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Autore: Saeko_san    12/04/2020    3 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7:
Omertà veneziana?
 
3 febbraio 2002. Venezia, piazza San Marco, Biblioteca Marciana.
 
Lixa e Manes continuarono a fare indagini. Manes iniziò a ispezionare i pensieri degli studenti che arrivavano alla Biblioteca Marciana, rigorosamente aperta persino la domenica, per capire se sapessero qualcosa dell’omicidio del presidente della Ca’ de Delizie, e rimase stupito: incredibilmente la maggior parte delle persone che entravano lì, in quell’edificio di cultura, avevano tutte un’opinione diversa su quel fatto gravissimo, che sembrava aver scosso tutta Venezia. Tre volte quella domenica vennero agenti a fare ricerche: due per confrontare alcuni articoli di cronaca e degli avvenimenti passati con quelli dell’omicidio e un altro, come Manes scoprì in seguito (nascondendosi prontamente nelle ombre dei fascicoli dell’archivio), per aggiornare i risultati sulle indagini. Questo in particolare sembrava conoscere bene la vittima: era il fratello di un dipendente della Ca’ de Delizie – probabilmente era colui che aveva procurato il permesso a Lixa, ma il ragazzo non ne era certo – e pensava che qualcuno avesse voluto vendicarsi di Livio Tosca, anche se non aveva un’idea chiara di chi potesse essere.
In quel momento la Ca’ delle Delizie era in affari di trattazione per la cessione di proprietà con tre uomini, bisognava scoprire quali e con quale passato.
Quel giorno uscì presto dalla biblioteca. Prima di andarsene, però, avvertì Lixa: la trovò sepolta nella sezione di libri fantasy, china su un testo che sembrava avere cent’anni. Esistevano ancora libri così? Fantasy, poi? Ed era possibile che li trovasse tutti Lixa? Quella mattina era passato due volte e l’aveva vista leggere tre libri diversi, tutti e tre pressoché della stessa età del tomo che stava esaminando in quel momento.
 
-Lixa, io esco-.
-Dove vai?-.
-A continuare le mie indagini-.
-D’accordo. Vai-.
-C’è qualcosa che non va?-.
-No. Non c’è nulla che non va-.
-Sicura?-.
 
Manes la guardò negli occhi. Il color cioccolato del suo sguardo sembrava fondersi  per la preoccupazione. Ma Manes non aggiunse nulla quando Lixa annuì, le sorrise nella speranza di confortarla e poi se ne andò.
 
***
 
Quella mattina si era svegliata presto e aveva tirato giù dal letto sia Manes che Paolo. Il ragazzo era stato costretto ad alzarsi per poter richiamare l’ombra, che sembrava non volersi svegliare per disgregarsi dalle tenebre quando il sole non s’era ancora alzato. Erano appena le cinque quando si prepararono in fretta e furia e Paolo accompagnò Manes da Lixa. La ragazza aveva fissato a lungo gli occhi grigi del discendente di Monteverdi, preoccupata, e lui aveva cercato di capire cosa avesse. Poi se n’erano andati. La Biblioteca Marciana apriva alle sei e mezzo la domenica, perché, a detta del motto della struttura “la cultura non riposa mai”. S’era fatto mezzogiorno, ma Lixa non aveva ancora fame; più si immergeva nella lettura di quei libri, più sentiva di allontanarsi dalla soluzione. Perché avvertiva che una soluzione ci fosse, ma era molto lontana dall’essere scoperta.
 
-Lixa, io esco-.
 
La voce di Manes la fece sobbalzare, ma cercò di contenersi.
 
-Dove vai?-.
-A continuare le mie indagini-.
-D’accordo. Vai-.
-C’è qualcosa che non va?-.
-No. Non c’è nulla che non va-.
-Sicura?-.
 
Manes la guardò negli occhi e, dal cipiglio che il suo visto acquisì, in quel momento la ragazza comprese che le sue espressioni erano come un libro aperto per lui. Aveva capito che c’era qualcosa che la preoccupava.
Tuttavia l’ombra non aggiunse nulla, le sorrise, i suoi occhi azzurrodorati nascosti dalle lenti a contatto la tranquillizzarono per un attimo.
Dopodiché Manes si voltò e se ne andò. Appena vide l’ombra uscire dalla sezione in cui si trovava, lei chiuse il tomo che aveva davanti: aveva una consunta copertina nera e il titolo era vergato in un font antico; la vernice argentata che colorava quei caratteri era quasi consumata del tutto, ma si poteva ancora leggere “Mille mondi e mille modi per arrivarci”.
L’autore era anonimo e il libro era molto interessante. Era arrivata appena a metà. Lì avrebbe certamente trovato qualcosa che forse l’avrebbe aiutata, ma in quel momento voleva riposarsi un attimo, distogliere la mente dal pensiero di non sapere come realizzare quanto Manes le aveva chiesto perché, diamine, la magia non esisteva, non era reale – eppure l’ombra era più vera che mai, quindi un modo per venire a capo del problema doveva esserci; pose il libro sullo scaffale in maniera tale che nessuno potesse notarlo e uscì. Avrebbe fatto una passeggiata per i vicoli di Venezia.
 
***
 
Manes arrivò al Campo dei Frari, dopo essersi fermato in una pasticceria e aver comprato uno spumone al pistacchio. Era un dolce molto buono ed era bastato a saziarlo; aveva inoltre scoperto di avere una predilezione per il gusto del pistacchio, da quel suo primo giorno in forma umana in cui aveva comprato i biscotti in quel negozio vicino alla stazione.
Sui documenti trovati in biblioteca c’era scritto che solamente due persone avevano detto ufficialmente di aver udito gli spari la sera del 23 gennaio. Ed entrambe avevano dichiarato di non aver pensato di controllare se fosse stato realmente uno sparo a svegliarle, magari anche solo affacciandosi da una finestra.
Il primo era un frate della chiesa, il gemello di frate Luigi: frate Lazzaro. Decise di iniziare a interrogare lui, ma non sapeva come avvicinarlo. Cercò di camuffarsi ulteriormente e di prendere l’aspetto di un’altra persona, rimanendo nascosto in un vicoletto proprio accanto all’entrata del campanile. La cosa gli riuscì abbastanza bene: aveva i capelli rossicci e gli occhi erano rimasti azzurri, probabilmente per effetto delle lenti a contatto; purtroppo in quella forma si sentiva estremamente instabile e aveva timore che quel camuffamento non sarebbe durato a lungo. Indossava una divisa da poliziotto e aveva di sicuro più di tredici anni. Mostrava l’età di un venticinquenne.
Entrò nella chiesa. Chiese alle signore del botteghino dei biglietti per le visite turistiche se sapessero dove avrebbe potuto trovare frate Lazzaro. Le signore gli dissero che in quel momento stava confessando un signore.
Senza aggiungere altro, Manes si avviò verso il confessionale e attese che il frate finisse di ascoltare l’uomo, rimanendo in disparte e lontano, in maniera da non ascoltare una cosa tanto privata come una confessione. Osservò con curiosità lo sconosciuto; era la prima volta che lo vedeva lì. Era alto, sulla cinquantina, vestito interamente di nero; aveva i capelli biondo platino e gli occhi verde smeraldo; le mani erano coperte da un paio di guanti bianchi. Gli sembrava di averlo già visto ma non ricordava dove; d’altronde in quel momento non gli interessava molto, poiché stava fremendo solo per poter parlare con frate Lazzaro.
Appena l’uomo si fu finito di confessare e si alzò, i loro sguardi si incontrarono. Manes vide nello sguardo dell’uomo il terrore.
Provò a setacciare i suoi pensieri, rimanendo subito dopo con un palmo di naso: scoprì che sotto forma di poliziotto la sua mente non era in grado di recepire i pensieri altrui. Doveva essere una tattica che solo con il suo corpo di ragazzo anormale o con la sua forma di ombra poteva esercitare. Spostò sconsolato gli occhi su frate Lazzaro, che nel frattempo gli era venuto incontro.
 
-Buongiorno, agente- disse.
-Buongiorno-.
-Mi dica. Cosa vuole?-.
-Vorrei interrogarla sugli spari che ha dichiarato di aver sentito la notte del 23 gennaio, quando Livio Tosca è stato ucciso-.
-Ma allora siete proprio duri di comprendonio?- chiese stizzito il frate.
-Perché?-.
-Perché?? Dio mi perdoni, ma sono la bellezza di cinque volte che ripeto al vostro corpo di polizia che mi è parso di aver sentito il suono di un solo sparo, nemmeno di più d’uno. In quel momento ero quasi riuscito ad addormentarmi. E nello stesso momento mio fratello si era rigirato in modo brusco, facendo cadere il vaso da notte che aveva accanto al letto. In quell’attimo mi è parso di udire uno sparo. Ma sembrava lontano, irreale, per cui non gli ho prestato attenzione e ho tentato di addormentarmi. E poi il mattino dopo, quando sono uscito per aprire il portone della chiesa ho trovato Livio Tosca riverso nel sangue proprio qui davanti-.
-C’è qualcuno che può confermare la sua versione?-.
-Certo, mio fratello. Era con me, tanto nella stanza la notte quanto il mattino quando ho aperto il portone per i fedeli-.
-Siete stato voi ad avvertire per primo la polizia?-.
-No. Il botteghino delle gondole qui di fronte apre sempre prima che noi ci alziamo-.
-Grazie. Mi è stato di grande aiuto-.
-Di nulla- ribadì scocciato il prete.
 
Si voltò senza congedarsi e se ne andò.
In quel momento a Manes non rimaneva che chiedere al secondo testimone e interrogare il gondoliere. Ma sentì il suo corpo venir preso dalle convulsioni. L’aspetto del giovane agente stava per svanire. Entrò d’istinto dentro il confessionale, chiuse la tendina a drappo color rosso magenta e attese.
Dopo poco, sentì di nuovo la fascetta da calciatore sulla fronte: era tornato un semplice ragazzino di tredici anni.
Pensò di trasformarsi di nuovo, poiché non poteva andar in giro a far domande di omicidi con quell’aspetto. Questa volta tuttavia avvertì un bruciore alle ossa; quando uscì fuori dal confessionale, si ritrovò a frugare nelle tasche e vi trovò un cellulare supertecnologico. Usò il riflesso dello schermo come specchio: aveva come minimo trent’anni, due occhi di un colore verde chiarissimo e cangiante e i capelli cortissimi e castani. Un paio di baffoni si erano formati sotto il naso. Sembrava il tipico investigatore in borghese. Comunque avvertiva, ancor più forte di prima, quanto il suo fisico fosse instabile. Si sbrigò a uscire.
Si fermò un attimo davanti al botteghino delle gondole. Salutò cordialmente il gondoliere, che vedendolo venirgli incontro aveva pensato di prepararsi a fargli fare un giro in gondola per i canali di Venezia. Manes spiegò subito che aveva bisogno di alcune informazioni riguardo all’omicidio di Livio Tosca.
 
-Io non so niente. Eccetto che, quella mattina, sono venuto qui alle sei del mattino, come al solito, e ho trovato il corpo di quell’uomo proprio davanti alla chiesa. Pensavo che fosse qualcuno colto da un malore. Poi, quando mi sono avvicinato, ho visto tutto quel sangue e ho chiamato la polizia. Non so altro-.
-Grazie-.
 
Non perse tempo a chiedere ulteriori informazioni; il gondoliere non sembrava intenzionato a dargliene altre.
Mentre si avviava verso un piccolo condominio che dava sul canale opposto al sagrato della basilica, Manes pensò che nessuno volesse parlare di quell’omicidio: come se tutti l’avessero rimosso, come se quella notte del 23 gennaio 2002 nessuno fosse rientrato a casa, come se tutti avessero il sonno talmente pesante da non sentire il rombo degli spari.
Arrivò davanti a un portoncino di legno, color verde bottiglia. C’erano cinque pulsanti sul citofono. Trovò il nome che aveva letto sui rapporti della polizia: Maria Melania Costantin. Suonò il campanello.
 
-Chi è?- chiese una voce femminile, poco dopo.
-Sono …-
 
“Come mi devo presentare?” pensò l’ombra.
 
–Sono Mario Guglielmi- disse, ricordando improvvisamente un nome.
 
Un nome appartenente alla sua memoria. Il nome del ragazzo con gli occhi blu e i ricci neri di cui aveva preso la forma. Il ragazzo, che durante quel periodo di morte che aveva trovato nella sua memoria, aveva fatto entrare in chiesa un uomo che doveva pregare.
 
-Chi?- chiese la voce.
-Investigatore Mario Guglielmi. Sono qui per indagare sull’omicidio del 23 gennaio, la vittima era Livio Tosca-.
-Salga- disse la voce, improvvisamente fredda.
 
Il portone si aprì con uno scatto e Manes salì fino al quinto piano. Mentre posava i piedi sulle scale pensò al nome con il quale si era presentato a questa Maria Melania, ovvero quello di Mario Guglielmi.
Aveva ricordato improvvisamente che quel ragazzo era un orfano trovato proprio davanti alla porta del campanile, che però aveva ricevuto il cognome di Guglielmi, perché chi lo aveva trovato portava il nome, o almeno così dicevano i frati – nessun Guglielmo sembrava aver frequentato la chiesa in quel periodo, da che lui avesse memoria. Si ritrovò davanti ad una porta di legno scuro, appena accostata. Entrò.
 
-È permesso?-.
-Entri, signor Guglielmi-.
 
Manes entrò. Era un appartamento molto grazioso, con uno stile puramente veneziano. In una piccola cucina (anzi un angolo cottura un po’ più grande del normale) una donna con i capelli castani e gli occhi neri armeggiava su un gustoso stufato di carne.
 
-Cosa mi deve chiedere?-.
-Vorrei sapere le circostanze in cui ha sentito lo sparo della notte del 23 gennaio e cosa ha fatto dopo. O cosa ha fatto la mattina quando si è svegliata-.
-Dopo che le avrò detto queste cose se ne andrà? Sa, aspetto gente a pranzo-.
 
Manes gettò un’occhiata fugace ad una tavola apparecchiata, prima di rispondere: -Naturalmente-.
-Bene. Quella notte facevo fatica ad addormentarmi. Anzi, è un po’ che faccio fatica ad addormentarmi. Comunque, mi trovavo nel dormiveglia. Poi ho sentito uno sparo, forse due, non ne sono sicura. Ma ho pensato di essermeli immaginati. Quindi mi sono rigirata nel letto e non ci ho pensato. Sa, quando una persona si trova nello stato di dormiveglia può immaginare di sentire di tutto. Comunque la mattina mi sono alzata verso le sette e mezzo e mi sono affacciata alla finestra che dà sul Campo dei Frari e ho visto i medici legali che tiravano su un telone insanguinato con dentro il corpo di Livio Tosca-.
-Ma lei vive qui da sola?- chiese Manes.
 
Quel racconto gli sapeva di bugia, di discorso preparato in precedenza da raccontare a qualsiasi persona le chiedesse qualcosa in merito, ma essendo in un corpo che non era il solito che usava non poteva ascoltare i pensieri della donna che aveva di fronte. La signora lo squadrò con uno sguardo gelido.
 
-Aveva detto che una volta che le avessi raccontato la mia versione dei fatti lei se ne sarebbe andato-.
-E io le do ragione, tuttavia…-.
-E allora esca immediatamente da casa mia-.
 
In quel momento Manes venne preso dalle stesse convulsioni che lo avevano colto in chiesa, davanti al confessionale. Si piegò in due sul pavimento della casa della signora Costantin.
 
-Signor Guglielmi, si sente male?-.
-No, è tutto a posto- disse con la sua voce roca e vellutata.
 
Stava per tornare ragazzino. Uscì di corsa da quella casa, fece di fretta le scale e arrivò sul marciapiede che dava sul canale, quasi incespicando nei suoi stessi piedi. Si ritrovò in poco tempo sotto forma di ombra.
“Non è umano! Ma allora con chi ho parlato?” fu la prima cosa che sentì.
Melania Costantin lo aveva visto, ancor più grave aveva visto la sua trasformazione. Alzò lo sguardo e guardò in alto. La donna era affacciata alla sua finestra e lo fissava. Sentiva i suoi pensieri sorpresi e insieme spaventati. Senza pensarci due volte, Manes schizzò via verso la chiesa.























Note di Saeko:
Buona Pasqua a tutti!
Spero che questo capitolo non sia risultato troppo irreale e sì, il tipo nel confessionale è esattamente chi pensate chi sia, ovvero Antonio Cisano. L'introduzione del personaggio di Maria Melania è fondamentale per i due ragazzi, perché sarà la chiave per scoprire l'identità dell'assassino di Lixa.
Spero non ci siano errori e che vi abbia intrattenuto abbastanza! Come sempre, sono ben accetti consigli e critiche.

Un ringraziamento ad alessandroago_94 e a Cress Morlet per essere passati a recensirmi.

Inoltre, vi dico che, poiché domani è ancora "vacanza" per me, prima che io ricominci a lavorare (esclusivamente da casa), ne approfitterò per pubblicare un altro capitolo, ergo a domani!
State attenti alla cioccolata e buon tutto.

Saeko's out!












 
  
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