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Autore: Saeko_san    03/04/2020    4 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4:
Paura e indecisione
 
30 gennaio 2002. Venezia, isola di Murano.
 
Una piccola casetta abbandonata sulla costa lagunare si affacciava tra gli sbuffi di nebbia; al piano superiore, una pistola era posata sul tavolo di una cucina sgangherata.
Sette giorni dall’omicidio.
Antonio Cisano camminava avanti e indietro, misurando il pavimento della cucina nella sua lunghezza e gettando di tanto in tanto uno sguardo inquieto all’arma sul tavolo, ovvero il revolver calibro 22 che aveva ucciso Livio Tosca.
La polizia l’aveva cercato dappertutto, ma lui era stato bravo a nasconderlo: nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo in una capsula del tempo nascosta nella sabbia della costa all’isola del vetro; l’idea era piuttosto banale, ma era anche risultata dannatamente efficace.
Ma Cisano l’aveva riportata comunque alla luce, neanche lui sapeva bene perché. L’aveva ripulita da qualsiasi tipo di impronta, come se già non lo avesse fatto in precedenza. Anche questo non aveva senso, visto che non aveva lasciato tracce sulla scena del delitto, se non i due bossoli nel corpo del suo antico collega; per quanto l’arma fosse eccentrica, non l’aveva dichiarata, per cui nessuno sapeva che Cisano l’avesse anche solo acquistata.
Non sapeva bene perché, ma era stato probabilmente un incosciente a riesumare l’arma del delitto; e ora si sentiva inquieto, preoccupato, timoroso.
Timoroso che potesse succedergli qualcosa. L’istinto gli diceva che qualcuno aveva in mente qualcosa, qualcosa di incredibilmente inaspettato. Prese la pistola con un panno e la lasciò scivolare dietro la schiena, mettendola nella cintura dei pantaloni. Ci si mise sopra un cappotto abbastanza lungo da coprire la canna. Prese le chiavi del suo motoscafo blu notte e uscì.
Il motoscafo era attraccato su un piccolo palo poco lontano da lì; vi salì sopra e mise in moto. Si rilassò al suono del motore che si accendeva, si riscaldava e restava in attesa di un suo comando per partire. Era mattina presto; il sole era appena sorto e molto probabilmente erano ormai le sei del mattino, o le sei e mezzo, ma poco importava. Arrivò al centro della laguna e spense il motoscafo; prese il revolver (sempre facendo attenzione a non lasciarvi impronte) e lo lasciò cadere in acqua, lì dove essa era più profonda.
Sarebbe potuto uscire in mare aperto, forse sarebbe stato più sicuro, ma c’erano delle nuvole spaventose all’orizzonte; la luce era soffusa e rischiava di non riuscire più a tornare indietro.
Andava bene anche così, per cui riaccese il motore e tornò verso Murano. I suoi occhi verde smeraldo vagarono per il paesaggio. Quel giorno avrebbe piovuto.
 
***

Una pioggia fine, a catinelle, ma incessante e fastidiosa, bagnava tutto ciò che era possibile vedere.
Manes si era svegliato di malumore.
Aveva preso il biscotto del giorno prima e lo aveva finito. Ora il problema era trovare il modo di poter mangiare qualcos’altro una volta tornata la fame, dato che non poteva uscire; la pioggia non gli dava sicurezza, come se un antico avvertimento gli dicesse che gli avrebbe fatto del male.
Quel lunedì in chiesa c’erano pochi fedeli e visitatori e la messa dunque finì presto. Andò verso la navata centrale a fissare il quadro dove c’era sua madre. Si sedette ai piedi dell’altare di marmo e rimase a fissare la donna.
“Madre. Sento che sei tu. Voglio raggiungerti, venire da te. Ma come faccio? Ho provato a infilarmi dentro il quadro, ma qualcosa non mi fa passare. Sotto forma di ombra vedo solo un buco nero. Come faccio a raggiungerti?”.
Questi pensieri bui gli attanagliavano la mente. Avvertì poi un rumore. Riconobbe il discendente di Monteverdi che stava andando a portare le rose bianche alla tomba del musicista. Manes non fece in tempo a tornare ombra: il ragazzo lo aveva già visto.
 
-Chi sei?- chiese avvicinandoglisi.
 
Quel giorno aveva una maglietta nera con uno scorpione bianco disegnato sul petto e una felpa sformata, anch’essa nera. Notò subito gli occhi e i capelli dell’ombra; spalancò gli occhi.
 
-Chi sei?- ripeté, questa volta con un tono di voce decisamente spaventato.
-Sono Manes- disse lui, senza cercare di nascondersi, dato che a quel punto era decisamente inutile.
-Da dove vieni?-.
-Da qui-.
 
Chissà perché, Manes si sentiva molto tranquillo. Anche troppo, forse. L’istinto gli diceva che il successo nel fare amicizia con Lixa gli avrebbe permesso di stringere un rapporto positivo anche con questo ragazzo.
 
-In che senso, da qui?-.
-Che mi sono risvegliato qui. Più precisamente sul crocifisso che sta sul tetto-.
-Sei un demonio?-.
-Non credo. So per certo di essere un ombra. Ma non un demonio. Per il momento non ho fatto del male a nessuno. Se mi aiuti, magari eviterò di iniziare a farlo-.
 
Aveva mantenuto un tono molto sarcastico. Vide il ragazzo rilassarsi.
 
-Porti le rose al tuo avo, il musicista?-.
 
Un lampo di panico passò negli occhi del ragazzo.
 
-Come fai a sapere che è mio parente?-.
-So leggere i pensieri. Anzi, per la verità sono i pensieri della gente che vengono da me. Non dirò nulla a nessuno-.
-Grazie-.
-Come ti chiami?- chiese Manes.
 
I nomi iniziavano ad affascinarlo.
 
-Paolo-.
-Senti, Paolo, non è che riusciresti a fare in modo di trovarmi un posto dove stare? In questa struttura, possibilmente-.
-Certo. Puoi venire nella mia stanza-.
 
Andò velocemente a mettere le rose bianche alla tomba di Monteverdi e tornò da lui. Manes seguì Paolo, incuriosito. Aveva già sentito quel nome, ma non sapeva dove né quando. Entrarono nella sala del Capitolo; Paolo aprì una delle vetrate, fece girare una chiave in una serratura delle inferriate che davano al cortile. Lo attraversarono e si ritrovarono sotto un portico. Il ragazzo tirò fuori dalla tasca dei jeans scoloriti che portava quel giorno un’altra chiave, più grossa e pesante rispetto alla prima, di un’antica fattura, e aprì una porta altrettanto antica, tentando poi di scaldarsi le mani sfregandole – il tempo era freddo e buio, tipico del mese di gennaio.
Salirono delle scale e arrivarono davanti un’altra porta. Paolo l’aprì con una leggera spallata, dopo aver poggiato la mano sulla maniglia. Dietro l’ostacolo ligneo c’era una stanza rettangolare con una finestra sulla parete parallela a quella della porta. Il letto era messo trasversalmente alla finestra. Sotto di essa c’era una piccola scrivania, con sopra una lampadina e dei libri. Un comodino di compensato stava accanto al letto. Un armadio vecchio addossato alla parete della porta.
 
-Potrai stare qui. Io durante il giorno non ci sono perché devo aiutare i frati insieme a Federico, l’altro ragazzo. Ti troverò un letto è …-.
-Del letto non c’è bisogno- si affrettò a dire Manes.
-Perché?-.
-Te l’ho già detto, io sono un’ombra. E come tale divento la notte. Mi basta una semplice coperta-.
-D’accordo-.
 
Il ragazzo alzò le spalle.
 
-Mi devi promettere una cosa- azzardò allora l’ombra, guardando Paolo fisso negli occhi grigi.
-Cosa?-.
-Che non rivelerai a nessuno la mia presenza-.
-D’accordo anche su questo. Allora ti devo avvertire di una cosa: una volta al mese frate Luigi viene a ispezionare le stanze di tutti quelli che vivono qui. Dovrai nasconderti-.
-In quel caso non ci saranno problemi-.
-Bene, Manes. Allora io ti lascio. Devo scendere giù-.
-Sì-.
 
Vide il ragazzo guardarlo con i suoi occhi grigi, si passò una mano tra i capelli rossi e poi si voltò, pronto ad uscire. In quel momento Manes si ricordò di una cosa.
 
-Ah, Paolo!-.
 
Il ragazzo si voltò verso di lui, in attesa.
 
-Credo che verso il pomeriggio verrà a messa una ragazza. Dopo dovremmo incontrarci…-.
-Chi è?-.
-Non so se la conosci. Si chiama Lixa-.
-Ah, quella ragazza nuova-.
-Nuova?-.
-È da poco che viene a messa tutti i giorni; a quel che so, prima accompagnava lo zio solo ogni tanto. Comunque, te la porterò qui. Ma alle sei dovrà sloggiare. Frate Luigi vuole che tutti quelli che non vivono qui dentro non ci rimangano la notte-.
-L’ho notato-.
-Allora sarò qui per il pranzo. Ci vediamo dopo-.
-A dopo-.
 
Manes rimase solo nella stanza. Gli piaceva: era semplice e si sentì  quasi a casa sua. D’improvviso avvertì le sue guance avvampare: stava pensando a Lixa, che quel pomeriggio sarebbe arrivata nell’edificio e si sarebbe messa a pregare assorta. Avrebbe congiunto le mani strette, inumidito le labbra mentre mormorava quelle parole che non avevano suono, con i suoi pensieri per lui imperscrutabili. Si sentì impotente di fronte a quella sensazione. Per un attimo ebbe paura.
Non sapeva di cosa.
Ma ebbe paura.
 
***

Lixa quella mattina si era svegliata molto presto e si era affacciata alla finestra, prima di prepararsi per la scuola. La luce soffusa del mattino era troppo scura. Sapeva, come tutti i veneziani, che quel giorno avrebbe piovuto.
La pioggia per certi versi le piaceva: la aiutava a riposare la mente; ma per altri versi la odiava, perché non poteva uscire a fare le sue camminate che l’aiutavano a pensare. E in quel giorno particolare, le avrebbero impedito di camminare parlando con Manes.
Di nuovo, mentre si vestiva, la prese quel senso di affetto che provava per l’ombra. Non sapeva come dirgli che aveva bisogno di lui per vendicare suo zio, l’unico e solo parente che le era rimasto da cinque anni a quella parte. E quella mattina la pioggia era incessante; un senso di paura le attanagliò per un attimo l’anima.
Paura.
Paura che Manes potesse offendersi e che dunque non volesse aiutarla.
Indecisione.
Indecisione di chiedergli se c’era qualcosa che desiderava moltissimo e che avrebbe potuto dargli; se così fosse stato avrebbero fatto uno scambio equo e non si sarebbe sentita in colpa come in quel momento.
Il rumore dei suoi passi nelle pozzanghere dei calli le rimbombava nelle orecchie. Era già uscita di casa e si stava dirigendo verso la fermata del traghetto.
E se Manes non avesse desiderato nulla? In fondo era pur sempre un’ombra. Quella mattinata noiosa e angosciante passò troppo in fretta. Il pomeriggio arrivò troppo in fretta. Ma Lixa si fece coraggio; doveva pur fare qualcosa e di conseguenza avrebbe improvvisato, dato che era una delle cose che le riusciva meglio.
Non doveva preoccuparsi. Quando entrò in chiesa la pioggia smise di cadere, ma poco dopo ricominciò, più forte di prima e, nel frattempo, aveva cominciato a soffiare un forte vento gelido, di quelli che oltrepassano lo strato protettivo dei giacconi e si infilano tra le vesti, facendo accapponare la pelle. Alla messa pomeridiana in quel lunedì piovoso i fedeli erano estremamente pochi. Lixa congiunse le mani più strette del solito e si umettò più spesso le labbra.
“Aiutami. Aiutami a convincere Manes. So bene che avresti perdonato l’assassino di mio zio, ma io non sono te. Non posso perdonarlo. Non posso. Devo vendicarlo. E ho bisogno di Manes. Aiutami. Ti prego!” mormorò a se stessa senza voce, solo muovendo le labbra.
Frate Ballon quel giorno la fissò con uno sguardo enigmatico, una volta terminata la messa. Strano. Ma ora aveva un altro problema: dove avrebbe trovato Manes? Proprio in quel momento qualcuno la chiamò, toccandole una spalla. Lixa si voltò e si ritrovò davanti un ragazzo alto, con i capelli rossi e gli occhi grigi; doveva avere all’incirca la sua età.
 
-Sì?-.
-Tu sei Lixa, vero?-.
-Sì, sono io-.
-Dovevi vederti con Manes oggi-.
 
Non era una domanda.
 
-Sai dov’è?-.
-Sì, alloggia nella mia stanza. Seguimi-.
 
Lixa si alzò e seguì curiosa il ragazzo. Era carino, non c’era che dire. Si chiese chi diamine fosse, quale fosse il suo nome. La sua voce era piacevole, un po’ roca magari, ma bella; non come quella di Manes, vellutata e roca al tempo stesso, tanto da risultare sin troppo innaturale.
 
-Come ti chiami?- chiese la ragazza.
-Paolo-.
-E basta?-.
-Tu conosci Manes?-.
-Beh, sì. Sono stata io a convincerlo a utilizzare questo nome-.
-Allora è vero che è un’ombra?-.
-Sì-.
-Allora posso dirti qual è il mio cognome-.
-Perché, gli altri non lo sanno?-.
-Gli altri pensano che io sia orfano-.
-E in realtà chi sei?-.
-Un discendente di Monteverdi-.
-Il musicista?-.
-Sì-.
-E perché non dici a nessuno delle tue origini?- chiese stupita Lixa.
-Perché mi porterebbero via da qui, dall’unico parente che ho. Anche se defunto-.
-Ah-.
 
Paolo era più o meno nella sua stessa situazione. Si sentì impacciata. Non si accorse neanche che erano arrivati sotto un portico, davanti ad una porta antica, dopo aver attraversato il cortile posteriore della basilica.
 
-Lixa?-.
-Eh? Ah, sì scusami-.
-La mia stanza è l’ultima porta a destra, in cima alla scala. Io devo terminare di aiutare i frati, poi ho lezione. Alle sei devi già essere fuori di qui o frate Luigi si arrabbierà con me-.
-D’accordo. Posso chiederti una cosa?-.
-Che cosa?-.
-Quanti anni hai?-.
-Quindici. Tra due settimane ne faccio sedici. Tu?-.
-Anche io ho quindici anni. Ma ne faccio sedici a marzo-.
 
Si guardarono ancora un attimo, come in attesa di dirsi altro.
 
-Bene. Ora penso che tu debba andare. Manes ti starà aspettando- fece Paolo, arrossendo un poco.
-Sì, giusto. Allora … ciao!-.
-Ciao-.
 
Lixa si voltò e iniziò a salire le scale. Sapeva di essere arrossita. Il cuore le batteva forte, più di quello che si sarebbe aspettata. “Paolo” pensò: era proprio un bel nome. Arrivò davanti all’ultima porta a destra e si bloccò, mentre la paura tornava, facendo capolino nella sua mente. Inspirò profondamente e poi bussò, sentendo subito dopo giungere alle sue orecchie uno squillante “arrivo” da dentro. Un sorridente Manes le aprì la porta.
 
***

Manes si stava rigirando i pollici. In fondo, poteva essere sicuro che Lixa sarebbe tornata? Da lui? Uno sconosciuto? E per di più un’ombra? Eppure sperava che arrivasse, attendeva quell’attimo sin da quando la ragazza gli aveva dato quella speranza. Lei poteva avere le risposte ad alcune sue domande: il quadro, la sua origine, il nome di sua madre, su che cosa fosse il “resto”. Sarebbe stato contento di rivederla, era la prima amica che avesse mai avuto. Qualcuno bussò.
 
-Arrivo!- disse, quasi gridando.
 
Aprì la porta di scatto e sorrise; davanti a lui c’era una Lixa dal volto incredibilmente arrossato.
 
-Ciao-.
-Sei tornata- disse.
 
Non si trattenne e l’abbracciò.
 
-Manes, ma che fai?-.
 
Lixa era ancor più imbarazzata, uno sconosciuto, per quanto ragazzino, visto che dimostrava l’età di tredici anni, la stava abbracciando.
 
-Sono contento di rivederti. Devo chiederti alcune cose e pensavo che non saresti venuta-.
-Devi imparare a fidarti delle persone. Almeno, di alcune-.
-Tu sei tra queste alcune?- chiese, mentre la ragazza si scioglieva dall’abbraccio.
-Sì. Cosa vuoi chiedermi?- aggiunse poi, cambiando subito discorso.
-Prima tu. Non avevi detto che volevi conoscermi?-.
-Certo. Ma sarai sempre tu a parlare-.
 
E Manes non seppe più trattenersi. Le raccontò del suo risveglio davanti alle due gocce di sangue, dei suoi ricordi, del suo primo giorno di vita, di quando l’aveva vista pregare, della sua trasformazione in ragazzo; infine arrivò alla faccenda del quadro.
 
-Quando sono ombra, al posto del quadro che sta sopra l’altare vedo un buco nero, fatto della stessa sostanza del mio corpo ombroso. Quando sono ragazzo invece vedo il quadro. E quella donna-.
 
La sua voce tradiva una certa emozione.
 
-Quale donna?-.
-Quella dipinta nel quadro. Io credo sia mia madre. Lo sento-.
-Tua madre?-.
-Sì. Secondo te è possibile?-.
 
Lei rimase un attimo interdetta e si passò la mano destra sul mento, nell’atto di ragionare profondamente.
 
-Forse. Quella è la Vergine che viene assunta in cielo da Dio. È stato Tiziano a dipingerla-.
-Il Tiziano della tomba?-.
-Sì, proprio lui-.
-Come si chiama questa vergine?-.
-Non ha un nome. Il quadro si chiama “L’Assunta”. Indica l’assunzione della madonna in cielo-.
-Allora il suo nome può essere Assunta?-.
-Sì, penso di sì-.
 
Un pensiero disse a Lixa che in realtà il nome sarebbe dovuto essere Maria, ma visto che il ragazzino sembrava così felice, non ebbe cuore di dirglielo.
 
-Ne sono felice. Io sono Manes, figlio di Assunta. Mi piace come suona-.
 
Il suo volto era infatti particolarmente contento e luminoso, l’oro riflesso nel blu dei suoi occhi sembrava avere vita propria, in quella giornata uggiosa e buia.
 
-E se non fossi suo figlio?-.
 
E dunque perché poneva questa domanda? Non lo sapeva neanche lei.
 
-E allora di chi sono figlio? Io mi sono risvegliato sul crocifisso del tetto della chiesa, con gli occhi puntati su due piccole gocce di sangue. Da dove posso venire?-.
-Forse il risultato di molte anime e pensieri- azzardò Lixa, cercando di calmare l’ombra, che aveva alzato la voce.
-Come?-.
-I tuoi ricordi precedenti non sono veramente i tuoi ricordi e ti sembra di aver vissuto un milione e più di vite, che però non ti appartengono. Ricordi persino la sensazione di rinascere, quando vedevi la chiesa che veniva costruita. Tu sei l’anima della chiesa, Manes. Però così è anche vero che tu possa essere un ipotetico figlio dell’Assunta-.
-Davvero?- gli si illuminarono di nuovo gli occhi.
-Sì, è molto probabile-.
 
Lixa guardò fuori dalla finestra della camera di Paolo e pensò a lui, ai suoi occhi grigi.
 
-Lixa, è tardi- disse Manes, con un po’ di risentimento nella voce.
-Hai ragione. Paolo mi ha detto che alle sei devo essere già fuori-.
-Purtroppo è così. Domani tornerai?-.
-Domani non posso. Per i prossimi quattro giorni non potrò venire. Ho alcune cose da sbrigare-.
 
“Cose da sbrigare che si chiamano compiti di scuola” pensò ancora lei, con una punta d’amarezza.
 
-Allora ti aspetterò tra quattro giorni-.
-Va bene-.
 
Lixa si alzò e si diresse verso la porta. La aprì e uscì. Manes la seguì e le chiese attraverso la tromba delle scale:
 
-Lixa, che cos’è un resto?-.
-Un resto di soldi?-.
-Esatto-.
-È difficile da spiegare in poco tempo. Chiedi a Paolo stasera-.
-D’accordo, ciao-.
 
Manes tornò in camera e chiuse la porta, grattandosi la testa. Davvero, cosa diavolo poteva essere un “resto”?
 
***

Lixa scese veloce le scale. La chiacchierata con Manes l’aveva incuriosita: doveva assolutamente vedere il quadro di Tiziano prima di uscire, dunque ci si fermò davanti.
L’aveva osservato molte volte, quando era entrata in quella chiesa con suo zio Livio. Lo ricordava perfettamente.
Si accorse che mancava un angioletto che accompagnava la madonna e nessuno pareva essersene accorto; questo sì, che era strano. Si affrettò verso la porta del campanile. Possibile che Manes fosse davvero il figlio dell’Assunta del quadro? E un altro pensiero le balenò in testa.
“Ho alcune cose da sbrigare” aveva detto all’ombra. Doveva infatti riflettere e adempiere ai suoi doveri di studentessa del liceo classico; si sarebbe dunque ripresentata entro quattro giorni. Fuori incontrò Paolo che rientrava con un fagotto in mano.
Lo salutò timidamente. Altrettanto timidamente rispose il ragazzo. Una volta lontana dal Campo dei Frari, Lixa sorrise.
 
***

Paolo tornò nella sua stanza. Aveva preso la cena da consumare assieme a Manes. Arrossì, ripensando al saluto che gli aveva rivoltò quella ragazza, Lixa. Quando aprì la porta della sua stanza, Manes gli fu subito addosso e gli chiese ansioso:
 
-Cos’è un resto?-.
-Resto monetario?-.
-Sì-.
 
Lo sguardo di Manes era così fremente che quel dubbio doveva roderlo dentro da parecchio tempo.
Paolo sorrise, posò la cena (due bei pezzi di pizza rossa) sulla scrivania e chiuse la porta.














Note di Saeko:
wow, sono riuscita a pubblicare anche oggi; man mano che vado avanti nella correzione di questo racconto, noto che le pagine aumentano sempre di più, perché i particolari sono tanti e spesso li ho lasciati troppo all'immaginazione; spero vi abbia interessato questo piccolo cambio di pov a inizio capitolo con Cisano che si disfa definitivamente dell'arma del delitto. Inoltre questo secondo incontro tra Lixa e Manes servirà ad arrivare al fulcro del racconto nei prossimi due capitoli.
Per il resto, ho alcuni ringraziamenti da lasciare:

alessandroago_94 per aver recensito il terzo capitolo;
Estel_naMar per aver recensito il secondo capitolo;
Miryel per aver rensito il prologo.

Ho aperto un canale telegram dedicato alla mia pagina qui su EFP e su Ao3, per cui se qualcuno fosse interessato e avesse telegram, eccovi il link: https://t.me/VeronicaSaeko

Penso per oggi di aver finito e vi ringrazio per essere giunti sin qui.

Saeko's out!
  
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