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Autore: _thantophobia    28/03/2020    3 recensioni
Izumi si era immaginata molteplici facce, mentre percorreva in macchina i chilometri che separano casa sua dalla prigione - si era immaginata un ragazzone tutto muscoli come Bane oppure un anonimo ragazzino insospettabile ma pericoloso e mortale come John Doe, di certo non un ragazzo che, prima di finire lì, doveva essere davvero solare e pieno di vita.
Davvero non capisce come ci sia arrivato.
[OC | Kaminari Denki | Bakusquad | un po' tutti] [KamiJirou | hint ad altre ship] [rating giallo per il linguaggio e i temi(?) | angst | maliconico | introspettivo] [what if?/AU/idk/something in between?]
[il secondo capitolo partecipa al Writober2018 con la lista di prompt di Fanwriter.it | prompt: segreti]
[capitolo 11 - Finale Alternativo: Acido Lisergico]
[capitolo 12 - X (+1): Dimmi che posso entrare]
[capitolo 13 - ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaminari Denki, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Of Monsters and Men

 

 

 

 

 

 

 

 

Finale Alternativo: Acido Lisergico

 

 

 

 

Morte, trattieni i tuoi fantasmi!

Allen Ginsberg, “Kaddish”

 


How many days have passed like this?

This city, the crowd is fading, moving on.

 I sometimes have wondered where you've gone.

Story carries on, lonely, lost inside.

Donna Burke, “Glassy Sky

 

 

 

 

 

 

[Ora Zero]

Izumi crolla ginocchioni sul linoleum freddo della stanza, gli occhi sgranati che iniziano a offuscarsi per le lacrime. Cadendo ha bucato i collant, ma in questo momento non sente nemmeno il bruciore delle ginocchia sbucciate.

Non… non ha fatto in tempo.

Prova a parlare, a dire anche solo una parola, ma la gola sembra stretta in una morsa che impedisce a qualsiasi suono di uscire dalle sue labbra – solo un rantolo, breve e stridulo, e un singhiozzo sommesso.

Kyouka scioglie l’abbraccio in cui i suoi genitori l’hanno rinchiusa e le si avvicina: si inginocchia di fianco a lei e mormora un grazie, perché ci ha provato, perché ha creduto in lui quando nessuno lo aveva fatto, perché ha voluto dargli un’altra possibilità.

-Denki lo sapeva.- sussurra. –Ha fatto del tuo meglio e di questo la ringrazio.-

Ai lati opposti della porta, Todoroki stringe i pugni così forte da farsi male e Momo alterna singhiozzi a scuse e frasi sconclusionate, mentre continua a scuotere la testa e a stropicciare l’orlo della gonna tra le dita – Shouto neanche la guarda, troppo concentrato nel non perdere il controllo del Quirk e carbonizzarli o congelarli tutti quanti.

Fuori dalla stanzetta un pugno si abbatte con forza contro il muro e delle urla rimbombano per il corridoio.

-Ma mi state prendendo per il culo?!- Bakugou irrompe nella sala come un tornado, seguito a ruota da Kirishima e Sero che cercano di fermarlo prima che si avventi su uno dei poliziotti tornati indietro per annunciare l’esecuzione della condanna. –Muovete subito i vostri culi da secondini e portate il Parafulmini qui! Cazzo, non potete averlo fatto davvero!-

-Katsuki ti prego!-

-Kacchan, lascialo andare!- urla invece Midoriya dalla soglia, pronto a intervenire in caso il biondo dovesse diventare ancora più aggressivo.

-Non potete davvero averlo ucciso! Non avevate una sola fottutissima prova, stronzi!-

Il povero ufficiale è attonito e non osa muoversi, mentre Bakugou continua a incombere su di lui come una belva, livido di rabbia. A fatica Kirishima e Sero riescono a separarli e a trascinare Bakugou lontano dall’uomo. Ashido e Uraraka rimangono ferme dietro Midoriya, come per nascondersi – Izumi sente solamente dei singhiozzi e Uravity che sussurra qualcosa.

Nemmeno si ricorda come è uscita da lì.

 

 

Dopo: tre settimane dall’Ora Zero

Sono passate appena tre settimane da quella mattina e il mondo, per Izumi, pare abbia perso tutti i suoi colori – tutto è diventato un’infinita scala di grigi nell’esatto momento in cui tutti i suoi sforzi e quella piccola speranza che ancora la spingeva ad andare avanti si sono rivelati vani, perché non ha fatto in tempo.

Ha fallito. Su ogni fronte.

Non è riuscita a salvarlo.

Osserva le lavagne bianche ancora nel suo studio, lasciate lì a ingombrare e a ricordarle di come la sua presunzione le sia costata cara, senza davvero vederle: la polvere inizia a fermarsi sul bordo superiore e su alcuni post-it che hanno cominciato a staccarsi, e quell’implacabile “CHI NON STA MENTENDO?” sembra la stia accusando di essere l’unica colpevole. Perché lei ha mentito per prima.

Tre settimane che Izumi ha passato in un mutismo quasi assoluto, aggirandosi per lo studio legale come uno spettro – stropicciata, esausta, sconfitta – buttandosi a testa bassa nel lavoro pur di non pensare a Denki, a Kyouka e al futuro che non è riuscita a dare a nessuno dei due.

Denki nel frattempo è stato comunque assolto, perché in fondo Izumi aveva ragione a dire che era innocente, o forse solamente per dargli un po’ di pace adesso che è morto – o forse, come ha detto Hiroshi senza nascondere il veleno nella voce, per lavare le coscienze di chi l’ha fatto fuori. Hiroshi, in queste tre settimane, è diventato ancora di più una costante presenza nella sua vita, come se avesse paura che possa fare qualche sciocchezza – “L’unica sciocchezza che posso fare,- gli ha detto una mattina. –è dimenticarmi di impostare la lavatrice sul lavaggio dei delicati e rovinare le mie camicie.”. Lui sembra averle creduto, in un certo senso, e ha smesso di chiederle come sta ogni due minuti.

E oggi, come ieri e come tutti i giorni per tre settimane, Izumi ha preso tutto il coraggio che possiede ed è arrivata davanti al complesso residenziale dove abita la mamma di Denki, perché almeno a lei deve delle scuse. Prende un paio di respiri profondi, ferma davanti ai citofoni, solleva la mano e…

-No, non ce la faccio. Non ce la faccio.- balbetta, arretrando come scottata e quasi scappando via, gli occhi che le si riempiono di lacrime e il fiato corto come se avesse corso una maratona. Ha le mani che tremano, quando fruga nella borsa per prendere il telefono e rispondere alla chiamata in arrivo.

-Lo so, sono in ritardo.- esclama prontamente, cercando di non far sentire il nodo di pianto che le stringe la gola. –Sto arrivando. È che… -

-…sei di nuovo andata da lei.- “Non è una domanda, Hiroshi. È un’affermazione.” –Sei riuscita a… ?-

-No.- lo interrompe. Ha ricominciato a piangere.

-Va bene, non importa. Andrà meglio la prossima volta.- mormora lui. –Dammi cinque minuti e vengo a prenderti. Okay?-

-Okay.- e cinque minuti dopo è seduta al passeggero della macchina di Hiroshi, mentre tornano verso il suo appartamento: un cliente ha chiesto specificatamente di lei, e Izumi mica può presentarsi così. Di certo il capo capirebbe, perché lui capisce sempre, ma non è sicura che questa gliela lasci passare senza dire nulla.

Davanti allo specchio del bagno nel suo bilocale in affitto, Izumi quasi non si riconosce mentre raccoglie i capelli in una coda di cavallo e prende un batuffolo di cotone e lo struccante per tentare di salvare il salvabile del suo trucco: non può rimanerci così male ogni volta, cazzo, o davvero non arriverà alla pensione.

-…forse fare l’avvocato non è stata l’idea migliore.- sussurra, osservando le profonde occhiaie come se questo bastasse a farle sparire, mentre ci applica sopra forse un po’ troppo correttore e fondotinta.

Quando raggiungono lo studio legale e vengono accolti dalla segretaria del capo che la sta pregando con gli occhi di non dare di matto, Izumi capisce che avrebbe fatto meglio a darsi per malata – e la conferma arriva quando mette piede nel suo ufficio, trovandosi davanti la copia carbone di Al Pacino quando interpretava Corleone, solo molto più giovane, con un’aria viscida che le fa venire il voltastomaco anche solo guardandolo.

Hiroshi le posa una mano sulla spalla, come per rassicurarla, prima di defilarsi verso la sua scrivania.

–Scusi il ritardo.- Izumi prende un profondo respiro, si impone di stare calma e non lasciarsi condizionare dalle apparenze e sorride all’uomo. Abbandona la borsa sul davanzale della finestra e si siede dietro la scrivania. –Cosa posso fare per lei, signor… ?-

-Kaneda Hideyoshi.- si presenta la copia carbone di Al Pacino. Izumi continuerà a chiamarlo così. –Immagino che il nome le dica qualcosa, signorina Kobayashi.-

Veramente no, ma per il quieto vivere annuisce e mormora un “certamente” – per fortuna che Hiroshi, che è un angelo disceso dal cielo per essere la sua salvezza oltre che il suo sostegno morale, ha l’ufficio esattamente di fronte al suo e con le porte aperte riesce a sentire cosa ha detto Al Pacino e allora le manda un link a un articolo di giornale:

 

 

CEO DELLA KANEDA INTERPRISES ACCUSATO DI VIOLENZA SESSUALE

Dopo l’allontanamento della moglie e la richiesta di divorzio, 15 denunce per il magnate dell’industria siderurgica

 

Hiroshi > Non ringraziarmi.

 

Sgrana gli occhi, capendo perché Al Pacino si trova lì.

-Credo che lei sia a conoscenza delle terribili calunnie e le insensate ingiurie che mi sono state rivolte, signorina Kobayashi.- continua l’uomo, stravaccandosi sulla sedia di fronte alla sua scrivania come se fosse una sorta di padrone del mondo. Come fa a trattenere la voglia matta di spaccargli la faccia, Izumi non lo sa. Annuisce, invitandolo a proseguire, sperando che faccia in fretta ad arrivare al punto. –Per questo sono qui. Vorrei che fosse lei, a rappresentarmi nel processo per diffamazione. È la migliore, e la rispetto moltissimo, signorina. Sarebbe un onore, per me.-

-Purtroppo in queste ultime settimana sono stata… molto impegnata, quindi non ho seguito attentamente la vicenda.- si forza di restare il più rilassata possibile, quando in realtà vorrebbe spedirlo fuori dal suo ufficio a calci. –Se vuole darmi qualche informazione in più… -

Sembra lo abbia appena invitato a nozze, dalla luce che Izumi vede nei suoi occhi, mentre si raddrizza sulla poltrona. –Quella put… Quell’ingrata di mia moglie, ecco cosa è successo! Mi ha denunciato per violenza! Dopo tutto quello che ha fatto per lei! E quelle altre in azienda hanno approfittato del momento e le sono andate dietro. Ma si rende conto, signorina Kobayashi? Dopo tutto quello che una persona fa per loro!-

La reazione di Al Pacino la lascia sbigottita e senza parole, per tutta la veemenza usata soprattutto per ribadire quanto in realtà sia un benefattore caritatevole, un santo insomma, ingiustamente accusato da un’orda di streghe senza scrupoli che meritano soltanto il rogo.

 

Hiroshi > Ricordati che l’omicidio è un reato, ma se vuoi sappi che so come e dove sbarazzarmi di un cadavere.

 

Hiroshi, qualcuno lo benedica.

-Continuo a non capire perché lei sia qui, signor Kaneda.- “Perché questo tizio non è ancora dietro le sbarre? Qualcuno me lo può spiegare, per cortesia?”

-Gliel’ho detto, signorina Kobayashi.- ugh, il tono melenso lo rende ancora più viscido. –Perché lei è la migliore. Non mi fiderei di nessun altro.-

-E sono onorata di sentirlo, ma non credo di essere la persona giusta per difenderla.- ribatte lei, pregando che qualcuno venga a salvarla prima che usi il tagliacarte in modo improprio. –Credo ci siano altri miei colleghi molto più preparati di me e… -

-Ma nessuno di loro, signorina Kobayashi, è riuscito a far scagionare il traditore della UA.-

Oh no, questo non doveva dirlo.

-Perché Kaminari Denki era innocente.- sibila, guardandolo compiaciuta mentre lo vede ritirarsi sulla sua poltrona per l’improvviso cambio di tono nella sua voce. –E se lei ha qualcosa in contrario su quella sentenza, le ricordo che la porta è alle sue spalle.-

Al Pacino alza le mani. –Credo che avremo due idee discordanti su quel caso, signorina Kobayashi, e rispetto la sua posizione... -

-E allora se la rispetta le chiedo di tacere, prima che la accompagni alla porta non molto gentilmente.-

-…tornando a noi.- come sviare un discorso, di certo lui lo sa fare molto bene. –Quant’è la sua parcella, signorina Kobayashi?-

-Co… come, scusi?- balbetta, allibita, mentre lo osserva tirare fuori dal portafogli un libretto di assegni.

-Le ho chiesto quant’è la sua parcella, signorina. Le offro il doppio, il triplo, quello che vuole, se lei mi assicura che mi farà uscire pulito da questa storia.-

 

Hiroshi > Stai calma

Hiroshi > Non fare scemenze.

Hiroshi > Ho chiamato il capo, stiamo arrivando.

 

-…quindi mi sta implicitamente dicendo che le denunce sono fondate.- sibila, i pugni così stretti da conficcarsi le unghie nei palmi.

-Non lo negherò, in fondo è giusto che almeno il mio avvocato sappia la veri… -

-Fuori.-

-Come?-

-Ho detto fuori.- lentamente si alza in piedi e allunga un braccio, indicando la porta. –Se la vedo ancora una volta qui, dovrà anche fare i conti con una denuncia per corruzione.-

-Ma come si permette?!-

-La pregherei di andarsene, signor Kaneda, o la denuncia per corruzione sarà l’ultimo dei suoi problemi.- la voce baritonale del capo fa sobbalzare Al Pacino, che immediatamente inizia a sciorinare una sequela incomprensibile di improperi e minacce, rivolte a chi Izumi non lo vuole sapere. Si lascia ricadere esausta sulla sua poltrona, appoggiando la testa sul piano della scrivania.

-Le ho portato una tisana, signorina.- bisbiglia la segretaria del capo, posando la tazza accanto a lei. –Al mirtillo e bella calda, come piace a lei.-

-Grazie, signora Yamada.- mugola, sollevando la testa e iniziando a sorseggiare la bevanda. –Signore, mi spiace per… -

Il capo la zittisce con un cenno del capo. –Non devi preoccuparti, Kobayashi. Io nemmeno volevo che lo incontrassi, ma non sono riuscito a fermarlo.-

-Si è piantato nel suo ufficio e ha detto che non se ne sarebbe andato senza averla vista, signorina.- il tono della signora Yamada è a metà tra il preoccupato e l’esasperato. –Sul serio, certi credono che avere una barca di soldi li permetta di fare quello che vogliono.-

Izumi può solo annuire, bevendo l’ultimo sorso della sua tisana. –Cosa sappiamo della moglie e delle altre donne che hanno denunciato?-

Il suo capo la guarda come se le fosse spuntata una seconda testa. –Ne… Ne sei davvero sicura? Insomma, dopo quello che ha… -

-Certo che sono sicura. Se pensa che mi faccia intimorire per così poco si sbaglia di grosso.-

-Stanno ancora cercando qualcuno con abbastanza palle da tenere testa a te, probabilmente.- ridacchia invece Hiroshi, rimasto in silenzio fino a quel momento. Il capo e la signora Yamada lo guardano confusi. –Che c’è? Sapevo l’avrebbe chiesto, così mi sono portato avanti con il lavoro.-

Izumi sta ghignando. –Sai già cosa devi fare, soldato.-

-Ti giro tutto quanto, compreso il numero della signora.- che bello sapere che qualcuno è sulla sua stessa lunghezza d’onda.

-Voi due sarete la mia rovina.- brontola invece il capo, massaggiandosi le tempie.

–Ma in fondo come farebbe senza di noi, capo?- Izumi ridacchia. –La manteniamo giovane.-

 

 

Inoue Maya, l’ancora si spera per poco signora Kaneda, la accoglie nel suo appartamento all’ultimo piano di un palazzo nella periferia di Tokyo come se fosse una salvatrice, una dea della guerra e della vendetta giunta da lei per eliminare il mostro-Hideyoshi-Al-Pacino.

Ha le lacrime agli occhi quando la accoglie davanti alla porta d’ingresso. –Posso abbracciarla, Izumi? E posso chiamarla Izumi?-

-O… okay… - e in un attimo è stretta tra le braccia magre della donna, che comincia a singhiozzare migliaia di grazie contro la sua spalla.

-Signora, non deve ringraziarmi, davvero… - ricambia l’abbraccio, nonostante l’imbarazzo, cercando di capire il perché di questa reazione.

-Invece sì, Izumi.- mormora la donna, staccandosi e asciugandosi gli occhi prima di invitarla a entrare. –Nessuno avrebbe mai accettato di difendere me e le altre, non contro Hideyoshi e il suo avvocato. E, per favore, mi chiami Maya.-

–Sì, immagino che essere Kaneda Hideyoshi abbia questa influenza sulla gente… Permesso.-

-Non può immaginare quanto, mia cara.- la accompagna nel piccolo salotto, dove del caffè e una cheesecake le attendono sul tavolino basso davanti a due poltrone. –Quando me ne sono andata di casa sono riuscita a tenermi questo appartamento solamente perché intestato a mio padre, o davvero non avrei saputo dove andare. Ma per quanto riguarda i diritti d’autore dei miei lavori… -

-Diritti d’autore?- Izumi si sente molto stupida per non sapere chi sia Maya, ma lei sembra prenderla nonostante tutto abbastanza bene, indicandole i quadri alle pareti mentre prende un vecchio album da disegno dalla libreria di legno chiaro accostata alla parete per porgerglielo.

-Sono un’illustratrice, principalmente di libri per bambini e ragazzi. Questi disegni li ho fatti per un’edizione illustrata delle fiabe dei fratelli Grimm, qualche anno fa.-

-Sono… - Izumi sfoglia l’album a bocca aperta, sbalordita dalla bellezza dei disegni. –Sono stupendi, Maya. Anche i quadri, sono meravigliosi. Quella è una veduta di New York?-

Maya annuisce, occhieggiando verso il disegno appeso alla parete. –Una vista dalla nostra stanza d’albergo, durante un breve soggiorno in America da fidanzati.-

-E lui vuole portarle via tutto questo.- mormora Izumi. –Perché?-

-Per tanti motivi, a dire la verità.- risponde Maya, ingollando un boccone di cheesecake. –Ma principalmente perché ero stufa di essere soltanto la moglie che fa la bella statuina e fa finta di niente, chiudendo gli occhi anche davanti all’evidenza.-

-La tradiva.- non glielo sta davvero chiedendo, ma aspetta comunque che Maya faccia un cenno affermativo con la testa.

-All’inizio non era così, davvero… -

-Maya, non deve difenderlo.- la interrompe, capendo che la donna si sta accusando di essere lei, la causa dei tradimenti del marito.

-Ma è colpa mia.- ribadisce lei. –Quattro gravidanze e quattro aborti spontanei, neppure l’inseminazione in vitro ha funzionato.-

-Questo non gli dà nessun diritto.- Izumi si allunga verso di lei sfiorandole la mano con la punta delle dita. –Mi racconti tutto dall’inizio, Maya. Iniziamo dal principio.-

-È una storia un po’ lunga… -

Izumi le sorride. Si alza e le si siede accanto, stringendole le mani fra le sue. –Abbiamo tutto il tempo.-

 

 

Dopo: venticinque giorni dall’Ora Zero

Ce l’ha fatta, quella mattina ce l’ha fatta a citofonare al campanello – ma appena una voce femminile ha risposto oltre lo stridio metallico dell’apparecchio, Izumi è scappata via, di nuovo. Non ce l’ha fatta ma ha fatto un passo avanti, la rassicura Hiroshi, appena sale in macchina per accompagnarla a casa a sistemarsi prima di tornare da Maya.

-Un passo alla volta, dai.- mormora. –Sono sicuro che Denki non vorrebbe vederti così, vorrebbe anzi che ti concentrassi sul come aiutare Maya a uscire da questa situazione prima che sia troppo tardi.-

-Ci sto provando.- sussurra. –Maya è sicura che ci siano altre dipendenti, in azienda, che potrebbero essere state vittime di violenza, ma hanno troppa paura di parlare.-

Hiroshi annuisce. –Certo, immagino non sia facile per nessuna di loro. Kaneda le tiene in scacco, potrebbe licenziarle tutte da un momento all’altro e rischiare il posto di lavoro con la situazione attuale… -

-Infatti.- Izumi annuisce. –Molte, soprattutto quelle che lavorano negli uffici, sono neo-laureate o comunque molto giovani, vivono da sole e alcune sono anche molto lontane da casa. E di sicuro sono anche molto spaventate.-

-La storia di Maya ti può essere utile per incastrarlo, in qualche modo?- domanda ancora, ingranando la retro e parcheggiando la macchina.

-Beh, sicuramente per il divorzio è utile.- sbuffa, slacciando la cintura. –Insomma, Maya è stata costretta a rinunciare alla sua carriera per essere la moglie di un magnate fedifrago, perché suddetto magnate fedifrago voleva il controllo su tutta la sua vita. Le ha perfino impedito di andare al matrimonio del fratello e di vedere i nipoti, ci rendiamo conto? Per non parlare del fatto che ci guadagna lui dalla vendita delle sue illustrazioni.-

-E dopo che lei ha visto le foto del viaggio di lavoro a Berlino e ha fatto armi e bagagli e se n’è andata, lui le ha bloccato tutte le carte di credito e l’ha lasciata senza un soldo.- Hiroshi sospira, mentre attendono che l’ascensore raggiunga il quarto piano, dove si trova lo studio legale. –Cazzo, mi sto vergognando di essere uomo.-

-Tu non sei un uomo, Hiroshi, sei un angelo.- ribatte lei, uscendo dall’ascensore appena si aprono le porte. –Non paragonarti ai comuni mortali.-

-Signorina!- la signora Yamada corre verso di lei agitando il cordless, dribblando all’ultimo istante il corriere e la sua pila di pacchi. –Signorina Izumi!-

-Signora Yamada, che succede?- Izumi lascia cadere la borsa per sorreggere la donna quando le cade praticamente addosso. –Come mai tutta questa fretta?-

-Una… Una chiamata dall’ospedale… -  ansima la donna, porgendole il cordless. –La… La signora Kaneda… -

 

 

[Prima: tredici minuti all’Ora Zero]

Izumi crede di non aver mai corso così velocemente in vita sua. Non in gonna aderente e tacco dodici, almeno.

Davanti a lei, Hiroshi e Todoroki salgono le rampe di scale quasi volando, mentre alle sue spalle le due ragazze arrancano su per gli scalini – ogni secondo che passa potrebbe costare caro, anche quelli che hanno perso perché imbottigliati nel traffico fuori dall’aeroporto, dopo che Todoroki l’aveva fatta saltare sulla poltrona con la sua telefonata semplice e coincisa.

Sente le gambe che le fanno male ma si sforza di continuare a salire gli scalini due per volta, perché Denki ha bisogno di lei.

Ora più che mai.

 

 

Il corridoio del reparto di lungo degenza è stranamente silenzioso, rotto soltanto dal lieve ticchettio dei suoi tacchi sul linoleum – le hanno detto che sta bene, che poteva andarle molto peggio, ma preferisce vederla di persona prima di decidere come agire. Quando la fanno entrare, i capelli scuri di Maya risaltano in modo maledettamente magnifico in tutto quel bianco asettico e malato.

-Buongiorno, Izumi.- sussurra la donna, cercando di sorriderle.

Izumi si siede sullo sgabello accanto al letto e le sfiora il braccio, a qualche centimetro dalla flebo. -Che cosa è successo, Maya?-

-Ero… - Maya si lecca le labbra secche e prende un profondo respiro. –Mi ha chiamata, ieri sera. Hideyoshi, dico. Mi ha chiamata e mi ha detto che voleva vedermi per discutere di alcune cose.-

-Maya, non mi dica che è andata da lui sola.-

-Non credevo volesse farmi del male.- ribatte lei. –E in effetti all’inizio siamo riusciti a parlare come due adulti, sa, senza alzare la voce e urlare… Poi… -

-Poi è scattato qualcosa.- Maya può solo annuire. –Cosa? Cosa è scattato, Maya?-

-Io… Io non lo so. È successo tutto così in fretta… -

-Faccia uno sforzo, per favore.-

-Stavamo parlando dei diritti dei miei lavori e… Gli ho detto che li rivolevo, volevo essere io a gestire quegli ingressi… E lui ha iniziato a sbraitare, a dire che senza di lui io non saprei gestire nemmeno i soldi per la spesa.- Maya si ferma qualche istante, cercando di riordinare le idee. –Io gli ho detto che non è vero, visto che se l’azienda è prossima alla bancarotta è per colpa sua e… -

-L’azienda è prossima alla bancarotta?- perché nessuno l’ha detto? –Okay, questo al momento non è importante. Continui, Maya.-

-Non lo so… Ha detto che devo vergognarmi, che devo ritirare la richiesta di divorzio e far ritirare le denunce, o… Non lo so, ci ha minacciate, mi ha minacciata.-

-Maya… -

-Gli ho detto che non ho paura di lui, che riuscirò ad avere il divorzio e fargliela pagare per tutto quello che ha fatto, perché adesso ho lei dalla mia parte. Poi non mi ricordo più niente.-

Izumi è costretta a chiudere gli occhi una manciata di secondi per riprendere il controllo di sé, prima di parlare. –Non so di preciso come sia andata, Maya, ma dal bollettino medico sono sicura che l’abbia picchiata.-

Maya annuisce. –Quanto sono messa male? Nessuno ha voluto dirmelo… -

-Tutto sommato non ci vorrà molto per guarire, ma ho paura di quello che potrà lasciare nella sua mente.-

-Niente, credo.- ribatte la donna, socchiudendo gli occhi. –Forse questo ha cancellato anche gli unici ricordi belli che avevo di noi.-

Izumi le stringe la mano, più forte che può ma senza farle male. –Glielo prometto, Maya, gli faremo vedere che non abbiamo paura di lui.-

 

 

[Prima: due giorni all’Ora Zero]

-Hai mai avuto paura di non farcela, Izumi?- domanda Denki, mescolando il mazzo di carte.

-Oh, ho passato la vita ad avere paura di non farcela.- ribatte lei. –Sai, quando sei una Quirkless che vorrebbe cambiare il mondo, hai praticamente gli sguardi pietosi di tutti addosso. Senti una pressione che… Nemmeno saprei quantificarla.-

Denki annuisce, distribuendo le carte. –Ho paura di non farcela, Izumi.-

-In che senso?-

-Ho paura che, anche una volta uscito da qui, non smetterò mai di essere il traditore.- gli occhi gialli di Denki sono opachi, senza luce. La spaventano. –Ho paura che in qualche modo cercherei la fine, anche una volta risolto tutto.-

 

 

Dopo: un mese dall’Ora Zero

Alla fine, dopo un mese di tentativi fallimentari e ripensamenti dell’ultimo minuto, l’incontro con la mamma di Denki questa volta non può evitarlo: è la donna ad andare da lei e Izumi vorrebbe nascondersi nel ripostiglio delle scope per non farsi trovare - ma lo sguardo accigliato di Hiroshi le mette più paura del parlare con lei e allora prende un bel respiro, raccoglie quel poco di coraggio che ancora le rimane e la raggiunge al tavolino del bar al primo piano dell’edificio.

Kaminari Naomi è una donna bellissima e Denki le assomigliava tantissimo: il colore dei capelli e il taglio degli occhi è lo stesso, esattamente lo stesso, e per un attimo Izumi ha creduto ci fosse Denki seduto a quel tavolino. Perfetto, vorrebbe piangere e non si è nemmeno avvicinata, fantastico.

La donna la nota e si volta, sorridendole senza il minimo segno di rancore, invitandola ad accomodarsi. Izumi tentenna un attimo, prima di sedersi sull’altra sedia.

-Salve… - mormora, senza nemmeno riuscire a guardarla. –Io… Signora Kaminari, io non so nemmeno come scusarmi per non essere riuscita a fare niente per suo figlio… !-

-Io la perdono.- la voce della signora Kaminari, per quanto diversa possa essere, ha la stessa cadenza di quella di suo figlio e cristo, fa ancora più male. –Signorina Kobayashi, io non potrei mai essere arrabbiata con lei.-

Izumi si azzarda ad alzare lo sguardo dal tavolino: sul viso della donna non vede altro che un sorriso sereno. –Perché?-

-Perché so che ha fatto tutto quello che era in suo potere per aiutarlo, anche dopo che l’hanno giustiziato.- la signora Kaminari chiude gli occhi, giungendo le mani davanti a sé. –Se devo davvero essere arrabbiata con qualcuno, lo sarei con una giustizia che non ha voluto ascoltarla, signorina, di certo non con lei.-

E Izumi questa volta non riesce a trattenersi, scoppia a piangere, ancora, ma questa volta di sollievo, sentendosi finalmente un poco più leggera, senza quel macigno che le schiacciava il petto e le toglieva il fiato e il sonno la notte.

 

Quando ritorna nel suo ufficio, Hiroshi ha un ghigno da un orecchio all’altro.

-Ben tornata in carreggiata, tigre.- esclama, porgendole il palmo. –Ora stendiamo quello stronzo.-

Izumi batte con forza il palmo contro quello del collega. –Facciamogli vedere di cosa siamo capaci.-

 

 

Dopo: cinquantatré giorni dall’Ora Zero

A darle il benvenuto nel locale sono luci soffuse e musica jazz, che rendono tutto un perfetto mix di classicità ed eleganza. Alle pareti le nuove illustrazioni di Maya, pieni di colori e di vivacità, si mescolano con quelli più datati, dai toni più scuri e cupi ma pieni di speranza.

E Maya, oddio. Maya è più bella di una stella con quel vestito bordeaux, circondata da decine di persone meravigliate dal suo lavoro. Izumi non può che essere fiera di lei, del suo percorso e della sua nuova vita, finalmente libera dall’ombra scura dell’ex marito.

-Izumi!- esclama quando la nota, sorridendo. –Signori, vorrei presentarvi la persona che ha reso possibile tutto questo… Izumi, venga qui.-

-Io non ho reso possibile proprio niente, Maya.- ribatte, avvicinandosi comunque e salutando gli ospiti. –Ho fatto solo il mio lavoro, il resto è soltanto merito suo.-

-Così è lei la famosa avvocatessa di cui Maya non smette di parlare.- ridacchia un uomo con una ridicolissima cravatta a pois arancioni, porgendole la mano in segno di saluto. –Grazie per averla aiutata, signorina. Senza di lei non avremmo mai scoperto il talento di questa fantastica artista.-

-Ripeto, io ho fatto solo il mio lavoro.- si sente arrossire, mentre Maya la trascina via prima che diventi insostenibile.

-Sono contenta di vederla, Izumi.- esclama Maya, prendendola sottobraccio. –Mi fa piacere che sia riuscita a passare.-

-Non potevo mancare, Maya, non alla sua prima mostra.- la donna le stringe una mano nella sua, sorridendo emozionata. –Sono contenta di vedere che stia meglio, comunque. Sembra rinata.-

-Mi sento rinata, da quando ho avuto il divorzio e Hideyoshi è stato arrestato.- Maya annuisce ed Izumi non può non sentirsi un poco orgogliosa di essere stata parte integrante di questa rinascita. Non soltanto per Maya, ma anche per tutte le altre donne coinvolte nella vicenda, che finalmente hanno avuto la loro giustizia – certo, questo non farà dimenticare a nessuna il dolore che hanno passato, ma Izumi spera che le aiuti ad andare avanti, più forti di prima e più unite. Sa che alcune di loro si sono licenziate e adesso lavorano insieme a Maya in un progetto di moda e desing di cui Izumi non vede l’ora di vedere i primi frutti, mentre altre hanno deciso di restare in azienda.

L’azienda che alla fine è arrivata prossima al fallimento, lasciando Al Pacino sul lastrico e con beghe legali fino alla fine dei suoi giorni, ma grazie all’intervento del figlio di un ex manager licenziato dal padre di Al Pacino sembra che si stia risollevando. Ma quello adesso non è più un suo problema: se ne occuperanno altri avvocati e altri studi legali, adesso Izumi può permettersi di prendersi una pausa e pensare un po’ a se stessa.

Il pomeriggio prosegue tranquillo e le dispiace davvero un sacco dover salutare Maya e lasciarla con la promessa di rivedersi presto nel nuovo appartamento di lei, con una bella cheesecake che ormai è diventato il loro rituale, ma deve proprio andare.

 

 

[Prima: dodici giorni all’Ora Zero]

-Eeee ho vinto di nuovo.- sentenzia Denki, prendendo le carte per mescolarle di nuovo. –A quanto siamo? Tredici vittorie per me?-

-Stai barando.-

-Assolutamente no, Izumi.- Denki alza le mani. –Non oserei mai.-

-Ugh, non è possibile… - l’avvocato abbandona la testa sul tavolo, sconfortata, e Denki scoppia a ridere. -Riuscirò a batterti, Kaminari Denki! Arriverà il giorno in cui sarò io a vincere!-

Denki ha un sorriso strano, Izumi non riesce a decifrarlo. -Oh, non ne dubito.-

 

 

Vicino al locale che Maya ha affittato per la mostra c’è una pasticceria artigianale che fa una millefoglie da sogno - o almeno così ha detto la signora Yamada, ma Izumi si fida dei consigli della segretaria del capo e allora parte alla ricerca di suddetta pasticceria, trovandola piuttosto facilmente.

Un’insegna al neon di un cupcake gigante di certo non passa inosservata.

Il locale è piccolino, con muri dai toni pastello pieni di foto di una signora con una lunga treccia di capelli scuri che decora torta e dolci e un ragazzo con il viso sporco di glassa e zucchero a velo che costruisce una statua di cioccolato.

Nell’espositore ci sono dolci di ogni tipo, dai classici muffin alle ciambelle a torte elaborate e decorate, ma Izumi ha una missione.

-Una fetta di chiffon cake, per favore. Da portare via.- il ragazzino dall’altro lato dell’espositore le sorride, prendendo una scatola di carta e la torta. –E sa per caso indicarmi se c’è un fioraio, qui vicino?-

E così, con la fetta di torta dentro la sua scatola in una mano e un mazzetto di fiori nell’altra, Izumi raggiunge il cimitero che ormai sta iniziando a tramontare. Sa dove si trova la tomba di Denki perché gliel’ha detto sua madre, ma i suoi sensi di colpa le hanno sempre impedito di avvicinarsi o anche solo saperne la collocazione nonostante vada a visitare la nonna almeno una volta al mese.

-Ciao, Denki.- posa il mazzetto di fiori accanto alla lapide, poi si siede sull’erba fresca. –Ci sono un po’ di cose che volevo dirti… Non sono qui solo per scusarmi, in fondo sono una codarda con la coda di paglia e non sono mai venuta a trovarti.-

–Ho parlato con tua mamma, un po’ di tempo fa.- apre la scatola e prende la fetta di chiffon cake, tagliandole un pezzetto. –Era da un po’ che ci provavo, ma non ne ho mai avuto il coraggio… Alla fine è stata lei a venire da me, e non sai quanto avessi bisogno che qualcuno mi dicesse che quello che ti è successo non è stata tutta colpa mia.-

La torta è veramente buonissima, nonostante Izumi non sia un’amante di quel genere di dolci, le piacerebbe davvero che Denki potesse assaggiarla.

-Avrei voluto fare molto di più per te, Denki, darti il futuro che meritavi.- posa il piattino di carta ormai vuoto sulle gambe e solleva gli occhi sulla lapide, focalizzandosi sulle lettere. –Mi dispiace tanto, spero tu possa perdonarmi… -

-Sono sicura che l’abbia già fatto.- Izumi sobbalza, voltandosi di scatto: Kyouka è proprio dietro di lei, le mani affondate nelle tasche del giubbotto di jeans, e le sta sorridendo. –Lei ha fatto tutto il possibile, Izumi. Denki non potrebbe mai incolparla.-

Izumi fa una smorfia, a metà tra un sorriso e un movimento stizzito delle labbra. –Non lo so… Insomma, ho davvero fatto tutto quello che potevo?-

-Io sono convinta di sì. E la ringrazio per non essersi arresa.- Kyouka le porge la mano, aiutandola ad alzarsi.

Izumi afferra quella mano e si tira su, guardando ancora la lapide; Kyouka non smette di sorriderle e quel sorriso la contagia in qualche modo. Si sente meglio, almeno un poco. –Ti va un caffè? Facciamo due chiacchiere e mi racconti come sta andando. Ho saputo che stai aiutando i tuoi genitori con la casa discografica.-

Kyouka annuisce, affiancandola. –C’è un bar non molto lontano da qui, è il mio posto preferito. Hanno anche le carte, potremmo fare una partita.-

Izumi ride. –Questo mi ricorda che riuscita a battere Denki solo una volta… –

-Oh, io nemmeno una.-

-Davvero?!-

-Davvero!- insiste Kyouka, ridendo. –Era il migliore, dopotutto!-

 

 

[Prima: tre giorni all’Ora Zero]

Izumi non ci crede. Non può davvero crederci.

-Ho una Scala Reale. HO UNA SCALA REALE!- strilla, sbattendo le carte sul tavolo.

-E io ho solo un Full.- Denki si arrende, mostrando le carte. –Visto? Sei riuscita a battermi.-

-Segnate questo giorno sui calendari! Dichiaratelo festa nazionale!- Denki scoppia a ridere per il suo entusiasmo. –Ho battuto Denki!-

-E se sei riuscita a battere me, niente e nessuno ti potrà fermare davvero.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

D.D.P.: Deliri Da Pianto

Ho sistemato questo capitolo ascoltando un sacco di canzoni tristi, se volete farvi del male vi lascio qui la playlist con quelle che ho ascoltato più spesso: https://www.youtube.com/playlist?list=PLEkggEAfY4rye4Eylk3otI7cOW8jyxjcj

[vorrei fare un playlist su spotify ma gh, idk]

 

Detto questo, evviva, finalmente il primo di questa serie di dlc (cit.) vede la luce dopo… troppo, decisamente troppo tempo.

Sono imperdonabile, dovrei essere bruciata in pubblica piazza.

Ma, sapete, tutte le volte che provavo a scrivere due righe mi vedevo Ryu con i suoi occhioni pieni di lacrime che piagnucolava che mi stavo scordando di lui.

Ora Ryu ha concluso la sua storia e io sono potuta tornare da Izumi, che tanto è abbastanza grande per cavarsela da sola.

Questo capitolo è stato un parto, come tutta la long in effetti, ma sono tutto sommato soddisfatta di come è uscito.

Sono contenta del… 60% di questo capitolo, per svariati motivi. Uno fra tutti è che ho avuto la possibilità di ficcarci in mezzo la mamma di Kaminari – che si chiama Naomi perché a) è il nome della nipote della mia vicina di casa, una bimbetta adorabile e b) perché è il nome copertura della protagonista di Gemini Radio di BluAvis, storia che ho amato come tutte le altre e per cui sto preparando una recensione. Perché se la merita.

 

E come sempre grazie per essere passati e aver dedicato un po’ di tempo a questo mezzo schifo! Se vi va lasciatemi un commentino, mi interessano sempre un sacco le vostre opinioni.

Noi ci rivediamo alla prossima!

Maki

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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