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Autore: Il cactus infelice    28/07/2019    2 recensioni
Estate 2020. Il riscaldamento globale colpisce non solo il mondo Babbano, ma anche quello dei Maghi. La frenesia dei social, della tecnologia, sta travolgendo anche i maghi e le streghe. Bisogna tenersi al passo coi tempi.
Ma mentre queste questioni vengono lasciate ai Babbani - che se ne intendono di più - il Mondo Magico avrà un'altra gatta da pelare.
Harry Potter si ritroverà a dover risolvere un altro mistero, forse addirittura a combattere un'altra guerra e questa volta lo riguarda molto, molto da vicino.
Tutto inizia con un ritorno inaspettato una mattina del 10 Luglio 2020.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Potter, Famiglia Weasley, I Malandrini, Nimphadora Tonks, Teddy Lupin | Coppie: Bill/Fleur, Harry/Ginny, James/Lily, Teddy/Victorie
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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IL CAPO DEGLI AUROR E I MALANDRINI

 

 

Per arrivare all’ufficio di Harry bisognava attraversare un altro corridoio. Ron non si era mai accorto che ci fossero così tanti corridoi al Ministero della Magia, o non ci aveva mai fatto caso.
Ma ora, col cuore in gola e l’agitazione che gli stringeva le viscere, gli sembrava quasi che quel percorso fosse una specie di Purgatorio. Con l’avvicinarsi dell’ufficio di Harry si rendeva conto delle conseguenze. Come l’avrebbe presa Harry? Cosa avrebbe fatto?

Forse non era stata una buona idea portarli subito da lui. 

I cinque, dal canto loro, se ne stavano in silenzio. Ron si chiedeva cosa stessero pensando o cosa si aspettassero di trovare. Se non erano loro - cosa ora alquanto probabile perché i morti non potevano tornare in vita - sarebbe stata una bella gatta da pelare. Ma se erano davvero loro… Ci sarebbero state un sacco di spiegazioni da dare, un sacco di misteri da scoprire e un sacco di nuove realtà a cui abituarsi.
Tutte cose a cui non poteva pensare ora. Meglio non pensarci.

C’erano due modi in cui arrivare all’ufficio di Harry: uno richiedeva attraversare l’intero dipartimento Auror, sotto gli sguardi di molte persone, e l’altro era una via sul retro, da cui si poteva arrivare indisturbati.
Non c’erano dubbi per quale l’uomo avesse deciso di optare.

Lydia, la segretaria del suo amico, se ne stava seduta al suo posto dietro una scrivania limandosi le unghie indisturbata. Sembrava che quel giorno non fosse particolarmente impegnata. La sua treccia era, come sempre, pettinata alla perfezione e il trucco rigorosamente abbinato all’abito verde sgargiante. Era una donna perfettamente consapevole delle proprie curve e non faceva altro che indossare vestiti che le valorizzassero, perciò Ron inciampò con lo sguardo nella scollatura che lasciava intravedere il suo prorompente seno prima di incontrare il viso della donna.
“Lydia, Harry è in ufficio?”
“Il signor Potter non si è mosso da lì per tutta la mattina”, rispose lei candidamente e con un sorriso che mostrava i denti bianchissimi e perfetti circondati da labbra gonfie di rossetto scarlatto.
“Grazie, Lydia”. 

“Ma siamo nell’ufficio del capo degli Auror”, osservò James con una punta di curiosità.
Ron non gli fece caso, ma il cartello che sulla porta recitava Harry J. Potter - Capo Auror lasciava poco spazio a dubbi. 

“Ragazzi, aspettatemi qui fuori prima. Vorrei spiegare a Harry la situazione”, disse Ron voltandosi verso gli altri. 

Sirius fissava il cartello sulla porta con uno sguardo strano, qualcosa che non si riusciva a decifrare.
Dopo aver ricevuto segni di consenso, il rosso entrò. 

Non fece in tempo però a dire niente che Harry, seduto alla scrivania e con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio, lo bloccò con un gesto della mano per dirgli di aspettare. L’amico rimase fermo sulla soglia.
“D’accordo, Jeremy, gliene parlerò. Credo che il Ministro possa essere interessato”. 

Miseriaccia!, esclamò Ron mentalmente. Harry non sopportava Jeremy e parlare con lui lo metteva sempre di cattivo umore. Diceva che gli faceva venire il latte alle ginocchia e che avrebbe preferito prendere un cactus a mani nude piuttosto che parlare o incontrarsi con lui. 

“Grazie, Jeremy, ne riparleremo ancora. Sì sì…”. 

Momento di silenzio.
“Okay, Jeremy. Ci sentiamo, ho un po’ di lavoro da fare. Grazie, ciao”.
Il capo Auror attaccò il telefono e lasciò andare un sospiro di rassegnazione e stanchezza chiudendo per un attimo gli occhi. 

“Dimmi, Ron”, disse poi afferrando una penna e un foglio che iniziò subito a compilare.
Ottimo, Harry era distratto e forse persino stanco; non aveva certo beccato il momento migliore. 

“Ecco, Harry, è successa una cosa…”, iniziò l’amico e collega, esitando. 

“Hai di nuovo litigato con Hermione?” gli chiese l’altro senza alzare gli occhi da quello che stava facendo. 

“No, no. È solo che… Ci sono delle persone qui con me”.
Solo allora il moro alzò lo sguardo su Weasley, e inarcò un sopracciglio.
“E falle entrare”.
“Be’, sì… è che… È una cosa strana, molto strana, anzi, impossibile”. 

“Ron!” 

“Sono delle persone che non dovrebbero essere qui perché…. be’, loro… Erano mort…”. 

Nel momento in cui Ron stava pronunciando l’ultima parola, si sentì spingere di lato, lontano dalla porta e per poco non cadde di faccia a terra. 

Sirius - perché non poteva essere altri che lui - si era spazientito e aveva trascinato tutti dentro la stanza. 

Harry non reagì subito, ci mise qualche frazione di secondo a capire che cosa stava succedendo e a registrare e riconoscere i volti di chi aveva di fronte. Non che li avesse mai scordati. Li aveva sognati spesso negli anni dopo la seconda guerra magica ma quello non era decisamente uno dei suoi sogni. E loro erano lì di fronte a lui.
Scattò dalla sedia ed estrasse la bacchetta puntandola contro i cinque. 

“Ron, che diamine…!”
“Aspetta!” gli gridò l’amico. “Non attaccare. Li ho già controllati io”.
Harry alternava lo sguardo tra i cinque “sconosciuti” di fronte a lui e Ron quasi ossessivamente. Teneva la bacchetta ancora tesa davanti a sé.
“Non sono sotto effetto di Trasfigurazione e non sono creature demoniache. Ed inoltre, sono disarmati”.
“Harry”, chiamò allora Remus, cauto. “Siamo noi, te lo giuro”.
“Non può essere…”, sospirò Potter. “Tu non puoi essere… Lui… E tu…”.
L’emozione, l’ansia, lo sbigottimento, lo shock, qualsiasi fossero quelle cose che stava provando gli impedivano persino di finire le frasi.
“Ci siamo conosciuti al tuo terzo anno ad Hogwarts, ricordi? Ero il tuo insegnante di Difesa contro le arti oscure e ti ho insegnato a evocare un Patronus. Tu ed Hermione avete aiutato Sirius a scappare dalla torre di Hogwarts. E io e Dora…”, prese la mano della moglie. “Abbiamo avuto un figlio. Si chiama Ted, come suo nonno materno. E tu sei il suo figlioccio”. 

Harry finalmente si decise ad abbassare la bacchetta. Certo, raccontare dei dettagli della propria vita che potevano conoscere soltanto loro era una mossa furba. Ma quanto poteva essere efficace? Forse gli avevano rubato in qualche modo i ricordi, chiunque fossero quelle… persone che aveva davanti. Per non contare che certi episodi della sua vita privata erano ormai di dominio pubblico.
I morti non tornano in vita. Mai. 

Non era possibile. Non era possibile. Non era possibile. 

I morti non tornano in vita.

Mai. 

Mai. 

Glielo aveva detto Silente. I morti non tornano in vita.
Non era possibile. 

Non erano loro. 

“Harry?” lo chiamò piano Ron, quasi temendo di svegliare una bestia.
Harry non si era nemmeno accorto di essere rimasto a fissare la scrivania davanti a sé, col respiro affannoso che si intravedeva da sotto la camicia scura che indossava. Le mani, strette a pugno, erano sbiancate sulle nocche. 

“Ti prego, di’ qualcosa” , disse ancora il suo amico, ora seriamente preoccupato.
Il moro si mosse lentamente e schiacciò un pulsante del telefono presente sulla scrivania.
“Lydia, se qualcuno dovesse venire qui, di’ che sono impegnato e che non ricevo visite oggi”.
“Certo, signor Potter”, si sentì cinguettare la voce della donna dall’apparecchio.
Poi, con una mossa leggera della bacchetta, abbassò le tende e serrò la porta. 

“Accomodatevi”, disse agli altri che fecero immediatamente quello che lui chiese, sedendosi sul divano e la poltrona presenti di fronte alla scrivania, dalla parte opposta. Solo Ron rimase accanto ad Harry.
“Qualcosa da bere?” Harry non attese alcuna risposta, si limitò ad agitare un’altra volta la bacchetta e a versare del bourbon che si trovava su un mobile dietro di lui in sette bicchieri. Li fece volare fino ai suoi ospiti, mentre lui mandava il proprio giù tutto d’un colpo. Poi se ne versò immediatamente un altro. 

Non era propenso a bere al lavoro ma quella situazione era abbastanza particolare.

“Bello il tuo ufficio”, commentò Tonks per smorzare la tensione e l’imbarazzo della situazione.
Era uno spazio grande e luminoso, un lato delle pareti era occupato da vetrate enormi che davano sul paesaggio esterno, mentre le altre pareti erano dipinte di bianco quasi in tinta con con i divani morbidi il cui bianco era leggermente più sporco. Il pavimento era in parquet e la scrivania preziosa e spaziosa. C’erano persino alcune piante grasse in un paio di angoli, un quadro astratto appeso sopra il mobile con il bourbon nell’angolo dietro la scrivania.
Era tutto minimal ma decisamente accogliente.
“Non era così l’ultima volta che ci sono stata… Be’, anni fa”.
Harry si accomodò sul divano rimasto libero. “Che è successo?”
“Li ho trovati nel parco qua vicino mentre prendevo il caffè”, iniziò a spiegare Ron. 

“Hai notato qualcosa di strano?” 

“No, assolutamente”.
“Voi vi ricordate di essere…”, chiese Harry, questa volta rivolto agli altri. Esitò nel concludere la frase, non gli sembrava che la parola morti fosse abbastanza indicata.
“Morti?” concluse Sirius per lui. “Non proprio. Cioè, io ricordo l’ultima cosa che mi è successa prima di… ritrovarmi qui fuori”.
“Bellatrix che…”.
“Che mi lancia uno Schiantesimo? Sì. E tu avevi solo quindici anni”.
“Sono passati venticinque anni da allora. E ventidue dalla fine della seconda guerra magica”.
“Seconda guerra magica?!” esclamò Lily. 

Gli occhi di Harry si posarono su di lei e il ragazzo che le stava seduto accanto. Quel ragazzo terribilmente simile a lui. Quel ragazzo che - Harry capì - era suo padre ma che in quel momento aveva la metà dei suoi anni. E la ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi non poteva essere altri che sua madre. L’agitazione cominciò ad assalirlo.
I due lo guardavano come se avessero davanti una specie di idolo. Harry non avrebbe saputo dire che cosa stessero pensando o provando in quel momento, non ne aveva le forze mentali; doveva gestire quello che stava sentendo lui.
Aveva bisogno di una sigaretta. Sentiva prepotente il desiderio dentro di sé di fumare. 

“Com’è successo? Come siete tornati qui?” 

“Non lo sappiamo”, gli rispose Remus.
“Non esistono incantesimi che possono riportare in vita qualcuno”.
“Forse sì”, ribatté Ron.
Harry si girò a guardarlo.
“Magari qualcuno ha scoperto qualcosa. Magari… Non lo so, però qualcosa è successo”.
Harry abbassò lo sguardo pensieroso, mentre il silenzio cadeva sui presenti. Sirius ne approfittò per guardare la figura del figlioccio. Quanti anni poteva avere? Era più vecchio di lui - be’, più vecchio di lui quando era morto - ed era decisamente cambiato. Non portava più gli occhiali, così il verde smeraldo dei suoi occhi sembrava brillare ancora di più, i capelli scuri erano pettinati all’indietro alla perfezione, con del gel presumibilmente, e solo un paio di ciocche sfuggivano all’attenta pettinatura, sfiorandogli la cicatrice con le punte.
Anche nel modo di vestire dava l’idea di essere un uomo serio e importante: indossava una camicia blu scuro che aderiva perfettamente al corpo, sembrava quasi gli fosse stata fatta su misura, e un gilet di stoffa nero abbinato alla cravatta.
Quello non era l’Harry che conosceva lui. Ma non poteva esserlo dopotutto. Quello era un uomo fatto e finito, con le sue responsabilità e il suo lavoro. Chissà che cosa aveva fatto in tutti quegli anni, come era arrivato a dirigere l’intero dipartimento Auror, se era stato felice, se aveva sofferto, se… 

Improvvisamente venne colto da un senso di disperazione. 

“Non posso lasciarvi andare così”, disse Harry interrompendo il silenzio. “Vi manderò giù, al Dipartimento di Controllo delle Arti e Magie Oscure. Giusto per… Per accertarmi che non siate…”. 

“Certo”, rispose Remus interrompendolo. Certo, un qualsiasi Auror avrebbe agito così. 

“Lasciatemi solo fare una telefonata”.
Harry si alzò e tornò alla scrivania. Alzò la cornetta e digitò un paio di numeri. 

“Steven, ti mando giù delle persone. Ho bisogno che tu faccia tutti i controlli…”, pronunciò Harry al telefono.

“Che cos’è quello?” chiese James indicando il telefono. 

“È un oggetto babbano. Non pensavo lo utilizzaste anche qua”, gli rispose Lily. 

“Diciamo che abbiamo introdotte molte cose del mondo Babbano”, spiegò Ron.

“E che cosa fa?”

“Permette di comunicare a distanza”.
“Ah”.
“No, Steven, non credo siano maghi oscuri però non dovrebbero trovarsi qui”, proseguì Harry dopo aver aspettato di sentire che cosa gli dicesse qualcuno dall’altra parte della cornetta. “Ti spiego appena arriviamo giù”.
E riattaccò il telefono. 

 

Harry ritornò nel proprio ufficio quasi col fiatone. 

Aveva cercato di liberarsi di quella situazione il prima possibile; non sapeva davvero come comportarsi, era rimasto in silenzio per gran parte del tempo e aveva evitato persino di guardarli.
Non poteva essere vero, Sirius, Remus, Tonks e… i suoi genitori? non potevano essere lì davvero. Non dopo tutti quegli anni. Quelli erano degli impostori, per forza, doveva esserci qualche spiegazione reale e credibile e dolorosa. Almeno, di questo cercava di convincersi ma il suo subconscio spingeva prepotente per fargli credere che invece il Cielo - o chi per lui - avesse deciso di fargli un regalo.
A quasi quarant’anni riusciva ancora a illudersi.
Stupido Harry, pensava mentre si accendeva una sigaretta nervosamente. Gli tremavano le mani, tutto il suo corpo tremava.
Per fortuna Ron era rimasto con lui tutto il tempo; aveva sentito la sua presenza accanto, gli pareva quasi di poter percepire le sue frasi rassicuranti e il suo sostegno nei semplici gesti. Gli era parso anche che avesse voluto mettergli una mano sul braccio, ma alla fine non lo aveva fatto. Forse un tempo, quando erano più giovani. 

Se fosse stato più giovane si sarebbe buttato tra le braccia del suo padrino e avrebbe pianto davanti ai genitori ritrovati, ma tutti quegli anni di esperienza gli avevano fatto capire che i sogni, specialmente quelli belli davvero, non potevano diventare realtà e che non bisognava mai dare nulla per scontato, nemmeno le cose belle.
Di magie straordinarie e miracolose ne aveva viste ma nessuna che riportasse in vita i morti.
Steven e il suo team se ne sarebbero assicurati; loro avrebbero capito di quale magia oscura si trattava, quale incantesimo di Trasfigurazione, e avrebbero sventato anche quel pericolo lì, per poi tornare alla solita normalità.
Dopotutto, la sua normalità gli andava più che bene, era felice, stava bene, finalmente, era in pace con sé stesso e con la sua vita.
Perché doveva sempre rovinarsi tutto? 

Fu di fronte a una delle grandi finestre del suo ufficio che Ron lo trovò quando entrò a sorpresa nel suo ufficio.
Harry tornò immediatamente alla scrivania per schiacciare il mozzicone nel posacenere. 

“Stai bene?” gli chiese l’amico. 

“Sì, Ron”, rispose l’altro buttandosi pesantemente sulla sedia. 

“Mi chiedevo se… Insomma, con quello che è successo…”. 

“Non è successo niente. Si tratterà di qualche incantesimo o uno scherzo di pessimo gusto. Magari i miei fan”. 

“Certo, Harry, però… E se fossero davvero loro?” 

Harry si soffermò a guardare l’amico per un po’ come per sondargli la mente e poi scosse il capo. “Non può essere. Certe cose non succedono”.
“Sono d’accordo con te. Però sai, se qualcuno è in grado di dividere la propria anima in sette parti per diventare immortale, magari davvero i morti possono tornare in vita”.
Il punto di vista di Ron non era del tutto errato ma c’erano troppe cose in ballo per poterlo credere davvero senza esitare. Tipo la sua sanità mentale e l’equilibrio di tutto quello che si era costruito. 

 

Sirius sospirò buttandosi all’indietro per cadere sul materasso che lo fece rimbalzare leggermente.
Harry li aveva abbandonati nei sotterranei del Ministero affidandoli a Steven e al suo team e ora si godevano lo spettacolo dei membri del Dipartimento degli Incidenti Magici che correvano davanti a loro con i camici bianchi e i guanti in lattice.
Il fatto che li avessero fatti accomodare in quella che sembrava essere una stanza con cinque letti a disposizione faceva solo presagire che sarebbero rimasti lì per un po’.
Non che potesse dire qualcosa, dopotutto era una situazione abbastanza peculiare nonché unica nel suo genere. Capiva le remore che poteva avere il Ministero ma Sirius aveva ricordi piuttosto spiacevoli dei suoi rapporti con l’Istituzione magica. Al che gli venne la paura che potessero sbatterlo di nuovo ad Azkaban.
Un brivido gli percorse la schiena. Non sarebbe successo, Harry lo avrebbe protetto.
Lo avrebbe fatto? 

Ma forse non doveva più temere, forse non c’erano nemmeno più i Dissennatori. Erano cambiate tante cose, lo sentiva. Persino nella struttura del Ministero, non era più maestoso come lo ricordava lui ma molto più semplice e “alla mano”.
Avrebbe però tanto voluto che Harry fosse rimasto lì con loro per raccontare di quello che aveva fatto, di come Voldemort fosse stato sconfitto, della sua vita insomma. 

Solo quando sentì sospirare qualcuno accanto a lui si distrasse dai propri pensieri.
“Jamie?” chiamò notando l’amico sdraiato sul letto accanto al suo con uno sguardo stanco e perso.
“Hm?” fece l’altro.
Solo in quel momento Black parve realizzare. Sorrise in direzione di James - un sorriso radioso che non faceva dai tempi di Hogwarts - e si lanciò addosso al ragazzo che se lo vide piombare addosso inaspettatamente, e dovette inarcare tutti i muscoli dell’addome per non subire una gomitata o una ginocchiata da qualche parte.

“Stupido canide, così mi uccidi!” gli urlò col fiato corto. 

“Jamie! Tu sei vivo!” 

“Grazie per avermelo ricordato. Ora per favore ti levi?”
Ma Sirius strinse ancora di più la presa attorno al collo di James e gli affondò il naso nell’incavo del collo inalando tutto il suo profumo.
James… quanto gli era mancato. 

Remus dall’altra parte della stanza sorrideva contento anche lui mentre Lily alzava gli occhi al cielo, divertita comunque dalla situazione.
Finalmente Sirius decise di staccarsi anche se controvoglia ma il fiato era venuto a mancare persino a lui.
“Ragazzi, siamo vivi, siamo di nuovo qui. Insieme. E là fuori c’è Harry. Okay, è cresciuto però siamo con lui e siamo di nuovo tutti insieme”.
“Sirius, la morte ti ha fatto ritornare ragazzino?” gli chiese Remus senza poter nascondere il suo divertimento.
Riusciva a percepire la gioia dell’amico e la sentiva anche dentro di sé. Non era una persona che si lasciasse andare ai romanticismi o alle nostalgie, ma rivedere i suoi vecchi amici dopo che pensava di averli persi per sempre non poteva in alcun modo lasciarlo indifferente. Velocemente si asciugò una lacrima che gli spuntò nell’angolo dell’occhio prima che potesse scivolargli lungo la guancia. Solo Tonks se ne accorse e gli strinse una mano tra le proprie. 

“Sai questo cosa significa, Remmie?” gli chiese guardandolo con i suoi grandi occhi castani pieni di emozione.
“Che potremmo rivedere Teddy”. 
La ragazza annuì appoggiando il mento sulla spalla del marito. 

“Chi è Teddy?” chiese Lily. 

“Nostro figlio”, le rispose l’Auror. 

Sirius e James alzarono il capo e spalancarono le mascelle in direzione dell’amico Malandrino. 

“Moony, hai avuto un bambino?” 

“Sì. Lo abbiamo chiamato Ted, come mio padre”. 

“Alla faccia che non dovevi sposarti mai e avere una discendenza”, lo canzonò Sirius. 

“Teddy non ha il morbo del lupo”, rispose Remus. “Ha ereditato i poteri di Metamorfomagus di Dora”.
“È una cosa bellissima”, commentò Lily sporgendosi per abbracciare l’amico. 

“E quando lo avete avuto?” chiese Sirius. 

“Poco prima della battaglia finale contro Voldemort. Adesso avrà… ventun anni?”  

“Quale battaglia?” chiese James apparendo sempre più confuso. 

“Be’, amico… Mi sa che ti dobbiamo aggiornare su un po’ di cose”. 

E così, per uccidere l’attesa, Sirius, Remus e Tonks raccontarono a Lily e James di quello che era successo negli anni che si erano persi a causa di Voldemort, di come Harry si fosse salvato e fosse stato mandato a vivere dai Dursley, di come Padfoot era evaso da Azkaban e aveva quasi ucciso Minus, del secondo Ordine della Fenice, della Profezia… Da lì il racconto lo dovette continuare Remus che accennò a una missione che Harry stava compiendo per conto di Silente ma non ne sapeva abbastanza per entrare nei dettagli, men che meno di come Voldemort fosse stato sconfitto. Almeno così supponevano da quel poco a cui aveva accennato Ron.
Naturalmente il racconto si protrasse più del dovuto perché James non era capace di ascoltare qualcosa senza interrompere - soprattutto quando venne a sapere che il suo migliore amico era finito nella peggior prigione che ci fosse nel Mondo Magico e che il suo unico figlio era finito a vivere sotto lo stesso tetto con i peggiori babbani che conoscesse - e in un paio di punti della storia era talmente impallidito che temettero sarebbe svenuto. Almeno Lily si limitava a mostrare le sue reazioni con le espressioni del viso o leggeri singulti. 

“Quindi quello… Quell’uomo che ci ha accompagnati qui è… nostro figlio?” chiese Potter titubante. 

“Non lo avevi capito?”
“Sì, ma… Voglio dire… È adulto”.
“Siamo nel 2020, ricordi?” 

“Sto per impazzire”. 

Cadde il silenzio nella stanza interrotto solo dai rumori dei passi e delle chiacchiere dei dipendenti del reparto.
Lily si alzò e si avvicinò alla porta spalancata come se volesse guardare fuori.
“Quindi ho perso quarant’anni della vita di mio figlio”, esordì in tono quasi rabbioso. Nei suoi occhi si poteva leggere tutta la frustrazione. 

“Magari è pure sposato e ha dei figli”. 

A quella frase Sirius inarcò le sopracciglia. Stava per dire qualcosa quando vennero interrotti dalla comparsa di Steven sulla soglia.
“Tu!” disse puntando un dito contro Black. “Seguimi!” 

 

Harry aprì la porta di casa con fare piuttosto stanco. Si lasciò andare in un grosso sospiro appoggiando le chiavi dell’auto sul tavolino vicino all’ingresso e appendendo la giacca elegante all’attaccapanni. 

“Amore!” sentì chiamare dalla voce di Ginny dal salotto. La moglie doveva averlo sentito rientrare.
L’uomo la raggiunse e, toltosi le scarpe, si buttò sul divano appoggiando la testa nel suo grembo. Lei prese subito ad accarezzargli i capelli. “È stata una giornata così pesante?”
“È successa una cosa assurda, Gin”. 

“Raccontami”. 

“Non mi crederesti mai”. 

“Dai, Harry, non c’è alcuna storia che tu mi abbia raccontato a cui non ho creduto ciecamente”. 

“Sì, ma questa è fuori da ogni… possibile logica. È persino più assurda di me che scappo sul dorso di un drago dalla Gringott”. 

Ginny gli appoggiò due dita sotto il mento per costringerlo a guardarla. Harry spalancò gli occhi verdi verso di lei e cercò di farle capire con uno sguardo quanto quella giornata fosse stata stancante per lui. Emotivamente stancante. 

“Harry, raccontami”. Non lo aveva detto in tono perentorio o di rimprovero. Era stata calma e dolce e proprio questo lo aveva convinto a sputare il rospo. 

“Sirius, Remus, Tonks e… i miei genitori sono tornati in vita”. 

Ci fu qualche secondo di intenso silenzio, lo sguardo di Ginny che passava da confuso a perplesso e infine a incredulo. Almeno così Harry suppose perché sua moglie era brava a non far trasparire le emozioni. 

“COSA!?” esclamò poi. “In che senso tornati in vita?”
“Che sono qui. Non so come e non so perché ma sono qui”. 

“Ma sei sicuro che siano loro?”
“Non lo so. Li ho affidati al dipartimento degli incidenti magici ma per ora sembrano loro. Apparentemente. Immagino che scopriremo se si tratta di un inganno o di magia oscura”. 

Ginny tornò con la schiena contro il divano e fissò gli occhi sulla parete di fronte, pensierosa. 

“A che pensi, amore?”
“È assurdo, Harry. I morti non tornano in vita”. 

“Lo so, Gin. Credimi, non mi sto facendo false speranze. Ti sto raccontando solo quello che è successo”.

“Oppure sono davvero loro e… ci sono delle magie che noi non conosciamo”. 

“Sì, ma allora chi avrebbe interesse nel riportarli in vita? A parte me, ovviamente, e io non sono stato. Non sarei di certo in grado di usare quel tipo di magia”. 

“Dove staranno adesso?”
“Al Ministero. Ci vorrà un po’ di tempo per fare tutti i controlli”. 

Ginny lasciò andare i capelli di Harry e chiuse con un colpo il suo portatile sul quale stava lavorando fino a un attimo prima. 

“Dove sono i ragazzi?” le chiese il marito cambiando argomento.
“James è fuori con gli amici e Albus in camera sua. Lily è dai miei”.

“Non diciamo nulla a loro. Non ancora”.
“Certo”. 

In quel momento il cellulare di Harry prese a squillare. L’uomo lo tirò fuori dalla tasca leggendo sullo schermo il nome di Hermione. Lo portò subito all’orecchio.
“Pronto?”
“Oh Santo Godric! Ron mi ha detto quello che è successo!” sentì dire dalla voce squillante dell’amica dall’altra parte della cornetta.
Non dubitava che Ron lo avrebbe raccontato subito alla moglie. 

 

*** 

Ben ritrovati a tutti. Come promesso, ecco l’aggiornamento domenicale. Inizialmente questo capitolo non doveva essere così lungo, ma mi sono accorta che il capitolo due - che va dall’incontro con Harry fino alla telefonata con Steven - era piuttosto corto e diceva ben poco e mi dispiaceva darvi un capitolo così povero, per cui l’ho unito col terzo. 

Ho visto che avete apprezzato molto anche il primo capitolo e spero che anche questo sia stato di vostro gradimento. Fatemi sapere che ne pensate. 

 

Per amor di cronaca, vi linko anche un’altra fan fiction che sto scrivendo, anzi, traducendo. Si tratta di una drarry mpreg dal titolo Babygate. 

Su AO3 invece trovare una mia fan fiction in inglese, sempre Drarry, dal titolo Tightrope. 

Auguro una serena domenica a tutti.

Alla prossima,

C

   
 
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