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Autore: ___Page    01/11/2019    1 recensioni
Eppure, se era lì a festeggiare un compleanno che avrebbe anche fatto a meno di festeggiare, doveva ammettere che, forse, da qualche parte in lui albergava qualcosa che si avvicinava più o meno a dell’affetto per quella manica di ficcanaso, pazzoidi, invadenti, incapaci di stare al mondo.
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*Questa fanfiction partecipa all’iniziativa HalloWeek 2019 organizzata dal forum FairyPiece – Fanfiction & Images*
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Koala, Monet, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3
FANTASTICHE 
CREATURE 
*CREATURE FANTASTICHE*



«Insomma anche volendo cercare un antidoto, senza indizi non saprei da dove partire, i filtri d’amore non sono mica tutti uguali! E poi che male può fare lasciare che l’effetto passi da solo?! Anzi, mi sembra la scelta più sicura, metti che sbaglio qualcosa e faccio peggio che meglio?!» gesticolò nel buio e nella lieve patina di umido che la avvolgeva, Bepo che seguiva con il muso i movimenti delle sue mani, tenendo agilmente il passo deciso che Lamy non aveva abbandonato da che avevano girato l’angolo a… lì. Ovunque fosse lì. Aveva preso a camminare senza meta nel quartiere, sperando che l’aria fresca ormai novembrina filtrasse fino al suo cervello per refrigerarlo, una speranza vana in realtà. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Forse ammettere ad alta voce il reale motivo per cui si sentiva così spersa, lei che normalmente avrebbe proposto gelato per tutti e di aspettare che tutto tornasse da sé alla normalità, avrebbe aiutato almeno a riordinare i pensieri. Forse rendersi conto che l’accaduto di quella sera non cambiava di una virgola come stavano realmente le cose, l’avrebbe aiutata a trovare lo sprone per rimboccarsi le maniche e cercare un antidoto capace di contrastare gli effetti dell’incantesimo di Monet. Dopotutto era una strega anche lei, sebbene non fosse versata nell’arte fattucchiera quanto sua cugina. Forse, cercare scuse era solo una perdita di tempo. Si voltò verso il lupo bianco che, fedele da millenni alla famiglia Trafalgar e in particolare modo a Law, si era seduto appena Lamy aveva frenato le gambe e ora la osservava in attesa. «Bepo, cosa devo fare?» si accovacciò, portando gli occhi all’altezza di quelli del cagnone, che per essere una bestia infernale di demoniaco aveva solo l’appetito, e posò la mano sul suo muso. Sperava davvero che l’istinto di Bepo potesse darle un’idea migliore di quella che il suo di istinto le stava suggerendo, forse in combutta con Izou.
Lasciar perdere il buon senso, accettare la situazione per com’era, tornare indietro e fare l’amore con Pen, anche se sarebbe stato solo per quella notte.
Per fortuna, l’istinto di Bepo sembrava ben più ragionevole del suo, almeno così si sarebbe potuto pensare quando il canelupo distolse l’attenzione dalla padroncina, lanciandosi senza preavviso e con un uggiolio lungo la strada, nella direzione opposta al 4 di Punk Hazard.
Lamy non si preoccupò neppure di richiamarlo, scattando rapida per seguirlo, d’altra parte ogni distrazione era ben accetta e non era per niente facile perderlo di vista con la coda bianca a pennacchio che si agitava nella notte, brillante come fosse fatta di brina. Lamy superò un paio di villette senza degnarle di un’occhiata, attraversò la strada dietro a lui senza controllare che non arrivassero macchine e infine si fermò di fronte a un vialetto in ghiaino, identico a quello del 4 di Punk Hazard, così come la casa, il giardino però privo di zucche. A essere diversa era solo l’atmosfera che si percepiva dal vociare per niente discreto e festante che proveniva dall’interno. Lamy provò un lieve spasmo allo stomaco al pensiero che anche quel dettaglio sarebbe dovuto essere comune alle due case, che Law meritava quel genere di festa, e che l’avrebbe avuta eccome se Monet non avesse deciso di giocare con i sentimenti suoi e di Pen e che Monet non avrebbe fatto niente del genere se lei e Pen si fossero sforzati di andare un po’ più d’accordo anziché stare sempre ad aggredirsi e se lei…
«Posso aiutarti?»
Lamy riportò la propria attenzione davanti a sé, restando per un momento troppo colpita da ciò che le era apparso di fronte per riuscire subito a rispondere. Aveva del bizzarro, dell’ironico addirittura, per lei che era una mezza strega e cugina di una strega, farsi ammaliare dalla vista di un’umana in abito da strega ma quella donna era così spaventosamente bella da farle per un attimo dubitare di essere sveglia. L’abito nero con le maniche ampissime, il sinuoso movimento delle corna sulla sua testa, gli occhi cerulei penetranti, i lunghi capelli corvini e lisci come seta, gli zigomi che sporgevano come accadeva a Ishley quando si trasformava, la mano stretta intorno a un bastone con una sfera verde e luminosa, con un finto corvo sopra, era senza età e senza dimensione. Sarebbe potuta appartenere a qualsiasi universo ma era lì e parlava proprio con lei.
«Tesoro, stai bene?»
Lamy sbatté le palpebre un paio di volte, alzò le mani ai capelli intrecciati a coroncina sulla propria nuca, un’irrazionale bisogno di verificare di essere in ordine e ben più che presentabile.
«I-io… sì, più o meno cioè…» si girò di nuovo a cercare il consiglio di Bepo, che intanto aveva coperto metà del tragitto che separava il vialetto dal patio e annusava l’aria con il naso arricciato e le narici appena dilatate. La finta strega spostò gli occhi da lei a lui e di nuovo a lei, sorridendo dolce, materna e serafica, in un modo così simile e così diverso da Monet, per poi allungare il braccio e la mano in un accogliente invito.
«Vieni» la invitò anche a parole e senza neanche rendersene conto, Lamy stava già camminando verso la casa e verso di lei, la gonna del suo lungo abito nero di velluto che frusciava lieve nella notte silenziosa.
 

***
 

Quello era ciò che Law più apprezzava del laboratorio di Monet, il silenzio. Ce n’era così tanto da lasciargli sentire persino il rumore dei propri pensieri, anche se certo quella sera non gradiva affatto perché a riempirgli le orecchie non erano i suoi ingranaggi cerebrali ma il battito del suo cuore. Un battito forte e regolare che pure aveva qualcosa di così diverso in quel momento, qualcosa che aveva sperato di sentire alle volte nel proprio petto, ma che ora rigettava perché non era altro che un’aberrazione, artefatta e provocata da una miscela tra le tante che si trovavano lì sotto e che lui e Koala si apprestavano a esaminare.
E non che questo gli avrebbe tolto la capacità di ragionare, era un demone troppo razionale e misurato per farsi sopraffare da un trucco di Monet, eppure, quando sulla porta del laboratorio Koala si girò verso di lui un istante solo per sorridergli prima di entrare, la tentazione di cedere e convincersi che quello che provava in quel momento fosse del tutto reale rischiò di avere la meglio, tanto che prima di realizzarlo aveva sollevato una mano per scostarle i capelli dietro l’orecchio, accarezzandola con i polpastrelli nel processo, e si ritrovò alla fine con Koala che lo baciava piano sul palmo.
«Andiamo» lo incitò la ragazza, aprendo la porta con un semplice incantesimo che dimostrava lo scarso interesse di Monet di tenere fuori intrusi dal suo piccolo regno sotterraneo.  
C’era da dire che, per quanto Monet fosse una strega potente, neppure Koala scherzava e Law tendeva a dimenticare che quella che teoricamente era la sua donna era in grado di eguagliare sua cugina, non certo perché Koala non meritasse la sua ammirazione. Anzi. Il fatto era che, con lui, Koala era sempre così umana da fargli scordare cos’era davvero. 
Lasciò scorrere gli occhi sulla sua schiena nuda, che sempre Koala mostrava con orgoglio, nonostante il sole rosso che Sabo le aveva impresso a fuoco nella pelle, su sua stessa richiesta, celasse il marchio con cui una banshee l’aveva maledetta all’età di appena quattro anni. Se Sabo non l’avesse trovata, se Dragon non l’avesse raccolta sarebbe stata condannata a vagare e soffrire per l’eternità, uccidendo gli esseri viventi che incontrava sul proprio cammino senza cognizione, senza un motivo e senza uno scopo.
Ma Sabo l’aveva trovata, Dragon l’aveva raccolta e Robin l’aveva allenata a contenere e gestire la sua nuova natura come una sua simile, come un’erinni, facendo di lei ciò che era.
Mezza banshee. Mezza erinni. Cento per cento umana.
La creatura più eccezionale che Law aveva e avrebbe mai incontrato sul proprio cammino, Izou poteva dire quello che voleva.
«Law?»
Il tono interrogativo e appena divertito, la voce un po’ rauca, Law ci mise qualche istante a realizzare che si era praticamente spalmato su di lei, tenendosela addosso da dietro e per i fianchi e che la stava baciando sull’orecchio tempestato di earcuff. Non sapeva neppure quando si era avvicinato a lei, figuriamoci tutto il resto.
Stava ancora cercando di dare un senso e non fare la figura del completo imbecille quando Koala compì mezzo giro tra le sue braccia, portando una mano sul suo collo, gli occhi guizzanti di vita e sorridenti.
«Non che mi opponga all’idea, chiariamo, ma è meglio raccogliere qualche indizio prima che Monet torni» gli ricordò, senza dare segni di avere particolare fretta di staccarsi da lui, comunque.
«Avete intenzione di copulare?»
Law alzò gli occhi, già contrariato preventivamente, sentì Koala strusciare il capo contro il suo mento nel voltare la testa verso di lei. Sdraiata sul suo trespolo, di fatto un letto rialzato, intenta a limarsi le unghie, l’aria perennemente annoiata e le fattezze di una giovane donna, ancora nel limbo tra adolescenza e età adulta. Ancora un volta Law si chiese se tenerla lì da parte di Monet non fosse una forma di coercizione, nonostante fosse di fatto una civetta a cui sua cugina aveva dato il potere di trasformarsi.
«Ciao Sugar»
La civetta, in quel momento umana, si voltò piano verso di loro, osservandoli con disgusto.
«Allora, avete in mente di copulare o no? Perché nel caso mi sembra giusto informarvi che non gradirei assistere»  
 «In realtà stiamo cercando di scoprire cos’ha messo Monet nella zuppa di zucca» Koala scivolò via dalle mani di Law, non senza un’ultima carezza, in modalità detective non appena le si era presentata la prospettiva di avere informazioni da un testimone oculare, e quindi fare più in fretta, e quindi avere poi tempo anche per, perché no, copulare. Izou avrebbe approvato.
Sugar, invece, si stava accigliando. «Non è mica la dispensa questa, se avete finito il sale non dovete cercarlo qui»
«Ti pare che non lo sappiamo?» domandò Law, apparentemente atono ma alle orecchie di Koala contrariato e l’ultima cosa che Koala voleva era che si facesse il sangue ancora più amaro di quanto già non fosse accaduto, proprio la sera del suo compleanno. In realtà Koala non voleva mai che si facesse il sangue amaro e punto o che in generale gli accadesse qualsiasi cosa che finisse per farlo stare diversamente da “bene”, anche se questo purtroppo non era sempre possibile. Alle volte aveva l’impressione che non lo fosse quasi mai. 
«Monet ha messo qualche pozione o filtro nella zuppa, Sugar. Tu ne sai niente?» 
«Oggi pomeriggio dormivo» mormorò la civetta, tornando a limarsi le unghie. «Sono un animale notturno» 
«Giusto» sospirò la mezza banshee, senza tuttavia perdere una sola briciola di ottimismo. Erano appena arrivati, non si erano ancora neanche guardati attorno, non era detto che ci volesse tanto comunque.  «Diamo un’occhiata, ti va?» propose a Law con un immancabile sorriso a cui il demone aveva ormai accettato di non saper dire di no.
Lanciò un’altra occhiata a Sugar. «Di solito non sali a fare un giro quando ti svegli?» domandò mentre si avvicinava a Koala, ottenendo solo un sonoro sospiro in risposta.
«C’è gente in casa stasera» schioccò la lingua, puntando gli occhi viola al soffitto. «Io odio la gente»
 

***
  

«Quindi vediamo se ho capito bene» ricapitolò il poltergeist, il divano avvolto in una nuvola di tossico fumo viola, che aiutava le candele a illuminare un po’ di più il salotto di un’atmosfera spettrale e accogliente al tempo stesso. «Monet ha messo un filtro d’amore nella zuppa e ora Smiley bionda è innamorata del vampiro e lui uguale, solo che lui era già innamorato di lei, da sempre»
«Esatto!» Izou annuì solenne, seduto a mezz’aria a gambe incrociate, gli occhi che continuavano a schizzare verso Marco, come se non riuscisse a credere che fosse veramente lì.
Neppure Pen, a dirla tutta, riusciva a credere che fosse veramente lì, un cacciatore di demoni insieme a un poltergeist e al suo migliore amico youkai, a mangiare ossa dei morti alla cannella e discutere della sua situazione sentimentale come avessero parlato del tempo atmosferico e come se nemmeno lui fosse presente.
«Scusa ma qual è il problema? Basta non darle nessun antidoto o continuare a somministrarle il filtro d’amore e potranno vivere felici per sempre! Sono o non sono un genio?! Shulololololo, shulololol…»
«Punto primo, io sono qui!» si decise a protestare Pen tornando al centro del salotto dalla sua postazione vicina alla finestra. «Punto secondo, non c’è niente di geniale nella tua proposta, secondo te io voglio questo per la donna che amo?!»   
Caesar si fece serio e stortò la bocca scura, gli occhi su Pen, profondamente concentrato perché in realtà la domanda che gli aveva posto sembrava piuttosto semplice e non era contemplato che un genio come lui desse la risposta sbagliata. Ma giusta o sbagliata che fosse, Caesar non riuscì a dare alcuna risposta quando le travi del soffitto scricchiolarono dando segni di sofferenza.  
Quattro paia di occhi si alzarono verso l’alto, analizzando in silenzio lo scricchiolio erratico e irregolare.
«Mi verrebbe quasi da sospettare un poltergeist» mormorò Marco che non aveva ancora praticamente aperto bocca, neppure per protestare, accettando con aplomb il posto a sedere, il dolce e le moine di Izou e solo per questo Pen aveva permesso che la propria reputazione venisse sputtanata di fronte a un collega di Sabo e Kay, alla cui opinione, pur essendo uno sconosciuto, dava comunque più peso che a quella di Caesar. «Ma lui è qui…» riportò gli occhi chiari e di una sfumatura indefinita tra l’azzurro e il verde sull’ex scienziato, parlando con Izou, almeno Pen ebbe quell’impressione, così come aveva avuto l’impressione che Marco non avesse perso di vista lo youkai un solo istante, e non per studiare come disinfestare la casa dalla sua presenza.
«Sono Smiley mora e Re Fuoco» rispose con evidente soddisfazione per il fatto di sapere la risposta, Caesar, mentre Izou si buttava indietro con la schiena, fino a sdraiarsi nel nulla, le mani intrecciate sulla nuca.
«Ah l’avevo detto io che le cantine infestate sono romantiche»
«Veramente hai detto che ti ci hanno concepito» gli fece presente Pen.
«Ma tu non eri impegnato a disperarti?» gli scoccò un’occhiataccia Izou, prima di voltarsi verso Marco, il viso ora a pochissimi centimetri da quello del cacciatore di demoni. «Marco-chan vuoi un po’ di panna con quei biscotti?» batté le ciglia, in brodo di giuggiole e Pen avrebbe potuto giurare che se avesse avuto una coda avrebbe scodinzolato peggio di Bepo di fronte alla pappa.
Scosse il capo divertito e rassicurato da come Marco stava guardando il suo migliore amico, perché che Izou rimanesse ferito non era contemplato, a Pen non importava quanto apprensivo potesse risultare. Anche se certo, se erano diventati migliori amici era anche perché sapevano essere stronzi uguali al bisogno.
«Nel caso ti sconsiglio di fartela passare da Izou, Marco, a meno che non ti piaccia acida anche con i dolci» ghignò Pen e quando anche Marco piegò appena le labbra in una specie di sorriso, soffiando dal naso qualcosa di vagamente simile a una risata per la battuta del vampiro, Izou trattenne il fiato, spalancando per bene gli occhi a mandorla neri come inchiostro per non perdersi un solo dettaglio di quello spettacolo.
«Un po’ di panna ci sta sempre bene» mormorò roco, lasciando vagare discretamente lo sguardo sulla longilinea figura dello youkai che si dimenticò di levitare e sarebbe rovinato sul tavolo se Pen non avesse avuto la prontezza di afferrarlo al volo.
«Ehi!» lo prese da dietro le spalle e sotto le ginocchia, ringraziando che Izou pesasse così poco o probabilmente sarebbe finiti a terra entrambi.
«Grazie Pen» ansò appena il moro, se per lo spavento o per l’eccitazione non era dato saperlo, aggrappandosi solo un momento al petto dell’amico.
«Sono confuso, non eri innamorato di Smiley bionda tu?» si accigliò Caesar, studiando la loro posizione e Pen sospirò mentre Izou ricominciava a fluttuare,  intorno a Marco-chan con sempre meno ritegno.
«Le relazioni sociali non hanno segreti per te, eh?» commentò Pen verso il Clown, mentre tornava alla finestra, sbirciava fuori e sospirava per la ventordicesima volta. Di Lamy neanche l’ombra, anche se lei l’ombra non ce l’aveva ma tanto era comunque metaforico visto che era buio pesto.
E le luci esterne del quartiere erano in corto e non si erano accese. E lei era in giro da sola.
Okay, non da sola, con Bepo.
Con Bepo ed era un succubus, ci vedeva al buio e avrebbe potuto mettere K.O. qualsiasi eventuale aggressore con uno schiocco di dita. Sempre che anche l’aggressore non fosse un demone di una categoria superiore. O peggio dei bracconieri di demoni. Quella era la serata ideale per loro, lo sapevano tutti.
E lei era da sola. Da sola con Bepo e basta. Ed era buio pesto e non era ancora tornata e…
«Pen, dove vai?!»
«A cercarla»
 

*** 
 

Casa di Brook era spaventosamente accogliente. Non nel senso in cui lo era casa di Monet, accogliente nonostante fosse letteralmente spaventosa.  Casa di Brook era così letteralmente accogliente da essere quasi spaventoso.
Raramente in vita sua Lamy si era lasciata sopraffare da qualcosa e già l’urgenza dimostrata nel rispondere all’invito della finta strega era allarmante. Ora che aveva varcato la soglia del 27 di Punk Hazard, rischiava seriamente di venire fagocitata dall’ospitalità del gruppo di amici lì radunato a trascorrere Halloween in compagnia.
Non che temesse una qualche trappola, che quelli fossero bracconieri di demoni mascherati interessati a catturarla. Un succubus come lei, cresciuta secondo la tradizione fattucchiera più antica, per cui le arti stregonesche non avevano segreti, capace di controllare la propria natura, non una specie di animale senza controllo, insomma, era merce rarissima e faceva gola a chi i demoni li studiava. Ma Lamy non si sentiva per niente in pericolo ed era proprio quello il problema. Si era dimenticata che era uscita solo per schiarirsi le idee, che a casa c’era una questione irrisolta che andava sistemata e dava l’impressione di non volerselo ricordare, di essere ben disposta a trascorrere lì la serata con quelle strane creature, note come “umani”.
Strane, strane creature gli umani, sì, sì.
Bepo ne era da sempre fermamente convinto.
Però uno di quegli umani gli stava offrendo del cibo. Squisito, appetitoso cibo e qualunque pensiero non canino il suo istinto infernale avesse risvegliato scomparve di fronte all’impellente necessità di assaggiarlo. D’altra parte era stato quell’odore a portarlo fino a lì.
«Sanji sei troppo gentile! E lui prende subito i vizi, è meglio che tu lo sappia» Lamy lo mise in guardia, lanciando un’occhiata carica di affetto a Bepo.
Le sembrava di essere finita in un’altra dimensione, di aver varcato la soglia di un universo parallelo, fatto di carne alla griglia, umani vestiti da demoni, lanterne di carta e la musica di Brook, affascinante con quel trucco da teschio messicano così ben fatto.
Non era più bello dell’universo da cui arrivava lei, questo no, ma quella sera ai suoi occhi stanchi risultava decisamente più ospitale e sicuro. A partire da Chopper, adorabile nel suo costume di lupo mannaro adolescente, continuamente trascinato in oscene danze da Franky Frankenstein, che si era premurato di rendere cianotica pure la pelle delle gambe pur di stare senza pantaloni, e da Rufy in versione zombificata, passando per i continui battibecchi di Zoro, samurai in putrefazione, e Nami, stupenda kitsune con una cascata di capelli rosso fuoco, per finire sul quartetto intorno a lei. Sanji, con un occhio coperto e l’altro cremisi, una strana mascherina sulla bocca con una cerniera e sotto un trucco spaventoso che apriva una voragine dove c’erano le sue vere labbra. Un ghoul gentiluomo, la cui missione era premurarsi che avesse tutti i comfort che una simile stupenda principessa meritava di diritto e Usopp, di fronte a lei, sguardo gentile, dentoni posticci, vestito con una salopette e qualche chiazza di muschio così realistica qua e là, un perfetto troll dei boschi, benevolo quanto lo spirito di cui aveva copiato le fattezze, le aveva detto che poteva ritenersi benedetta che Sanji non le avesse sanguinato addosso. Lo aveva detto con una strana luce negli occhi, tra il maligno e il profondamente affezionato, le ricordava Izou quando diceva qualche innocente malignità su Pen e aveva dovuto rimettere a tacere il cuore al solo pensare per un attimo al suo vampiro, che tanto suo non era, non per davvero. E comunque negli occhi di Usopp c’era anche qualcosa di diverso, quando parlava di Sanji, e focalizzarsi su quello, su Usopp in generale, si era rivelato di grande aiuto per non tornare con il pensiero dove non voleva tornare.
«E quindi il naso è vero» socchiuse gli occhi per meglio esaminare la lunga appendice del ragazzo, il quale si voltò di profilo per mostrarsi meglio, con orgoglio, mento alto e petto in fuori.
«Toccare per credere!»
«Anche io credevo fosse un posticcio la prima volta» rise Bibi, coprendosi le labbra esangui con la mano scheletrica da sposa cadavere, che, Lamy avrebbe tanto voluto specificarlo in uno slancio di saccenza Trafalgar soffocata appena in tempo, tecnicamente prendeva il nome di pesta.   
«Meno male che non lo è, visto che qualcuno lo trova particolarmente sexy» intervenne per finire lei, facendo arrossire Usopp sulle guance mulatte, lei che era sempre l’ultima a esprimersi e purché avesse qualcosa di utile o lapidario da dire e che Lamy aveva incontrato per prima, il motivo per cui si trovava effettivamente lì, la finta strega, Robin.
«Sono bellissime le dinamiche con cui vi siete conosciuti tra tutti» scosse appena il capo la piccola demone, vagando sul gruppo che faceva casino intorno al festante pianoforte, mentre la gamba non ingessata di Usopp si agitava a ritmo sotto il tavolo. «Anche gli incontri in apparenza più banali hanno dei retroscena unici»
«Yohohoh-oh! Lamy-chan, non devi credere a tutto quello che Usopp-kun racconta!»
«Ehi!!!»
«Tuttavia sarei davvero curioso di conoscere il colore delle tue mutandine!»
«Ehi Lamy, Lamy! Tu quante volte al giorno fai la c…»
«Yo, zombie-bro! Guarda che mossa suuuuuupa di bacino mi sono appena inventato!» Rufy fu più o meno richiamato all’ordine da Franky e dal suo sculettare, sotto gli occhi luccicanti suoi e di Chopper. Lamy non riuscì a trattenere una risata ma la sua attenzione fu presto attratta dal piatto scuro che apparve sotto al suo naso, su cui troneggiavano due fette di salame al cioccolato bianco con coulis di frutti di bosco, che avrebbero fatto tornare l’appetito pure a un morto.
E in effetti Lamy aveva già afferrato la forchetta, quando Sanji finalmente, forse per la prima volta da che era arrivata, si sedette a riposare le gambe cinque minuti di fianco a Usopp e di fronte a lei. «E tu Lamy-chwan? Sei nuova nel quartiere? Brook dice che non ti aveva mai visto»    
«Oh no, qui ci abita mia cugina, ma un po’ di numeri più su e al di là della strada» raccontò, cominciando ad affondare nel friabile dolce, tagliandolo a pezzetti. «Bepo è il cane di mio fratello e l’ho portato a fare una passeggiata per prendere una boccata d’aria, per…»mandò giù, la voce più nervosa, un sorriso appena tirato. «Sì, perché stasera siamo tutti da lei, da mia cugina intendo, per il compleanno di mio fratello appunto che fa trecen… trentatré anni e io ho portato fuori Bepo appunto e-e ora…» ritirò la mano con cui stava indicando il canelupo quando si accorse di quanto le tremava. «Ora siamo qui!» si strinse nelle spalle, sperando di apparire almeno un po’ allegra.
Sanji e Usopp si scambiarono un’occhiata tra loro e poi con Bibi, incerti sul da farsi. Era chiaro che Lamy non volesse parlare di qualsiasi cosa la stesse consumando dentro così, quanto era chiaro che le avrebbe solo fatto bene tirarlo fuori. Era una situazione delicata e la conoscevano appena, difficile capire cosa…
«E non dovresti tornare alla festa di tuo fratello, quindi?»
Tutti e tre si voltarono, così come Lamy, verso Robin che accarezzava come se niente fosse il finto corvo incollato al suo bastone, in attesa di una risposta che faticava ad arrivare perché faticava a uscire dalla gola di Lamy.
«Non c’è… nessuna festa al momento perché è… è successo un casino» Lamy riabbassò lo sguardo al dolce martoriato e neanche assaggiato, gli occhi pieni di lacrime. «Perché io e uno dei migliori a-amici di mio fratello noi ci… ci odiamo ecco e di solito ci sforziamo per lui e di solito riesce una bella festa ma…» si fermò a mordere il proprio labbro e un singhiozzo prima di proseguire con un sussurro difficile da sentire. «Ci siamo baciati. E io non so cosa fare» si portò la mano al viso, il cuore a mille, lo stomaco di nuovo chiuso.
Avrebbe voluto dire anche tutto il resto e di come tutta quella faccenda la faceva sentire e di quanto avrebbe voluto che non fosse solo uno scherzo.
«Non sai cosa fare perché dici che lui ti odia?» domandò da qualche parte Bibi e Lamy si limitò ad annuire con la fronte ancora premuta contro il palmo.
«E tu invece lo ami?»
Gli occhi grandi arrossati, Lamy alzò lentamente il capo per incrociare quelli sinceri e incoraggianti di Usopp, spostando la mano sul cuore che gridava nel suo petto.
«Da sempre» riuscì a pronunciare quelle uniche due parole che aveva voluto disperatamente pronunciare prima di concedersi almeno un paio di singhiozzi. Perché era così brutto, essersi sentita felice per qualcosa di finto che non poteva durare. Ma era anche peggio essere stata così felice e rendersi conto che nel giro di poche ore sarebbe tornato tutto come prima e per sempre. «È colpa mia» si asciugò gli occhi, senza rialzare il capo, vagamente conscia che la musica era cessata. Stava rovinando anche quella festa a quanto pareva.  «Io non sono brava con i sentimenti e lui… lui a volte dice delle cose che non s-sopporto di sentire e anziché spiegargli io l’ho sempre… sempre trattato male e lui ora mi odia e ha ragione e io n-non…» si premette la mano sulla bocca, mentre un’altra non sua le tamponava la guancia.
«Però ti ha baciato» le ricordò Bibi, mentre le asciugava la pelle.
«Ma non era in sé»
«Cioè era ubriaco?» chiese Sanji.
«U-una specie sì»
«A volte l’alcool aiuta a tirare fuori quello che si pensa e prova davvero»
«Non in questo caso…» scosse il capo Lamy. «È complicato ma… no non funziona così stavolta»
«E tu hai mai provato a dirglielo?»
Lamy riportò gli occhi su Usopp, sbattendo le palpebre per spannarli. «Che… che cosa?»
«Che quelle cose che dice a volte non le sopporti, perché non se lo merita, e allora ti arrabbi ma in realtà non ce l’hai con lui e non lo odi. E che lo ami» Lamy trattenne il fiato, chiedendosi come Usopp avesse centrato così bene il problema, ma in realtà non voleva davvero una risposta se Usopp continuava a parlare e darle qualcosa a cui aggrapparsi, sporgendosi appena verso di lei, allungando una mano per prendere la sua che cercava un appiglio. «Perché sai, magari neanche lui ti odia. Magari lui si comporta così perché pensa che tu lo odi, e allora fa finta di odiarti perché così lo sopporta meglio, che poi è esattamente quello che fai tu con lui no?» sorrise, mostrando i suoi denti veri sotto agli incisivi posticci. «S-sai anche io e Sanji all’inizio…» si girò un momento verso il biondo che lo guardava con devozione e un mezzo sorriso sotto a tutto il make-up e la mascherina. «Io pensavo che lui non mi avrebbe mai potuto vedere in quel modo  e lo allontanavo per non stare male e così lui pensava che io non lo potessi vedere in quel modo e così, insomma, abbiamo perso un po’ di tempo» ridacchiò Usopp, con tutta la serenità di un uomo che quel tempo, comunque, sentiva di averlo recuperato.
«E poi, Lamy-chwan, mica tutte le coppie che litigano funzionano male. Prendi Nami-swan e il marimo» con la mano libera dallo stringere Usopp per le spalle, indicò verso l’altra estremità del tavolo, da cui Nami la guardava appoggiata al petto di Zoro. Lamy non aveva idea di quando avessero fatto pace dalla lite in cui si erano lanciati poco prima ma a dire il vero non sembrava avere poi molta importanza. «Anche se certo, non li definirei perfetti perché niente che comprenda la testa di verza potrebbe mai essere perfetto»
«Io ti affetto con i tuoi coltelli, Sanji» vibrò Zoro senza muoversi di un millimetro.
«Io a Rufy devo sempre ripetere le stesse cose mille volte» intervenne anche Bibi, lasciandosi abbracciare da dietro e dall’alto dal chiamato in causa. «Però…» si strinse nelle spalle con un sorriso. «…funziona. In qualche contorto e speciale modo»
Lamy li guardò uno ad uno, quei perfetti sconosciuti che l’avevano accolta, sfamata, le avevano mostrato la strada verso casa senza chiedere nulla in cambio, a lei che avrebbe anche potuto ucciderli tutti con uno schiocco di lingua.
«S-sì ma se poi è vero che mi odia?» esalò pianissimo, strappando un lievissimo guaito a Bepo.
«Se anche fosse non hai niente da perdere» le fece notare Robin sorridendo serafica. «E tutto da guadagnare»
Lamy prese un profondo respiro, totalmente frastornata, e prima di rendersene conto si stava alzando lentamente in piedi. «Io credo… che forse dovrei…»   
Doveva andare. Doveva tornare, tornare nel suo universo fatto di zuppa di zucca, demoni vestiti da umani, candele a mezz’aria e tensioni al limite del parenticidio. Doveva tornare a casa. Parlare con Pen.
Anche se l’idea la terrorizzava, anche se si sentiva mancare la terra sotto i piedi a sentirsi confermare il suo odio, lo doveva fare. Lo doveva a tutti loro, a se stessa. E anche a Pen, che poteva anche odiarla ma meritava di sapere il reale motivo del suo comportamento.
«Grazie. Di tutto» li guardò di nuovo uno ad uno e un moto di nostalgia la travolse, sia all’idea di andarsene sia all’idea di restare. Santo Inferno, voleva andare a casa, tornare dalla sua famiglia. E, a giudicare dall’ululato che si levò alla luna nuova, non era l’unica. «Sì, sì, Bepo» rise Lamy, qualche residuo di lacrima ancora da asciugare. «Andiamo a casa»
 
 





Angolo dell'autrice in ritardo
E niente, questa dovevo in teoria pubblicarla due giorni fa ma non ce l'ho fatta. Chiedo umilmente perdono e ho comunque segnalato il prompt che poi coincide con il titolo dell'iniziativa lanciata dal FairyPiece che non manco di ringraziare, perché è come mangiare la Nutella, quando ce n'è occasione si fa!  
E grazie anche a tutti voi che siete arrivati fin qui, nonché, soprattutto, a Zomi e Marauder per l'aiuto e il supporto grazie a cui questo capitolo ha visto la luce nonostante tutte le difficoltà del caso. Davvero, grazie di cuore.  
Pace e bene a tutti. 
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