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Autore: Afaneia    29/07/2009    3 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Temo che questo sia un capitolo piuttosto breve e non so come scusarmene

 

Temo che questo sia un capitolo piuttosto breve e non so come scusarmene. E' nato in vari momenti, ci sono state varie modifiche: quindi in sostanza è un collage di varie idee. Solo l'inizio è nato ed è rimasto identico.

Grazie a Ego me stesso ed io, Smolly_sev ed Amaerize delle recensioni.

Sabato parto per le vacanze e sto via quindici giorni, perciò mi ci vorrà un bel po'per scrivere il prossimo capitolo. Grazie in anticipo a chi vorrà pazientare.

Buon capitolo.

 

Svegliandomi il giorno dopo trovai, con mio grande disappunto, che durante la notte mi erano venute le mie cose. Sul lenzuolo c’era una brutta macchia rossa.

Scivolai fuori e mi strofinai gli occhi.

- Mamma!- chiamai cercando le ciabatte di sotto al letto. – Mamma, mi sono venute.

M’infilai sotto il letto per recuperare una ciabatta. Quando riemersi trovai mia madre che controllava l’entità del danno.

- Febe, ma hai quindici anni!

- Infatti mica me la sono fatta addosso.- borbottai avvicinandomi alla porta.

- Sì ma guarda qua che schifo!

- Tanto lava la lavatrice, mica te. Poi che cazzo ne sapevo io che mi venivano stanotte?

- Tanto per te è uguale, sono io che lavoro!

- Giusto- convenni andando in bagno.

Mi levai i pantaloni e li buttai a lavare. Gli assorbenti erano finiti e mi ci volle un po’ per trovarne uno di riserva nella tasca di una borsa.

Terminata questa funzione mi lavai le mani e andai a fare colazione. Mia madre era ancora incazzata con me per via del letto, ma non me ne fregava niente. Misi la tv accesa e guardai i cartoni mentre mangiavo.

Andai in bagno e mi vestii. Mi misi i jeans neri e una maglietta azzurra, presi la cartella e uscii. Mentre uscivo dal giardino vidi mia madre alla finestra, cupa, che mi fissava.

Eccoci, me e mia madre, che vivevamo insieme senza riuscire a convivere.

Arrivai a scuola esattamente mentre suonava la campanella. Mentre attraversavo trafelata il corridoio incontrai Napodano che si dirigeva tranquillo in classe. Lo superai salutandolo dignitosamente e arrivai in classe prima di lui.

Non ci fece caso, fece l’appello e iniziò l’introduzione all’Iliade.

- L’Iliade si incentra sull’ira di Achille, mènin infatti è la prima parola dell’Iliade. Menin significa ira in greco. La guerra di Troia è solo un pretesto per raccontare una bella storia, quella dell’ira Achille e degli altri eroi.

- Scusi prof…- disse Oscar alzando la mano.

- Sì?

- Quando ho fatto questa domanda alla mia prof di italiano delle medie lei mi ha messo una nota, ma scusi, è vero che Achille e Patroclo stavano insieme?

Napodano lo guardò in silenzio per dieci secondi buoni, poi si mise a ridere. Noi ridevamo già da un pezzo.

- Perché me lo chiedi?

- Mah, per vedere se avevo ragione io o quella di italiano!

Napodano ritornò serio.

- Avevi ragione tu, Agostini, era tuo diritto fare una domanda su una cosa che non avevi capito, anche perché è una domanda comprensibile vista l’omosessualità nell’antica Grecia. Non avevi mica chiesto se Achille si fa le canne, no?

Ridemmo e lui proseguì: - Io non ti rispondo, facciamo che quando finiamo l’Iliade trai le tue conclusioni. In ogni caso non capisco perché la tua prof si sia arrabbiata tanto. Era una domanda legittima, ma tu come l’avevi espressa?

- Le avevo chiesto: prof, Achille e Patroclo stavano insieme? E lei si è arrabbiata.

Legolas alzò le spalle. – Ci sono professori che reagiscono così. Se io reagissi così a una vostra domanda, ragazzi, fatemelo notare.

Proseguì la spiegazione sull’Iliade. A fine lezione avevo raccolto quattro pagine e mezzo di appunti: la questione Omerica, Schliemann, e compagnia.

E venerdì prova d’ingresso d’italiano.

Alle ultime due ore avevamo educazione fisica.

Andammo in palestra e ci cambiammo. Io no, non potevo fare ginnastica per via delle mestruazioni, lo stesso la signorina Vannoni Penelope.

Era piccola, sottile come un giunco, di carnagione olivastra, col naso all’insù e i capelli castani.

La palestra era immensa. Il professore aspettava, seduto a un vecchio banco, il registro aperto davanti.

Avvicinandomi, scorsi un magnifico fisico, spalle larghe e dritte, un volto irrilevante con il naso a punta e le sopracciglia piatte. A dar luce a quel viso, due occhi azzurri contrastanti coi capelli neri.

Il professor Meoni attese pazientemente che tutti fossimo seduti per terra davanti a lui prima di fare l’appello.

- Chi non vuole far ginnastica me lo dica appena lo chiamo.- raccomandò iniziando a elencare i nomi.

Terminato l’appello si mise lì a guardarci tutti.

- Allora, come va la scuola?

- Bene- rispondemmo noi in coro.

- Vi trovate bene?

Ci fu un borbottio generale che interpretò come un sì.

- Cosa facevate a ginnastica l’anno scorso?

Nessuno rispose, ma ci furono molte alzate di spalle. Solo Maria Claudia si sporse oltre la spalla di Oscar e gridò: - Noi ci piastravamo i capelli!

Tutti ridemmo e anche il prof abbozzò un sorrisetto. Quando smettemmo di ridere Meoni proseguì:

- Beh, qualunque cosa faceste alle medie, con me farete un sacco di cose. Faremo mountain-bike, vela, nuoto, coreografia, giochi di squadra e ping-pong. La coreografia è solo femminile. Dovete preparare una coreografia e presentarla alla scuola.

Qualcuno si alzò dietro di me. Mi voltai e vidi Italia, strafottente come poche:

- Prof, e i maschi no?

- No, i maschi no.- rispose lui con un sorriso.

- Eh, vabbé- sospirò lei e si mise seduta.

La classe scoppiò nell’ennesima risata di gruppo alla scena, ma il prof sembrava impaziente di farci fare riscaldamento. Così tutta la classe si mise a correre, salvo me e Penelope e Alberto, che aveva un problema alla caviglia.

- Cos’hai?- gli chiesi.

- Sono caduto ieri, fa un po’ male- mi rispose. Si sollevò l’orlo dei jeans e mi mostrò una fasciatura. – Me l’ha bendata l’ortopedico, dice che è una distorsione.

- Come te la sei fatta?

- Ieri all’allenamento.

- Mi dispiace- gli dissi. Lui alzò le spalle.

Rimanemmo in silenzio a guardare i nostri compagni fare tre passi e tre rane tutt’intorno alla palestra, e provai una gran pietà di quel movimento sgraziato. Ero felice di poter saltare l’educazione fisica, almeno per quel giorno.

- Certo che è fico anche lui- mi disse Penelope guardando fisso il prof.

- Io preferisco Napo.

- Sì, ma hai visto che spalle ha questo?

- Sì, ha un fisico magnifico- ammisi. – Ma Napo ha il culo più bello.

Anche Penelope si era alzata il giorno prima per ammirare il fondoschiena di Legolas. – Oh, sì- riconobbe divertita.

- Io credevo che avremmo avuto tutti professori schifosi.

- No, non siamo messi male, no- riconobbi. – Perché hai scelto il classico, Penelope?

- Ah…vediamo un po’.- Vannoni si sedette appoggiandosi al muro con la schiena e tirando le gambe sulla panca. – Ero indecisa tra il classico e il linguistico e il giorno prima di dover consegnare la prescrizione ho tirato a testa e croce. Ed è venuta croce. Poi non ho voluto cambiare, e quindi…

- Ma scegliendo un liceo- osservai – Non scegli alla lontana anche il tuo destino?

Penelope ci rifletté un secondo.

- Forse- ammise.

- E quindi, ti sei tirata a testa o croce il tuo destino- ne dedussi.

Penelope rimase in silenzio per qualche istante.

- Sì- rispose infine. Tacque ancora e un sorriso le illuminò il viso ambrato. Poi si mise a ridere. – Non è estremamente affascinante?

Non riuscii a trovare nulla da dirle e rimasi zitta, pensando che, forse, il suo metodo era stato migliore del mio, avevo scelto semplicemente pensando che non c’erano le materie che odiavo. In fin dei conti non era così diverso, no?

Trascorsi il resto dell’ora guardando il resto della mia classe che, diviso in tre squadre, faceva un torneino di pallamano. Di tanto in tanto commentavo un po’ con Penelope. Alberto guardava la lezione, ma non aveva voglia di unirsi a noi. Varie volte lo vidi sollevare la gamba e tendere la caviglia, che guardava con una certa preoccupazione. Ebbi compassione di lui, ma sapevo che non dovevo impicciarmi.

Quando mancava una mezz’ora alla fine della quarta e ultima ora, Meoni ci chiamò attorno a lui e ci informò che la lezione seguente si sarebbe svolta sul lago.

- Le prime due volte faremo solo teoria- spiegò. – La terza e la quarta andremo in barca a vela invece. Sarà divertente.

- Cosa dobbiamo portare?- chiese Albina.

Il prof alzò le spalle. – Mettetevi qualcosa che siete disposti a sporcare. Vi insegnerò ad armare una barca a vela, e visto che per la maggior parte di voi sarà la prima volta, se non per tutti, non penso che sarà facile. Beh, non è che sia proprio un lavoro da sporcarsi, ma è sempre meglio avere qualcosa che non rimpiangereste addosso. Ah, e soprattutto che sia piuttosto comodo. Comunque saremo all’aperto, perciò basatevi sul tempo che farà. E se c’è il sole portatevi la crema solare, ho visto alunni passare giorni a lamentarsi con le spalle fosforescenti. Beh, direi che questo è più che sufficiente. A cambiarvi adesso.

Uscimmo dalla palestra e rientrammo negli spogliatoi. Anche io e Penelope ci andammo, per riprendere le cartelle. Aspettai Sandra prima che uscisse per raggiungere almeno il cancello insieme.

   
 
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