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Autore: blackjessamine    19/06/2019    4 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 17
2 maggio 1999





Una frenata brusca, terra smossa, un’inclinazione pericolosa: ecco come Alhena fece il suo ingresso ai confini di Hogsmeade.
Non era stato facile convincere Sirius a insegnarle a guidare la motocicletta, ma alla fine aveva trovato i giusti argomenti – con buona pace delle signorine mezze svestite che cavalcavano lucide moto nei poster in casa Black.
Era stata una grande sorpresa soprattutto per Alhena, che aveva scoperto, del tutto inaspettatamente, di essere brava in sella ad una moto. Dopo un discreto numero di partenze disastrose, Alhena aveva trovato il proprio equilibrio: una motocicletta richiedeva contatto, fiducia, una buona disposizione a lasciarsi andare senza mai perdere il controllo. Non era poi tanto diverso dalla danza, sotto certi versi. 
Guidare le piaceva, ma ancora di più le piaceva lasciarsi portare da Sirius: riempirsi gli occhi dei colori confusi dei paesaggi, e poi tornare a guardare davanti a sé e trovare sempre la solida certezza della schiena di Sirius, orizzonte e parte del suo stesso mondo al medesimo momento. 
Qualche volta chiudeva gli occhi, cingeva con attenzione la vita di Sirius e si lasciava scivolare in quello scorrere incessante, costante, fatto energia che si accumulava piano e li avvolgeva lentamente. Era bello sentire la tensione nel corpo di Sirius, una tensione nuova, priva del suo consueto trattenersi; era bello sentirsi una cosa unica con lui, una particella stabile in quel mondo impazzito.
Sirius, nonostante si fosse rivelato un insegnate stranamente paziente, per i tratti di strada più lunghi continuava a preferire restare al comando della sua motocicletta: Alhena aveva padroneggiato presto l'arte della guida a due ruote, ma restava pur sempre il problema che la motocicletta di Sirius era pensata per lui: Alhena, pur con tutto il suo impegno, non aveva le gambe abbastanza lunghe per una guida davvero fluida.
"Che cosa ti avevo detto sulle frenate?", borbottò Sirius, affrettandosi a raddrizzare la moto prima che si sbilanciassero troppo e cascassero entrambi a terra.
Alhena raddrizzò la schiena con un gemito, e smontò meno agilmente di quanto avrebbe voluto: nonostante tutto, continuavano ad esistere mezzi di locomozione più comodi, a parer suo.
Si trovavano sul versante di una ripida collina poco fuori Hogsmeade: Sirius, che alla sua motocicletta ci teneva anche troppo, aveva deciso che sarebbe stato meglio parcheggiare lontano dal centro abitato, per non rischiare che qualcuno si incuriosisse troppo davanti alla sua amata compagna di viaggi.
"Questo aggeggio mi rovinerà la postura..."
Si lagnò Alhena, piegando lentamente il collo a destra e a sinistra.
"Questo aggeggio ci avrebbe portato qui in un paio d'ore, se tu ti fossi fidata di me e avessimo preso la via dell'aria".
"Ma sarebbe venuto meno il senso di un viaggio on the road, volando", ribatté Alhena, ben consapevole che, in realtà, anche l'aver usato l'Incanto di Materializzazione Estesa di Arthur rendeva un po' vano il senso di un viaggio on the road. Del resto, Alhena si sarebbe fatta tagliare un piede piuttosto che acconsentire a librarsi in volo, e a Hogsmeade ci dovevano arrivare in fretta, e in condizioni fisiche accettabili, possibilmente.

Maggio, nel 1999, era iniziato con cielo tanto terso da fare quasi male: non c'erano nuvole, solo un azzurro intensissimo, come un presagio, come se anche il cielo e il calore del sole volessero unirsi ai festeggiamenti e lenire il dolore di un anniversario che per tante, troppe persone sarebbe sempre stato anche, inevitabilmente, sinonimo di morte.
Alhena e Sirius non avevano quasi più parlato di ciò che li aspettava quel giorno: entrambi chiusi nella propria personale prigione di paure e dolore, si erano limitati a programmare il futuro, il viaggio in Scozia e la permanenza alle Shetland, la ristrutturazione della casa di Alhena che sembrava trovare un nuovo imprevisto ad ogni passo...
La sera prima, Sirius era stato a cena da Harry, ed era rimasto con lui a lungo. Quando era finalmente tornato a casa, era un fascio di nervi, e Alhena non aveva saputo fare altro che stringersi forte a lui, cercando in lui un conforto che non era certa di sapergli dare.

Il sentiero davanti a loro era inondato di luce dorata, che penetrava fra le fonde verdi e tenere degli alberi creando ricami di fresche ombre. Il silenzio del bosco era interrotto solo dal cinguettare allegro di numerosi uccelli, che sembravano non curarsi nemmeno per errore di quei due umani e della loro roboante ferraglia.
Era tutto così bello, così fresco e luminoso che la tensione annidata nelle spalle contratte di Sirius e Alhena, quella tensione rivelata dalle labbra tese e dai movimenti rapidi degli occhi sembrava del tutto fuori contesto.
I due indugiarono a lungo, dicendo sciocchezze e trovando pretesti per rimandare ciò che, ormai, pareva inevitabile, fino a quando, anche tra di loro, quel gioco di piccoli movimenti e di tempo guadagnato divenne insostenibile.
Gli occhi di Alhena trovarono quelli di Sirius, e vi lessero la domanda che non c'era bisogno di pronunciare ad alta voce: Andiamo?, e annuì.

***

Un occhio poco attento avrebbe potuto pensare che quella fosse una delle domeniche in cui agli studenti di Hogwarts era concesso di abbandonare la sicurezza del castello per riversarsi nelle strade del piccolo borgo magico: le vie di Hogsmeade erano affollate, le locande piene, i negozi brulicanti di vita.
Eppure, uno sguardo appena un po' più acuto si sarebbe subito reso conto che qualche cosa, in quel quadretto allegro, non era al suo posto: la folla che animava Hogsmeade era composta per lo più da adulti, adulti intabarrati nelle loro vesti migliori, adulti che si scambiavano seri cenni di saluti, si riunivano in capannelli dagli sguardi cupi.
Le cerimonie a Hogwarts, per volere della preside McGrannitt e del Ministro Shaklebolt, sarebbero state aperte soltanto ai membri più illustri della comunità magica, a coloro che avevano combattuto durante la guerra, ai parenti dei caduti e, ovviamente, al corpo studentesco al completo, ma questo, evidentemente, non aveva impedito ad una folta folla di curiosi e simpatizzanti di riunirsi nei pressi del luogo della battaglia. 

Alhena e Sirius, di comune accordo, decisero di ignorare completamente la folla di curiosi e partecipanti che affollavano il paese: avevano programmato di incontrare i Weasley e Andromeda direttamente a Hogwarts, e la voglia di parlare con altre persone era completamente assente.
Mano a mano che il sentiero sotto i loro piedi si faceva ripido, portandoli in prossimità del castello, Alhena si fece sempre più rigida: l'ultima volta che aveva messo piede in quel parco, aveva sfiorato la morte. I suoi ricordi della battaglia erano pochi e confusi, ma a dire il vero lei non si era mai impegnata più di tanto per cercare di recuperarli. Forse per un'estrema forma di difesa, forse per una consueta attitudine alla fuga, ma aveva sempre cercato di arginare ogni ricordo legato a quella notte terribile. C'era stata tanta paura, e rabbia, e dolore davanti alla notizia di tante morti innocenti, ma lei era lontana, era nella luce fredda e abbagliante del San Mungo, e poteva aggrapparsi alla sua memoria difettosa. E poi era arrivata Emerenc, che davanti al suo letto d'ospedale, per la prima volta da quando Alhena l'aveva conosciuta, aveva pianto, e allora Alhena si era lasciata abbracciare, e, ignorando il parere contrario dei Guaritori, aveva implorato d'essere riportata a casa. A casa, a Budapest, dove aveva ricominciato a camminare e a vivere, modellando la sua vita sui ritmi babbani del suo quartiere e sforzandosi per non pensare mai, nemmeno per sbaglio, a ciò che si era lasciata dietro.
I mesi erano trascorsi, e quando forse sarebbe stata pronta per cominciare a farsi delle domande e a cercare di elaborare quello che aveva vissuto, era tornato Sirius, e per lei non c'era stato più spazio per nient'altro.

Quando percorsero l'ultima svolta del sentiero, Alhena chiuse gli occhi: Hogwarts si stagliava davanti a loro, imponente contro il cielo quasi estivo, accogliente come le braccia di una madre, saggia e austera.
Chiuse gli occhi, Alhena, e attese che un'emozione – paura, rabbia, dolore, terrore, qualsiasi cosa – la travolgesse.
Non accadde niente.
Nessun ricordo vivido, nessuna rivelazione, nessuna immagine sconvolgente ripescata dall'angolo più nero della sua memoria: solo la mano di Sirius che stringeva la sua, rassicurante, e la certezza che a quella giornata sarebbero sopravvissuti. 

La Sala Grande era esattamente come Alhena la ricordava: ampia, illuminata dallo stesso cielo troppo azzurro che avvolgeva il castello e il parco circostante, con gli stessi quattro, lunghi tavoli che stoicamente sopportavano l'assalto quotidiano di centinaia di studenti, con il tavolo rialzato per i professori, gli stendardi colorati delle quattro Case, il perlescente fluttuare di qualche fantasma curioso...
Nonostante la maggior parte degli studenti fosse ancora nei propri dormitori, Alhena aveva l'impressione che la sala fosse già gremita: non erano poi molte le persone che si muovevano in timidi capannelli attorno alle panche di legno lungo i tavoli, ma i vari colori degli abiti da cerimonia, così diversi dalla nera omogeneità cui Alhena era abituata da studentessa, facevano sembrare quelle poche famiglie assai più numerose.
Sirius, al fianco di Alhena, si era bloccato sulla soglia, la mascella contratta e gli occhi fissi su chissà quale ricordo.
"Stai bene?"
Sirius si limitò ad annuire, senza però guardarla.
"Sto bene... non avrei mai pensato di rivedere questo posto da uomo libero".
Alhena strinse ancora di più la sua mano, e avrebbe voluto trovare qualcosa da dire, ma in quel momento dall'infuocata massa di capelli rosso Weasley, già riuniti attorno al tavolo di Grifondoro, si staccò il volto smunto di Harry.
"Andiamo..."
Alhena e Sirius seguirono Harry fino a raggiungere il capannello  più numeroso della sala: i Weasley, pallidi e silenziosi, se ne stavano vicini, sussurrando piano, quasi avessero paura che una parola di troppo potesse in qualche modo spezzare quella apparente calma, facendoli precipitare di nuovo nel dolore confuso e straziante che avevano provato un anno prima, fra quelle mura. 
Molly sembrava incapace di restare ferma: era un continuo affaccendarsi attorno ai suoi figli, raddrizzando un colletto di qui, ravviando un ricciolo là, accarezzando una guancia e sussurrando raccomandazioni.
Arthur, invece, era terreo: non c'era traccia del suo sorriso gentile, e il suo viso, improvvisamente, ricordò quello di un uomo anziano: un uomo anziano che sembrava incapace di lasciare il fianco di suo figlio George, ed era impossibile dire chi, fra i due, fosse quello più bisognoso di quel contatto.
A Percy Weasley, in qualità di Sottosegretario del Comitato per la Riabilitazione della Verità Storica, era stato proposto di pronunciare un discorso in apertura della cerimonia commemorativa, ma lui aveva rifiutato, preferendo stare al fianco della sua famiglia. Ed ora appariva particolarmente impacciato e fuori luogo, mentre cercava di tenere in braccio Teddy il quale, dal canto suo, non pareva affatto impressionato dalla serietà dei suoi accompagnatori, e si agitava per poter essere lasciato libero di esplorare, con i suoi primi passetti incerti e le sue gattonate ormai rodate, quel regno meraviglioso.
"Dov'è Andromeda?"
"È fuori con Minerva", Molly si affrettò a rassicurare Sirius, "appena arrivata qui si è sentita poco bene, ma sono certa che ora vada meglio".
Alhena si volse a guardarsi attorno: gli studenti, con le loro divise migliori, stavano cominciando a riversarsi in Sala Grande, gettando occhiate circospette agli ospiti e scambiandosi bisbigli curiosi. C'erano famiglie che si ritrovavano, conoscenti che si stringevano la mano, e i tavoli cominciavano a riempirsi.
"Dovremmo iniziare a prendere posto!" bisbigliò Hermione Granger, nervosa.
La cerimonia commemorativa, da quel che sapevano, avrebbe avutoluogo prima di un banchetto a cui erano invitati tutti i combattenti e i parenti delle vittime, per rinsaldare i legami e per offrire anche agli studenti più giovani la possibilità di conoscere da vicino e senza filtri la realtà della guerra.
In mezzo al mormorio confuso di piedi e panche che sfregavano contro la pietra del pavimento, Alhena, per un attimo, si sentì persa: era una cosa così stupida, ma il suo posto, in quella Sala, era sempre stato al secondo tavolo sulla sinistra. E mentre restava in piedi e gli studenti la superavano e urtavano, sentì una mano sfiorarle la spalla, e una voce roca sussurrarle:
"Io direi che siamo abbastanza grandi da esserci conquistate il diritto di scegliere di sedere a un altro tavolo per stare vicino alla nostra famiglia, non credi?"
Andromeda era tornata: era tesa, ma nei suoi occhi c'era ancora tutta la tenace lucidità con cui affrontava ogni giornata.
"Tecnicamente la mia famiglia..."
"È qui", tagliò corto Andromeda, indicando con il mento i Weasley, e Sirius accanto a Harry, e Teddy che, alla fine, aveva trovato la sua libertà gattonando sul lungo tavolo, sorvegliato dallo sguardo attento e premuroso della sua famiglia allargata.

Il discorso di Kingsley fu breve, ma efficace: non fu il discorso di un politico, ma quello di un Auror, di un uomo, di un amico, di chi aveva lottato e sofferto e portato nel cuore il dolore di ogni perdita.
Non ci fu retorica, non ci furono grandi dichiarazioni d'intenti, ma solo l'intenzione forte e inequivocabile di imprimere nella mente degli studenti di Hogwarts quanto fosse facile voltare il capo dall'altra parte, all'insorgere del male, e quanto invece fosse difficile, ma necessario, trovare il coraggio di alzare la testa, sempre.
Fu Minerva McGrannitt, invece, a voler leggere con voce salda, sebbene arrochita da una commozione che non cercò nemmeno di nascondere, i nomi di chi aveva donato la sua vita affinché il futuro continuasse ad essere un'opzione.
Ogni nome, ogni vita spezzata che infrangeva il silenzio teso della Sala gremita era un macigno che si ripercuoteva nello stomaco di tutti.
Sconosciuti, amici, famiglie, studenti, tutti: la Sala Grande di Hogwarts, quel caldo pomeriggio primaverile, respirava come un organismo solo.
E in mezzo al dolore che scandì e dilatò all'inverosimile il minuto di silenzio chiesto dalla Preside, Alhena lo avvertì sulla pelle, prima ancora che vederlo, l'amore che continuava a scorrere, che continuava a trovare il modo di insinuarsi in ogni crepaccio aperto dal dolore.
Lo vide nel visino confuso di Teddy, che indicava le lacrime sul volto di sua nonna e scuoteva con forza il capo, facendo cenno di no. 
Lo vide in una famiglia terrorizzata – babbani, probabilmente: Kinglsey si era occupato personalmente di modificare alcuni incantesimi a protezione di Hogwarts affinché anche le famiglie babbane potessero scegliere se presenziare alla cerimonia in ricordo dei propri cari – circondata da studenti giovani e impacciati, che si sforzavano di provare a mettere quelle persone a proprio agio. 
Lo vide in Pix, il Poltergeist, che mantenne il silenzio fin quasi alla fine, quando si tolse con gesto incerto il suo berretto arancione e lo lasciò cadere con un tonfo rumoroso ai piedi di George Weasley. 
Lo vide nei singhiozzi silenziosi che Hermione Granger soffocava nell'abbraccio di Ron, e nei singhiozzi rumorosi come il motore di una motocicletta di Hagrid, che non provava nemmeno a trattenersi.
E poi lo vide nel professor Vitious, che aveva scelto di sedere non con i suoi colleghi, ma in mezzo ai suoi studenti, al tavolo di Corvonero. 
E poi lo vide in Harry e Sirius, che sedevano vicini, e avevano il medesimo sguardo, perché anche se non condividevano il sangue, di certo condividevano il cuore. 

*

Il prato era soffice e accogliente, quella sera.
Il sole, tramontando, stendeva lunghe ombre, e i profumi della primavera riempivano il cuore di una serenità che Alhena non credeva possibile provare, non quel giorno.
La cena era stato un momento sorprendentemente piacevole: il dolore si era stemperato in una tranquilla solidarietà, e quel che non aveva fatto la vicinanza, aveva fatto Teddy, che si era goduto le attenzioni di tutti trasformandosi nella piccola mascotte del tavolo di Grifondoro, affascinando studenti e illustri membri della comunità magica con le sue migliori smorfie buffe.

Alhena passeggiò nel parco, assaporando l'aria fresca sul viso e cercando Sirius: lo trovò poco lontano dalle rive del lago, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo perso nel vuoto.
"Stai bene?" gli domandò, e lui annuì piano.
"Sto bene. Avevo solo... non lo so, bisogno di capire... di pensare. Mi sembra di non aver mai pensato abbastanza a Remus, e invece qui..."
Alhena gli si accostò, posandogli il capo su una spalla. 
Rimasero in silenzio per un po', persi ognuno nei propri pensieri, ma entrambi contenti di potersi appoggiare l'uno all'altra, fino a quando Alhena finalmente si riscosse, e sussurrò:
"Hagrid mi ha chiesto di portarti a casa sua... dice che ha una sorpresa per te. Posso sempre inventarmi una scusa, però".
Lo sguardo di Sirius, un misto di confusione e terrore, fece scoppiare Alhena in una limpida risata.
"Non guardarmi così, non ho idea di che cosa abbia in mente".
"Con tutto il bene, ma il concetto di "sorpresa" di Hagrid è alquanto discutibile..." borbottò lui, prendendole la mano e incamminandosi verso la capanna del guardiacaccia.
"Tira fuori la bacchetta, non si sa mai", aggiunse l'uomo, e Alhena si ritrovò a pensare che, tutto sommato, Sirius non aveva poi tutti i torti. 
Quando giunsero davanti alla capanna di Hagrid, trovarono l'uomo già fuori, intento a chiacchierare con Harry e Ginny Weasley.
Harry li accolse con un ampio sorriso, cosa che riuscì a malapena a dissipare l'inquietudine di Alhena – con Hagrid, davvero, sembrava che non ci fosse mai fine al peggio – e Hagrid regalò a Sirius una pacca sulla schiena che per poco non lo abbatté al suolo.
"Sono contento che siete venuti. C'ho una cosa da farti vedere, Sirius... vedrai che sarete felici tutti e due. E anche te, Alhena, che gli sei sempre piaciuta..."
Alhena e Sirius si lanciarono una mezza occhiata sospettosa, esasperata ancora di più dalla risata di Harry e Ginny.
Hagrid li guidò al limitare della Foresta Proibita, dove la luce cominciava a calare e un venticello fresco fischiava in maniera sinistra fra le fronde. 
"Hagrid... sei sicuro che..."
"Shhh!" li interruppe l'uomo, indicando un recinto poco lontano.
"Siamo arrivati... sta riposando".
E proprio mentre Alhena cominciava a pensare che, forse, sarebbe stato più saggio allontanarsi, Hagrid aprì il basso cancello del recinto, emettendo uno stridulo verso di richiamo. Dalle ombre dell'angolo più remoto del recinto si sollevò un figura imponente: con le sue lunghe zampe cavalline e il piumaggio lucido, Fierobecco sapeva sempre incutere un certo timore reverenziale in coloro che se lo trovavano davanti all'improvviso.
L'ippogrifo si avvicinò con il suo passo elegante al gruppetto di umani, i quali, dal canto loro, si affrettarono a inchinarsi, senza mai perdere il contatto visivo con la bestia. Fierobecco accennò un lieve piegamento sulle ginocchia nodose, ma quando il suo sguardo cadde su Sirius, l'animale si immobilizzò, facendo scattare il becco con fare minaccioso. 
Fierobecco non aveva bisogno di parlare per farsi comprendere: nei suoi grandi occhi lucenti c'erano amarezza e risentimento. Il suo becco acuminato schioccò una seconda volta, irritato, e Hagrid cercò di intervenire:
"Bravo, Becco, fai il bravo... è Sirius, non lo riconosci?"
Sirius si risollevò, fissando intensamente l'animale negli occhi. Ad Alhena non sfuggì il lieve raspare nervoso della zampa di Fierobecco: lei non poteva certo dirsi una grande esperta di Ippogrifi, ma che l'animale fosse tutt'altro che felice era chiaro a chiunque.
Harry e Ginny, saggiamente, si erano già allontanti dal recinto, e Alhena prese a fare lo stesso, lentamente.
"Sirius, non fare il cretino, vieni via!" sibilò, senza ottenere risposta.
Con voce ferma e chiara, invece, Sirius si rivolse direttamente all'animale:
"Non volevo abbandonarti. Mi dispiace. Ti chiedo scusa".
Il becco di Fierobecco schioccò un'ultima volta, e ad Alhena parve di cogliere la rassegnazione in quel verso affettuoso, prima che l'Ippogrifo si decidesse, finalmente, a inchinarsi a Sirius, porgendogli il lungo collo piumato da accarezzare. 

***

"Quindi, fammi capire, hai chiesto scusa a un Ippogrifo e non a me?" domandò sarcastica Alhena, dando al braccio di Sirius uno schiaffetto scherzoso e facendo ondeggiare il fascio di luce della sua bacchetta.
Si erano trattenuti con Hagrid, Fierobecco e Harry più a lungo di quanto avessero preventivato, e i loro propostiti di ripartire da Hogwarts prima che facesse buio si erano completamente volatilizzati. 
"Ho chiesto scusa anche a te... più o meno. E comunque, pensavo che voi Corvonero foste un filo più svegli di un Ippogrifo, e capiste che non è mica stata colpa mia se..."
"Sto scherzando!" lo interruppe Alhena, soffocando una risata e uno sbadiglio: forse accettare la proposta della Preside di trascorrere la notte a Hogwarts e ripartire solamente la mattina successiva non sarebbe stata una mossa tanto sbagliata, pensava Alhena. Del resto, di notte sarebbe stato molto più facile attivare l'Incanto di Materializzazione Estesa senza attirare troppo l'attenzione dei babbani, quindi, se non ci fossero stati intoppi, entro un paio di ore avrebbero potuto finalmente addormentarsi nel letto di qualche locanda delle Shetland.
Sentendo il calore del braccio di Sirius cingerle la vita, Alhena sorrise: era stata una giornata lunga, dolorosa e difficile, ma la ragazza sapeva, con la stessa certezza con cui era in grado di camminare, che avrebbero trovato un modo per guarire. 
Insieme. 





Note:
Capitolo imperdonabile, quasi il riassunto di un capitolo, lo so.
 Doveva esserci molto altro, e non doveva esserci questo salto temporale. 
Dovevano esserci anche delle note diverse, molti meno refusi e dei corsivi funzionanti, ma, ciliegina sulla torta, mi è saltata l’ultima versione del file, e ho perso tutti gli ultimi perfezionamenti. 
Ho fatto del mio meglio per sistemare tutto di nuovo, ma ora sono proprio fusa. Ci tornerò sopra nei prossimi giorni.
Intanto vi lascio con la promessa che la storia, stavolta davvero, sta percorrendo le sue battute finali. 
   
 
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