battere forte quanto il proprio, sfiorando le labbra rosse con le sue, ferma, chiudendo gli occhi entrambe, baciarsi con passione. Le lasciò un polso e, con la mano sinistra, la toccò lungo il reggiseno, un'anca, il bacino, una coscia. La pelle era così morbida e fresca. Strinse, strinse con più fermezza e l'aiutò a piegare la gamba destra. Accarezzò, esplorò, salì verso l'interno, stuzzicando la sua zona più sensibile sopra gli slip.
«Sei diventata così intraprendente…», le disse ed entrambe si misero a ridere.
«S-Stai cercando di rovinare tutto, per caso?».
«Credimi se ti dico che rovinare non è la parola adatta», sospirò. «Sdrammatizzo. Per quanto io stia bene con te e sia eccitata in questo momento, sono in perenne ansia. E mi piace», deglutì, «avere il controllo delle cose. E ora non ne ho. Fingo di averlo, ma… l'ho perso sull'ascensore».
Kara sorrise e si abbassò per prendere le labbra con le sue. «Bene», la baciò di nuovo, «Almeno non sarò l'unica a improvvisare». Sorrisero e le portò via un altro bacio.
Lena la convinse a rimettersi seduta e, sulle ginocchia, arcuò la schiena per slacciarsi il reggiseno. Abituati alla poca luce della stanza, i suoi occhi verdi parvero di vedere Kara diventare bordeaux, aprendo la bocca. Lanciò l'indumento oltre il letto e lasciò un placido consenso. Kara le toccò un seno e poi l'altro, sfiorando la pelle delicata, i capezzoli turgidi.
«Devi dirmi la verità», la baciò. «Te lo sei sganciata da sola perché pensavi che io mi sarei incartata?».
«Ma no», ridacchiò, portando le mani dietro la schiena di lei per sganciarle anche il suo. «Li tolgo io entrambi perché sapevo che ti saresti incartata». Le baciò il collo e i loro seni liberi si sfiorarono, mentre Kara sorrideva, sussurrandole di aver fatto bene. La spinse sulle spalle e si portò sopra di lei, sperando di ritrovare un minimo di quel controllo o sarebbe esplosa. Doveva sentire Kara sua. Completamente. La baciò alla base del collo, sulle curve del seno, sulla bocca dello stomaco, scendendo intanto che la toccava senza timore, fino ad arrivare al punto interessato. Le spostò gli slip da un lato e la sentì sospirare, incurvare la schiena, stimolandola laddove era già umida. L'altra mano le massaggiava una natica, stringendo quanto necessario. Era sicura di averla sentita dire il suo nome con voce davvero bassa, un bisbiglio. Allora smise. Tirò giù gli slip e li lasciò sul letto, le accarezzò le cosce e di nuovo le natiche, poggiando la bocca su di lei, e lei, con un movimento involontario del corpo, spinse il copriletto col tallone dei piedi.
Kara trattenne il fiato, chiuse le mani in due pugni saldi e inarcò di più la schiena, spingendosi verso di lei.
Lena la sentiva gemere delicatamente, e chissà che forse lo faceva ricordando che nella stanza accanto c'era Indigo. Affondò le unghie sulle sue natiche e così la lingua. Non ci sarebbe mai stata una Lucy Lane qualsiasi a portargliela via. Non se lo aspettava e continuava a ripensarci. E Lucy Lane le aveva consigliato di essere sincera, eh? Che premurosa, che- Oh… era gelosa? Lei non era una persona gelosa. Non era mai stata gelosa, ma non aveva nemmeno mai amato qualcuno in quel modo, era vero. Kara non era la prima, ma l'unica. Era stata così stupida a baciare Indigo, e quell'amaro delle sue labbra… Ora era tutto così insignificante. Avevano baciato Indigo e Lucy, ma avevano finito per scegliersi lo stesso. Lei aveva scelto Kara e Kara aveva scelto lei. Amava lei. Era tutto vero. Quei gemiti erano per lei, il corpo di Kara rispondeva alle sue cure. Si irrigidiva per lei e Lena le passò le mani sulle cosce, appoggiò la lingua e schiuse le labbra, sentendola lasciarsi andare, tirare indietro il copriletto coi piedi e metterle le mani sui capelli. Risalì sul suo corpo e Kara provò un brivido, pensando di coprirsi il viso con le mani, ma glielo proibì e la baciò.
Si guardarono. Lena si stava appoggiando al materasso che lei le portò via un nuovo bacio, e così sulle labbra di lato, sulla guancia, su un orecchio, facendola ridere, sotto il mento, sul collo.
«Cos'hai in mente?», le domandò a fior di labbra.
«Improvviso. Sono intraprendente, lo hai detto anche tu», disse con orgoglio, «E hai ancora un paio di slip addosso, pare. Non si fa». Riprese a baciarla sotto il mento e Lena chiuse gli occhi, deglutendo, sapendo di non volersi opporre. Avrebbe potuto farle qualunque cosa avesse voluto, se solo si fosse decisa a metterselo in testa. E non avrebbe concesso quel lusso a nessuno, davvero nessuno, prima di lei. Era vero che le piaceva avere il controllo, e accidenti, lo aveva appena riacquistato un po', ma perderlo… stava amando perderlo. Sentì i suoi baci nell'interno coscia. La sentì sfilarle gli slip e riprendere a baciarla, toccarla con un polpastrello e dopo con le labbra calde. Con la lingua bollente. Lena spalancò la bocca e ansimò, trattenne il fiato. Decise di stringere il copriletto e mordersi la lingua quando sentì le sue dita toccarla e poi dentro di lei. Sì, stava proprio amando perdere il controllo.


***


La luce del sole le illuminò e Kara mosse gli occhi pian piano. Il volto di Lena era a poco dal suo naso, ancora dormiva. Era così bella con la bocca schiusa e un ciuffo di capelli sugli occhi. Sorrise e cercò di spostarglieli dal viso, osservandola muoversi e fare un verso con il naso chiuso. Solitamente si svegliava prima di lei, ma doveva essere molto stanca e l'aveva tenuta sveglia, quindi… Restò ferma a guardarla a lungo. Una volta sola le punzecchiò una guancia e rise sottovoce, vedendola sbuffare. Probabilmente bastò a svegliarla perché, appena le avvicinò di nuovo la mano, Lena gliela scacciò con una sua neanche fosse una mosca.
«Sei-», barbottò, rendendosi conto di avere la voce impastata, intanto che apriva gli occhi. «Credo di amarti un po' meno, adesso, mi… rimangio tutto». Kara rise e Lena con lei, chiudendo gli occhi e stirando le gambe sul materasso. Quando li riaprì, la ritrovò a fissarla. Restarono ferme, semplicemente a guardarsi respirare. «È bello», esclamò lentamente. «È bello svegliarsi così. Senza preoccuparsi di nascondere ciò che abbiamo, ciò che siamo».
Lo era davvero. Entrambe desideravano un futuro in cui non sarebbero più state solo sorellastre, ma compagne. Lena aveva ragione quando disse che le parole spese in un momento di sesso sono pericolose ma, quelle in particolare, da quel momento, diventarono per loro un impegno. Se le legarono al dito, era un anello di parole, una promessa.
Restarono a letto ancora un po' e dopo andarono insieme a farsi un bagno caldo, nella vasca del bagno della camera. Si baciarono fra bolle di schiuma e vapore; passandosi la spugna e tastando con forza i loro corpi morbidi; assaggiandosi di nuovo, a fondo.
Kara indossò una gonnellina larga e una camicetta, uscendo per prima dal bagno, passandosi l'asciugamano sui capelli ancora umidi, portandoli da un lato. «In quale cassetto mi avevi lasciato gli occhiali?». La sentì risponderle e poi accendere il phon. Li ritrovò subito, insieme al suo telefono, che lasciò sulla cassettiera. Se li rimise e li tolse di nuovo perché sporchi ma, abbassando lo sguardo, adocchiò uno zaino. Non era di Indigo? Non doveva frugare, non doveva frugare, non doveva, verissimo, ma appoggiò gli occhiali e frugò lo stesso, lanciando uno sguardo al bagno per assicurarsi che Lena non stesse uscendo. Un temperino, la carta di una caramella ma più a fondo… Spalancò gli occhi e rialzò lo sguardo di nuovo verso il bagno: una foto di Lena? Ne prese altre e le sfogliò. Ce n'erano ancora, aveva il fondo pieno di foto esclusivamente di Lena in momenti casuali della giornata fuori casa. Ma cosa…?
«Kara, posso sistemarti i capelli?», gridò dal bagno, spegnendo il phon. «Kara?». Uscì e l'altra arrossì: indossava una gonna a tubo nera, un dolcevita verde a collo alto, smanicato, i capelli lasciati sulle spalle, le labbra già rosse. Notando il suo sguardo imbambolato, le puntò contro un dito. «Non ci pensare neanche», la ammonì, «Ci aspetteranno, sono quasi le dieci».
«Ci ho pensato in effetti, ma… devo allontanarmi», disse, camminando di spalle verso la porta. «Vado a riprendere il mio telefono: l'ho lasciato nella mia stanza ieri notte». La vide annuire e tornare verso il bagno, così uscì. Due passi veloci e si ritrovò davanti alla porta della camera di Indigo. La spinse dentro appena aprì, chiudendo con un calcio. Indigo spostò la sua mano da una spalla con una contromossa rapida ma, nonostante Kara non se lo aspettasse, fu veloce a reagire e le fece lo sgambetto, costringendola a piegarsi e così sbattendola contro il muro, con un braccio a bloccarle il collo.
Indigo strinse i denti e provò subito a liberarsi dalla presa, senza successo. «Lo dirò a Lena», ringhiò.
«Le dirai anche delle foto che tieni nel tuo zaino?», si assicurò di non urlare, perché il bagno era vicino. «Ah? Le hai fotografate tu? La stavi spiando?».
«No, no, non le ho scattate io, lasciami», le picchiettò il braccio sotto il collo con il suo, non riuscendo a liberare il sinistro che le teneva stretto contro il muro. «Lasciami, per favore, lasciami! Me le hanno date».
«Chi? Chi te le ha date?».
«Un tipo, un investigatore… Lui voleva spronarmi a lavorare», esclamò a fiato corto, «Il mio garante». Kara allentò la presa e Indigo tossì, massaggiandosi la gola. «Lui aveva mandato questo investigatore a seguire Lena… per costringermi a lavorare per lui». Prese fiato, inchinandosi il tanto per reggersi le ginocchia. «Non lo conoscevo, okay? Veniva da me e mi portava queste foto. L'alternativa era lasciarle lì quando sono scappata».
Kara scosse la testa, stringendo le labbra. «Giuro che se mi stai mentendo…».
«Cosa? Lo dici a tua sorella che mi riporterà in prigione?», prese un grosso respiro, rimettendosi dritta con la schiena.
Kara stava per ribattere che cambiò idea, abbassando gli occhi solo un momento. «Lena si fida di te. Ci tiene a te», ammise. «Falle sparire e-», si riavvicinò alla porta, afferrando la maniglia, «e chiudiamola qui».
Se ne andò, lasciando Indigo piuttosto confusa: avrebbe potuto fargliela pagare dicendo tutto a Lena, non capiva perché non avesse colto l'occasione. Non capiva proprio.

Ritrovarono Bruce Wayne alla hall dell'albergo e Lena, dritta con la schiena, sguardo arrogante, pensò subito di affrontarlo. Non gli disse di aver ascoltato la conversazione tramite il suo telefono, ma che lo sapeva, sapeva che aveva chiesto a Oliver Queen di mentire e che pretendeva delle risposte.
«Non rifilarmi la storiella che lo fai per me, perché non attacca», mise le braccia a conserte. Dietro di lei, a pochi metri, Kara, Winn e Indigo sembravano quasi di guardia.
«Tuo padre era immerso fino al collo in questioni pericolose».
«Credi che non sappia che faceva parte dell'organizzazione?», si trattenne per non urlare. «Voglio capire chi era mio padre. E chi lo ha ucciso».
Lui strinse le labbra e, svelto, delineò un fine sorriso, guardando altrove: la capiva, era una cosa che avevano in comune ed era quello che li aveva avvicinati. Anche lui non aveva fatto altro, per anni, che cercare risposte sulla morte dei suoi genitori. «Mi hanno contattato, giorni fa», disse, infastidito. «Ne riparleremo. Non adesso, non qui».
«Ti hanno spaventato tanto da decidere di tagliarmi fuori?». Lo guardò negli occhi e lui sbuffò.
«Credo che qualcuno stia tentando di uccidermi», deglutì e Lena spalancò occhi e bocca, sorpresa. «I miei soci alla Wayne Enterprises, forse. Oppure loro perché non ho dato risposta e sperano di spronarmi a farlo». La vide provare a dire qualcosa, muovere le labbra senza uscirle un fiato. «Che tu voglia crederci o meno, speravo di tenerti lontano da tutto questo per non attirare l'attenzione. Tu non sei come me o Oliver Queen: il nostro trauma ci ha trascinato nell'oscurità, ma non è stato così per te. La morte di tuo padre ti ha svegliata e ora… dovresti guardarti: i tuoi occhi risplendono. Lascia perdere. Chi ha ucciso tuo padre la farà franca in qualunque caso».
Ma non ci sarebbe stato un finale alternativo di quella storia: Lena era già dentro fino al collo per il solo fatto di chiamarsi Luthor. Ed era troppo avanti per rinunciare adesso alla verità. Per questo, quando si trovarono alla Queen Consolidated con Oliver Queen, pretesero di sapere ciò per cui erano venuti. In che modo erano in contatto Lionel Luthor e Robert Queen? Di cosa si occupavano? Il giovane, senza provare il minimo riserbo, le confessò che Lionel Luthor pagava suo padre per finanziare una compravendita di armi per le bande delle Glades. Probabilmente, a detta sua, con l'obiettivo di tenere National City pulita, mandando i criminali altrove. E funzionava. Scoprì affari di quel tipo con la morte dell'uomo e ora era deciso a tenersi impegnato cercando di sistemare i suoi errori, con l'aiuto del patrigno. Lena avrebbe voluto possedere lo stesso spirito di rivalsa: non aveva mai pensato a suo padre come a un santo, ma… più scopriva cose di quel tipo su di lui, più si metteva in testa come in realtà non conoscesse affatto quell'uomo. Lo stesso che da bambina la prendeva sulle gambe e le raccontava una storia, pagava per armare persone pericolose. Non dimenticando il fratellino di Indigo morto in un effetto collaterale.
Proprio lei cercò di tirarle su il morale, ma Lena preferì rifugiarsi tra le braccia di Kara.
«Non prendertela», le disse Winn prima di salire sull'elicottero che li avrebbe riportati a National City. «Quelle due hanno un rapporto un po'… emh, particolare», si grattò la nuca, imbarazzato. «Quando sono vicine, è come se non esistesse nessun altro», la sua espressione scemò, per poi sorridere quando Indigo lo guardò appena e lui pensò di avvicinarsi di più, iniziando a bisbigliare: «So chi sei». Lasciò che lo degnasse di attenzione, finalmente, spalancando gli occhi. «Faticavo a riconoscerti all'inizio, saranno stati gli occhiali, ma… sono un tuo grande ammiratore e-e ho tenuto d'occhio la tua storia», le corse dietro mentre lei, zitta, cercò di raggiungere Lena e Kara. «Mai avrei pensato che il garante che ti ha fatto uscire di prigione fosse la signorina Luthor! Ma non lo dirò a nessuno, lei non lo ha detto a nessuno e tu non dovrai attirare l'attenzione, penso: il tuo segreto è al sicuro, con me», annuì.
Indigo lo fissò. Lo fissò a lungo finché lo spinse, entrando in elicottero. «Lasciami perdere», furono le sue uniche parole. Era giù di morale e gli ammiratori, come si era definito lui, non erano che seccature. Una volta dentro, vide Lena e Kara di nuovo prese per mano. La prima chiuse gli occhi e appoggiò la testa su una spalla dell'altra. Oh, non era solo la paura di volare: Lena era turbata, non faticava certo a capire questo. Il suo garante voleva metterla contro la sua famiglia e quello di oggi sembrava il primo vero passo verso la realizzazione del piano. Sarebbe stata felice del risultato se non tenesse a lei. Eccolo, pensò, aveva trovato il primo aspetto negativo del provare sentimenti: il rimorso.
































***

Questo! Questo è decisamente il capitolo più lungo finora e spero di non superare il record in futuro °° Avete preso fiato? Il capitolo vi è piaciuto? E la piega che sta prendendo la storia?

Abbiamo avuto modo di conoscere la mia versione di Oliver Queen per questa fan fiction. Non sarà un personaggio importante o che apparirà spesso, anzi, però mi piaceva l'idea di definire il suo profilo con poche battute. Abbiamo saputo che l'organizzazione sta riottenendo il potere e che ha contattato sia lui che Bruce Wayne. E lui pensa che loro, o qualcun altro, stiano cercando di ucciderlo D:
Abbiamo saputo che tipo di accordi aveva Lionel Luthor con Robert Queen, il padre di Oliver. Che Winn è un fan di Indigo, che lo è anche di Oliver Queen (glielo avrà poi chiesto l'autografo?) e, quasi certamente, di Bruce Wayne. Che questi due sono stati nella stessa palestra (Lega degli Assassini quale?XD) e che, ovviamente, sanno darne di santa ragione. Ah, questi ricconi… un hobby normale mai. E, se chiedono, Kara ha le prove da spedire a Selina Kyle.
Intanto abbiamo Indigo che si è divertita a prendersela con Kara, ma ha fatto il passo più lungo della gamba dicendole che lei e Lena sono state insieme, doveva immaginarlo che le due ne avrebbero parlato. O sperava litigassero? Sta di fatto che hanno parlato e deciso di darci un taglio con questo loop del prendersi, farsi del male e allontanarsi, così… beh, è andata! Sì, sono tornate insieme! Eddai, era ora!

Adesso. Una notizia positiva e una negativa!
Prima la positiva, su: il prossimo capitolo non sarà un capitolo, ma un missing moment di questo capitolo. C'è una parte in più, una piccola parte in più che ho dovuto scrivere, che non cambia il finale del capitolo e la sua direzione, ma semplicemente si incastra in un punto particolare e, spero, vi piacerà! (Sì, si parla di Kara e Lena)
La notizia negativa, invece… Col missing moment della settimana prossima vado in pausa e quindi no, non ci sarà capitolo 51 prima di venerdì 30… agosto. Non prendetela a male (?), ho davvero bisogno di una pausa (dove continuerò a scrivere).

E ora… anticipazioni!
Il capitolo 51 sarà uno stand alone con Zod e l'organizzazione come punto focale.
Sarà un capitolo che parla di figli, ed eredi, in un passato dove Levi Luthor era preoccupato per Lionel, dove Dru Zod sognava un futuro con la sua fidanzata Petra e pretende, nel presente, una confessione da parte di Rhea Gand. Il presente dove l'organizzazione sta riprendendo potere e Alex e Maggie se ne rendono conto subito: alla centrale di polizia arrivano nuove reclute per sostituire i rapitori di Jamie arrestati e sembrano tutti sotto gli ordini del Generale, non come capitano della polizia, per non parlare di Fort Rozz dove la prima e il Generale si fermano per un breve scambio di parole e le guardie del carcere non aspettano che un cenno per bloccare la ragazza. Il presente dove Faora Hui, che era come una figlia per il Generale e lei lo ha tradito, si risveglia finalmente dal coma. Quale destino la attende?
Il capitolo 51 sarà pieno, pieno di indizi, un succo delle cose che sono successe nel passato che, inevitabilmente, hanno influenzato il futuro e si intitola L'erede.

Anticipazioni generali di cosa leggeremo prossimamente? Ma sì. Però in ordine casuale e senza contesto.
Processo. Allusioni sul sesso. Siobhan ubriaca. Pillole rosse. “Sei quasi mia figlia”. Omicidio. Bicipiti di James. Doppio gioco. Casa nuova. “Lascia stare, fragolina di bosco, ci penso io”. Festa da Maxwell Lord. Confessione. Famiglia a pezzi. Millenovecentosettantacinque. Licenziamento. “Vedrai, la casa al lago è ciò che ci serve”. Palestra e allenamenti, sudore e tentazioni. Fuga. “Io non sono la mia famiglia”. Paura. Vacanza. Promesse non mantenute. “Quella è in latex?”. Vergogna. L'assassino inaspettato. Sentimenti nuovi. Insieme.



Sembra che ho scritto parole a caso per la Settimana Enigmistica, e invece…
Allora, ci rileggiamo il prossimo martedì con il missing moment che si intitola L'anima gemella e, se tutto va bene, in altre pubblicazioni prima del ritorno con Our home e il capitolo 51 ~ Grazie!

   
 
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