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Autore: destiel87    27/11/2019    5 recensioni
Rivisitazione della classica favola disney, con Azraphel nella parte di Belle, e Crowley in quella della bestia.
Più dark e sensuale rispetto all'originale, ma sempre ricca di divertimento, romanticismo e magia.
Il cast:
Gabriele è Gaston
Madame Tracy è la teiera
mr. Shadweel è l'orologio
Newt è il candelabro
Adam è Chicco
Il cane è il cane
E Anatema nella parte della sorella di Azraphel, una stravagante inventrice.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2: The renegade
 
Azraphel era sdraiato nel grande letto color crema, piangendo e soffocando i suoi gemiti contro il cuscino.
Pensò alla sua casa, all’ultima colazione che aveva fatto con Anatema, al libro che aveva lasciato sul tavolo, e che ora non avrebbe più potuto leggere.
Quante cose, non avrebbe più potuto fare.
Quanti luoghi, non avrebbe più potuto vedere.
Pensò a quanto fosse crudele il suo destino, che lo aveva strappato alla vita ancor prima che potesse assaggiarne i frutti.
“Su su caro, non piangere…” Esclamò una voce di donna.
Azraphel si voltò di scatto, eppure la stanza era completamente vuota.
“Sono già impazzito dunque?” Si chiese, tirando su con il naso.
D’improvviso, un fazzoletto bianco apparse davanti a lui.
“Forza asciugati le lacrime…” Esclamò di nuovo la voce. “Non ti preoccupare, si aggiusterà tutto”
“Grazie…” Rispose d’istinto Azraphel, per poi guardarsi attorno confuso.
“Quaggiù caro, non avere paura!”
Scendendo con lo sguardo, vide una teiera bianca e viola, che gli sorrideva.
“Ah!” Urlò, cadendo per lo spavento giù dal letto.
La teiera rise. “Suvvia caro, non ti farò del male, anzi, volevo proprio prepararti un the caldo.” Disse sorridendo amabilmente.
“Il padrone ha detto di non dargli nulla, dannata megera!” Asserì l’orologio, incrociando le braccia.
“Ma sarà affamato, guardatelo mr. Shadwell, sono sicuro che un buon pasto caldo, gli solleverebbe il morale!”
“Me ne infischio del suo morale Newt, se il padrone ci scopre se la prenderà con noi!” Esclamò l’orologio, scuotendo il povero candelabro.
“Oh andiamo Mr. Shadwell, siete sempre così ansioso! Lasciate fare a me.” Lo rimproverò la teiera.
“Ah! Parlano!” Urlò di nuovo Azraphel, correndo a gran velocità verso l’armadio, e chiudendosi dentro.
“Oh oh mi fai il solletico, giovanotto!” Disse l’armadio, ridendo.
Azraphel ruzzolò fuori in preda al panico, “State lontani da me, strane creature! O io… Io…”
“Ci ucciderai?” Chiese l’orologio, ridacchiando sotto i baffi.
“Oh no, non potrei mai! Ma ecco, vi spingerò via!”
“Suvvia caro, stai tranquillo, noi siamo tuoi amici!” Disse la teiera, con tono rassicurante.
“A-amici?”
“Ma certo! Era da tanto che non avevamo un ospite nel castello, lascia che ci prendiamo cura di te.”
“Ospite? Il padrone ha detto chiaramente che è il suo schiavo!” Borbottò mr. Shadwell.
“Che brutta parola da usare, dov’è finito il tuo buon comportamento?” Lo rimproverò Newt.
“Io non ho mai avuto un buon comportamento.”
“Ma è nostro dovere, è quello che siamo.”
“Quello che eravamo…”
Per qualche minuto restarono tutti in silenzio, malinconici.
“Chi… Chi siete voi?” Chiese Azraphel, chinandosi un poco per osservarli meglio.
“Noi siamo i servitori del padrone, e d’ora in avanti ci prenderemo cura di te!” Esclamò Newt.
“Qual è il tuo nome caro?”
“Azraphel…”
“Che nome grazioso! Io sono madame Tracy, tieni, prendi una tazza di the caldo.”
Così dicendo versò il liquido in una piccola tazzina.
Azraphel la prese incerto, e se la portò alla bocca.
Proprio in quel momento, la tazzina si mise a ridere.
“Oh cielo, anche tu?”
“Ciao!” Gli rispose la tazzina.
“Adam!” Esclamò madame Tracy, “Lascialo bere in pace, ha avuto una brutta giornata.”
“Ma voi… Voi siete tutti… Insomma, vivi?”
“Non proprio.” Rispose Newt. “Ma siamo qui con te, in un modo o nell’altro. Vedrai che ti faremo tornare il sorriso!”
Azraphel li osservò a lungo, ancora incredulo.
Ma dopotutto, se la bestia che lo aveva accolto era reale, anche loro potevano esserlo.
“Ti farebbe piacere un bagno caldo, caro?”
Lui annuì, facendo un timido sorriso.
Madame Tracy cacciò via tutti, e fece preparare una grande conca di acqua calda.
Azraphel si spogliò, lasciando cadere a terra i pantaloni color panna, la camicia bianca, il panciotto e la giacca dello stesso colore.
Mise un piede nella conca, fermandosi con l’altro sospeso in aria.
“E’ viva anche lei?” Chiese alla teiera.
“Oh no caro.”
Lentamente Azraphel si immerse nell’acqua calda e profumata.
“Allora giovanotto, ti senti un po’ meglio?”
“Io… Si, credo. Sapete è buffo, per tutta la vita ho sognato di fuggire dal mio paese, e di vivere una grande avventura… Solo non pensavo, che la mia sarebbe stata così terribile.”
“Beh, molte avventure iniziano nel più terribile dei modi, non è così? Ma non è detto che col tempo non possano divenire qualcosa di bello…”
Azraphel stette un po’ a rifletterci.
“Questo è vero… Ma non vedo come questa situazione potrebbe migliorare, sono prigioniero di una bestia, di un demonio…”
“E’ spaventato anche lui, sapete? Anche se è troppo orgoglioso per ammetterlo. E dopotutto, siete entrambi prigionieri di questo castello. Forse col tempo, riuscirete a diventare amici…”
“Amici…” Sussurrò Azraphel, pensieroso.
Oltre la porta, nascosto dal buio, Crowley lo stava osservando, imprimendo nella sua mente ogni più piccolo dettaglio, dai fianchi morbidi, al ventre rosa, dal petto liscio ai capelli biondi come il grano.
Erano anni, che non vedeva un altro essere umano, che non udiva la voce di un estraneo.
Quando era stato un essere umano anche lui, quando ancora la sua vita gli apparteneva, si era circondato dei corpi più belli su cui i suoi occhi si posavano.
Sinuosi corpi femminili, robusti corpi maschili, aveva gustato ogni sapore, ispirato tutti i loro odori, accarezzato la loro pelle calda, baciato le loro labbra.
Eppure adesso, quelle sensazioni erano così lontane, sfocate, che a mala pena se le ricordava.
Si chiese come fosse, toccare quel ragazzo, che sapore avesse la sua pelle, di cosa odorassero i suoi capelli.
“Ehm ehm… Non dovrebbe spiare il ragazzo, padrone.” Lo rimproverò Newt, facendo una strana smorfia.
“Non è un comportamento da gentiluomini.” Aggiunse mr. Shadwell.
“Io non sono un gentiluomo!” Gli rispose Crowley, leggermente imbarazzato, ma deciso a non darlo a vedere.
“Forse dovrebbe sforzarsi di esserlo, padrone, se vuole che il giovane si innamori di lei.”
Esclamò Newt, dandogli una gomitata d’intesa, che vista la sua altezza, gli arrivò al polpaccio.
“Non succederà mai! E anche se volessi, non saprei come fare.”
“Ma quando era… Ecco, umano, ricordo che era un vero dongiovanni, non si arrenda padrone!”
Lo incoraggiò il candelabro.
“Ero bravo a portare chi desideravo nel mio letto, ma l’amore, quella è tutta un’altra faccenda.”
“Potrebbe invitarlo a cena. Alle fanciulle di solito piace.” Replicò mr. Shadwell.
“Ma lui non è una fanciulla!” Rispose Crowley, sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
“Magari gli farà comunque piacere.”
“Oh, e sia. Ma sarà colpa vostra se non funziona!” Replicò Crowley, che spalancando la porta con un calcio, si mise ad urlare: “Tra poco verrà servita la cena, vedi di non farmi aspettare!”
Azraphel si era nascosto di scatto dentro l’acqua, lasciando fuori solo il viso.
“Non ho fame!” Si premurò di urlare a sua volta.
“Beh ci verrai lo stesso! E’ un ordine.” Esclamò Crowley, che senza aspettare una risposta, uscì di fretta dalla stanza.
Azraphel fece un pesante sospiro, infilando la testa sotto l’acqua.
Nel frattempo l’armadio, stava già preparando con grande cura un completo azzurro da fargli indossare, mentre la teiera canticchiava una melodia.
“Almeno voi siete contenti…” Disse a bassa voce, guardando con sconforto il cielo oltre la finestra.
Un po’ di tempo dopo, non molto convinto, ma guidato dalla zelante teiera, arrivò alla sala da pranzo.
Era una stanza molto grande, con un’amplio camino sulla destra, davanti al quale c’erano due poltroncine verdi, sulla sinistra la parete era piena di quadri, anche se erano tutti graffiati.
Al centro c’era un lungo tavolo di legno, e sopra di esso ogni sorta di cibo.
Molte di quelle pietanze, non le aveva mai assaggiate, e il suo stomaco iniziò a brontolare, pregustandone i sapori.
“Allora, ti siedi o no? Non ti aspetterai che ti sposto la sedia?” Esclamò Crowley seccato, con in mano un bicchiere di vino, e gli zoccoli sopra il tavolo.
Azraphel si limitò a guardarlo storto, prima di prendere posto dall’altro lato del tavolo.
Nel mentre, Newt stava dando un’altra gomitata alla bestia, che per tutta risposta lo spinse via, facendolo cadere dal tavolo.
Azraphel prese coltello e forchetta, e un po’ incerto, tagliò un pezzo di carne, avvicinandolo alla bocca.
Poi guardò Crowley, che aveva praticamente la bocca piena di un cosciotto di maiale, con tanto di osso.
Azraphel lo fissò incredulo e un po’ disgustato, sospirando.
Madame Tracy avvicinò la forchetta alla bestia, fulminandolo con lo sguardo, come solo una teiera arrabbiata poteva fare.
L’altro alzò gli occhi al cielo, poi spuntò la carne nel piatto, con orrore di Azraphel, e cercò di tagliarla.
Purtroppo i suoi artigli gli impedivano di stringere le posate, e continuavano a scivolargli dalle mani.
Alla fine, le lanciò spazientito contro il muro.
“Ehm… Posso… Posso tagliarla io, se volete.” Si offrì Azraphel.
Crowley lo guardò qualche istante, prima di far scivolare il piatto verso di lui.
“Non sei poi così inutile alla fine, come schiavo!” Esclamò con un mezzo sorriso, guardandolo tagliare la carne.
“Potreste smetterla di rivolgervi a me con quel termine?”
“No. E tu puoi smetterla di rispondermi sempre? Non sei affatto educato, per essere uno schiavo.”
“E voi siete odioso, ve l’hanno mai detto?”
“Svariate volte. E adesso sono tutti senza testa.”
“Credete forse di farmi paura?”
“Dovresti averne.”
Azraphel lanciò esasperato le posate sul tavolo, sospirando.
“Lo sapevo… Sapevo che sarebbe stato impossibile, diventare amici di una bestia.”
“Io no ho bisogno di amici. Non ho bisogno di nessuno.”
“O forse non c’è nessuno che sopporti la vostra presenza!”
Con uno scatto d’ira, Crowley afferrò il tavolo, rovesciandolo con un ruggito.
“Vattene adesso, prima che me la prenda anche con te!”
Con le lacrime agli occhi, Azraphel si alzò dalla sedia, correndo via.
Non sapeva neanche dove andare, visto che non conosceva il castello, ma ogni posto sarebbe stato migliore che quella stanza, in sua compagnia.
Continuò a correre, nei lunghi corridoi, su per le scale, finché si ritrovò in un ala del palazzo completamente buia e fredda, e si inginocchiò disperato, appoggiandosi ad una colonna di marmo.
Solo molto tempo dopo, si accorse di una flebile luce, che si stava avvicinando a lui.
“Newt? Sei tu?”
Dopo qualche minuto, si ritrovò davanti Crowley.
“Oh, siete voi… che ci fate qui?”
“Per cominciare questo è il mio palazzo, e posso andare dove mi pare. E poi… Beh non potevo lasciarti qua da solo per tutta la notte, sono certo che mi avresti tenuto sveglio con i tuoi singhiozzi.”
“Quindi, la vostra stanza è qui intorno…?”
“No!” Si affrettò a dire l’altro, colto dal panico. “Volevo dire che… Piangi così forte che mi avresti tenuto sveglio.”
Azraphel non rispose, e si chiese se la stanza della bestia fosse effettivamente vicina. Se così fosse stato, forse avrebbe potuto cercarla, dare un occhiata, per scoprire qualcosa di più su colui che lo teneva prigioniero.
“Adesso seguimi, ti riporto alla tua stanza.”
“Non voglio tornare lì…”
“E dove vorresti andare?”
“Non lo so’… Voi dove andate, quando vi sentite triste?”
Si pentì subito di averlo chiesto, di certo gli avrebbe risposto male come al solito, pensò frustrato.
Invece Crowley sembrò meravigliato da quella domanda, e restò qualche istante a guardarlo, pensieroso.
Poi si voltò, incamminandosi verso le scale.
Azraphel decise di seguirlo, sperando che non lo stesse portando in qualche stanza terrificante, che con la sua fervida immaginazione, si stava riempiendo di coltelli, corde, e altri strani macchinari per la tortura.
Arrivarono di fronte ad una porta in legno chiaro, e quando Crowley la aprì, al suo interno si rivelò essere molto grande e pulita, illuminata da centinaia di candele.
Era piena di meravigliosi affreschi, raffiguranti paesaggi incantati, montagne e laghi, boschi e prati fioriti.
C’erano alcune statue di splendide fanciulle che danzavano, o che suonavano il flauto.
Fiori erano sparsi in tutta la stanza, di ogni forma e colore.
Al centro della sala, si trovava un clavicembalo, e tutto intorno, dei morbidi divanetti rosa.
“Che cos’è questo posto?” Chiese estasiato Azraphel, che mai aveva visto luogo tanto incantevole.
Soprattutto in quel castello oscuro, dove ogni cosa era rovinata, strappata, rotta o ricoperta di polvere.
“Non so’ perché ti ho portato qui, è stata una pessima idea.” Replicò l’altro, incrociando le braccia.
“Dev’essere un luogo a voi caro, se l’avete conservato con tanta cura.”
Per la prima volta da quando era arrivato nel castello, gli occhi di Azraphel erano colmi di gioia, e brillavano come tanti diamanti.
In quel momento, Crowley pensò di non aver mai visto occhi più belli di quelli.
“Era di mia madre. Veniva sempre qui, quando era triste… Per questo io… Non l’ho distrutta.”
“Oh, non pensavo che anche voi… Si insomma, che aveste una madre.”
“Da dove pensavi che fossi nato, da sotto un albero?”
“Mi dispiace… Non volevo offendervi.”
“Comunque è morta, è inutile parlarne ancora.”
“Anche mia madre è morta. Quando ero bambino… Sembra che dopotutto, qualcosa in comune ce l’abbiamo, voi ed io.”
Crowley meditò su cosa dire, gli vennero in mente in paio di cose, nessuna di queste gentile, e alla fine rinunciò.
Mentre l’altro stava ammirando un affresco, lui si diresse verso il clavicembalo.
Suonarlo, era una delle pochissime cose che i suoi artigli ancora gli permettevano di fare, che gli ricordavano che una parte di lui, era ancora umana.
Si sedette, e lentamente, una melodia riaffiorò alla sua memoria.
Era lenta e dolce, a tratti malinconica.
La preferita di sua madre.
Quando iniziò a suonarla, gli sembrò quasi di vederla sorridere, seduta accanto a lui, con il suo abito rosa ed i capelli rossi che ricadevano sinuosi sulle spalle.
Il suo viso era quasi sparito dalla sua memoria, ma il suo sorriso, quello non avrebbe mai potuto scordarlo.
Continuò a suonare, ancora e ancora, finché perse la cognizione del tempo, e solo quando avvertì i crampi alle dita, decise di fermarsi.
Si guardò intorno, chiedendosi dove fosse finito Azraphel, e lo trovò infine, addormentato sul divanetto, raggomitolato su sé stesso come un gatto.
Rimase lì a guardarlo, ad ascoltare il suono del suo respiro, ad osservare il suo petto che si muoveva piano, i capelli riccioli e biondi, le guance rosee, le labbra tonde e rosse, che disegnavano un sorriso sereno.
Avrebbe voluto sfiorarlo, ma le sue lunghe unghie glielo impedivano.
Si avvicinò piano ai suoi capelli, e ne ispirò l’odore, sapeva di vaniglia, sapeva di buono.
Si sedette a terra, e rimase a contemplarlo per tutta la notte, e per la prima volta dopo tanti anni, si sentì in pace.
 
 
 
 
 
  
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