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Autore: Tenar80    11/07/2019    3 recensioni
Se è negli occhi di chi ci ama che troviamo una versione migliore di noi stessi, cosa succede se smettiamo di guardarci negli occhi?
Manca una settimana ai mondiali del 2022, l'ultima gara di Yuuri dopo il secondo oro olimpico. Tutto dovrebbe essere perfetto. Dovrebbe.
Di Victor che non sa più chi è.
Di Yuuri che non sa chi vuole essere.
Di Otabek che sa troppo bene chi dovrebbe essere.
Di Yurio che si è perso
Questa storia fa parte della serie "Stagioni"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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– 6 giorni ai Campionati Mondiali di Osaka

 

 

    – Yuri? Sto per buttare giù la porta e venire a prenderti.

    – Arrivo. Inizia ad andare in pista.

    Otabek si passò una mano tra i capelli. Non era un’impressione sua. Yuri lo stava tenendo a distanza.

    La sera prima aveva subito messo in chiaro che non poteva lasciare a lungo il nonno, che non parlava altra lingua se non il russo, a pascolare nell’ingresso dello stabilimento termale. Il kazako si era limitato a sussurrargli nell’orecchio che c’erano un sacco di cose che si potevano fare anche in un quarto d’ora. Una volta in camera, appena chiusa la porta, lo aveva sollevato e gettato di peso sul letto, ma la risposta era stata una smorfia, un bacio stentato e una vaga scusa sul non voler fare le cose di fretta, che di sicuro nei giorni successiva avrebbero avuto più tempo.

    Non aveva avuto niente di quello che aveva pregustato. Niente cena a due, solo una ciotola di ramen condita dall’inglese semi incomprensibile della famiglia di Yuuri. Niente notte di sesso sfrenato. E neppure risveglio a mezzogiorno, dato che Yuri gli aveva dato appuntamento al palaghiaccio alle dieci per il regolare allenamento.

    E persino quella mattina…

    Loro non erano certo da smancerie in pubblico. Però, ecco, non è che lo staff del palaghiaccio di Hasetsu, dove di solito si aggiravano Victor e Yuuri, abituati ad avvinghiarsi l’uno sull’altro come vipere in amore ad ogni occasione, fosse proprio facile da scandalizzare. E non si poteva dire nelle scorse estati si fossero trattenuti… Scosse il capo. 

    C’era qualcuno? Qualcuna?

    Bastava dirlo, cazzo. Non stavano insieme. Era quello che si erano sempre detti, no? Ma tempestarlo di messaggi provocanti e poi trattarlo in quel modo non era leale.

    Scosse il capo e si avviò verso la pista. 

    Anche Yuuri stava arrivando in quel momento, sbadigliando.

    – Ben arrivato – lo salutò il giapponese.

    Otabek cercò qualche domanda banale da porre. Yuuri era una brava persona e un pattinatore eccezionale, ma non è che brillasse proprio per scioltezza nei rapporti sociali. Lui non era quello che si diceva un tipo espansivo e messi insieme rischiavano di comunicare solo a monosillabi.

    – Cos’è questa cosa della liberatoria di cui mi hai scritto? – chiese.

    – Ci sono dei documentaristi che mi stanno seguendo. Filmano anche gli allenamenti. Devono sapere se possono riprenderti.

    Ci mancavano solo i documentaristi.

    – Devo chiedere al mio manager.

    Yuuri si limitò ad annuire.

    Anche lui non aveva una bella cera. Non che Otabek avesse mai capito cosa ci trovasse Victor in un tipo che sembrava sempre tra lo spaurito e il malaticcio, ma in quel momento Yuuri sembrava anche peggio del solito. Entrò in pista in silenzio e prese a muoversi in modo meticoloso, provando piano i movimenti. Non era il suo abituale modo di scaldarsi. Appena scendeva sul ghiaccio Yuuri di solito si trasformava, come un animale infine liberato nel proprio habitat…

    Che cosa è preso a tutti?

    Finalmente anche Yuri si fece vivo.

    Con noncuranza si piazzò al fianco di Otabek e gli mise una mano sulla spalla.

    – Il vecchiaccio non c’è ancora? – chiese.

    – No – rispose Yuuri, laconico.

    Anche questo era strano.

    – Oggi cosa fai? Ho qualche speranza di godere della tua compagnia? – sussurrò Otabek a Yuri.

    – Venite qui, tutti e tre – la voce di Victor li richiamò all’ordine. 

    Era arrivato. Fine di ogni possibile chiacchiera.

    E… Ecco… Cos’avevano tutti quanti?

    Ok, Victor aveva un aspetto migliore di quello che aveva sfoggiato durante le olimpiadi, quando aveva guardato le performance dei suoi allievi con una faccia da vampiro insonne. Adesso sembrava più che altro arrabbiato…

    Otabek, Yuuri e Yuri si misero in linea davanti all’allenatore, che era apparso a bordo pista con una cartellina in mano. Di fianco a lui c’era Yuko con il marito e il fisioterapista. Insomma, lo staff quasi al completo. E tutti avevano una terribile faccia da funerale.

    – Yurio, non puoi pattinare.

    Non era una battuta. 

    Erano tutti mortalmente seri. Yuko sembrava sul punto di piangere.

    – Eh?? – fece Yuri.

    Lui se lo aspettava meno di tutti.

    Yuuri invece era sbiancato.

    – La clavicola non è guarita – disse Victor. – E pesi cinquantacinque chili.

    Questo fece voltare di scatto Otabek.

    Cinquantacinque chili.

    La sera prima, quando lo aveva sollevato… Sì, aveva avuto l’impressione che fosse solo pelle e ossa, ma Yurio era di costituzione esile… 

    No. 

    Lo guardò meglio. Non c’era niente, proprio niente sotto la pelle, che aveva un pallore che non era il suo abituale incarnato alabastrino. Quello era il fantasma del ragazzo che aveva abbracciato l’ultima volta all’aeroporto, alla partenza dopo le olimpiadi. E non erano passati neppure due mesi.

    – Col cazzo che non pattino! – sbraitò Yurio. – Mica pattino con la clavicola!

    La smorfia, quando lo aveva buttato sul letto, quindi, era stata di dolore…

    – Yuri, tu non pattini – continuò Victor. – Per le prossime due settimane non farai assolutamente nulla e quando vorrai tornare sulla pista, dovrai pesarti. Sotto i cinquantanove non pattini.

    – Come sarebbe a dire due settimane? I mondiali?

    – Ti ho ritirato dai mondiali. Ho già sentito la federazione russa. È una cosa già decisa.

    Non c’erano oggetti contundenti che potessero essere scagliati. 

    Yurio si avventò contro il bordo pista, ma Victor era fuori portata.

    – Sei impazzito? Siete tutti impazziti? – gridò Yurio.

    L’allenatore scosse il capo.

    – No. In questo momento le tue ossa si stanno decalcificando. Puoi rompertele con qualsiasi caduta, o anche per il semplice atterraggio da un salto. I tuoi muscoli stanno mangiando loro stessi e possono rompersi per uno sforzo eccessivo. Le tue analisi del sangue sono del tutto sballate. Non c’è un singolo organo nel tuo corpo che non sia sotto stress. Io non sarò complice del tuo suicidio.

    – Sono tutte sciocchezze! Questa stupida spalla può anche fare i capricci, ma…

    – No. Sei nel pieno della tua carriera. Questa stagione è già praticamente finita. Non puoi buttare via la tua salute adesso per una singola gara. Fino a che non avrai ripreso un peso adeguato non pattini. Puoi venire qui quando vuoi. Siamo tutti qui per aiutarti. Per parlare, se lo desideri. Puoi chiamare Ivan. A qualsiasi ora del giorno o della notte.

    – Io non ce l’ho bisogno uno strizzacervelli!

    Victor si avvicinò di un passo e allungò la cartelletta, come un veterinario che debba avvicinarsi a una tigre non del tutto sedata.

    – Tieni. Qui ci sono i risultati delle tue analisi e i consigli del dietologo. E i numeri di telefono che possono esserti utili.

    La cartelletta fu istantaneamente lanciata in aria, con i fogli che presero a svolazzare sul ghiaccio.

    Uno ricadde ai piedi di Otabek. Non era in giapponese, ma in inglese. Lesse «rischio di collasso in caso di sforzo prolungato». Dovette avvicinarsi anche lui al bordo pista, per sostenersi.

    – Non me ne faccio niente di queste cazzate! – gridò Yurio, mentre usciva come una furia dalla pista.

    Otabek si chiese cosa dovesse fare. Inseguirlo a rischio della propria incolumità? Raccogliere quei maledetti fogli?

    – Lascialo sbollire – sussurrò Yuuri.

    Era evidente che non si era aspettato nulla di tutto ciò. Sembrava quasi sul punto di piangere, come Yuko. Stupidi giapponesi.

    – Ma cosa ti è saltato in mente di dirgli queste cose davanti a tutti? – gridò a Victor.

    Contro qualcuno doveva pur gridare.

    Victor aveva gli occhi chiusi e le mani strette contro la balaustra. 

    Otabek sapeva che non era proprio il tipo di allenatore da imporsi con la forza. Era evidente che aveva fatto violenza a se stesso per imbastire quella scenata. Questo, tuttavia, non lo aiutò a calmarsi.

    – Non ho agito di mia iniziativa – replicò il russo, apparentemente calmo. – Ho sentito lo psicologo che seguiva gli atleti della pista di San Pietroburgo. Secondo lui, al punto in cui è arrivato Yurio, l’unica cosa che porti un vantaggio immediato è il ricatto. Togliergli una cosa che ami più della propria vita.

    Al punto in cui è arrivato…

    Era la stessa sensazione che aveva avuto quella mattina in cucina mentre l’agnello bolliva.

    La voragine sotto i propri piedi.

    Al punto in cui è arrivato…

    – E come cazzo è possibile che il suo allenatore se ne sia accorto solo adesso? – sbraitò.

    Victor lo fissò con quel suo sguardo del tutto indifeso.

    – Non ne ho idea – sussurrò.

    Poi scosse il capo.

    – Alle olimpiadi non c’era nulla che non andasse, durante la stagione agonistica dimagrisce sempre, ma non era peggio del solito – disse poi, come se anche lui avesse bisogno di ricapitolare i fatti. – Si è fatto male, ok, ed è arrivato quinto. Ma tu hai avuto l’impressione che ci fosse qualcosa d’altro?

    Otabek ci pensò seriamente.

    Yuri era stato deluso. Ovviamente. Nessuno va alle olimpiadi per farsi travolgere in riscaldamento da un cinese pazzo per poi arrivare sotto il podio quando si aveva un argento da difendere. Ma erano eventi che bene o male un atleta metteva in conto. Yuri non aveva mai avuto un carattere fragile. Nelle gare da un punto di vista mentale era un passo davanti a tutti. E Otabek aveva avuto modo, ripetutamente e con sommo gusto, di testare la solidità del suo corpo. Che era magro e scattante. Ma aveva un peso che si aggirava sui sessanta chili, forse qualcuno in più.

    Alle olimpiadi l’unico che per cui si erano preoccupati davvero era stato Victor.

    – No – disse. – Dopo?

    – Da Pechino è andato direttamente in Russia. È stato a Mosca dieci giorni… Poi al ritorno non sembrava… Ho iniziato a preoccuparmi davvero una decina di giorni fa, perché continuava a lamentarsi della spalla. Tempo di fargli fare gli esami e siamo arrivati a oggi.

    – Quindi non hai aspettato a fare questa scenata che ci fossi io.

    – No. Ma se c’è qualcuno che lo può aiutare, in qualsiasi cosa si sia cacciato, sei tu… È sempre stato fragile da questo punto di vista, molti di noi lo sono. Ma un tracollo così improvviso deve pur avere avuto una causa scatenante.

    Otabek annuì.

    Non c’era molto che potesse aggiungere alle parole di Victor. Se aveva una certezza, era che comunque teneva a Yuri.

    Yuuri intanto stava raccogliendo i fogli sparsi per tutta la pista di pattinaggio. Non aveva detto una parola.

    – Anche tu e lui non sembrate in piena forma – azzardò il kazako.

    – Lo so. È la tensione che gli hanno messo addosso… Questa follia del documentario… Ne usciremo, in qualche modo.

    In qualche modo…

    E lui che era andato in Giappone per non pensare…

 

*

    – Hai bisogno di una pausa – disse Yuuri. – Andiamo a prendere un caffè fuori di qui. Senza telecamere intorno. Tanto nessuno ha testa per pattinare, adesso.

    Victor annuì.

    Adorava i momenti in cui Yuuri si imponeva e veniva a salvarlo. Dopo tutto avevano sempre funzionato bene grazie a quell’equilibrio mobile delle forze. Quando uno era in difficoltà, interveniva l’altro. Perché e quando esattamente il meccanismo si era inceppato? Forse era solo che non erano mai stati così sotto stress entrambi, neppure quando anche lui gareggiava ancora. In fin dei conti, aveva sempre avuto ragione Yakov. Allenare era peggio.

 

    – È per via di Yurio che ieri sera mi hai fatto quella scenata? – chiese Yuuri non appena furono seduti con una tazza di caffè davanti.

    Victor annuì.

    – Potrei aver esagerato – ammise.

    Non ricordava le parole esatte che aveva usato. Potevano essere state eccessive. Quasi sempre lo erano, in quel periodo.

    – Hai esagerato – confermò Yuuri. – Non sono un ragazzino che non sa regolarsi. Anche con lui potresti aver esagerato.

    Victor scosse il capo.

    – No. Ho improvvisato fin troppe volte con te. In questo caso non avevo nessuna intenzione di farlo. Ho sentito Yakov e Ivan.

    Yuuri non sembrava del tutto convinto. Guardava il proprio caffè come se potesse leggerci dentro chissà quale responso.

    – E era per questo che ti aggiravi per casa, questa notte – commentò.

    – Se eri sveglio anche tu potevamo quanto meno farci compagnia – buttò lì il russo.

    Il trasferimento di Yuuri nella camera degli ospiti era stato motivato dal fatto che era impossibile dormire con a fianco qualcuno che nel migliore dei casi rimaneva a rigirarsi per ore nel letto e nel peggiore, ma non improbabile, si svegliava urlando. Un atleta aveva bisogno di riposare. Yuuri aveva disputato la gara olimpica con il bacino incrinato a causa di una caduta dovuta a quelle cinque o sei notti insonni che l’avevano preceduta. Grande idea davvero quella di dividere la camera durante l’olimpiade… Dormire separati fino a che il problema non si fosse risolto era sembrata una soluzione di buon senso. Se non che era sparito subito anche il sesso. E poi le semplici coccole, il guardare un film avvinghiati sul divano, lo sfiorarsi durante la giornata. Adesso, a quanto pareva, anche il sostare nella stessa stanza.

    Yuuri si strinse nelle spalle.

    – Ti sentivo che parlavi in russo. Non volevo intromettermi.

    – Parlavo con Ivan, in che lingua avrei dovuto farlo?

    – Non era un’accusa. Solo una spiegazione.

    A volte era impossibile parlare con Yuuri. Era un muro di gomma contro cui rimbalzava tutto, creando macerie di frustrazione.

    – Non sapevo che fosse per via di Yurio – precisò Yuuri. Forse anche lui si era reso conto di essere stato eccessivo. – Pensavo lo avessi chiamato per qualcos’altro. E sono contento che tu lo faccia, ho insistito parecchio, mi pare.

    – E hai fatto bene. Sto meglio.

    Peggio di quanto fosse stato durante le olimpiadi era difficile. Ma anche con quell’ultimo terremoto che gli era capitato addosso stava recuperando. Lo psicologo aveva ragione. Ne sarebbe uscito, ma ci voleva tempo. 

    E sarebbe più facile se non mi sentissi così solo a casa mia.

    Yuuri lo guardò poco convinto.

    – Che fine hanno fatto i tuoi occhiali? – chiese Victor.

    Come aveva fatto a non accorgersene fino a quel momento?

    – Ho messo le lenti a contatto. Izumi dice che la gente è abituata a vedermi in gara, senza occhiali…

    Izumi? La documentarista. Da quando era diventata solo Izumi?

    – Ma tu le odi le lenti a contatto!

    Yuuri scosse la testa con noncuranza.

    – È solo per pochi giorni. Dopo il mondiale tutto tornerà come prima.

    Me lo auguro. Me lo auguro davvero.

    Con la mano cercò quella di Yuuri, sotto il tavolo. Gli accarezzò l’anello con i polpastrelli. Poi l’altro mosse la mano e afferrò la sua con la propria stretta salda, senza alcuna esitazione.

    Ma davanti a lui il viso di Yuuri non cambiò espressione.

    – Dobbiamo rientrare e assicurarci che siano ancora tutti vivi prima che arrivino Kuma e Izumi.

    E la mano fu lasciata andare.

 

*

 

    – Apri questa porta o la butto giù! – sbraitò Otabek.

    Aveva atteso un tempo ragionevole prima di intervenire. Ma adesso la sua pazienza era del tutto esaurita. Yuri era asserragliato in bagno come una belva ferita e altrettanto propenso a mordere o a graffiare, ma lui non ne poteva più.

    – Che cazzo vuoi?

    – Parlare.

    – Io no. Quindi esco se mi lasci andare via.

    – Per andare dove?

    – Dove ci sia gente ragionevole, che mi faccia fare questa cazzo di gara.

    – Le due cose si escludono a vicenda, mi pare.

    – Non sto male! Mi fa male una spalla. Ok. Ma io non ci rinuncio al mondiale dopo questa schifo di olimpiade! Torno in Russia.

    – Come no? Infatti Victor non ha parlato con Yakov…

    – Beh, mi troverò qualcun altro!

    Otabek voleva abbatterla davvero quella porta. A testate.

    Si obbligò a respirare.

    Non era l’approccio giusto. Doveva partire da due presupposti. Yuri stava male.  Ed era stato messo con le spalle al muro. Era furente e del tutto non razionale. Lo sarebbe stato anche lui nelle stesse condizioni. No. Lui sarebbe stato preso a ceffoni molto prima di ridursi in quello stato da suo padre, da sua madre o dal suo allenatore, probabilmente da tutti e tre assieme, e gli avrebbero ricordato che aveva delle responsabilità. Ecco, forse era quello il punto. O uno dei punti. Chi aveva Yuri che potesse prenderlo a ceffoni? Victor? In qualche modo lo aveva appena fatto. Ma prima? Chi aveva davvero Yuri che lo inchiodasse alle proprie responsabilità e si prendesse cura di lui?

    – Come cazzo hai fatto a ridurti in questo stato? – disse, sforzandosi di non urlare.

    – Non mi sono ridotto in nessuno stato. Sto bene.

    – Vorrei venire dentro a dartene tante, ma secondo i fogli che ho in mano ti romperei anche solo con un buffetto.

    – Non è così tragica.

    – No, se smetti di fare cazzate.

    – Non sto facendo cazzate.

    – Certo. Non mangi.

    – Mangio.

    – Ma davvero?

    – … Mangio. Ma poi vomito. Non so perché.

    Otabek aveva rinunciato a ogni violenza contro la porta. Si era seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata alla porta del bagno. Immaginava Yuri speculare a lui, nella stessa posizione, solo con le ginocchia strette tra le braccia.

    Il kazako controllò sui fogli che aveva in mano.

    – Qui dice che non ci sono problemi organici allo stomaco.

    Se aveva accettato di sottoporsi a tutti quegli esami era perché, nel profondo, sapeva che aveva bisogno di aiuto. 

    – Io vomito lo stesso. Non lo faccio apposta. E allora tanto vale non mangiare.

    Di solito gli anoressici si inducevano il vomito. Ma Otabek era propenso a credergli. Non era una cosa premeditata, un’anoressia scatenata da un qualche desiderio di perfezione fisica. Era un crollo nervoso bello e buono.

    – Non ho detto che lo fai apposta – disse, sforzandosi di mantenere un tono neutro. – Quando hai iniziato a stare male? A Pechino? A Mosca? Qui?

    – Non lo so. A Mosca, credo. Qui, sopratutto.

    – Cos’è successo a Mosca?

    – Niente.

    – Niente? Perdi quanto? Sei chili e mezzo in meno di due mesi e mi dici che non è successo niente? Tuo nonno sente la necessità di venire a trovarti proprio adesso sempre per niente?

    Sentì un verso a metà tra uno sbuffo e un ringhio.

    Adesso mi dirà che non posso capire.

    Non glielo aveva mai detto, in realtà, ma lo aveva spesso lasciato intendere. Sin da quella prima volta che era stato suo ospite a Mosca. Otabek lo accettava. L’intero appartamento del nonno di Yuri stava forse nel salotto di casa sua. E il giovane aveva sempre quella faccia, tra l’affascinato e il ferito, quando lui accennava ai fratelli, ai genitori o agli zii. Come qualcuno che ascolti una bella fiaba che sa già essere falsa. E Otabek, davvero, non capiva. E non sapeva. Non aveva idea di cosa ne fosse stato dei genitori di Yuri. Se c’era un nonno dovevano per forza esserci anche dei genitori. Eppure il russo non aveva mai accennato a loro, se non una volta, quell’estate, quando Otabek aveva detto che non assomigliava per nulla al nonno e Yuri aveva risposto che lui era uguale alla propria madre. La figlia del nonno. Di cui non c’era neppure una foto in casa, mentre quelle di Yuri bambino abbondavano.

    Beh, non poteva capire. Ma neppure poteva passare le ore col sedere per terra e il suo non fidanzato asserragliato in bagno.

    – Guarda che non sei l’unico ad avere problemi – provò. – Qualsiasi cosa ti sia successa non è un buon motivo per ammazzarti.

    – Non mi sto ammazzando.

    – Sì, invece. A dimagrire in questo modo si muore. O ci si trova con dei danni permanenti. Cazzo. La vita è già abbastanza bastarda senza che uno ci debba mettere del suo. 

    – Che cazzo ne sai tu?

    – Niente. So solo che ti stai ammazzando. E che non voglio che tu lo faccia. C’è già mio padre che sta morendo.

    Otabek si bloccò nel momento in cui si accorse di aver parlato.

    Si passò una mano sulla faccia.

    Stava piangendo. Come una donnicciola.

    Sentì dei rumori dal bagno.

    La faccia di Yuri fece capolino dalla porta.

    – Che cosa hai detto? – chiese con una vocina esile che non era per niente da lui.

    Ecco. Adesso era Otabek che voleva asserragliarsi da qualche parte.

    Si fissò intensamente le proprie ginocchia.

    – Tumore all’intestino. Recidiva – disse.

    Era quello che sua madre gli aveva detto quella mattina, mentre cucinava l’agnello.

    Sentì la mano di Yuri posarsi sulla sua spalla. Otabek abbassò la testa e la sfiorò con la guancia.

    – Si può fare qualcosa? – chiese il russo.

    – Forse. Non in Kazakistan. Ma bisogna farlo subito. E costa.

    – Beh, ma hai appena vinto un argento olimpico.

    – E forse se vinco i mondiali potrei evitare che i miei si indebitino a vita. Quindi…

    Quindi?

    Quindi non voglio essere angosciato anche per te. Ti amo. Questo avrebbe detto, se non si fosse bloccato.

    Ti amo.

    Niente stupide smancerie, si erano detti, giusto quattro anni prima. Si gareggia, si fa sesso, ci si parla. E basta. Nessuna cazzata in pubblico e nessuna idiozia in privato. E adesso era seduto sul pavimento del bagno, con le lacrime agli occhi, pronto a una dichiarazione d’amore?

    –… Quindi ho bisogno, davvero bisogno di vincere questa gara. E non posso farcela se non mi aiuti.

    Yuri si sedette al suo fianco e gli prese la mano.

    – Cosa devo fare? – chiese.

    – Rimani vivo. Rimani Yuri.


 PROLISSE NOTE A PIÈ DI PAGINA CHE POTETE TRANQUILLAMENTE SALTARE.
Ho scritto quella fic più di un anno fa e, per puro caso, mi trovo a postare questo pezzo proprio quando ce ne sono altre due, bellissime, di Dragonfly92 e EfinaFD, che trattano di problemi alimentari più di petto e meglio di me.
È capito così, abbiate pietà di me.
A questo proposisto volevo comunque aggiungere qualcosa, perché, magari alcune dinamiche possono non apparire chiare, sopratutto nelle tempistiche e negli effetti.
Ci sono sport in cui bisogna per forza essere molto magri, se no le performance sono impossibili. Io ne ho praticato uno a livello agonistico per circa 10 anni, atletica mezzofondo. Questa parte di storia viene da lì, per esperienza diretta e indiretta. La differenza (la fortuna?) con il pattinaggio è che nel mio sport nessun allenatore sano di mente (spero) si mette a pesare ossessivamente gli atleti e cose così. Di certo, se pratichi questi sport a livello agonistico, il tuo fisico è già al limite, sei probabilmente sottopeso anche se hai l'ossatura di una farfalla e la percentuale di grasso corporeo è quella minima per permetterti di stare bene. Perché stai bene. Segui una dieta adeguata che anche se non è ipocalorica è comunque una rottura di scatole, perché magari devi mangiare a orari assurdi per via degli allenamenti e magari non quello che ti va in quel momento, e sei controllato ogni tot mesi. Il problema è che se l'equilibrio si rompe si rompe in un attimo, perché sei già sottopeso e sottoponi il tuo corpo al massimo sforzo possibile ogni giorno. Può essere un periodo di stress in cui c'è la tipica sensazione di stomaco chiuso, senza nessuna volontà di dimagrire o chissà che altro. Il fatto è che il tuo fisico non può permettersi neppure due o tre chili in meno. E tutto è molto rapido, tutti sono abituati a vederti magro e comunque non hai smesso di mangiare, forse lo fai solo un po' meno perché non ti va e quindi la cosa si nota relativamente poco. E ti fai malissimo, perché il corpo inizia subito a nutrirsi di se stesso e, siccome sei uno sportivo e quindi già abituato a ignorare una serie di doloretti, disagi, etc., ignori i segnali d'allarme. La buona notizia è che sei uno sportivo. Hai un allentatore che ti vede tutti i giorni e un medico che ti vede a intervalli regolari. Loro se ne accorgono di sicuro e un allenatore che fa bene il suo lavoro è una manna dal cielo. Perché può obbligarti, se necessario con il ricatto, ad accettare il fatto che il problema esista. E da lì si riparte. Ma intanto ti sei fatto del male e il danno rimane. Ora, nella mia esperienza questa cosa è piuttosto comune, anche in chi non è ossessionato dal peso. E tutta la mia squadra di atletica deve ringraziare il Cielo che ci sia capitato un allenatore per certi versi molto Victor (giovane, appena ritiratori dal circuito internazionale, con occhi bellissimi, ahimé fidanzatissimo con una donna che metteva in chiaro che per le mezzofondiste non c'era speranza) ma molto attento a questi aspetti, pronto se il caso a litigare con genitori che sottovalutavano. Nel pattinaggio ho il sospetto che le cose siano un bel po' più ambigue. Molti allenatori sono atleti che a loro volta hanno avuto problemi alimentari e alcuni commenti e alcune interviste mettono i brividi. Personalmente per me un allenatore ha il dovere morare di tutelare in primis la sicurezza e la salute del suo allievo. Non ho scusanti per chi non lo fa, proprio perché so quale sia l'ascendente che ha un allenatore su un ragazzo. A sedici, diciotto, ma anche a vent'anni l'allenatore è il tuo dio in terra. Sei abituato e condizionato a fidartene ciecamente (e qui non apro il capitolo doping...).
Scusate il pippotto, mi sembrava giusto spiegare perché Yuri sia in condizioni così disastrose se meno di due mesi prima stava bene. Probabilmente non stava così bene neppure due mesi prima, comunque, un'olimpiade genera stress e la sua non è andata benissimo. Nella serie abbiamo visto Yuri dare il proprio cibo preferito a Yuuri perché J.J. lo aveva battuto. È un particolare sciocco, ma mi è rimasto in testa. Infine, Victor può essere stato un allenatore un po' deficitario negli ultimi mesi e non aver colto dei segnali. Insomma, senza alcuna cattiva volontà, la ricetta perfetta per il disastro.

 

 
   
 
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