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Autore: Smaug The Great    31/03/2020    9 recensioni
|INTERATTIVA| The Umbrella Academy AU|ISCRIZIONI APERTE FINO AL 8/12
L'Umbrella Academy è stata, per cinque gloriosi anni, la squadra anti-crimine del mondo magico: un gruppo di bambini prodigio, baciati dal destino e dotati di abilità magiche fuori dall'ordinario, messi al servizio della giustizia da un padre celeberrimo. Padre adottivo, in realtà. Perché i nove ragazzini dell'Umbrella Academy sono nati nello stesso momento ma in posti differenti e sono, soprattutto, frutto di una profezia centenaria che ne decantava la lotta contro il male magico. E per cinque anni, dai dodici fino al diploma a Hogwarts, è stato così.
Poi i bambini sono cresciuti e l'Accademia si è disgregata, crollata dall'interno per le più svariate ragioni. A distanza di otto anni, si riunisce per il funerale dell'uomo più celebre ed enigmatico del Mondo Magico. Octavius Cleremont è morto, solo e in una stanza di ospedale, delirando su nemici invisibili che volevano la sua testa.
E ora, mentre i suoi figli si ritrovano dopo anni e si incastrano nel puzzle della sua morte, i nemici brindano sulla sua tomba e tornano a complottare nell'ombra.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo II
Cuori in rovina



«L'amore è come un albero: spunta da sé, getta profondamente le radici in tutto il nostro essere,
e continua a verdeggiare anche sopra un cuore in rovina
»
Notre-Dame de Paris





8 Giugno 2009, Londra, Umbrella Academy
«Non se ne parla, Numero Otto» il tono di Octavius Cleremont, autoritario e rigido, non ammetteva repliche.
E, d'altra parte, nessuno dei suoi figli avrebbe osato replicare difronte a quel modo di fare, alla mascella serrata e allo sguardo severo del loro padre e addestratore. Beh, quasi nessuno. Esmeralda era sempre stata un'eccezione.
«Ma papà!
» la ragazzina dall'altra parte della scrivania, con i lunghi capelli mossi e gli occhi neri da gatta, avrebbe potuto essere una bambolina deliziosa, se solo avesse imparato a ubbidire 
«Posso fare molto di più!»
«Ti ho già detto» replicò ancora Octavius, con un'infinita pazienza che in realtà stava giusto per finire «che il tuo posto è dietro le quinte e che lì rimarrà. Se i tuoi compagni saranno feriti alla fine della missione, sarà tuo onore e dovere guarirli e, se ci saranno feriti, potrai decidere se aiutare i medimagi o no. Ma non ti è concesso» soggiunse, con un'autorità che avrebbe spaventato chiunque «di entrare in azione»
«Tu mi stai limitando!» fu la viva protesta di sua figlia «Il professor Vitious dice che ho un grande talento con la magia e che potrei fare grandi cose, se ne avessi la possibilità!»
«Il professor Vitious non è il tuo responsabile e vorrei ricordarti che quelli che i tuoi fratelli affrontano sono avversari già dotati di magia, Numero Otto. Il meglio che puoi fare» stabilì «è usare i tuoi poteri di cura, piuttosto che quelli di autoguarigione. Lo dico per il tuo bene» aggiunse poi, in un tono più morbido «Non sappiamo con precisione come funziona la tua capacità rigeneratrice e non sei ancora pronta per testarla»
«Certo che lo sono!» Esmeralda strinse le mani in pugni e aggrottò la fronte, evidentemente contrariata «Solo perché tu non credi che sia forte come gli altri, non significa che io non lo sia! Rigel» incespicò per un momento nelle sue stesse parole, incerta se tirare in ballo o meno suo fratello.
«Cos'ha detto Numero Uno?»
«Rigel dice che sono pronta, papà» rispose lei «E dice anche che potrei essere un grande aiuto per la squadra! Pensi che lo direbbe senza cognizione di causa, a rischio di farmi rovinare la missione?»
«Sono certo che Numero Uno abbia le migliori intenzioni» le accreditò Octavius «ma anche lui è un ragazzino e anche lui, come te, non è in grado di giudicare la gravità delle possibili ripercussioni»
«Non mi importa!» Esmeralda scattò in piedi. La sedia si rovesciò dietro di lei, le sue belle onde nere le ricaddero sul volto «Tu non capisci cosa significa per me, restare sempre in panchina mentre i miei fratelli si prendono tutta la gloria, stare a guardare quando muoio dalla voglia di mettermi in gioco! E non lo capirai mai» urlò, esasperata «perché nessuno ti ha mai dato ordini!»
«Numero Otto» Cleremont Senior le rivolse uno sguardo incredibilmente calmo, per uno che cerca di ragionare con un'adolescente avventata «Numero Otto, siediti e datti un contegno. Non accetterò un comportamento tanto infantile da parte tua, perché so che sei la più matura di tutti nell'accademia. Fammi il favore di ricomporti e parliamone civilmente»
A Esmeralda prudevano ancora le mani, ma per qualche ragione fece come le era stato detto. E nel momento stesso in cui risollevò la sedia e vi si sedette, seppe anche di aver fatto un passo indietro e di star per perdere; d'altronde con suo padre era sempre così. Cercava di imporsi con la forza. Poi, se la tattica falliva, ricorreva alla diplomazia. La coglieva in quel nervo scoperto che era il suo orgoglio. E come poteva lei comportarsi come una ragazzina, battere i piedi a terra e fare i capricci, quando suo padre le aveva appena fatto un complimento? Quando suo padre, dall'altro del suo trono di gloria ed esperienza, l'aveva chiamata "matura"?
«Fin'ora il tuo addestramento si è concentrato prettamente sul tuo innato potere di guarigione» le spiegò «con il quale abbiamo fatto grandi progressi nello scorso anno. So anche, come mi ha accennato Numero Uno, che possiedi capacità di rigenerazione iperbolica»
«Stavo dicendo esattamente questo» si permise di dire, a occhi bassi ma in tono di accusa.
«E io ti sto rispondendo» continuò Octavius, con calma «che ne sono a conoscenza e che trovo questa tua ulteriore abilità straordinaria. Al contempo, però, non posso permetterti di prendere parte alle missioni di questa stagione perché, come tu ben sai» cercò il suo sguardo e lo trovò non più aggressivo ma coscienzioso «ci vuole tempo per studiare una capacità oltre-magica e non si può assolutamente svilupparla sul campo»
Esmeralda si mosse, a disagio, sulla sedia «Ma io-»
«Lasciami finire, Numero Otto» la interruppe subito suo padre «Se questo è ciò che desideri, quest'estate inizierai un addestramento mirato all'incremento dei tuoi tempi di rigenerazione e allo sviluppo di abilità di combattimento non-magico, cosicché per stagione autunnale sarai in grado di scendere in missione e rendermi orgoglioso» si abbandonò a un sospiro stanco «Devi pensare razionalmente, Numero Otto. L'Umbrella Academy non può permettersi di far scendere in campo mezzi combattenti, soprattutto se si tratta di soldati forti come te, che in futuro sapranno dare un notevole contributo alla squadra. Capisci?»
«Sì» concesse lei «Capisco, papà»
«Eccola qui» Octavius si rilassò e le rivolse un sorriso «la mia Esmeralda»
A Numero Otto balzò il cuore nel petto, sgranò gli occhi e guardò suo padre come si guarda uno spettacolo apocalittico, un fenomeno millenario. Si potevano contare sulle dita di una mano le volte il cui l'aveva chiamata con quel nome che lei stessa si era scelta e ancor di meno erano quelle in cui si era rivolto direttamente a lei con quel nome.
Es-me-ràl-da. Un fonema semplicissimo, dolce nella sua emme ed elle, forte tra la erre e la di. Neanche ricordava perché l'avesse scelto, o forse sì. Ma certo che lo ricordava. Era in uno dei libri di suo padre, di quelli vecchi, scritti in un lessico complicato e pieno di termini strani che l'avevano subito affascinata. Una volta, quand'era piccola, aveva trovato a notte fonda papà seduto in poltrona a leggere, accompagnato dal bagliore del camino. Gli aveva chiesto cosa fosse -già da bambina, Esme aveva amato perdersi nella lettura e sapere che anche a papà piacevano i libri la rendeva orgogliosa- e lui le aveva risposto semplicemente che quella era la storia di una ragazza coraggiosa, un bagliore di luce in un mondo che si era rivelato tanto buio. Le era piaciuto il suono. E quando, qualche anno dopo, le avevano chiesto come si volesse chiamare, non aveva avuto dubbi sulla scelta.
Numero Otto. Esmeralda Cleremont. A suo padre apparteneva il cognome che aveva, suo era l'appellativo che aveva in squadra e naturalmente sarebbe stato suo anche il nome da lei scelto.
Le venne naturale sorridere «Scusami, se sono stata impulsiva»
«E' naturale che tu lo sia» fu la risposta «Ora va', i tuoi compagni ti staranno aspettando»
Lei annuì, si alzò e corse a raggiungere i suoi fratelli nell'ora di tempo libero pre addestramento serale.
Le parve stupida tutta quella lite che aveva tirato su in un momento di avventatezza e ancora più sciocca la rabbia che aveva provato verso Octavius, quando le aveva negato il permesso di andare in missione. Si preoccupava per lei, era giusto che non volesse che si facesse male per sbaglio. E lei stessa, d'altra parte, aveva già dimenticato i preamboli di quella discussione, l'ingiustizia sociale di cui le pareva di essere vittima, la gelosia verso i suoi fratelli, la voglia di mettersi in gioco. Aveva in testa tutt'altro.
Papà l'aveva chiamata "la mia Esmeralda".

 


 
21 Dicembre 2020, mattina, Londra, periferie
«Prima di cominciare» Elijah si schiarì la voce con fare imperioso «Vorrei chiarire alcune cose»
Alla fine, era arrivato. Con ventidue minuti di ritardo, come aveva precisato seccamente Kasumi, però era arrivato. E, grazie al cielo, non aveva perso tempo. Li aveva condotti, tramite una passaporta, in quello che sembrava uno scantinato: un luogo buio e soffocante, illuminato forse dalla luce balbuziente del led, con pareti alte e incrostate di ruggine e muffa. Al confronto, la gelateria dei Fortebraccio sembrava il giardino dell'Eden. Si erano seduti, in rigoroso silenzio, a un vecchio tavolo di legno e per i seguenti cinque minuti lo Zar li aveva scrutati con interesse, come se solo guardandoli potesse saggiarne la lealtà. Loro naturalmente non avevano aperto bocca, nonostante quello fosse uno dei tanti comportamenti ambigui del loro leader.
Quando la situazione aveva iniziato a farsi imbarazzante, finalmente Kasumi -perché i suoi compagni non avrebbero mai avuto l'ardire di farlo- aveva tossicchiato con una certa eloquenza ed Elijah aveva iniziato a parlare.
Nasheeta, tra tutti, era forse quella più entusiasta. D'altronde l'assassinio di Octavius Cleremont era il suo primo grande incarico e nella prima parte della missione aveva fatto ben poco, oltre che interpretare il misero ruolo di un'infermiera di mezz'età. Il resto lo avevano fatto tutto i suoi compagni, essendo loro immensamente più esperti di lei. Lo Zar era praticamente una leggenda nell'Ordine, una storia di fantasmi con le ossa, e ancora la metteva in soggezione avercelo attorno, parlarci; di lui si diceva fosse un membro storico dei cavalieri e che fosse dietro a importantissimi eventi storici, come la rapina della sede Gringott in Turchia, il suicidio dell'ex primo ministro magico francese e la cupa sparizione di alcuni membri del Wizengamot.
Kasumi, d'altra parte, era decisamente più discreta, seppur estremamente abile nel suo lavoro. Come aveva avuto modo di capire nei mesi precedenti, la Kitsune era un mastino, un segugio, maestra nell'arte del nascondersi e del rintracciare, scassinatrice di lega ben superiore a un comune Bilbo Beggins. Era stata lei ad aprire gli archivi blindati del governo inglese che riguardavano le attività illecite di Cleremont Senior e suo era il merito dell'infiltramento a notte fonda nella villa di Rosewood. Più la conosceva, più sperava un giorno di arrivare dov'era lei: temuta e stimata. E anche Gideon Reed, che a prima impressione era solo un pallone gonfiato, era uno dei giovani membri più promettenti dell'intero Ordine, con valanghe di lavori portati eccellentemente a termine. Di solito, più che altro grazie alle sue straordinarie abilità, lavorava da solo e si occupava di incarichi variamente difficoltosi che poi finivano regolarmente in prima pagina. Insomma, di tutto il Reggimento, Nasheeta era sicuramente la più inesperta e la più nuova in quel mondo così oscuro. Per questo motivo, pur confidente delle proprie capacità di metamorphomaga, si sentiva sempre un po' inferiore rispetto ai suoi compagni e, di conseguenza, pendeva costantemente dalle loro labbra, sperando di apprendere il più possibile.
Quanto alla seconda parte della missione, non dubitava che sarebbe stata tremendamente difficile e che avrebbero dovuto affrontare ostacoli non indifferenti. Ma questo non la rendeva meno entusiasta all'idea di mettersi alla prova e di mostrare quanto valesse. Anche ora, mentre tutti parevano essere pronti per un funerale, lei a stento riusciva a soffocare un sorrisetto.
«Eviterò di congratularmi per il lavoro che abbiamo svolto fin'ora» stava dicendo Elijah, con il solito tono neutro «A quello ci penserà l'Ordine. Io mi limiterò a riconoscere che abbiamo compiuto la prima parte dell'incarico egregiamente e soprattutto con discrezione. E pretendo la stessa cosa per quello che stiamo per fare. Ebbene» si schiarì la voce e rivolse ai suoi compagni un'occhiata di sfuggita «mi sembra di aver capito che nessuno vi ha spiegato qual è il fine dell'assassinio di Cleremont»
«Ha qualcosa a che fare con gli affari interni dell'Ordine con il Ministero, se non sbaglio» osservò Gideon.
«Ma... perché?» Nasheeta proprio non riuscì a impedirsi di parlare «Non era un omicidio fine a se stesso? Insomma Cleremont ha fatto un sacco di cose che... insomma-»
«Sfinge» Kasumi le scoccò un'occhiata di silenzioso rimprovero «L'Ordine non fa mai niente di fine a se stesso. C'è sempre una ragione dietro gli incarichi che accettiamo e quelli che rifiutiamo. No, Zar» aggiunse, rivolgendosi all'uomo difronte a lei «non ci sono stati rivelati i dettagli di questa missione»
«Bene, allora cercherò di essere breve» Elijah si lisciò con una mano le pieghe della camicia e si sistemò meglio sulla sedia di metallo vecchio «Diciamo solo che il Signor Cleremont aveva le mani in pasta ovunque. Si adoperava per rendere il mondo magico un posto più sicuro e collaborava regolarmente con il Dipartimento Auror per quanto riguardava gli artefatti magici illegali. Ecco, durante una di queste indagini, nel '93, è venuto a contatto per la prima volta con l'Ordine. Ricordate lo scandalo del furto fallito della bacchetta di Merlino?» tutti annuirono «Il ladro era uno dei nostri. Gli trovarono addosso alcuni filtri illegali per l'invisibilità e chiamarono Cleremont per capire come se li fosse procurati; l'interrogatorio fu più fruttuoso di quanto si aspettassero e l'idiota fece il nome dell'Ordine, portando sciagura e vergogna sul Settimo Reggimento, oltre che costringendoci a istituire la tradizione del voto infrangibile per ogni cavaliere. Naturalmente erano anni bui, quelli, e con il Ministero corrotto e l'Inghilterra in bilico Cleremont non ebbe tempo di pensare ai deliri di un ladro sotto tortura. Negli anni successivi, però, specialmente dopo la battaglia di Hogwarts e la restaurazione del Ministero, Cleremont ha iniziato a scavare e ha scoperto cose che non avrebbe dovuto scoprire» trasse un profondo sospiro e si schiarì ancora una volta la voce «Una spia dal Terzo Reggimento ci ha fatto sapere che il vecchio teneva numerosi quaderni di appunti, uno tra i quali riguardava proprio l'Ordine. Nel 2016 ha provato a denunciarci al Ministero, ma aveva troppe poche prove e un'altra talpa dal Terzo Reggimento ha riferito al Generale che progettava di tornare, con le prove necessarie, in tribunale»
«Quindi è per questo che siamo intervenuti» osservò Kasumi.
«Se Cleremont avesse mostrato a qualcuno le prove» la voce di Elijah si fece ruvida come pietra «per noi sarebbe la fine»
«Quindi l'omicidio di Octav- cioè di Cleremont» intervenne Nasheeta «era soltanto un diversivo per allontanarlo dai documenti?»
«Esatto, Sfinge» rispose Elijah «Come sapete, l'Ordine si sforza di versare meno sangue possibile. Il problema era che Cleremont non si sarebbe mai allontanato da casa, con l'Umbrella Academy incustodita. Quando era costretto ad andar via, lasciava sempre il suo cane da guardia. Numero Uno era solo, ma nessuno ha la piantina dell'accademia e, senza esserci mai stati, non saremmo riusciti a recuperare i documenti e metterlo fuori gioco in modo discreto»
«E ora che differenza ci sarebbe?» protestò Gideon, sopracciglia inarcate e sguardo scettico «Ora non ci sono altri otto fenomeni da baraccone a infestare l'accademia? Non so voi, ma da ché ricordo io quei ragazzini erano macchine da guerra»
«Pazienta, Apollo, e lasciami parlare» lo Zar sospirò ancora e rivolse ai suoi compagni uno sguardo spazientito «Ti ricordo che anche le macchine da guerra fanno la ruggine. Abbiamo degli archivi aggiornati sulle loro vite e sulle loro attuali occupazioni» con un movimento distratto di bacchetta, fece comparire per ciascuno un fascicolo fitto di tutte le informazioni necessarie «e vi posso assicurare che nessuno di loro sarà un problema, se ci giochiamo bene le nostre carte»


 
 
 
21 Dicembre 2020, tardo pomeriggio, Rosewood, Umbrella Academy
Per la gioia immensa (o forse no) dell'intero branco Cleremont, il pomeriggio di quella deprimente domenica dicembrina portò sulla soglia di casa non uno, ma ben due randagi. Gli ultimi rimasti, in verità. E se da una parte furono senz'altro visite inaspettate (dato che, in ritardo e senza aver avvisato, nessuno li attendeva più), dall'altra entrambi sapevano che era doveroso almeno presentarsi per la lettura dell'eredità e la sepoltura del corpo. In ogni caso, il primo fu Numero Tre. Ma, conoscendo Caesar Cleremont, non si sarebbe potuto limitare ad aprire la porta come tutti gli altri; non era mai stato un tipo discreto. Impossibilitato com'era a un'entrata scenografica, si accontentò di sfondare il portone d'ingresso con un calcio e gridare: «Amore! Sono a casa!». A detta sua, una battuta topica e intramontabile. Gli altri l'avrebbero definita "l'ennesimo delirio". Quanto poi al legittimissimo interrogativo su chi fosse amore, più tardi Numero Tre avrebbe risposto che si riferiva chiaramente a Bizzie, l'elfa domestica.
Ben lontano dal concetto di discrezione, richiuse il portone dietro di sé con un altro calcio e iniziò a vagabondare ciecamente per il piano terra, in cerca prima della cucina, poi di una qualsiasi forma di vita. Con la valigia in mano e un'espressione più che spaesata, attraversò l'ampia sala d'ingresso fino a trovarsi in quella che doveva essere la living room dell'accademia e che, paradossalmente, era il posto meno vissuto di tutti. Almeno per quanto ricordasse. Quando vi arrivò, invece, già intenzionato a gettarsi su uno dei divani e rimanere lì fino a sera, trovò il camino acceso e il mormorio lento del pianoforte, sovrastato dalle voci dei suoi fratelli.
Artemis aveva gli occhi puntati su uno spartito polveroso e le mani erranti sui tasti del pianoforte a coda che era appartenuto a loro padre, tanto concentrata che neanche si accorse di lui. Oliver era seduto sulla poltrona accanto al camino e Hillevi era acciambellata sul tappeto, intenta a raccontare una qualche storia che, a giudicare dal lucore negli occhi del fratello, doveva essere parecchio avvincente. Caesar non si sforzò neanche di ascoltare, perso com'era nel guardare. Si appoggiò con una spalla allo stipite della porta e concesse alla sua povera anima qualche altro secondo di pura contemplazione, di quella gioia allo stato brado che non provava da anni e che temeva non fosse più in grado di percepire. Dovette, però, fare qualche rumore, perché all'improvviso Levi alzò lo sguardo su di lui e smise immediatamente di parlare; agli altri due non ci volle molto per rendersi conto della sua presenza.
«Chase!» esclamò Artemis, lasciando perdere completamente la musica.
«Oh, ti prego» la implorò Numero Tre, mentre abbandonava a sé stessa la valigia e avanzava verso il camino «Speravo ci fossimo lasciati alle spalle quel soprannome sei anni fa»
«Si può sapere dov'eri finito?» Oliver lo osservò con un sorriso istintivo buttarsi a peso morto sul divano più grande.
«Non lo vuoi sapere» Caesar si sforzò a malapena di girare la testa per rispondere «Ma è stato stancante»
«Lungi da noi dubitare della tua parola» neanche Hillevi riuscì a impedirsi di sorridere «Non mettiamo in dubbio che il tragitto via bus sia stato sfiancante, ma mi sembra di non vederti da una vita»
«E che vita è stata» le fece eco Oliver «senza il tuo pessimo umorismo e quella musica punk babbana alle tre del mattino»
Artemis si sedette a gambe incrociate accanto a lui «A sua discolpa, lo faceva solo quando papà partiva per lavoro»
«Numero Sette!» Caesar le rivolse uno sguardo scandalizzato «Mi stai forse difendendo contro le accuse infondate di questi lestofanti? Tra l'altro avevo tutte le ragioni per ascoltare i gli Antiflag a quell'ora della notte. Vi siete forse dimenticati che voi vi gettavate nella movida londinese mentre io ero costretto a restare di guardia con Rigel? Dov'è finito il debito eterno nei miei confronti, ingrati?»
«Oh beh, io» gli rispose prontamente Oliver «pensavo di averlo scontato tutte le volte in cui ti ho tirato fuori dai guai»
«E io ricordo che era un debito di gratitudine» soggiunse Levi «Non lo ricordi anche tu, Artemis?»
Sua sorella mise su un'espressione meditabonda e annuì piano «Sì, sì. Direi proprio che era un debito di gratitudine»
Caesar soffocò nel cuscino un urlo esasperato e rimase in quello stato semi-mummificato per qualche secondo «Ma ora parliamo di cose serie» si ricompose velocemente, sedendosi sul divano e sporgendosi verso i suoi fratelli, e rivolse loro lo sguardo più serio che potesse permettersi in quel momento «Come ci smezziamo la casa?»
Numero Sei scosse la testa, ridendo «Sei tremendo»
«Sai, fratellino?» lui sorrise tra sé e sé «Mi è mancato sentirmelo dire»
Oliver si limitò a ricambiare il sorriso, sperando che il suo sguardo parlasse al posto suo. Tra loro due era sempre stato così, d'altronde; non c'era bisogno di belle parole e discorsi strappalacrime, il loro rapporto non ne necessitava affatto. Erano i piccoli gesti -un sorriso di sfuggita, una pacca sulla spalla, una stretta di mano- a dire ciò che nessuno dei due sapeva esprimere.
«Ragazzi» si lagnò Artemis «Così mi fate commuovere!»
«Numero Sette, sono qui da cinque minuti» replicò Caesar «e non vi vedo da sei anni. Mi sembra normale che sia un po' più affettuoso del solito, ma se vuoi posso tornare a prendervi in giro e saltare i convenevoli»
«Io propongo altri cinque minuti di affetto» intervenne Levi, con un sorriso furbesco «e poi ricominci con i nomignoli e le battutacce»
«Beh, se ho solo altri cinque minuti di tempo, mi conviene darmi una mossa. Avanti» si alzò pigramente dal divano e spalancò le braccia «a chi va un po' di sano affetto fraterno?»
Artemis fu la prima ad andargli incontro, borbottando un «mi sei mancato» contro la sua spalla, ma venne seguita a ruota dagli altri due. Caesar, da parte sua, fece con calma. Quando se n'era andato dall'Umbrella Academy, a diciannove anni, l'aveva fatto per assecondare una situazione molto particolare e, soprattutto, senza aspettarsi di dover stare via così tanto tempo. A dir la verità, la sua "missione" non era neppure realmente finita. Si era semplicemente ritirato, non appena saputo della morte di Octavius. Numero Uno lo aveva aggiornato, durante tutti quegli anni, della diaspora dell'accademia e, lontano com'era dalla loro realtà, lui non se l'era mai davvero spiegata. In ogni caso, non aveva serbato rancore per nessuno -o almeno ci aveva provato- e si era limitato a stringere i denti e continuare con il suo incarico, senza guardarsi mai indietro né dubitare di ciò che stava facendo.
Ora, però, ritrovarsi assieme ai suoi fratelli per la prima volta dopo quelli che parevano secoli gli sembrava un sogno.
Una volta riacquisita una distanza dignitosa, disse: «Ma che fine hanno fatto gli altri? Dove sono i festoni, i palloncini, lo champagne? Dov'è la musica? E soprattutto» si guardò intorno con aria confusa «dov'è Bizzie?»
«Diciamo che non sei arrivato proprio nell'happy hour» rispose Levi.
«Ezra ha detto di volere un po' di aria fresca» iniziò a elencare Artemis «Tony è di su in camera sua, Esme è in palestra a fare a pezzi i manichini da...» diede una veloce occhiata all'orologio da polso «quasi due ore, ora che ci faccio caso. Forse sarebbe meglio andare a chiamarla. E, beh, Alexis non è qui e a questo punto non credo che verrà più»
Caesar annuì con gravità «E dov'è Rigel?»
«Io onestamente non l'ho ancora visto» confessò Oliver, con un'espressione preoccupata sul viso «e sono qui da almeno un giorno»
«Se dovessi tirare a indovinare» Levi stese le labbra in un sorriso triste «direi che è nello stesso posto in cui è stato per gli scorsi dieci anni»
«Allora dovrò interrompere le sue meditazioni» Numero Tre si fece scuro in volto «Ho affari urgenti da discutere»
Detto ciò, si tirò su con un sospiro e, senza salutare nessuno o accennare ad altro, uscì di casa e per dirigersi verso il posto che meno aveva sperato di rivedere dell'Umbrella Academy: le cripte.
 
 


 
Quanto a quello che successe nel cimitero di famiglia dei Cleremont, nella cripta buia di cui Rigel aveva fatto il suo tempio e in cui Caesar andò a cercarlo, ne parleremo dopo. Al momento, ci sono affari ancora più urgenti da attendere. Perché mentre Numero Tre avanzava a lunghe falcate verso il giardino, Numero Nove incantava le sue scarpe perché non facessero alcun rumore mentre entrava in casa sua con una cautela che non avrebbe sospettato di possedere.
Perché cercasse di non farsi vedere da nessuno, era tanto misterioso quanto ovvio. Non voleva vedere nessuno.
Alexis Cleremont aveva pregato chiunque lo osservasse dall'alto dei Cieli di non tornare mai più a Rosewood e di non vedere mai più neanche uno dei suoi otto fratelli per così tanto tempo che ora tradire i suoi propositi gli sembrava un crimine contro se stesso. E allora cercava di non fare rumore ed evitava il gradino cigolante delle scale nella silenziosa preghiera che nessuno si accorgesse della sua entrata in scena.
Forse aveva bisogno di stare un po' per conto suo, forse si sarebbe smaterializzato fuori di casa nei successivi quattro secondi o forse no. In realtà non aveva chiaro il perché fosse tornato, né il motivo per cui aveva portato uno zaino con gran parte della sua roba. D'altronde aveva intenzione di andarsene il prima possibile, quindi non ce n'era ragione. Da parte sua, Alexis incolpava la lettera. Quando un paio di giorni prima un gufo reale aveva picchiato indiscretamente il becco contro la finestra della sua camera, nell'appartamento di Helsinki che condivideva con una ragazza babbana, aveva avuto la forte tentazione di ignorarlo e andare avanti con la sua vita. Cosa che, in effetti, aveva provato a fare. Peccato che il gufo avesse in mente ben altro. Alexis era stato costretto a farlo entrare e lasciargli recapitare la sua lettera, prima che il suo insolito postino crepasse il vetro della finestra con il suo beccaccio. E così, si era ritrovato sul letto una busta di un bianco antico e polveroso, con un vistoso stampo in ceralacca rossa e un'elegante "C" intrecciata. Il marchio dei Cleremont, impossibile da dimenticare. E quella, purtroppo, non era neanche la parte peggiore della storia. Il vero problema era giunto non appena l'aveva presa in mano.
Ora, quando Alexis Cleremont a diciassette anni era andato via di casa, aveva anche deciso di abbandonare il mondo magico e inserirsi a tempo pieno in quello babbano. La sua bella bacchetta in legno di carpino e nucleo di crine di unicorno era presto finita sul fondo dello zaino che aveva adibito a valigia e, con il tempo, era riuscito anche a far zittire il pressante mormorio che era il suo potere. Sebbene le sue capacità magiche non si potessero mettere da parte come la bacchetta, con determinazione e olio di gomito -ma poi anche con alcol, droghe più o meno leggere e antidepressivi- aveva imparato a controllarle. C'erano ancora volte in cui gli si parava davanti agli occhi una particolare visione, ma erano casi limitati e comunque non aveva mai preteso di liberarsi in modo permanente della magia.
Di certo, però, non si sarebbe neanche aspettato che il suo dono -come Octavius insisteva nel chiamarlo- prendesse il sopravvento al contatto con la lettera. Eppure non aveva fatto in tempo ad aprire la busta che gli era caduto il velo sugli occhi e per un momento era stato di nuovo a Rosewood, nell'accademia, in quello che era lo studio lucido di cera di Octavius. Ma non aveva visto il suo patrigno scrivere. Era Rigel. Rigel che si portava i capelli indietro con una gesto malfermo, l'inchiostro colante dal calamaio rovesciato. Rigel con una bestemmia tra i denti e occhi grandi e blu e impauriti. Rigel che ricordava forte e gelido e inflessibile, ora alzava il mento per impedirsi di piangere. Rigel che si asciugava stizzosamente le lacrime con il dorso della mano e riprendeva a scrivere. Rigel che fissava per un paio di secondi il foglio, per poi lanciar via la penna con rabbia e abbandonarsi a un pianto silenzioso. Rigel che un tempo gli era sembrato un titano e all'improvviso singhiozzava come un ragazzino.
Se all'inizio Alexis non aveva capito ed era meramente rimasto senza parole, gli era bastato leggere la lettera in sé per spiegarsi con chiarezza il comportamento di suo fratello. Octavius era morto. Numero Uno era solo, nel modo più assoluto, nel luogo che era stato l'emblema della loro unità e che mai avrebbero immaginato potesse diventare così vuoto, a piangere quell'uomo che l'aveva sfruttato fino all'osso per tutta la sua vita e che, al contempo, era stato l'unico punto fermo e l'unico amore che avesse mai conosciuto. Forse era stata la pietà a convincerlo, forse solo la dignità morale. Che ne sapesse lui, poi, di dignità morale, rimaneva un mistero.
Mentre saliva le scale che portavano al secondo piano, nella muta preghiera che nessuno si accorgesse di lui, Alexis stabilì tra sé e sé che era stato quel pensiero a trascinarlo lì, la consapevolezza di non essere l'unico a portare le ferite dell'Umbrella Academy. E chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, dalla riunione improvvisata di tutto il branco. Per il momento, però, poteva benissimo fare a meno della compagnia.
«Alex?»
Come non detto. Alexis sospirò pesantemente e si voltò verso la voce incredula che l'aveva chiamato. Tony, che scendeva in quel momento dal secondo piano, lo guardava con occhi sottili e sospettosi, come se si stesse (giustamente) chiedendo perché suo fratello sembrasse un ladro. Si schiarì la voce e tirò fuori un sorriso che doveva essere tutto meno che felice «Che tu ci creda o no, mi fa piacere vederti»
Tony ricambiò debolmente il sorriso e inarcò le sopracciglia «Dev'essere per questo che hai l'aria di uno che baratterebbe la sua anima per un mantello dell'invisibilità»
«Vuoi davvero biasimarmi?» replicò Numero Nove «Con otto fratelli che non vedo da quasi dieci anni, l'unica cosa di cui non ho bisogno è un'entrata trionfale e una miriade di domande indiscrete su dove e con chi sono stato, cos'ho fatto e perché non ho mandato cartoline di compleanno»
Numero Cinque lo guardò come se cercasse di scavargli dentro «E allora perché sei qui?» 
«Per lo stesso motivo per cui lo sei tu» Alexis strinse la presa sullo zaino e gli rivolse un'occhiata cupa «So che devo»
 



 
21 Dicembre 2020, mattina, Londra, periferie
«Quindi il piano sarebbe introdurci nell'accademia e rubare i documenti di Cleremont sotto il naso dei suoi figli?» Kasumi scosse delicatamente il capo e pressò le labbra in una linea sottile. Erano lì da almeno un'ora e lei continuava a non capire come un uomo così razionale e giudizioso come Elijah potesse optare per un piano così incerto «Non funzionerà. Nel momento in cui metteremo piede in casa sua, Numero Uno saprà cosa vogliamo. Suo padre gli avrà pur detto qualcosa delle sue indagini sull'Ordine, no? E, anche se non fosse così, non è un idiota: saprebbe che il primo posto da proteggere è lo studio di suo padre»
«Ci ho già pensato anch'io» replicò prontamente lo Zar, come se avesse già preso in considerazione quell'obiezione «ma permettimi di spiegarti» tirò fuori con un colpo di bacchetta un pezzo di carta e una penna stilografica e iniziò a scarabocchiarci sopra «Attualmente ci sono sette ragazzi nell'accademia, per quanto ne sappiamo, e tutti possiedono abilità straordinarie. Uno di loro, però, non possiede abilità di attacco e altri tre non praticano le loro abilità da anni. Una ha vissuto in isolamento volontario per gli scorsi quindici mesi e usa il suo potere esclusivamente per fini non violenti. Questo ci lascia con due combattenti attivi» si fermò un attimo per poi riprendere a scrivere e borbottare «Considerando che Kasumi sarà impegnata a cercare i documenti e che gli altri cinque ragazzi saranno facilmente sottomessi, restiamo tre contro due e, se ognuno seguirà il protocollo, ce la faremo»
«E se tornassero anche gli ultimi due?» ipotizzò Nasheeta.
Gideon lanciò un'occhiata alla pagina aperta del suo fascicolo e scoppiò a ridere «Numero Nove è un comico depresso con la psicometria, cosa vuoi che faccia? Ci stende con un monologo auto ironico? Ci conquista con il potere della risata?»
Kasumi gli scoccò un'occhiataccia «Non sottovalutiamo nessuno. Se possiede la psicocinesi, gli basterebbe toccarci per sapere più di quanto possiamo permetterci che sappia. E vorrei ricordarti che non c'è per niente da scherzare con Numero Tre»
«Sì, lui sarebbe un problema» ammise Elijah «ma solo se entrassimo in diretto contatto con lui, il ché non è del tutto certo. Ricordate che l'Umbrella Accademy è un complesso molto grande e, se facciamo tutto con discrezione, non ci troveremo nella posizione scomoda di affrontarli tutti insieme. Domande?»
«Io» rispose prontamente Gideon, facendo cenno al suo fascicolo «Come facciamo con Numero Quattro? Se entrassimo in collisione con lei, saremmo parzialmente in svantaggio. Voglio dire, io potrei provare a... sapete cosa» si schiarì la voce e tirò fuori un sorrisetto di circostanza «ma immagino farebbe comodo un piano B. Certo è vero che affrontarli separatamente sarebbe facile, ma se ce ne trovassimo d'avanti più di uno, sarebbe più difficile tenere a bada elementi come Numero Quattro o, Dio ce ne scampi, Numero Cinque»
«Sai, Apollo?» Elijah inarcò le sopracciglia «A volte mi piace pensare che non tutto il mio tempo lavorativo sia sprecato. Tu invece trovi sempre il modo di smentirmi. Se andassi oltre il primo paragrafo della documentazione che ho raccolto» aggiunse, con un'occhiata che avrebbe potuto fulminarlo sul momento «eviteresti di fare domande talmente stupide» Gideon aggrottò la fronte in un broncio infantile, ma non rispose «Pare che Numero Quattro si sia stabilita nel mondo musicale cinque anni fa e che da allora non ha più fatto manifestazioni pubbliche del suo potere. Inoltre, durante la mia ricerca per la catalogazione specifica della abilità dei ragazzi Cleremont, mi è parso di capire che non tutti sono completamente in grado di controllare i propri poteri»
«Sai che l'ho pensato anch'io?» Nasheeta sorrise con entusiasmo, sporgendosi istintivamente verso di lui «L'ho notato studiando le loro apparizioni pubbliche! Erano incidenti abbastanza comuni, almeno agli inizi, come quando nel 2009 Numero Sette creò una palude nella banca e alcune piante presero vita propria e iniziarono ad aggredire gli ostaggi, ricordate? Oppure l'anno dopo Numero Uno rese perennemente cieco un contrabbandiere di artefatti magici a Manchester e poi nel 2012 Numero Tre fece impazzire una rapinatrice e la stampa insabbiò tutto»
Kasumi annuì, senza però staccare gli occhi scuri dal suo fascicolo «Sì, ricordo anch'io che ogni tanto i giornali parlavano di questi scandali»
«C'è di più. Se andate a pagina sedici» disse Elijah «vedrete che ho riportato alcuni grafici riguardanti questi incidenti. Nelle mie ricerche è uscito fuori che per alcuni dei Cleremont sono casi isolati o si diradano con il tempo, mentre per altri hanno un'andatura costante. Significa che alcuni di loro non hanno mai imparato a controllare i propri poteri e che questa condizione si sarà sicuramente aggravata, una volta interrotto l'addestramento per anni. Questo non fa che aumentare il nostro vantaggio»
«Dei documenti da rubare, due Cleremont da mettere fuori combattimento e altri cinque più abbordabili. Mi sembra meraviglioso» Gideon batté le mani sul tavolo e rivolse loro un sorriso tutto denti «Quando iniziamo?»
«Faremo tutto stanotte» fu la risposta «E voglio essere sicuro che sappiate qual è il vostro compito e quanto sia importante che ognuno faccia in modo adeguato la sua parte»
Tutti annuirono. Improvvisamente aleggiava tra loro la consapevolezza di star entrando nelle dinamiche più delicate della missione e di dover fare ognuno del proprio meglio per far sì che tutto filasse liscio. Non solo il loro onore e il resto delle loro vite, ma l'intera esistenza dell'Ordine era a repentaglio in quell'incarico. Cleremont aveva tra le mani informazioni preziosissime su tutti loro e al Decimo Reggimento era stato affidato l'onere di scovarle e bruciarle, a qualunque costo e contro qualunque ostacolo. Per i suoi quattro membri, quella era l'occasione di una vita, dopo la quale si sarebbero potuti congedare dignitosamente dall'Ordine o farvi carriera con uno schiocco di dita. Laddove il giovane cuore di Apollo bramava, più di tutto, la gloria del successo, lo Zar cercava da anni un lasciapassare per il quieto vivere e, mentre la Kitsune lavorava più per dovere morale che per altro, la Sfinge non vedeva l'ora di mettersi alla prova. Il loro Reggimento -creato all'ultimo momento per prendersi cura di un affare delicatissimo- non era certo il più omogeneo o quello che andava più d'accordo, ma aveva la potenzialità di essere il migliore di tutto l'Ordine.
Elijah li guardò e seppe, inspiegabilmente, di potersi fidare quegli estranei. 
«Inforcate gli occhialini protettivi» per la prima volta quel mattino, un sorriso gli serpeggiò sul volto «Stanotte pioverà sangue»
 
   
 
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