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Autore: Sian    07/12/2019    5 recensioni
Nella classe 1-B della scuola elementare Teitan arriva un nuovo alunno che non avrebbe mai pensato di tornare in prima elementare, dato che in realtà aveva ventisei anni. Esatto, per colpa di un’indagine sfuggita di mano, il suo corpo si era rimpicciolito. Fortunatamente non era da solo a condividere quel destino: aveva al suo fianco Conan Edogawa e Ai Haibara, che erano in quelle condizioni ormai da mesi, a causa dello stesso veleno, APTX-4869. I suoi pensieri però sono costantemente focalizzati sulla donna che ama e che avrebbe dovuto proteggerla dal dolore invece che causarne di nuovo. Anche lei ha molti pensieri in testa: non è riuscita a proteggerlo dalla maledizione che l’ha sempre perseguitata.
Dal "Capitolo Uno - Masao Fukuda // Ritrovarsi intrappolato":
Il nuovo acquisto della classe si ritrovò ad osservare attentamente la maestra: sì, si assomigliavano molto, lei e la donna che amava. Diamine, in questa assurda situazione non l’avrebbe più vista tutti i giorni. Nonostante fosse chiaro ciò che provava per lei, doveva dirle ancora tante cose, e non si sarebbe mai stancato di dirgliele.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Because you have someone to protect


Capitolo 3 - Masao Fukuda // e mentirti


“Accidenti, questa non ci voleva proprio!” esclamò Conan seduto nel sedile posteriore del maggiolino giallo appartenente al Dottor Agasa. Di fianco a lui, l'agente Wataru Takagi era ancora svenuto. “La notizia della scomparsa di un agente di polizia farà il giro di tutto il Giappone.”
Sul sedile del passeggero era seduta Ai, aveva il suo solito sguardo pensieroso e truce. “Sai cosa rischiamo d’ora in avanti vero? Si accorgeranno che il cadavere del poliziotto è scomparso.” Tremò, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Quella paura... Non l’avrebbe mai abbandonata. “E verranno a cercarmi. Scopriranno che quel veleno ha questi effetti collaterali. Ci cercheranno tutti e tre, tra qualche settimana sapranno che siamo costretti a restare nei corpi di bambini, e ci metteranno pochissimo a stanarci.” Aveva ragione. Tremendamente ragione. “E se siamo arrivati fin qui... È solo colpa mia. Sono stata io ad ultimare quel veleno.”

Conan sospirò rassegnato “Senti Haibara, te l’ho già ripetuto milioni di volte. Non è colpa tua. I criminali sono solo gli individui dell’organizzazione degli uomini in nero! Tu non c’entri proprio nulla.”
Agasa, che stava guidando verso casa, percepì la tensione che si era creata tra Conan e Ai. Era normale, quando si parlava degli uomini in nero la situazione si scaldava subito. “Dai, vedrete che non succederà nulla-“
Non finì la frase che fu aggredito verbalmente da una Ai inviperita. “Lei la fa facile professore! Siamo noi che siamo intrappolati in questa orrenda situazione... Se solo Conan avesse fermato l’agente Takagi invece di inseguire Gin assieme e farsi scoprire.” Gli tirò una frecciatina carica di astio.

“Ehi ehi, un momento Haibara. Perché mi accusi? È normale inseguire quei criminali! Tu cosa proporresti? Nascondersi per sempre?! Non posso perdere nemmeno una traccia di loro, potrebbe sicuramente venirci utile prima o poi. Siamo stati fortunati che tu e il dottore siete venuti subito in nostro soccorso appena vi ho contattati.”
Il piccolo detective sfoderò un sorriso, certamente la situazione era molto grave, ma doveva assolutamente far tornare alla razionalità la bambina che condivideva il suo stesso destino, prima che il loro nuovo compagno di avventure si svegliasse.

Il dottore si occupò di portarlo in casa e di metterlo subito sotto alle coperte per fargli scendere la febbre, non prima di avergli trovato degli abiti adatti al suo corpo. Invece Ai e Conan si occuparono di ciò che aveva con sé: una spilla rossa, simbolo del dipartimento di polizia, sezione Omicidi; una penna molto consumata; un’agendina per gli appunti con una copertina; il suo distintivo di polizia; la sua patente e le chiavi della macchina; la sua carta d’identità, che oltre alla tessera identificativa conteneva una fototessera della bellissima vice-ispettrice Miwako Sato; un cellulare con la batteria completamente scarica; il suo portafogli. Erano tutte cose che purtroppo non gli sarebbero servite, forse potevano salvare la penna con l’agendina e il cellulare. Tutto il resto purtroppo sarebbe stato da nascondere accuratamente. Avrebbero informato il diretto interessato appena si sarebbe ripreso.

Il cellulare dell'agente Takagi era rimasto a caricare per tutta la notte, ancora non sapevano se sarebbe stato meglio avvisare della sua assenza o fingere che fosse scomparso. I due ragazzini non chiusero occhio per tutta la notte, fortunatamente il giorno dopo non avrebbero dovuto andare a scuola e potevano dedicarsi a tempo pieno a quella faccenda.

Ai era in camera sua a svolgere delle ricerche, continuava a ripetersi che era solo colpa sua. Voleva trovare a tutti i costi l’antidoto definitivo così da porre fine a tutta questa storia una volta per tutte. Poteva anche tornare adulta e consegnarsi all'organizzazione per tenere al sicuro i suoi amici, ma quasi sicuramente non avrebbero mantenuto la promessa e il suo sacrificio sarebbe stato vano. Serviva un modo per sconfiggere definitivamente l’organizzazione, così era possibile tornare a vivere, lasciare indietro il passato e ricominciare da zero. Avrebbe voluto tanto ricominciare a vivere. Forse poteva anche non servirle più l’antidoto, poteva sempre vivere come Ai Haibara, senza sapere se un giorno sarebbero riusciti a sconfiggerli. Però... Avrebbe continuato le sue ricerche scientifiche per i suoi amici. Loro dovevano tornare ad essere adulti, avevano un sacco di persone che li stavano aspettando, a differenza sua.

Erano passate solo due ore da quando gli avevano somministrato l'apotoxina. Sicuramente la sostanza era ancora attiva e in circolo nel sangue, nonostante non lasciasse nessuna traccia definibile. Ma doveva provarci! Voleva vedere se fosse possibile avere anche un solo valore sanguigno fuori dalla norma, così forse... avrebbe avuto ulteriori elementi oltre a quelli di cui era già in possesso, per ricostruire definitivamente la composizione del veleno e sviluppare di conseguenza l’antidoto. Era determinata. Uscì dunque dalla sua camera e raggiunse il letto dove il nuovo arrivato stava dormendo tranquillamente, così indifeso. Almeno lui, nonostante tutta quella storia e tutta la confusione che in quel momento portava in testa, era sempre il solito Wataru Takagi, solamente costretto nel suo corpo da bambino. Stava dormendo così bene, le dispiaceva svegliarlo.

“Miwa...ko...” Ai lo guardò, nonostante la febbre, stava veramente sognando? “F-ferma...ti” l’espressione sul viso di Takagi cambiò all’improvviso: era preoccupato e agitato. Gli stava salendo di nuovo la febbre. Avrebbe dovuto svegliarlo? Si avvicinò al bordo del letto, doveva assolutamente prenderlo, il suo sangue.
“Ai, che stai facendo qui?” Conan entrò per dare un’occhiata, aveva sentito Takagi lamentarsi nel sonno, doveva controllare che fosse tutto a posto. L’aveva tenuto d’occhio fino a poco fa e sembrava che la febbre fosse passata. Invece ora la sua fronte era imperlata di sudore. Gli prese un fazzoletto e glielo appoggiò sulla fronte, sperando ricevesse un po’ di sollievo a tutto il dolore che stava provando.

“Shinichi... Devo provare una cosa in questo preciso istante.” La ragazza aveva assunto uno sguardo truce, e sapeva benissimo dove voleva andare a parare. Aveva quello sguardo quando si ricordava chi era, quando era preoccupata del suo passato, quando era stata Sherry. Aveva già indossato il suo camice da laboratorio, voleva eseguire degli esperimenti. “Devo prelevare un po’ di sangue di Takagi. Ora e in questo momento che sta avendo queste reazioni.” Aveva portato già tutto il necessario.

“D’accordo Haibara, se pensi che sarà utile per le tue ricerche, possiamo provare.” Conan si avvicinò di nuovo a Takagi, era ingiusto svegliarlo proprio ora che stava visibilmente soffrendo, ma doveva farlo, per il bene di tutti e tre. Provò a chiamarlo e a scuoterlo leggermente, ma non si svegliò completamente: aveva stropicciato gli occhi, segno che avesse reagito al richiamo. Lo richiamò un po’ più forte e questo aprì gli occhi, ancora confusi.

Il suo sogno si trasformò in un incubo. Stava sognando la sua Miwako, che si avvicinata a lui al parco. Sembrava avere uno sguardo così dolce mentre faceva scivolare le sue mani dal suo petto fino alla sua cintura. Improvvisamente la sua espressione cambiò, si ritrovò davanti una Miwako dagli occhi spietati. Prese la sua pistola senza indugiare e gliela puntò davanti, pronta a sparagli. Non stava capendo più nulla. Alzò lo sguardo verso la sua donna, ma non c’era più. Al suo posto vi era un tipo spietato, il cappello gli copriva parte del viso, così come i suoi capelli biondi. Gin. Si chiamava così. Quello era l’uomo che l’aveva ucciso. Aveva ucciso Wataru Takagi.
Ma poi per qualche strano motivo, l’incubo si dissolse e si svegliò, gli occhi appesantiti come se avesse appena pianto. Ispezionò con lo sguardo la stanza, la luce era ancora spenta, c’era solo un piccolo bagliore provocato da una lampada nella stanza. Al suo fianco notò Conan che l’aveva appena svegliato. Ah già, ora ricordava cos’era successo. Maledizione. Lo fissò, aveva paura a parlare. Si sentiva uno straccio ma sapeva di riuscire ad alzarsi e parlare.

“Conan...” Già, il suo timbro di voce infantile glielo aveva confermato. Era veramente tornato bambino. Si accorse successivamente che in camera c’era anche la bambina che lo stava osservando quasi come se lo stesse studiando. Aveva in mano... Una siringa? Un momento. Da quando i bambini potevano usare uno strumento simile?

Ai sembrò leggere i suoi pensieri “Seppure puoi constatare il contrario guardandomi, non sono una bambina. Mi chiamo Shiho Miyano. Da questo momento in poi fai parte anche tu del nostro segreto, detective Wataru Takagi.”

Ora era tutto chiaro. Quei due bambini, così intelligenti e astuti, che molto spesso sembravano adulti... ora tutto aveva un senso. Erano stati incastrati anche loro in quell’orrendo destino. “Ah... m-mi dispiace causarvi altri problemi.” Si scusò, come era solito fare in qualsiasi situazione.

“Non è colpa tua se sei finito in mezzo a tutta questa storia. Shinichi Kudo dovrebbe scusarsi con te per averti trascinato direttamente in pasto a Gin.” Gli ricordò Ai, nonostante non fosse più furiosa con Conan, facendogli pesare su di lui tutta questa faccenda.

Takagi sembrò ignorare la frecciatina “Quindi tu sei il detective liceale!” fece una breve pausa sorridendogli “Sai, l’altro giorno ti ho visto addormentare Goro e parlare con la sua voce.”

Conan trasalì, era sicuro di non essersi mai fatto notare. Ormai era Conan Edogawa e sapeva gestire la situazione, anche tenendo vivo Shinichi Kudo risolvendo casi al suo posto. “B-Beh, visto che ora fai parte della nostra squadra non devo preoccuparmi di essere stato beccato, giusto?” La sua risata era molto nervosa. Sicuramente tutto ciò che avevano passato finora non doveva essere stato né facile né divertente.

Ai si schiarì la voce per attirare attenzione “Takagi, devi sapere una cosa molto importante.” Lo fissò, questa volta il suo sguardo faceva paura. Aveva un’espressione tenebrosa, un mistio tra l’odio e la paura. “Facevo parte di quell’organizzazione. Ho ultimato io il veleno che ti hanno fatto ingerire. Si chiama Apotoxina 4869, abbreviato in APTX.” La febbre non gli era ancora scesa, gli occhi erano lucidi e il sudore non cessava. “Ho bisogno di un po’ di sangue per verificare dei valori. Hai appena assunto il veleno, quindi, anche se questo non lascia traccia nelle vittime e le probabilità di trovare qualcosa sono minime, voglio provarci. Devo sviluppare l’antidoto definitivo al più presto, altrimenti saremo in pericolo.”

Takagi annuì, avrebbe fatto qualunque cosa per aiutare ad uscire da quella situazione. Aveva ricevuto così tante informazioni tutte insieme e la febbre non aiutava ad analizzarle. Quello di cui era sicuro era che si trovava d’accordo con la richiesta della bambina ramata, e le porse il braccio. “Se c’è una remota possibilità per tornare noi stessi...” Le sorrise. Doveva ancora realizzare la maggior parte della situazione, ma nonostante fosse debole si prestò per un prelievo. La ramata tornò nel suo laboratorio lasciando da soli Conan e Takagi.

“Vuoi riposare ancora un po’? La febbre non ti è ancora scesa del tutto.” Conan gli porse un nuovo fazzoletto da mettere sulla fronte, ma venne rifiutato.
“Volevo approfittare di questo momento per chiederti dei dettagli.” Takagi lo guardò, poteva constatare che stava soffrendo, fisicamente e anche psicologicamente. 
“Immagino che tu voglia sapere tutta la storia.” Annuì e dunque iniziò a raccontargli, seduto sul fondo del letto. Conan parlò senza interruzioni, finché non si accorse che Takagi si era lentamente addormentato. Non che il racconto fosse noioso, anzi. Sembrava molto interessato e sembrava avere tante altre domande da porre, ma sicuramente sentiva il bisogno di dormire. Decise di lasciarlo da solo e si precipitò al computer per fare delle ricerche e ragionare sul da farsi.

I primi raggi di sole filtrarono tra le tende. Scese dal letto, abbandonando le braccia di Morfeo che l’avevano tenuto stretto fino a qualche minuto prima. La febbre e i dolori erano completamente spariti. Sospirò. Sarebbe stata la sua prima giornata con quelle nuove sembianze. Non sapeva ancora come comportarsi né cosa dire a tutte le persone che avrebbero sentito la sua mancanza. D’ora in avanti avrebbe dovuto vivere a casa del dottore? Doveva nascondersi? I suoi pensieri, ancora una volta, si rivolsero a Miwako Sato. Dunque, davvero non l’avrebbe più vista tutti i giorni.
Sospirò ancora. Quel giorno la sua amata era di riposo. A giudicare dalla luce solare erano già le nove e mezza, e, conoscendola, era abbastanza sicuro che fosse ancora addormentata. D’altronde il giorno precedente Takagi aveva finito abbastanza presto di lavorare, mentre Sato era ancora in centrale e gli aveva detto che ne avrebbe avuto ancora per molto. Quel giorno, comunque, anche lui avrebbe avuto il giorno libero.
Diamine! Lui e Sato si erano dati appuntamento per le undici sotto casa sua. Cosa poteva fare? Uscire di casa e andare da Miwako? Era molto avventata come soluzione, ma mancare ad un appuntamento con la vice-ispettrice lo mandò in confusione e il panico prese il sopravvento. Altrimenti sarebbe rimasto davvero rinchiuso in quella casa?
Deciso, si avviò verso la porta d’ingresso, nonostante non indossasse le scarpe ma solo delle pantofole, e non aveva nulla della taglia giusta. I suoi vestiti erano tutti stropicciati e umidicci per il sudore causato dalla febbre alta. Appoggiò la mano per aprirla

“Dove stai andando?” Accidenti! Proprio quando gli mancava poco...
Conan lo stava osservando già da un po’. Aveva eseguito delle ricerche per tutta la notte, mentre Ai era ancora rinchiusa nel suo laboratorio. “Takagi... Capisco benissimo quello che stai provando in questo momento. Non poter starle accanto. È veramente difficile da accettare. Ma devi proteggerla, nascondendo la tua identità!” Improvvisamente suonò il cellulare di Conan Edogawa. Il bambino impallidì a leggere il nome dell’interlocutore. Rispose con una voce insicura e improvvisamente esageratamente infantile. Dal telefono trillò una voce, talmente alta e udibile anche a decine di metri di distanza dal cellulare.

“Conan! Dove sei sparito??” Era nei guai, nella fretta di inseguire gli uomini in nero aveva dimenticato di lasciare in agenzia un biglietto con scritto che al mattino presto doveva andare dal dottor Agasa. Le disse che Agasa l’aveva chiamato per provare una nuova invenzione “Dì al professore che deve chiedere il permesso a me! Non puoi farmi preoccupare così tanto, lo capisci?”.
Si rattristò. Poteva capire benissimo quello che provava Takagi in quel momento. Si scusò con Ran Mouri, d’altronde per lei era semplicemente un bambino da tenere sott’occhio. Ran non poteva di certo immaginare che dietro a Conan Edogawa c’era il suo ragazzo, il detective liceale Shinichi Kudo, di cui si era perdutamente innamorata. La chiamata terminò.
Conan appoggiò il cellulare sul tavolo e ritornò a squadrare Takagi. Indossava i vestiti di Shinichi di quando aveva otto o nove anni, Agasa avrà fatto un salto a casa sua per prenderli. Non si stupì che il vecchio dormiva ancora nonostante fossero già le nove passate. “Prima che tu metta fuori anche solo un piede, dobbiamo parlare. È chiaro che d’ora in poi non ti chiamerai più Wataru Takagi. Ho fatto delle ricerche e ho pensato al tuo nuovo nome.” Conan era rimasto sveglio tutta la notte per ridargli un’identità.

Takagi annuì, non poteva fare altro che concordare con lui: Wataru Takagi era stato ucciso dall’organizzazione criminale.
“Masao Fukuda. Per facilitarti, ho scelto il nome Masao perché è scritto con lo stesso kanji di Wataru. Può andare?”
Faceva un certo effetto, farsi chiamare in un altro modo dopo ventisei anni vissuti con il suo vero nome. Doveva abituarsi, non aveva alternative. “Masao Fukuda... Per me è ok. Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto questa notte.” Gli sorrise sinceramente, sapeva di trovarsi in questa situazione per aver inseguito quei loschi individui assieme al bambino, ma ormai la frittata era stata fatta. Tanto valeva restare sulla loro stessa barca senza rancori e trovare un modo per tornare come prima.

“Non dovresti ringraziarmi, ti ho tirato dentro in questo grande pasticcio. Tieni, questi sono i tuoi nuovi documenti falsi. Ah!” Conan si ricordò di un'altra cosa importante che voleva dire a Takagi “Finché mi ricordo, è meglio se vieni con noi a scuola. So che può sembrare noioso, ma è più sicuro stare lì. Daremo sicuramente meno nell’occhio: siamo dei bambini e come tali abbiamo il dovere di andare a scuola.”

Wataru si trovò d’accordo, d’altronde non potendo tornare a lavorare in centrale e dunque non avendo la possibilità di vedere Miwako tutti i giorni, stare con le mani in mano gli sarebbe risultato difficile. Tornare a scuola... Se ci pensava era una sensazione stranissima, vivere per la seconda volta il primo giorno di scuola. Chissà quanti adulti sognano di tornare alle elementari, in cui la scuola è molto facile e non si hanno preoccupazioni di alcun tipo. Non si ha da lavorare, ci si deve solo occupare dello studio. Certo che invece per la maggior parte dei bambini la scuola era considerata quasi come una prigione dove non si può giocare, nonostante si passi la giornata con attività ricreative e ludiche e al tempo stesso istruttive.

“Takagi, qui abbiamo messo gli oggetti che avevi con te. Dobbiamo nasconderli per bene, nessuno deve sapere di tutta questa storia. Puoi tenere l’agenda con la penna, e abbiamo ricaricato il tuo cellulare. Potrebbe venirti utile. Tutto il resto lo dobbiamo nascondere finché non torni adulto.”

Guardò gli oggetti che i due bambini avevano disposto sul tavolo. C’erano il suo distintivo di polizia e la sua spilletta della divisione omicidi, di cui infatti non se ne sarebbe fatto nulla in quelle nuove sembianze. Il suo portafogli da cui prese i contanti restanti, non erano molti ma sarebbero potuti servire. La sua patente e le chiavi della macchina. Il suo porta-documento d’identità, dove teneva anche una foto di Miwako; avrebbe dovuto davvero nascondere anche la foto di Miwako? Recidere così ogni legame con la vita precedente?
Non se la sentiva proprio, ma l’avrebbe fatto. L’avrebbe fatto per proteggerla, nessun’altra persona doveva restare coinvolta in tutta questa storia. Sì, decise che l’avrebbe protetta sotto le sembianze di Masao Fukuda.
Osservò ancora la foto, e sorrise malinconico. Le mancava già tremendamente, la sua risata, il suo sguardo a volte così serio, così responsabile... Il suo profumo, il suo corpo... Già. Non l’aveva nemmeno salutata, d’altronde come avrebbe potuto prevedere una cosa simile. Non riusciva a sopportare l’idea di causarle altro dolore. Non gliene serviva altro, ne aveva già passate tante in tutta la sua vita. Certo, era una donna forte; non dubitava delle sue capacità. Ma aveva paura di ferirla, aveva paura della sua reazione appena avrebbe notato la sua assenza.
Appoggiò la foto e la ripose assieme alla sua carta d’identità. Sì, era determinato ad uscire da quella situazione. Doveva tornare da lei. Doveva passare altri milioni di momenti con lei, e quella foto inserita nel suo documento d’identità gli ricordò quella volta in cui, all’arrivo su una scena del crimine, al posto del distintivo di polizia aveva esibito il documento con la foto di Miwako in bella vista. Lei se ne era accorta, di primo impatto era rimasta seria e lo aveva rimproverato. “Takagi, dovresti prestare più attenzione e tenere bene i documenti!”
Si ricordava successivamente di essersi scusato, che figura, tenere una foto della persona a cui tieni di più assieme al proprio documento. “Però...” Miwako si era avvicinata talmente tanto al viso di Takagi da fargli mancare dei battiti “Sembra che la mia foto vicino alla tua carta d’identità stia a significare: se smarrito riportare da Miwako Sato.” Aveva sorriso e si era messa a ridere mentre si allontanava e lo richiamava “Andiamo che ci stanno aspettando per le indagini.” In quel momento non era riuscito a formulare nessuna risposta vocale, si era incamminato anche lui con le guance ormai in fiamme. Un giorno lo avrebbe fatto impazzire!
Il ricordo di quella volta lo portò a sorridere, e una lacrima gli cadde sul volto. “Se solo significasse davvero quello, sarei contento di essermi smarrito solo per essere riportato da te...” Mormorò tra sé e sé, in preda ai ricordi che quella foto gli aveva generato.

Conan non poté non confortarlo. “Ehi, Takagi. Capisco che non è per nulla facile, io più di tutti penso di poterti capire. Quindi dobbiamo sicuramente darci da fare per tornare da loro.” Gli sorrise determinato, pensando alla chiamata di poco prima.

Si asciugò la guancia “Hai ragione!” Vedere quella foto gli aveva fatto crescere ancora più determinazione a risolvere quella faccenda. “Scusami per la scena pietosa a cui ti ho costretto ad assistere.” Si sentiva in obbligo di scusarsi anche solo per aver pianto ed aver mostrato le sue paure. Ma in verità non c’era nulla di cui scusarsi, e Conan gli sorrise di rimando. Era sempre e comunque il solito Wataru Takagi.

“Masao, che ne dici di uscire a prendere una boccata d’aria fresca e approfittarne per andare a comprare qualche nuovo vestito, oltre al materiale per la scuola?” Conan lo trascinò fuori, nonostante fosse cosciente che Takagi non era ancora pronto per affrontare il mondo con un corpo più piccolo. Raggiunsero la via commerciale di Beika ed entrarono nel negozio di abiti per bambini. La taglia giusta per Masao era un otto anni. Era parecchio più alto rispetto agli altri ragazzi della loro età, ma al tempo stesso era molto piccolo, gracile e magro. La loro uscita si era prolungata, avevano già preso anche del materiale scolastico. Avevano fatto bene ad uscire, in quei momenti Takagi stava imparando a conoscere di nuovo il mondo dal punto di vista di un bambino. Si stava abituando anche al suo nuovo nome. Gli era stato utile per svagarsi, e non rimuginare in continuazione sulla sua vita, e perdersi così nei suoi ricordi.

Furono di ritorno quando l’orologio segnava mezzogiorno passato. Ma la casa sembrava ancora deserta, il dottore pareva essere uscito, mentre la giovane scienziata era ancora rinchiusa nella sua stanza. Masao appoggiò i suoi acquisti nella stanza in cui aveva dormito e si cambiò i vestiti, così da poter rendere quelli che gli erano stati prestati. Conan stava chiamando la scuola elementare Teitan e chiese, con la voce di Agasa, se era possibile inserire nella classe un altro bambino, sarebbero passati a fare l’inserimento la mattina stessa. Diedero disponibilità già per il giorno seguente: Masao avrebbe iniziato, per la seconda volta, il suo primo giorno di scuola. 

Masao tornò in soggiorno. In quel momento si ricordò che a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi già con Sato, per pranzare insieme. Proprio mentre stava per perdersi nei suoi pensieri, il cellulare iniziò a squillare. Si avvicinò per controllare chi lo stava chiamando. Sorrise nel vedere il nome sul display lampeggiante. L’istinto lo portò ad afferrare il cellulare. Conan fu attirato dalla suoneria e lo fermò subito dal rispondere.

“Lascia fare a me, non puoi farti scoprire.” Tirò fuori il sintetizzatore vocale e lo regolò sulla voce di Takagi, pronto a rispondere al posto suo. Avrebbe sicuramente inventato qualcosa, il piano da seguire non era ancora delineato con certezza, non finché glielo avrebbe confermato Haibara. Dunque per il momento poteva mettere una pezza, senza dare la conferma che gli fosse successo qualcosa. “Pronto?”

Il detective della polizia impallidì, non era pronto a mentirle. Lei non meritava tutta quella sofferenza che gli avrebbe così causato. Ma al tempo stesso era forse la cosa migliore da fare, non l’avrebbe mai messa in pericolo.
“Takagi, dove sei?” Poteva sentire la sua voce, quella che una decina di ore prima non aveva pensato di poter risentire ancora. “Avevi detto che saresti arrivato alle undici”
Gli si strinse il cuore, lei lo aveva aspettato fino a quel momento. Se solo avesse potuto parlarle... Le avrebbe ripetuto fino alla nausea che l'amava. Ma si rese conto che anche se avesse potuto parlarle, non gli sarebbero uscite le parole. Un po’ per timidezza, e un po’ sarebbe stato dovuto a quel nodo in gola che gli si era appena formato. Aveva troppe parole da dirle, così tante che gli avevano addirittura creato un groviglio in gola.

“Ah! Ho avuto un imprevisto, sono già fuori città. Scusami, mi sono dimenticato di avvisarti!” 

Si sentì un sospiro dall’altra parte. Sperava solo che non fosse arrabbiata...

“Capisco. Potevi mandarmi un messaggio, avrei potuto dormire ancora un po’.”

No, dal tono di voce non sembrava arrabbiata. Per fortuna. Aveva più una nota di... delusione?

“Non importa, dai. Ci vediamo domani in centrale?” 

Diamine... Non sopportava l’idea di raccontarle ben due bugie, tra l’altro nemmeno dette da lui. Se la conosceva bene, in quel momento aveva assunto l’espressione di quando vuole fingere che sia tutto a posto. Quell’espressione che le aveva visto poche volte, ma che lo preoccupavano più di ogni altra sua emozione. Celato dietro un sorriso, i suoi occhi comunicavano una piccola ferita. Se la conosceva bene, l’intonazione che aveva usato descriveva perfettamente il suo viso. E sì che lo sapeva bene: perdersi nel suo viso era il passatempo che più gli riusciva meglio in ogni situazione.

“Non sono sicuro di quando riuscirò a tornare. Ti racconterò i dettagli un’altra volta. Ora devo proprio andare.” Conan chiuse la chiamata, meglio non prolungare oltre con dettagli che potrebbero svelare anche solo una mossa falsa.

Nemmeno il tempo per salutarla, nemmeno il tempo per rassicurarla che sarebbe tornato. Non gli aveva lasciato nemmeno il tempo per farle sapere che l’amava.

   
 
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